1. ArtificialMente:
Semantica sintattica artificiale e coscienza umana:
da Searle per Wittgenstein verso il futuro
ovvero
Ma i sistemi artificiali possono comprendere?

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In queste note cerco, più che di descrivere la posizione di Wittgenstein sul significato, di metterla in pratica sul campo, nel difficile campo della filosofia della mente e del linguaggio di J. Searle.
È bene preliminarmente riassumere la posizione di Searle nella filosofia della mente, perché è proprio qui la chiave di accesso per capire l'approccio searliano ai concetti di significato, semantica e comprensione:

"[...] Nascono così le dottrine materialiste; tra queste, le più diffuse nelle scienze cognitive sono il funzionalismo computazionale (la mente è un sistema computazionale incidentalmente implementato nel cervello) e il materialismo eliminativo (non c'è la mente, s'è solo il sistema nervoso)." [Searle, 1995]

progettare la mente   Ricerche filosofiche   capire Wittgenstein

La via d'uscita da qualsiasi dilemma non sta nel gettarsi su un corno pur di evitare l'altro, ma nell'evitarli entrambi, negando legittimità al dilemma stesso. La soluzione che Searle propone per il problema mente/cervello (battezzata naturalismo biologico) è dunque che non esiste alcun problema. La mente è una proprietà di alto livello dei sistemi nervosi, o almeno di alcuni tra essi. I fenomeni mentali sono soggettivi, consci e ontologicamente irriducibili. Essi sono causati da processi neurofisiologici cerebrali. La mente esiste realmente ed è una proprietà intrinseca (non epifenomenica, convenzionale, etc.) del cervello, e non consiste in, né richiede, alcuna elaborazione di informazione.

"In modo analogo, la capacità di digestione è una capacità intrinseca (non epifenomenica, convenzionale, etc.) dello stomaco, che non ha nulla a che fare con la distinzione hardware/software, con l'elaborazione di informazioni e così via. Stomaco e cervello semplicemente funzionano, e il loro funzionamento causa la digestione, in un caso, e la mente nell'altro. Non sappiamo come il funzionamento cerebrale causi l'attività mentale: la questione è comunque di pertinenza delle neuroscenze, non della psicologia. Ciò che appartiene alla psicologia è lo studio della mente in quanto tale. La mente, si diceva, consiste negli stati mentali coscienti. La coscienza appare così la caratteristica centrale dell'attività mentale, e l'averne ignorato la primitività, e l'irriducibile soggettività, è alla radice della sostanziale sterilità della psicologia scientifica. La coscienza è dunque una proprietà intrinseca della biologia del nostro sistema nervoso (in particolare, ne è una proprietà emergente, così come la liquidità può esserlo dell'acqua); essa non può consistere in un particolare tipo di computazione, o comunque in una particolare modalità di elaborazione di informazione." [Searle, 1989]

Questa è la posizione di Searle nella filosofia della mente. Essa è rimasta sostanzialmente invariata rispetto al passato; la variazione che si registra è questo ritorno alla coscienza, quando in precedenza l'accento era posto maggiormente sul concetto di intenzionalità, ma in sostanza la posizione è la medesima.
Sono completamente d'accordo con questo approccio. Anche secondo me è il cervello dell'uomo a produrre quello che è un primitivo biologico, per ciò stesso irriducibile ad altro, e riproducibile in senso stretto solo grazie ad un apparato nervoso (biologico) della complessità, vastità e natura di quello umano.
Il problema (e il disaccordo) nasce quando Searle parla di significato, semantica e comprensione. Searle ha prodotto, con un semplice esperimento teorico - la stanza cinese -, un importante dibattito in Intelligenza Artificiale. Lo riassumo in poche righe per poi cercare di cogliere la trappola linguistica che lo sostanzia.
L'esperimento della stanza cinese consiste nell'avere all'interno di una stanza un individuo (ad es. Searle) che non conosce nulla del cinese ma è dotato di un "manuale" che gli permette di rispondere correttamente in cinese alle domande che gli vengono formulate, sempre in cinese, dal di fuori della stanza. Egli associa semplicemente le giuste risposte alle domande in base alle corrispondenze dettate dal manuale e in questa sua attività non ha modo di incrementare minimamente la sua conoscenza del cinese.
Searle usa questo esperimento per dimostrare che, nonostante il sistema superi il test di Turing, egli continua a non comprendere assolutamente nulla del cinese. Afferma:

