25. Bioculture:
Il futuro della sostenibilità

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Ne giungono a migliaia, ogni anno, dalle aree del mondo più ricche di biodiversità: vengono ammassate negli scali aeroportuali dei Paesi ad economia forte per essere presto dirottate verso le industrie pellettiere che li trasformeranno in vari capi di abbigliamento, come cinturini, borse, scarpe. Sono pelli di pitone, di coccodrillo, di varano, di pecari, di volpe andina. Si tratta di un commercio fiorente di cui tuttavia sfuggono i dati relativi a quanto, di esso, si realizza nell'illegalità. Le cifre ufficiali (fonte UNEP-WCMC CITES: trade database), riferite alle sole esportazioni, indicano che tra il 2000 ed il 2005 dall'Indonesia sono state commercializzate 716.202 pelli di cobra (Naja sputatrix), 981.960 di pitone reale (Python reticulatus), 184.398 di Python curtus b. e 2.721.606 di varano (Varanus salvator); dal Mali e dal Chad sono state esportate rispettivamente 472.476 e 421.074 pelli di varano del Nilo (Varanus niloticus); 619.704 pelli di Python curtus sono state immesse sul mercato dalla Malesia; dall'Argentina sono state esportate 1.253.346 pelli di Tupinambis merianae(un sauro), 847.914 di Tupinambis rufescens, 616.992 di volpe andina (sia Psedalopex culpaeus sia P. griseus); gli Stati Uniti hanno venduto all'estero 793.608 pelli di alligatore del Mississippì (Alligator mississippiensis), 156.492 di lince rossa (Lynx rufus) e 177.312 di lontra (Lutra canadensis); dal Canadà sono state esportate 72.624 pelli di lince canadese (Lynx canadensis) e 234.144 di lontra (Lutra canadensis); il Perù ha esportato 294.006 pelli di pecari dal collare (Pecari tajacu) e 85.410 di Tayassu pecari; dalla Bolivia sono state commercializzati 477.240 fianchi, 171.546 code e 63.000 pelli di caimano (Caiman yacaré).

Pellizzoni Meadows Eldredge Cohen

Si tratta di alcuni esempi parziali, ma numeri così rilevanti lascerebbero supporre che tali specie abbiano in natura una sovrabbondanza di popolazioni, tale da rendere ammissibile commercialmente il loro prelievo al fine di utilizzarne le pelli. Al contrario, tutte le specie a cui si è fatto riferimento, sono inserite nell'allegato II della Convenzione di Washington del 3 marzo 1973, nonché nell'appendice B del Regolamento CEE n. 3626/82, in quanto ritenute in via di estinzione. La situazione di precarietà del loro status nell'ambiente naturale è risultata tale da potere essere sospinte, in assenza di interventi di tutela, verso la condizione di specie in estinzione, inseribili cioè nell'allegato I della Convenzione di Washington e nell'appendice A del Regolamento CE. Da tutto ciò è derivata la necessità di controllarne in qualche modo lo sfruttamento commerciale, essenzialmente connesso al prelievo delle pelli. Attraverso accordi internazionali si è cercato di vedere assicurata una sostenibilità a tale attività, in maniera da non intaccare la possibilità, per le generazioni future, di poter disporre dello stesso bene naturale.
Un tale modo di rapportarsi allo sfruttamento di una risorsa, nel caso specifico al commercio di pelli, rimanda ad un'idea di sostenibilità che mira ad assicurare che il bene naturale venga tramandato così come esso è attualmente disponibile, sia qualitativamente sia quantitativamente. In senso meno vincolante si può anche intendere che sia sostenibile un prelievo che lasci in eredità beni naturali non più disponibili nella loro forma naturale, ma trasformati: le pelli divenuti manufatti, con associato il loro valore monetario. Entrambi questi approcci partono dal presupposto che gli organismi viventi, indipendentemente dal loro grado di complessità biologica, abbiano un significato essenzialmente strumentale, privi di qualsiasi valore intrinseco, trattati in sé stessi come mezzi e non anche come fini, svincolati dal contesto ecologico in cui si sono evolutivamente, e quindi storicamente, realizzati.
