23. Bioculture:
L'uomo e l'ambiente naturale

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Un bel paesaggio esercita un fascino particolare su colui che voglia trattenersi ad osservarlo, rifuggendo per qualche tempo dalla quotidianità che spesso ci condiziona attraverso la ripetitività delle cose che si devono fare e l'esigenza di doverle compiere in tempi sempre più ristretti. Ma se capita che riusciamo a slacciarci dai vincoli di tempo che ci attanagliano, se dimentichiamo per qualche momento le cartelle di marcia che ci accompagnano ormai sia nel lavoro sia nei momenti di svago programmato, forse potremmo trovarci nelle condizioni del pastore errante dell'Asia, che mirando "in cielo arder le stelle" aveva modo di chiedersi "a che tante facelle? Che fa l'aria infinita, e quel profondo Infinito seren? Che vuol dire questa Solitudine immensa? Ed io che sono?" A noi diviene difficile porci simili domande nel frenetico correre quotidiano e avremmo più possibilità di indirizzare lo sguardo su qualche incombente edificio di cemento piuttosto che su un cielo stellato.
La percezione del paesaggio risente delle abitudini di vita, della cultura, dello stato d'animo ma anche dei pregiudizi di cui ciascuno è imbevuto. Il paesaggio può essere più o meno variegato, dipendendo da noi la capacità di percepirlo nella sue varie sfaccettature. Immaginiamo di essere con la mente al centro di una valle, da cui la vista spazia incrociando all'orizzonte una catena di montagne dalle cime brulle, lungo le cui pendici si incastonano antichi borghi; sul fondo, è attraversata da un filare di alberi e da fitte siepi che accompagnano e nascondono alla vista il fiume; tutt'intorno i terreni squadrati, i canali di irrigazione, i casolari, le macchine dei campi, tutti parlano di una intensa opera di intervento dell'uomo. Se provassimo ad immaginare come doveva apparire un tale paesaggio un secolo fa, o al tempo delle prime comunità contadine, o ancora prima che l'uomo lo popolasse, esso si trasformerebbe ai nostri occhi con la stessa rapidità con cui le acque di un ruscello scivolano a valle. Il clima può rendere conto di tali cambiamenti riuscendo a trasformare deserti sabbiosi in lussureggianti foreste. Lo slittamento delle placche continentali spiega la trasformazione di depositi marini in superbe montagne.
Anche gli organismi viventi esercitano un ruolo primario nella storia del paesaggio. Una popolazione di castori può giustificare la formazione di un ambiente palustre lì dove prima una foresta era attraversata da un piccolo corso d'acqua. Una migrazione di cavallette può trasformare una prateria in una landa deserta! Ogni organismo vivente sottrae risorse all'ambiente circostante, ma nel fare ciò deve in qualche modo percepire il paesaggio che lo circonda, deve sapere individuare le aree idonee alla sua sopravvivenza e quelle che meglio si prestano alla sua attività riproduttiva, deve avere la possibilità di spostarsi da una chiazza di paesaggio a un'altra attraverso corridoi che ne garantiscano la sopravvivenza. Naturalmente ciascun organismo ha una sua specifica percezione del paesaggio che condivide, in gran parte, con i suoi conspecifici: una miriade di segnali visivi, acustici, odorosi vi si intrecciano ma essi vengono captati solo parzialmente e in maniera specifica.
Dal momento che il paesaggio è continuamente perturbato da fattori fisici e dalle attività degli organismi viventi, il ripristino della situazione preesistente è condizionata da una sua particolare capacità di assorbire la perturbazione, ricreando una situazione il più possibile simile a quella che l'ha preceduta, ma raramente uguale ad essa.
Per alcune specie il paesaggio si modifica in maniera brusca e repentina, così come può avvenire per una popolazione di mosche, se si spruzza un insetticida in un locale da esse invaso, per altre in modo quasi impercettibile. In ogni caso, le popolazioni viventi, ognuna con la propria specificità, hanno un gran da fare per cercare di adattarsi a tali cambiamenti, risultando di volta in volta esaltate le differenti specificità presenti all'interno delle varie popolazioni. Su tali differenze opera la selezione naturale, dandoci conto della realtà oggi esistente. Comunque tutte le specie viventi derivano da progenitori che sono risultati vincitori di un processo selettivo che ha lasciato alle sue spalle milioni di altre specie i cui componenti non hanno trovato il binario giusto per adattarsi al continuo cambiamento dei paesaggi.