"Come un calcolatore, io manipolo simboli, ma non annetto a questi simboli alcun significato. Questo esperimento concettuale dimostra che se io non capisco il cinese per il solo fatto di eseguire un programma per la comprensione del cinese, allora non ci riesce alcun altro calcolatore digitale che si limiti a far girare un programma del genere. I calcolatori digitali si limitano a manipolare simboli formali secondo le regole contenute nel programma.
Ciò che vale per il cinese vale anche per le altre attività cognitive. La sola manipolazione di simboli non basta di per sé a garantire l'intelligenza, la percezione, la comprensione, il pensiero e così via. [...] I programmi sono definiti in termini di manipolazione di simboli e i simboli sono enti puramente formali cioè sintattici.
[...] Assioma 1.I programmi di calcolatore sono formali (sintattici). [...] Il possesso dei soli simboli, della sola sintassi, non è sufficiente per possedere la semantica.
[...] Assioma 2. La mente umana ha contenuti mentali (una semantica). [...] Gli atti di pensiero, di percezione, di comprensione e così via hanno un contenuto mentale. Grazie al loro contenuto possono concernere oggetti e situazioni del mondo esterno. Se il contenuto coinvolge una lingua, accanto alla semantica ci sarà una sintassi, ma la comprensione linguistica richiede almeno un ambiente semantico.
[...] Assioma 3. La sintassi di per sé non è condizione essenziale, né sufficiente, per la determinazione della semantica.
[...] Conclusione. I programmi non sono condizione essenziale ne sufficiente perché sia data una mente. [...] Ho cercato di dimostrare che il programma di per sé non è condizione necessaria per il pensiero, perché il programma si limita a eseguire operazioni formali sui simboli e sappiamo per altra via che le manipolazioni sui simboli non sono in sé sufficienti a garantire la presenza di significati. Questo è il principio su cui è basato l'argomento della stanza cinese." [Searle, 1990]

E ancora:

"Comprendere implica sia il possedimento di stati mentali (intenzionali) sia la verità (validità, successo) di questi stati." [Searle, 1989

Una delle obiezioni, tra le più importanti mosse all'esperimento di Searle (la cosiddetta obiezione di Berkeley) era la seguente:

"Anche se è vero che l'individuo chiuso nella stanza non comprende la storia, è un fatto che egli è solamente una parte dell'intero sistema, ed il sistema comprende la storia. [...] Ordunque la comprensione non va attribuita al singolo individuo, va attribuita a questo sistema complessivo di cui egli fa parte."

Contro-obiezione di Searle:

"La mia risposta alla teoria dei sistemi è semplice. È sufficiente che l'individuo interiorizzi tutti questi elementi del sistema. Egli memorizza le regole del librone e le banche dati dei simboli cinesi e fa tutti i calcoli a mente. L'individuo dunque incorpora l'intero sistema. Non c'è niente del sistema che egli non abbracci. Possiamo anche liberarci della stanza e supporre che lavori all'aperto. Ma come sempre, egli non capisce niente di cinese". [Searle, 1955]

Qui scatta la "trappola di Searle" e a fortiori, lo stesso dicasi per il sistema, perché non c'è nulla del sistema che non sia già in lui. E se egli non capisce allora non c'è alcun modo in cui il sistema potrebbe capire perché il sistema non è altro che una sua parte.

Poi Searle continua:

"In effetti mi sento alquanto imbarazzato nel dare questa risposta alla teoria dei sistemi perché la teoria stessa mi sembra non plausibile già in partenza. L'idea è che mentre una persona non capisce il cinese, in qualche modo la congiunzione di una persona con un po' di fogli possa capire il cinese. Non è facile per me immaginare in che modo qualcuno che non sia rinchiuso in un'ideologia [l'ideologia dell'Intelligenza Artificiale forte, nda] possa trovare plausibile questa idea."