Un altro elemento di debolezza sta nel fatto che viene valutata la disponibilità commerciale delle singole specie, considerate come un bene da salvaguardare per poterne continuare a disporre, spesso senza un'adeguata considerazione del complesso ruolo da esse svolto nelle comunità biologiche di appartenenza.
Un ulteriore elemento che rende dubbia la sostenibilità di un tale commercio è che esso si realizza in un quadro economico internazionale profondamente ingiusto e disomogeneo. Le ditte di pelli dei paesi ad economia forte accedono ai beni naturali pagandoli a prezzi irrisori, realizzando su di essi altissimi profitti. Nuovi azionisti vengono attratti dai lauti guadagni trasformando le ditte in imprese multinazionali in grado di realizzare ulteriori pressioni affinché l'appropriazione delle pelli possa continuare ad avvenire a prezzi irrisori. I Paesi detentori della risorsa hanno per lo più economie deboli e sono fortemente ricattabili; spesso finiscono con l'assecondare tale mercato, talora accollandosi anche lo smaltimento dei rifiuti tossici derivanti dai processi di lavorazione e trasformazione dei manufatti. Il fenomeno, noto come dumping ambientale, comporta la svendita di beni naturali non adeguatamente protetti. Da un punto di vista sociale esso causa il livellamento verso il basso delle condizioni di vita delle popolazioni umane, assoggettate localmente a recuperare beni naturali a livelli molto bassi di paga, in una situazione di emarginazione e di precarietà del lavoro (dumping sociale).
I controlli per il rispetto delle eventuale quote di prelievo di popolazioni naturali, sia animali sia vegetali, sono molto scarsi e appaiono in genere assenti interventi che prevedano il ripristino delle condizioni naturali lì dove queste si mostrino profondamente alterate in seguito alla sottrazione di pezzi importanti di ecosistemi, svenduti a prezzi stracciati, senza alcun ritorno economico in grado di garantire un riequilibrio di un quadro ecologico così profondamente offeso.
Per certi aspetti, ci si trova di fronte alla crisi di un modello di sviluppo che non riesce a conciliare la crescita economica con la protezione dell'ambiente. Si può ritenere che il sistema sociale ed economico, fondato essenzialmente sul libero mercato, non funzioni ancora in maniera adeguata ed abbia bisogno di oculati aggiustamenti, da realizzarsi attraverso interventi statali, in grado di smussare gli aspetti che più si contrappongono ad una corretta gestione dell'ambiente. Ma si può anche supporre che proprio tale sistema sia inconciliabile con la salvaguardia ambientale in quanto non è in grado di programmare l'appropriazione di beni naturali, mirando soltanto al loro semplice sfruttamento. Per tale verso, lo stesso concetto di modernità viene messo in discussione insieme al paradigma antropocentrico che ne è a fondamento. Per esso l'uomo è l'eccezione per antonomasia tra gli organismi viventi essendo l'unico a possedere un'eredità culturale. Grazie ad essa è in grado di adattarsi velocemente ai vari ambienti sociali che la cultura stessa contribuisce a definire, assoggettandovi, per quanto possibile, le stesse componenti biologiche. La recente acquisizione che i meccanismi selettivi naturali operano anche a livello delle reti neurali e quindi intervengono sul modo con cui si realizzano le menti, ha fatto perdere al paradigma dell'essenzialismo umano, fondato sulla cultura, parte del suo potere di trascinamento. Oggi trova un poco più di considerazione il paradigma ecologico secondo cui l'uomo, con tutte le sue specificità, appartiene comunque ad una tra le tante specie che popolano le comunità biologiche, soggetta come le altre ai mutamenti dell'ambiente e alla necessità di doversi continuamente adattare ad esso, assecondandone per quanto possibile i processi ecologici, per loro natura complessi, imprevedibili e caotici.