In tempi più recenti, e in particolare da quando la nostra specie ha raggiunto un tasso di accrescimento eccezionalmente alto, tenuto anche conto che attualmente la popolazione umana è in grado di raddoppiare la sua consistenza numerica in soli quarantatre anni mentre appena tre secoli fa ne occorrevano più di mille, i connessi processi di antropizzazione stanno determinando una modifica dell'ambiente con una rapidità prima sconosciuta. Stiamo da tempo imponendo i nostri paesaggi agli altri organismi viventi: di questi solo quelli che in qualche modo riescono ad entrare in sintonia con la nostra percezione ambientale non vengono spazzati via nella pattumiera dei processi evolutivi inadeguati. Sempre più è diventato essenziale per comprendere il funzionamento ecologico di un paesaggio esaminare e conoscere la storia umana di quel determinato paesaggio. Quanto può durare tutto ciò?
Per millenni l'umanità è vissuta nell'illusione di una natura in equilibrio in cui un incendio, una frana, un'alluvione erano percepiti come elementi estranei, al cui cessare tutto si ricomponeva come prima. Per gli antichi Greci le perturbazioni e i cambiamenti dei paesaggi a cui davano luogo, trovavano spiegazione in un andamento ciclico, i ricorsi storici, intorno a un punto di equilibrio stabile: se una stagione si presenta particolarmente arida, prima o poi ne arriva una piovosa e i conti andavano in pareggio! Se il mondo è in equilibrio un uso razionale e scientifico delle risorse garantisce la continuità di tale condizione. Oggi tale certezza sta venendo meno: le numerosissime estinzioni che si sono succedute nel tempo ci suggeriscono che la posta in gioco è più alta! La natura si presenta ai nostri occhi, che pregiudizialmente oggi non ricercano equilibrio e stabilità, profondamente instabile: i paesaggi sono vulnerabili e la stessa idea che dopo un'intensa perturbazione la vita si ridistribuisca secondo stati successionali che si concludono con situazioni di equilibrio sufficientemente stabili non reggono più di fronte alla nostra percezione dei fatti.
I rapporti tra specie e all'interno delle specie sono più complesse di quello che si poteva ritenere: non basta una popolazione di falchi a mantenere in equilibrio una popolazione di arvicole. Le relazione sono più complesse e ogni variazione di una popolazione ha effetti imprevedibili sulle popolazioni di altre specie, che a loro volta risentono degli effetti di altre specie ancora, in una caleidoscopica rincorsa che rende improbabile l'esistenza di un equilibrio della natura.
Il paesaggio va pensato come un mosaico di chiazze soggette a differenti livelli di perturbazione ed in dinamica trasformazione; esso è più simile al rattoppato vestito di Arlecchino che a quello di Pulcinella! Si afferma sotto questo aspetto un nuovo modo di rapportarsi ad esso: una sua gestione adattativa dovrebbe in genere mirare né a massimizzare in maniera esclusiva l'appropriazione delle risorse disponibili, come si può ottenere, in un rimboschimento, attraverso l'impianto degli alberi, secondo uno schema che rimanda la mente ad una sfilata militare, né a conservarlo esclusivamente attraverso vincoli che escludano la presenza umana, quanto cercando di individuare le condizioni che consentono alle varie aree o chiazze in esso presenti di perpetuare i processi che garantiscono la sopravvivenza e la riproduzione delle diverse comunità biologiche. Oggi sappiamo che spesso la parte produttiva di una foresta dipende dalla parte economicamente improduttiva di essa: non tenere conto di questo può significare una rapida perdita del paesaggio in quanto l'instabilità che ne deriva porta inevitabilmente all'affermazione di perturbazioni rispetto alle quali esso non è più resiliente, cioè non è in grado di ricostituire un nuovo equilibrio.
Quanto dunque può durare tutto ciò? I sistemi ecologici sono attraversati da elementi di imprevedibilità, mutevolezza e dinamicità che rendono difficile ogni previsione: una buona regola rimane quella di un rispetto verso tali processi. Come suggerisce Fellini nella Luna nel pozzo, servirebbe un po' di silenzio per poter ascoltare e cercare di comprendere quello che il paesaggio ci potrebbe suggerire!

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