Il punto su cui si regge la contro-obiezione di Searle è, come apparirà più chiaro in seguito, sottile ma evidente: egli non fa altro che ribadire che il sistema non comprende dal punto di vista antropico, non comprende esattamente come l'uomo comprende. Questo significa semplicemente che Searle non accetta che si parli di comprensione per qualsiasi sistema che non sia l'uomo.
Ora, risulta evidente, tornando al discorso iniziale, come Searle associ semantica, significato e comprensione a coscienza in quanto primitivo biologico. Egli afferma cioè che anche la semantica e la comprensione, sono dei primitivi biologici o, comunque, altre facce della medesima medaglia.
Quale è il senso dell'affermazione: "nel cervello umano emergono tre primitivi biologici"?
Consideriamo un primitivo (naturale) più consueto, ad esempio ciò che i fisici chiamano massa: che senso ha affermare che nella massa noi troviamo tre primitivi naturali: la massa, la materia e il peso ? È evidente che essi non sono tre primitivi. Non è sostenibile che in quello che può essere definito, mutuando il gergo di Searle, brute fact, convivano più primitivi. [Searle, 1955]
Un primitivo è, per definizione, elementare e unitario.
Pensiamo quindi che il cervello umano mostri l'emergenza di un primitivo. Allora dobbiamo discutere in che senso "significato, semantica e comprensione sono facce della stessa medaglia".
I concetti di significato, semantica, comprensione, coscienza, pensiero, mente, intenzionalità, sono da sempre in uso.
Per millenni il dibattito filosofico è stato un continuo operare con questi termini. L'uomo li ha usati per mettere in evidenza la diversa natura di sé, nei suoi vari aspetti e caratteristiche, rispetto al resto del creato.
Si è confrontato con le entità esistenti a lui più vicine, gli animali, e ha posto un confine che, malgrado non fosse assolutamente netto, è sempre e universalmente andato nella direzione dell'attribuzione pressoché esclusiva all'uomo di capacità di alto livello quali il pensiero, la semantica e la capacità di comprendere.
Nell'uomo sono emersi e sono stati usati i significati di significato, comprensione e pensiero sempre aventi come soggetto l'uomo stesso; direi meglio: sono emersi in una realtà in cui non vi era altro soggetto cui attribuirli.
L'alone semantico che avvolge questi termini è quindi imbevuto di antropocentrismo.
L'uomo ha sviluppato tali concetti quando era l' capace di manipolare simboli, il solo per il quale si poteva parlare di rappresentazione. [Newell e Simon, 1989] Solo l'uomo aveva capacità di astrazione, solo l'uomo poteva interagire con l'ambiente avendo un rapporto razionale, guidato da scopi, pianificante: in una parola era il depositario unico dell'informazione.
Nella realtà appena descritta è evidente che si è sospinti a considerare pensiero, mente, coscienza, comprensione e presenza di semantica come diverse forme, esplicitazioni, del medesimo fenomeno.

Searle   Kenny
Wittgenstein   Rapaport

Ora passiamo a considerare le posizioni di Wittgenstein partendo da uno dei paragrafi più importanti delle Ricerche Filosofiche:

"Per una grande classe di casi - anche se non per tutti i casi - in cui ce ne serviamo, la parola significato si può definire così: il «significato» di una parola è il suo uso nel linguaggio." [...]
"La grammatica della parola sapere è, come si vede facilmente, strettamente imparentata alla grammatica delle parole potere ed essere in grado. Ma è anche strettamente imparentata con quella della parola comprendere ('Padroneggiare' una tecnica). [...] "...Comprendere una proposizione significa comprendere un linguaggio. Comprendere un linguaggio significa essere padroni di una tecnica. [Wittgenstein, 1988]

Nel testo Capire Wittgenstein, si osserva:

"Con l'analisi grammaticale di comprendere, Wittgenstein inizia una nuova fase dello smantellamento del modello semantico primitivo per cui tutte le espressioni del linguaggio funzionano come nomi; il discorso prelude alle analisi del vocabolario della psicologia ingenua (intendere, aspettarsi, provare dolore, volere ecc.), che secondo quel modello dovrebbero essere nomi di stati o processi mentali. L'analisi del rapporto tra immagine associata ad una parola e impiego della parola introduce la connessione tra comprendere e saper fare o padroneggiare una tecnica. Analizzando il caso esemplare del leggere, Wittgenstein introduce un metodo che userà spesso, e che consiste nel far vedere che stati o processi mentali non possono rappresentare l'essenza di un'attività (o il significato di un'espressione, etc.) perché non sono né necessari né sufficienti affinché si dia quell'attività. [...] "Per la comprensione di una proposizione immaginare qualche cosa in concomitanza ad essa è tanto poco essenziale quanto il disegnare uno schizzo in base ad essa". [Andronico, Marconi., Penco, 1988].