Alla luce dell'incremento numerico delle popolazioni umane e di una perdurante iniqua distribuzione delle condizioni di benessere, la stessa idea di uno sviluppo sostenibile, a livello mondiale, appare discutibile. La quantità di terreno biologicamente attivo, necessaria a garantire il soddisfacimento di una risorsa e lo smaltimento dei rifiuti connessi alla sua utilizzazione o alle sue parti non utilizzate, è detta impronta umana. Essa richiederebbe mediamente, per ogni abitante della Terra, una porzione di terreno, ecologicamente produttivo, pari a 2,8 ettari mentre ne sono attualmente disponibili solo 1,7! A livello di singoli paesi si può osservare che gli Stati Uniti hanno una porzione grandissima di beni naturali ed una quantità di terreno ecologicamente produttivo pari a 6,7 ettari per abitante, ma vivendo al di sopra delle loro possibilità, avrebbero bisogno di 19 ettari pro capite. In Italia è stato stimato una impronta umana di 4,2 ettari a fronte di una disponibilità di 1,3 ettari. Ovviamente tali paesi possono mantenere un'impronta così elevata in quanto esistono profondi disuguaglianze economiche tra le varie aree del mondo, con una parte ricca e sprecona ed una asservita e mal governata. Non si tratta comunque di squilibri recenti ma legati a lunghi processi storici che hanno determinato anche in passato enormi dissesti ecologici e che oggi sembrano destinati ad innestare azioni più dirompenti.
Una delle ragione di questo possibile precipitare degli eventi è legata al fatto che ci si trova di fronte a fenomeni che seguono un andamento esponenziale e non additivo. In genere, siamo preparati a percepire il progredire di un fenomeno secondo una logica additiva, cioè con incrementi lineari e continui, come può aversi quando festeggiamo i nostri compleanni, ogni anno un anno in più. Ma se il procedere degli anni seguisse una logica esponenziale, dopo solo otto anni dovremmo festeggiare il nostro 1280 compleanno, e dopo venti anni avremmo un'età di 526.288 anni!
Le popolazioni biologiche possono attraversare momenti in cui la loro crescita è di tipo esponenziale ed alcune popolazioni umane sono, in questo momento, in tale condizione. È stato valutato che il tempo necessario perché la specie umana raddoppi la propria consistenza numerica è, oggi, di circa quaranta anni, cioè essa potrebbe passare in tale arco di tempo dai sei miliardi attuali a circa dodici miliardi o a nove miliardi, secondo valutazioni più ottimistiche. Tenuto conto che attualmente viene utilizzato dall'umanità circa il 40% di tutte le risorse disponibili sulla Terra, che ne sarà delle comunità biologiche in un prossimo futuro? Quali squilibri ecologici tale crescita distorta sarà capace di determinare?
Si può supporre che l'innovazione tecnologica e le stesse potenzialità offerte dall'ingegneria genetica, potranno ulteriormente aumentare lo sfruttamento delle risorse naturali. D'altronde, già in passato si sono potuti incrementare notevolmente le rese dei prodotti alimentari di più elevato consumo come il grano, il mais e il riso, grazie all'impiego di prodotti geneticamente selezionati. Le applicazioni delle nuove tecnologie sono tantissime, ma ciò non comporta automaticamente il superamento degli attuali squilibri né risolve la questione ambientale.
