17. Bioculture:
Ecologia dei virus influenzali

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Attraversano i cieli di notte avendo come punto di riferimento le mappe stellari: anatre, gru, aironi, cicogne volano altissime e numerose sopra le nostre teste, capaci di percorrere migliaia di chilometri da un'area all'altra del mondo. È un'antica consuetudine connessa alla possibilità di sopravvivere e di riprodursi che regala, periodicamente, spettacoli di inusitata bellezza quando dai cieli, improvvisamente affollati, stormi di uccelli scendono verso terra planando sulle superfici dei mari e dei laghi. Le migrazioni autunnali verso i siti di svernamento permettono a numerosi uccelli di sfuggire, nell'approssimarsi dell'inverno, alle aree ghiacciate dei loro habitat, indirizzandosi verso zone più calde, dove la disponibilità di cibo è maggiore. Molti anatidi della Regione Paleartica, nel trasferimento dai siti di nidificazione del Nord-Est dell' Europa, sono soliti concentrarsi in gran numero negli spazi d'acqua del Centro-Europa dove mutano le loro piume remiganti. Dopo circa un mese di sosta riprendono il loro viaggio verso le zone umide del bacino del Mediterraneo o, per alcune di esse, verso quelle subsahariane.

Darwin             Malattie infettive

Dall'inizio del duemila questi splendidi uccelli sono oggetto di un'attenzione preoccupata che, in alcuni periodi, ha dato luogo ad atteggiamenti di panico e di ripulsa perché li si è ritenuti potenziali portatori di virus pericolosi per l'uomo. Se, come è successo, su questi temi si fa uso di un'informazione molto approssimata e la si accompagna a programmi televisivi che in maniera volutamente asettica, senza commenti, propongono ad un pubblico disorientato scene orripilanti di polli, oche o anatre gettati vivi in fosse di calce o in roghi improvvisati, si offende la sensibilità di milioni di persone e si avallano operazioni che richiedono un netto rifiuto anche sul piano dell'etica. Una società tecnologicamente sviluppata, in realtà, ha uno dei suoi talloni di Achille nella mancanza di una diffusa cultura scientifica che permetta valutare in maniera ponderata quei fenomeni che in qualche modo essa stessa provoca. La vicenda dell'influenza aviaria, connessa al virus H5N1, ne è una conferma.
È probabile che fin dalla loro lontana origine filogenetica, nel Miocene, circa dieci milioni di anni fa, le anatre, come molti altri uccelli, siano state infettate da virus influenzali e che attraverso un fenomeno di convergenze evolutive abbiano acquisito col tempo la capacità di conviverci, dal momento che anche per i virus risultava conveniente la possibilità di permanere a lungo nei loro corpi.
I virus influenzali possono essere considerati come elementari particelle biologiche che esercitano nelle comunità biologiche di appartenenza il ruolo di pascolatori naturali, in grado cioè di trarre per sé nutrimento senza danneggiare gravemente i loro ospiti, allo stesso modo di come un erbivoro bruca l'erba senza intaccarne le radici. In particolari situazioni, tuttavia, tali pascolatori si possono trasformare in temibili predatori, capaci di condurre alla morte chi li ospita, come può succedere quando le capre estirpano dal terreno l'intero cespo di erba. Uno dei ruoli svolti dai virus influenzali potrebbe divenire allora quello di mantenere a livelli ecologicamente compatibili popolazioni naturali che hanno raggiunto valori troppo alti di densità.
La capacità di una particella virale di trasformarsi da elemento a bassa tossicità ad uno altamente patogeno è insito nella sua specifica natura. Un virus, approssimativamente, è costituito da una molecola di DNA o di RNA, depositaria dell'informazione genetica, da un involucro lipidico-proteico e da alcune proteine dotate di attività enzimatica in grado di assicurare alle particelle virali le capacità infettanti. Nel caso specifico dei virus influenzali di tipo A, essi possiedono una molecola di RNA, frammentata in otto pezzi, e un envelope dalla cui superficie si estroflettono alcune proteine rappresentate dalle emoagglutinine e dalle neuramminidasi; delle prime se ne conoscono sedici varianti che vengono indicate con la lettera H (da H1 a H16), mentre delle seconde ne sono state individuate nove, indicate dalla lettera N (da N1 a N9). Durante la fase infettiva, all'interno delle cellule dell'ospite, può accadere che virus appartenenti a sottotipi differenti e presenti contemporaneamente, possano scambiarsi parti del loro RNA. Dal conseguente riassetto delle differenti componenti antigeniche H e N, si potranno originare nuovi sottotipi di virus influenzali. È stato rilevato che alcune di queste possibili combinazioni, in particolare quelle del tipo H5 e H7, possono risultare in determinate condizioni fortemente patogene: per esse si fa riferimento come appartenenti ai sottotipi virali dell'influenza aviaria. La potenzialità dei sottotipi H5 e H7 di trasformarsi da soggetti a bassa patogenicità (Lpai) ad altamente patogeni (Hpai) è connessa, tra l'altro, al fatto che le loro agglutinine sono ricche di arginina e lisina nei siti di taglio utilizzati dalle molte proteasi presenti nei vari tessuti dell'ospite per attaccare il virus. Ciò determina la possibilità che il virus risulti infettante in tutti i distretti del corpo e non in alcuni organi specifici, come i polmoni o l'intestino, dando così luogo ad un'infezione di tipo sistemico .