Alla luce di questi insegnamenti cerchiamo di riconsiderare il rapporto comprensione/uomo. Oggi la situazione è profondamente cambiata rispetto a quaranta anni fa. Ci sono le macchine dell'informazione che, come l'uomo, manipolano simboli. Oggi sembra sensato parlare di macchine che si rappresentano la superficie terrestre per scandagliarla con sensori ed euristiche più potenti delle nostre, per venire a conoscenza di nuovi giacimenti e, visto che anche tale conoscenza viene riutilizzata per proseguire nell'analisi, ci sembra sensato oggi poter parlare di apprendimento.
Queste macchine possono interagire con l'uomo per quanto concerne il loro specifico dominio - grazie a interfacce in linguaggio naturale - possono dare spiegazioni articolate di scelte operate e non operate, possono guidare in un dominio dinamico e non conosciuto. Le primordiali macchine di oggi, delle quali sappiamo quali siano gli immensi limiti rispetto a quelle di domani (che vediamo già all'orizzonte e dalle quali siamo oggi separati da vincoli meramente economico-tecnologici), ebbene queste macchine odierne hanno già abbastanza roso la fortezza nella quale Searle vorrebbe tenere protetto l'uomo e il suo monopolio sul simbolo. È per motivi di pragmatica che dobbiamo aggiornare i confini di certe nozioni che fino a ieri erano di esclusivo possesso umano.
Per queste ragioni non è più possibile affermare che rappresentazione, semantica, significato, comprensione, sono soltanto aspetti di un medesimo primitivo e che possiamo tranquillamente distaccarli da quel primitivo e dare loro uno status nuovo, indipendente da quello che è stato il loro primordiale supporto e soggetto e attribuirli pregnantemente, pertinentemente al nuovo dominio del simbolo artificiale.
Affrontiamo la questione da un altro punto di vista: il test di Turing. Assumiamo la seguente ipotesi di lavoro: un sistema (computer più programma) passa il test di Turing con la stessa funzione di probabilità di un uomo medio. In un caso del genere avremmo un sistema capace di dimostrare un comportamento linguistico non distinguibile da un essere umano. Un sistema che superi il test di Turing ha un comportamento linguistico indistinguibile da quello di un essere umano. Ciò significa che:
1. i racconti delle sue esperienze possono essere normalmente letti come racconti di un essere umano;
2. le domande che esso pone, le curiosità che esso manifesta sono tipiche di un essere umano,
3. l'elaborazione che esso opera sugli input provenienti da noi sono non distinguibili da quelle che farebbe un essere umano (vale a dire ad esempio che se noi gli poniamo una serie di problemi, i più disparati ma che sappiamo un essere umano medio risolverebbe, esso li risolverebbe).
La questione importante è: in che senso si può dire che questo sistema non conosce i significati, non è dotato di semantica, non comprende ?
A mio avviso, lo si può affermare soltanto avendo un punto di vista esclusivamente e totalmente antropocentrico riguardo al significato di tali termini: cioè si può dire che il sistema, essendo composto da un computer più un programma, non conosce i significati come li conosce l'uomo, non è dotato della semantica umana, non comprende nello stesso modo e senso dell'uomo.
È evidente però che, in un qualche senso, quel sistema conosce significati, una semantica, ossia comprende. Il problema è proprio capire in quale senso.
Sappiamo che si tratta di un sistema che non è un uomo, quindi sappiamo che non comprende come fa l'uomo, ma il punto è che si comporta come si comporterebbe un uomo che comprende.
Perciò la risposta è che noi possiamo affermare che il sistema conosce i significati e la semantica e comprende da un punto di vista comportamentista.
Il punto critico dell'esposizione di Searle è, come detto sopra, nel fatto che nel suo tentativo di dare conto del quid irriducibile del mentale umano, egli associa a termini quali coscienza e intenzionalità concetti quali appunto significato, semantica e comprensione.
Se da una parte è giusto presupporre una specificità dell'uomo in relazione a concetti quali coscienza e pensiero, e appare sensato un approccio che attribuisca ad esso l'esclusiva di tali caratteristiche visto che (e qui concordo con Searle) queste hanno una natura intrinsecamente soggettiva e non oggettivabile, d'altro canto non vi è alcuna giustificazione a trattenere limitato all'uomo il significato - inteso qui come alone semantico o totalità dei sensi del referente - di comprensione.

