Il termine Mitteleuropa che designa l'Europa centrale o area danubiana, come parola, fa il suo ingresso nel vocabolario tedesco intorno al 1914 per opera di F. Neumann e indica l'area geografico-culturale e storica dell'Impero austro-ungarico.
Per 2.888 km il Danubio, la cui paternità è contesa tra Fustwangen e Donauschingen, due paesi, come ci racconta Magris in Danubio, della Germania meridionale, mentre in realtà pare che le sue sorgenti si trovino nella Berg, si snoda verso il suo immenso delta sul Mar Morto attraverso civiltà diverse che si riassumono nella civiltà mitteleuropea, realtà complessa, babele linguistica, immenso calderone, crogiuolo di culture ed etnie diverse di cui il comune denominatore è proprio il fiume che attraversa cinque paesi: Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, Jugoslavia, Bulgaria, Romania e città come Vienna, la capitale degli Asburgo, il cuore pulsante dell'Impero, che raccoglieva sotto le sue ali popoli diversissimi tra loro.
Vienna "dove era splendido vivere – ci dice Werfel -Vienna era, tutti lo sanno, una città gaudente, raffinata e cosmopolita, un paese di geni, qui avevano confluito tutte le correnti della cultura europea".*
E il bel Danubio blu è simbolo degli Asburgo e del suo vastissimo plurinazionale impero, mosaico di civiltà che comprendeva le Alpi del Tirolo, gli orizzonti della Boemia, gli altipiani selvaggi del Carso, le contrade dell'Adriatico, i palazzi di Vienna, le torri di Praga.
L'Impero chiedeva che il suo suddito "non fosse soltanto un tedesco, un ruteno, un polacco, ma qualcosa di più, qualcosa al di sopra, ... un austriaco" ci dice ancora Werfel, in nome di un'armonia sovranazionale che superava tutte le barriere e faceva sì che "il centro fosse in periferia".**
E dalla "periferia", dalla Galizia, come dalla Bucovina, arrivavano a Vienna menti brillanti, arricchendone la vita culturale e artistica. Molti erano ebrei, e alcuni divennero i punti di riferimento della cultura viennese e di Praga, come Shnitzler, Freud, Kafka e così via.
Tra la metà del XIX secolo e il 1933 la comunità ebraica dell'Europa centrale espresse una straordinaria ricchezza artistica, fu un secolo d'oro frutto di una sintesi eccezionale tra provenienze e nazionalità diversissime, poi, distrutta dalla furia nazista, è però fortunatamente sopravissuta in esilio, ovunque nel mondo.
Giuseppe II fu lungimirante nella sua opera di germanizzazione, consapevole di essere circondato da realtà forti e centralizzate, la Francia a ovest, la Prussia a nord, la Russia a est, mirò a unificare i vari territori del suo impero che si estendeva dalla Dalmazia alla Polonia, dal confine svizzero a quelli dell'Impero Ottomano con il risultato della trasformazione delle strutture che per secoli avevano separato e diviso gli ebrei dal resto della popolazione, ma con l'obbligo per gli ebrei di parlare il tedesco. Rese possibile per loro l'accesso all'università.
Abolì tutte le imposizioni che per secoli avevano differenziato gli ebrei dal resto della popolazione, come l'obbligo di portare la barba, vestiti o colori speciali, il divieto di uscire di casa prima di mezzogiorno la domenica e i giorni di festa, il divieto di frequentare luoghi pubblici di intrattenimento. Concesse il permesso di abbracciare ogni tipo di mestiere e di attività, di coltivare e prendere in affitto dei terreni per vent'anni. Ma era proibito l'uso dell'ebraico. Tutti dovevano adottare un cognome tedesco, e questa legge trovò una forte resistenza nei territori orientali come la Galizia o la Bucovina, dove gli ebrei vivevano in comunità più grandi e isolate. Province dove esisteva la coesistenza di molteplici nazionalità e la presenza di un importante gruppo ebraico, luoghi di multiculturismo in cui si mantiene un legame molto forte con la tradizione e si ama lo yjddish come lingua parlata e poi scritta.
Non a caso a Czernowitz, una Vienna in miniatura, con la sua università, i teatri, l'opera, si riunì il primo congresso mondiale in yjddish.
C. Magris ha parlato di "comparativismo mitteleuropeo" che avvicina Svevo ad Andric, Schulz a Kafka. Pur di diversa appartenenza nazionale, tedesca, slava, ungherese, triestina, hanno in comune temi, forme, tendenze, un vissuto, una koinè interculturale. Basti pensare a Praga, e sono gli ebrei che hanno impresso una fisionomia ben riconoscibile ai centri letterari in lingua tedesca.
Dopo il 1918 molti scrittori rievocano il mondo di ieri, ordinato, sicuro, dignitoso, trasfigurandolo poetica-mente e cercandovi rifugio dall'insoddisfazione di un presente caotico, dove è stato stravolto l'ordine delle cose.
Questi scrittori, che si erano formati nell'impero d'Austria, nel Regno d'Ungheria, di Boemia, partono dall'esperienza tormentosa del crollo di tutto un mondo, cui è seguito lo smarrimento, il disorientamento, il vuoto.
"... La Cacania era lo Stato più progredito del mondo, benché il mondo non lo sapesse ancora; era lo Stato che ancora si limitava a seguire se stesso, vi si viveva in una libertà negativa, sempre con la sensazione che la propria esistenza non ha ragioni sufficienti, e cinti dalla grande fantasia del non avvenuto, o almeno del non irrevocabilmente avvenuto, come dall'umido soffio degli oceani onde l'umanità è sorta".***

Note:
(*) Stefan Zweig: Il mondo di ieri
(**) Joseph Roth: Ebrei erranti
(***) Robert Musil: L'uomo senza qualità

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