Nella strategia di un virus presente in una popolazione di anatre selvatiche il comportamento più proficuo è quello di mantenersi a bassa letalità in modo da vedere garantito nel tempo il suo serbatoio naturale. A conferma di ciò si sono trovati ceppi virali, anche di tipo H5 o H7, in anatre selvatiche senza che queste fossero vittime di particolari patologie. Ma se per qualche causa perturbativa il quadro di riferimento dei virus si modifica, come può accadere quando essi entrano in contatto con un allevamento intensivo di polli, altre strategie si affermano sotto la spinta della seleziona naturale. Dal momento che in un allevamento intensivo periodicamente, in genere ogni tre mesi, l'intera popolazione viene rinnovata con la macellazione del pollame e l'immissione di nuovi pulcini, tra i virus infettanti prevarranno quelli portatori di una strategia che non tende a salvaguardare un possibile serbatoio naturale di animali di allevamento in quanto in ogni caso questi vengono continuamente sostituiti dall'allevatore, che così assicura un continuo apporto di nuovo cibo.
I nuovi ceppi virali si possono originare per riassortimento del materiale genetico (schift) o per accumulo di mutazioni (drift antigenico). La popolazione infettante sarà così sempre più costituita da virus, nel caso specifico, H5N1 di tipo Hpai, che potranno trarre ulteriori elementi di affermazione da programmi di vaccinazione condotti in maniera poco rigorosa.
Nel momento in cui i polli di allevamento subiscono l'attacco dei virus altamente patogeni, eliminano con le feci, nel breve periodo in cui rimangono in vita, una grande quantità di agenti infettanti che possono persistere per qualche giorno nel suolo ed anche per un paio di mesi nell'acqua, a temperature inferiori ai 20°C.
La pollina infetta potrebbe risultare un buon vettore di infezione, soprattutto quando si attua la pratica di lasciarla decantare in acqua per qualche tempo e poi spargerla sugli ortaggi o utilizzarla per incrementare l'eutrofizzazione di piccoli bacini idrici destinati all'ittiocoltura. Oche o anatre domestiche, presenti negli stessi ambienti, hanno la possibilità di infettarsi attraverso l'acqua e, dal momento che spesso attirano con la loro presenza le anatre selvatiche ed altri uccelli di palude, finiranno per trasmettere i virus H5N1-Hpai anche a loro. Ma a questo punto il quadro si complica in quanto ci si trova di fronte ad uccelli migratori che, essendo serbatoi naturali anche di virus H5 Lpai o H7 Lpai, risulteranno in certa misura meno sensibili agli effetti letali della nuova variante virale e saranno perciò in grado di trasportarla in varie aree del mondo.
In questa fase non ci si trova in presenza di alcuna pandemia umana in quanto i virus che stanno circolando, nello specifico H5N1-Hpai, possono infettare gli uomini che ne vengono a diretto contatto attraverso la manipolazione di animali infetti ma non trasmettersi da uomo ad uomo. La mortalità che si è registrata in alcuni paesi asiatici, circa cento settanta casi dichiarati nel corso del 2006, fa riferimento a situazioni di esposizione particolarmente intense. Essa potrebbe essere attribuita ad una forte reazione di sensibilizzazione del sistema immunitario da parte di alcune persone. Ciò viene avvalorato dal fatto che i casi mortali finora registrati sono risultati a carico di soggetti giovani, ventenni o trentenni, e non di anziani o bambini come avviene nel corso delle epidemie influenzali.
È anche presumibile che addetti agli allevamenti avicoli nelle popolose regioni asiatiche, operando in situazioni scarsamente igieniche, siano state ripetutamente infettati da virus H5N1-Hpai in maniera asintomatica, come emergerebbe dalla presenza di anticorpi specifici nel loro sangue.