[...]"In genere siamo soliti pensare che la cosa importante sia il comprendere, e che i segni che usiamo siano strumenti inessenziali e variabili per trasferire questo stato mentale da una persona all'altra. Ma è un errore. Fra segni e comprensione non c'è una relazione causale, come tra una droga e uno stato di allucinazione. La relazione fra i segni e la comprensione è interna, e differenze nell'uso dei segni comportano differenze nella comprensione stessa." [Kenny, 1984]

In altre parole, se da una parte l'alone semantico di coscienza non può essere mutuato dall'uomo in favore di sistemi diversi da esso perché con coscienza vogliamo indicare proprio quel qualcosa che nella nostra teoria è unicamente pertinente l'uomo, d'altro canto non vi è nessun impedimento ad ampliare l'alone semantico del termine comprensione verso un nuovo dominio che è emerso negli ultimi decenni, che è quello dei sistemi artificiali che trattano ciò che fino a ieri era sotto l'esclusiva sovranità dell'uomo: il linguaggio e i suoi simboli.

Wittgenstein aveva colto una evidente molteplicità di sensi del termine comprendere già all'interno dell'uomo:

"Noi parliamo del comprendere una proposizione, nel senso che essa può essere sostituita da un'altra che dice la stessa cosa; ma anche nel senso che non può essere sostituita da nessun'altra. (Non più di quanto un tema musicale possa venir sostituito da un altro). Nel primo caso il pensiero della proposizione è qualcosa che è comune a differenti proposizioni; nel secondo, qualcosa che soltanto queste parole, in queste posizioni, possono esprimere. " [Wittgenstein, 1988]

Non soltanto non vi è nessun impedimento ma risulta pertinente mutuare tale termine perché altrimenti non si avrebbe un nome per quell'attività che il nostro sistema svolge rispetto ai problemi che risolve. In sostanza mentre ritengo che sia improprio e addirittura errato, per motivi ontologici, dare un criterio comportamentista per concetti dei quali abbiamo certi aloni semantici quali coscienza e pensiero, penso che siano da separare da questi i concetti di semantica e comprensione, di metterli cioè sotto un ombrello diverso che sia appunto quello del criterio comportamentista:

"Certo, mentre si parla succede spesso che scorrano nella niente delle immagini mentali. Ma non sono queste a conferire significato alle parole che usiamo [...] I criteri sulla cui base decidiamo se qualcuno comprende ciò che sta accadendo sono del tutto diversi da quelli in base ai quali decidiamo che sorta di immagini egli abbia [...] Comprendere un enunciato significa comprendere un linguaggio; e comprendere un linguaggio è padroneggiare una tecnica: a differenza delle immagini una tale padronanza può essere controllata e verificata da altri. In questo c'è una notevole diversità fra i criteri dell'immagine e quelli del comprendere. Nel caso delle mie immagini mentali, cosa io ne dico è incontestabile. Nessun altro potrebbe correggere le mie affermazioni, al massimo qualcuno potrebbe farmi notare delle contraddizioni interne a ciò che dico. Ma altri possono senz'altro rendersi conto meglio di me se comprendo un enunciato o un' espressione..." [Wittgenstein, 1998]

Ora non è più possibile fare ciò che fa Searle, e cioè lasciare uniti coscienza, pensiero, semantica e comprensione. Non tutti sono di stretta pertinenza dell'uomo. Vi è un senso profondo per il quale è corretto ampliare i protagonisti dei due ultimi concetti:

Ancora Wittgenstein:

"Sono questi modi di usare il comprendere che costituiscono il suo significato, che costituiscono il concetto di comprendere. Non dobbiamo pensare che quando ricorre il concetto come comprendere tutti i casi a cui esso si applica debbano avere una qualche proprietà in comune. I diversi casi possono essere collegati l'un l'altro attraverso degli intermediari, così come gli anelli di una catena sono collegati ad altri anelli, lontani, della stessa catena." [Wittgenstein, 1999]

