5 Altrove e dintorni
Il peso della farfalla
articolo di Emanuela D'Alessio

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De Lucai Il peso della farfalla
Erri De Luca
Anno 2009
Pagine 70

Storia stupefacente che lascia incantati e meravigliati quella che Erri De luca, scrittore napoletano assai prolifico, ci racconta in questo piccolo libro dal titolo suadente e colmo di promesse.
Il peso della farfalla sembra una contraddizione, perché le farfalle sono leggere e silenziose, evocano immagini di leggiadra inconsistenza, di colori sgargianti, di un tempo effimero che fugge via in un istante, senza fragore.
Eppure la farfalla di De Luca, che svolazza intorno all’uomo e finisce sempre per posarsi sul corno di un camoscio, si trascina il peso e i molteplici significati dell’esistenza, quella del re dei camosci giunto ormai alla fine del suo regno, quella dell’anziano bracconiere di montagna che si è ritirato dagli uomini per andare in cerca del suo ultimo trofeo.
Sta tutto qui il significato denso della storia, semplice e netta, dove le regole degli uomini e i loro affanni sono spazzati via dal vento che infuria negli inverni di montagna, soffocati dalla neve che tutto ricopre con il suo magnifico silenzio.
La storia di una sfida che dura da anni, tra il re dei camosci cresciuto senza regole e divenuto re in un giorno, e il cacciatore di frodo che vive ormai in cima al bosco, in compagnia di una solitudine aspra.
Un duello, dunque, tra la bestia e l’uomo, tra l’istinto e la ragione, il cui finale appare scontato. L’uomo ha il fucile, arma micidiale che ha ucciso più di trecento camosci e stambecchi, il camoscio ha soltanto il suo fiuto e l’aria di novembre, che denuncia l’uomo a tutta la montagna, i suoi zoccoli, come le quattro dita di un violinista, giocolieri in salita e acrobati in discesa, quattro assi in tasca a un baro, che gli consentono quello che l’uomo non può.
Ma nulla è scontato in questo duello, metafora della vita, raccontato come il volo di una farfalla che disegna nell’aria angoli spezzettati, spostando continuamente il centro.
Perché il re dei camosci ha ucciso un’aquila, come mai accaduto prima; ha imparato a non temere i fulmini, sentendosi al sicuro là dove tutti gli altri avvertono la minaccia; ha scavato un rifugio con le corna e le zampe, un’arte sconosciuta al branco; ha imparato a mangiare radici e ciuffi di larici, cosa che la sua specie non fa; sotto il suo regno, sfidato da nessuno, non ci sono duelli ma pace, si muore solo per la caccia dell’uomo e dell’aquila. Il re ha assaggiato il sale delle stelle.
Perché il bracconiere si è ritirato in montagna dopo una gioventù rivoluzionaria; ha imparato ad arrivare dove altri non possono, per non farsi fiutare dai camosci, ma nelle imprese la grandezza sta nell’avere in mente tutt’altro; suona l’armonica a bocca per non rispondere a domande; non si è pentito mai, perché niente si ripara dopo il danno, si può solo rinunciare a rifarlo.
Il re dei camosci, in un giorno di novembre, sente che è giunto il suo momento, l’ultimo. Anche l’uomo avverte una crepa, sotto il peso della legna che gli spezza all’improvviso il respiro, quando permette a una donna di raggiungerlo là dove il bosco dirada nel niente, quando gli spunta il pensiero di scendere a valle a svernare, quando si accorge che la vita senza di lui è già in cammino.
In fondo si assomigliano i due re della montagna, ma le bestie sanno il tempo in tempo, mentre gli uomini lo sanno prima ed è questa la loro rovina. Gli uomini sanno prevedere, incrociare il futuro, combinare i sensi con le ipotesi, ma del presente non capiscono nulla.
Questa, dunque, la semplice verità che De Luca sembra svelarci. Il presente è l’unica conoscenza che ci spinge incontro al futuro, anche se per l’ultima volta.

Marzo 2010

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