Non è comunque da escludersi che in un prossimo futuro un ceppo virale quale H5N1, o altri simili come H9N2, possano divenire pandemici per l'uomo. Perché questo possa accadere, occorre che i virus acquistino l'abito adatto per attuare il salto di specie. Se un ospite intermedio, come potrebbe risultare il maiale, si trova ad essere infettato contemporaneamente da virus influenzali aviari ed umani, che causano le stagionali epidemie influenzali, nel suo corpo potrebbe realizzarsi il riassettamento dei due tipi di ceppi virali in grado di originare nuovi virus capaci di infettare gli uomini e dare inizio alla pandemia. Teoricamente questo processo potrebbe realizzarsi anche senza riassettamento, attraverso una più lunga trasformazione dei virus influenzali per accumulo di mutazioni geniche. In una tale evenienza il potenziale distruttivo dei nuovi virus sarebbe più alto in quanto essi sarebbero in grado di mantenere nel salto di specie tutto il loro materiale genetico. È come se a noi capitasse di indossare un abito nuovo non privandoci di quello vecchio ma riadattandolo attraverso un'opera di continuo rammendo. La Spagnola, che ha determinato un'elevata mortalità tra il 1918 ed il 1919, è stata veicolata da virus H1N1 che potrebbero avere subito un tale processo evolutivo. Si calcola che in quella pandemia si ebbero tra i venti ed i trenta milioni di morti contro i due o tre registrati nel corso di una normale epidemia influenzale. C'è tuttavia da precisare che allora l'assenza degli antibiotici aprì la strada alle infezioni batteriche scatenatesi dopo gli attacchi del virus influenzale.
È possibile difendersi da un possibile rischio pandemico? La ricostruzione storica delle principali pandemie indica che nell'arco di ogni trenta anni l'umanità è stata soggetta ad almeno una di esse: nei tempi recenti si ricordano la Spagnola del 1918 (sottotipo H1N1), l'Asiatica del 1958 (sottotipo H1N1/H2N2), la Hong Kong del 1968 (sottotipo H3N2). Essendo trascorso un sufficiente periodo di tempo dall'ultima pandemia, si è accentuata l'attenzione da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) verso tutti i segnali che possano indicare l'avvio di un nuovo focolaio pandemico. I virus del sottotipo H5N1-Hpai, ma potrebbero anche essere altri come quelli del sottotipo H9N2, saranno candidati validi se riusciranno a compiere il salto di specie.
L'incremento della popolazione umana, che attualmente supera i sei miliardi ma con un tempo di raddoppio di appena quarantatre anni, rende il quadro più preoccupante. È infatti sotto gli occhi di tutti lo sconvolgimento di molti ambienti naturali che vengono riconvertiti dall'uomo al fine di innalzare la loro capacità portante in funzione delle sue crescenti esigenze. Il caso dei virus influenzali aviari è esplicativo della propensione di molti agenti patogeni ad avviare un compromesso con i loro ospiti, riducendo nel tempo la propria patogenicità. Anche i virus del tipo H5N1-Hpai, presenti attualmente con basse frequenze in popolazioni selvatiche di uccelli, tenderanno probabilmente a divenire del tipo a bassa patogenicità (Lpai), se si riuscirà a mantenere funzionali le comunità biologiche che comprendono tali popolazioni, salvaguardando i paesaggi ecologici di loro riferimento, in un contesto che permetta ai processi evolutivi naturali di selezionare gradualmente gli aggiustamenti opportuni. In ogni caso, è buona norma non alterare gli equilibri biologici che si vanno determinando tra virus ed ospiti dando la caccia a popolazioni naturali di anatidi infette, magari sostituendole con esemplari di allevamento immuni dal virus, in quanto non si otterrebbe altro che impedire la normale transizione dei virus da Hplai a Lpai. A tale proposito, è fortemente auspicabile che venga interrotta qualsiasi pratica di immissione di nuovi soggetti a fini di ripopolamento venatorio.
Se, differentemente, le modifiche apportate ai vari habitat saranno troppo rapide, come sta succedendo in conseguenza di molte devastanti attività umane, allora equilibri ecologici consolidati tenderanno a spezzarsi e ogni organismo sarà con maggior forza sospinto dalla selezione naturale a mettere in atto tutte le possibili soluzioni per sfuggire all'oblio genetico: nuovi ceppi di virus, batteri e altri parassiti, con modificate le strategie di sopravvivenza, potrebbero porci in futuro di fronte a drammatiche situazioni di emergenza sanitaria.
La nostra attuale potenzialità tecnologica ci spinge a scelte urgenti ed impegnative: da una parte essa può essere impiegata per scommettere sul ripristino di molti habitat naturali devastati dalla caotica crescita delle popolazioni umane, dall'altra essa potrebbe non essere più in grado di governare le contraddizioni generate da uno sviluppo, sostenibile essenzialmente per l'uomo ma non per moltissime altre popolazioni naturali. In questo non auspicabile secondo caso, il processo di estinzione biologica, già in atto, sarà inarrestabile e nessuno può prevedere cosa attende le future generazioni all'uscita del tunnel in cui da qualche tempo ci si siamo infilati!

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