È proprio grazie al concetto di somiglianze di famiglia che risulta legittimo ampliare la semantica di comprendere:

"Non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che con l'espressione somiglianze di famiglia; infatti le varie somiglianze che sussistono tra i membri di una famiglia si sovrappongono e si incrociano nello stesso modo: corporatura, tratti del volto, colore degli occhi, modo di camminare, temperamento, ecc.ecc. - E dirò: i 'giuochi' formano una famiglia. E allo stesso modo formano una famiglia, ad esempio, i vari tipi di numeri. Perché chiamiamo una certa cosa numero? Forse perché ha una - diretta - parentela con qualcosa che finora si è chiamato numero; e in questo modo, possiamo dire, acquisisce una parentela indiretta con altre cose che chiamiamo anche così. Ed estendiamo il nostro concetto di numero così come, nel tessere un filo, intrecciamo fibra con fibra. E la robustezza del filo non è data dal fatto che una fibra corre per tutta la sua lunghezza, ma dal sovrapporsi di molte fibre l'una all'altra..." [Wittgenstein, 1999]

Si tratta in sostanza di prendere atto wittgensteinianamente che un nuovo uso del termine comprensione è emerso (perché è emerso un nuovo dominio per essa) e che tale uso è corretto perché basato su un criterio che coglie una profonda omogeneità rispetto ai due soggetti diversi (uomo e sistema artificiale) cui è applicato: il criterio comportamentista.
Un'interessante conferma sia alle mie considerazioni sul significato in generale, sia più specificamente sulla critica a Searle in direzione dell'abbandono della sua teoria intenzionale del significato, si trova in William J. Rapaport, docente di informatica e di filosofia presso l'Università di Buffalo, New York, il quale apre il suo articolo, che qui non tratto per motivi di spazio, scrivendo:

"John Searle afferma: "La stanza cinese mostra ciò che noi sappiamo da molto tempo: di per sé la sintassi non è sufficiente per la semantica. Si può forse negare questo punto? C'è oggi realmente qualcuno che si senta di affermare con nettezza che la sintassi, nel senso dei simboli formali, sia realmente la stessa cosa del suo contenuto semantico, del suo significato, del suo corrispondere al pensiero, della comprensione, etc.?"
"Io rispondo: "Sì". [Rapaport, 1995]

Penso che Rapaport sarebbe d'accordo con me che l'unico vero problema rappresentato dall'esperimento della stanza cinese sia la sua costruzione, non il fatto che essa non comprende: costruire una qualsiasi cosa che si comporti come la stanza cinese di Searle è il vero problema della Intelligenza Artificiale vera, vale a dire non antropocentrica.

Si potrebbe obbiettare a tutto ciò con lo stesso Wittgenstein:

"Calcola la macchina calcolatrice? Immagina che una macchina calcolatrice sia nata per caso; ora qualcuno preme i suoi tasti per caso (oppure un animale cammina su di essi), ed essa esegue il prodotto 25??20. Voglio dire: è essenziale alla matematica che i suoi segni vengano interpretati anche in borghese. È l'uso che se ne fa fuori della matematica, e dunque il significato dei segni, che trasforma in matematica il giuoco dei segni. Allo stesso modo, anche, che non si trae un'inferenza logica quando si trasforma un'inferenza logica in un'altra (una disposizione di sedie in una disposizione diversa), se queste disposizioni non hanno un uso linguistico fuori di queste trasformazioni." [Wittgenstein, 1988]

Credo che qui Wittgenstein sia caduto in una delle tipiche trappole linguistiche che a tutti ha indicato e mirabilmente insegnato, la trappola di un uso privato del linguaggio, in questo caso di un uso antropocentrico del linguaggio. Egli tuttavia, a differenza di Searle, gode della significativa attenuante di non aver potuto godere appieno dell'attuale e futura scienza dei calcolatori come potenziali co-elaboratori, con l'uomo, di simboli e di linguaggi.
In queste note ho cercato di spiegare il concetto di significato come uso parlando dell'uso del concetto di significato.
Spero di aver compreso il significato dei miei concetti.

Sui diversi temi affrontati in questo articolo si può fare riferimento alle seguenti indicazioni bibliografiche    libri

Alcuni dei testi citati nell'articolo e ancora in commercio. Il testo delle Lezioni romane di J.R. Searle del 1955, non è disponibile.

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