Una delle principali cause della situazione di impasse in cui si sta precipitando è legata al fatto che la modernità, iniziata con l'industrializzazione circa due secoli fa, ha accentuato la separazione dei saperi confinandoli all'interno delle varie funzioni svolte da ciascun individuo nel contesto sociale, con l'utilizzo di specifici linguaggi che risultano comprensibili solo agli addetti ai lavori. Così, nel caso del commercio di pelli, gli imprenditori si muovono soltanto sulla base di una valutazione dei costi e degli utili: fare appello ai sentimenti per evitare rischi di estinzione sarebbe cosa ingenua in quanto, in questo modello di sviluppo, la concorrenza travolgerebbe ogni titubanza, condannando la ditta al fallimento. I magistrati intervengono solo in presenza della necessità di dirimere una eventuale controversia sui diritti che devono essere esercitati sul prelievo delle pelli e sulla loro commercializzazione. I ricercatori possono risultare interessati a definire la consistenza delle popolazioni animali, oggetto di traffico, ma lo fanno solo se, nello specifico contesto ambientale, si può impiegare una metodologia di lavoro consolidata ed accettata dalla stessa comunità scientifica, altrimenti, cosa tra l'altro molto frequente, non si sentono autorizzati ad assumere alcuna posizione. I politici intervengono per definire la cornice entro cui deve utilizzarsi lo sfruttamento delle pelli con accordi internazionali sul commercio, eventuali ritorsioni ed agevolazioni. E mentre le varie competenze si muovono all'interno delle proprie specificità funzionali, la pratica del commercio di pelli, così come di tante altre attività che comportano prelievi in natura, procede mettendo a repentaglio la sopravvivenza di intere comunità biologiche.
Di chi è la colpa? Del mercato impietoso, del diritto internazionale carente, della politica impotente, dei gusti fuorviati dei consumatori? La complessità e separazione dei vari saperi e delle varie funzioni rende difficile la risposta; nel concreto si sta assistendo alla distruzione di fette intere di biodiversità a livello mondiale senza la capacità di individuare delle vie di uscita praticabili. Né queste potranno essere percorse se la questione ambientale non assume il ruolo di elemento cardine di qualsiasi tentativo di riequilibrio economico e di proposizione di una maggiore giustizia sociale. Sarebbe ormai tempo di trasferire quote consistenti della tassazione sul lavoro a quella legata al prelievo ed allo sfruttamento dei beni naturali!
Ma anche questo processo, per quanto necessario e non eludibile, se non si accompagnasse alla necessaria riscoperta dell'uomo come componente importante ma non imprescindibile della comunità biologica, rischierebbe di non frenare quella parte di guasti che la modernizzazione, insieme ai tanti aspetti migliorativi, inevitabilmente ha determinato. L'uomo ha una particolare propensione e capacità di costruire mentalmente mondi simbolici entro cui potere affogare le proprie aspirazioni, e la tecnologia ha gli strumenti per assecondare tali propensioni. Sarebbe teoricamente possibile per l'uomo avviarsi verso un mondo in cui l'elemento virtuale diventi dominante, con metropoli in cui i viali sono alberati da simulacri di alberi plastificati, in cui i prati sono finti e enormi cartelloni, a visione tridimensionale, raccontano di paradisi offerti alle nostre vacanze, in una dilatazione artificiosa di spazi e di tempi. In un simile scenario l'uomo diverrebbe senza qualità, avendo perso il senso della convivenza con gli altri organismi biologici.
Se, invece, non rinunciando all'innovazione tecnologica ed alla soddisfazione dei bisogni reali, si ponesse al centro dell'agire quotidiano l'osservanza di alcune norme etiche che sono già il frutto del patrimonio intellettivo dell'umanità ma che acquisterebbero uno spessore più ampio se venissero estese a comprendere, con tutte le gradualità necessarie, anche altri componenti delle comunità biologiche, allora forse si aprirebbe uno spiraglio per colmare il fossato che sta separando l'uomo-consumatore dall'ambiente naturale, condannandolo all'isolamento ed alla miseria intellettuale.
Per tornare all'esempio del commercio di pelli è auspicabile che tutti, in ogni possibile contesto, cioè in sede politica, economica, di ricerca, commerciale e quant'altro, si chiedano se esso sia eticamente giustificato, in quale ambito sia accettabile, quali siano i prezzi che esso comporta sul piano della convivenza e del mantenimento degli ecosistemi, quali sono le alternative possibili, quanto sia in sostanza ecologicamente sostenibile.

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