41. Bioculture:
In visita a Palazzo Pitti

Palazzo Pitti, appena appare alla vista, cattura subito l’attenzione di chi vi giunge da uno dei vicoli stretti di Firenze, e lo spinge ad entrare nelle sue stanze nel desiderio di rivivere la magnificenza dei Principi medicei. L’imponente facciata di bugnato, che si affaccia sulla piazza in pendio, doveva suscitare l’ammirazione e il rispetto della gente di Firenze ed era di monito agli altri Signori dello status sociale e della potenza economica della famiglia Medici.
All’interno del palazzo la Galleria Palatina contiene una straordinaria collezione di quadri, sculture e altri oggetti affascinanti che hanno mantenuto la stessa disposizione spaziale voluta dagli autorevoli principi rinascimentali. Così ancora adesso, già all’inizio del percorso lungo le vaste sale della Galleria, l’attenzione è volutamente indirizzata verso una serie di ritratti in cui principi e principini, lussuosamente addobbati, si offrono alla vista dei visitatori d’oggi, così come facevano nei confronti degli ospiti di allora, nel non celato desiderio di affidare le loro sembianze alla memoria degli uomini, quasi che questo potesse servire a frenarne l’inevitabile decadenza.

Dawkins Miller Pitti

Il committente, impiegando le ampie possibilità finanziarie di cui disponeva, investiva patrimoni consistenti nella propria immagine e in quella della sua famiglia, chiamando alla sua corte i più quotati artisti del tempo. Il principe pagava e imponeva all'artista di ritrarlo al meglio della sua condizione fisica, più di quanto un bravo chirurgo estetico saprebbe oggi fare lavorando direttamente sul corpo. I canoni estetici entro i quali il pittore o lo scultore erano costretti a muoversi, erano rigidamente fissati e non erano tollerate sbavature nella capacità di sapere ritrarre, con un'esecuzione accurata, le fattezze dei padroni di casa.
Armato di un'enorme pazienza e in possesso di una preparazione tecnica ottenuta attraverso anni d'apprendistato, l'artista si sforzava di accontentare il committente assecondandone, per quanto possibile, le aspirazioni estetiche e magnificandolo attraverso un'accorta raffigurazione, sulla tela, delle sue sembianze. Il sentimento popolare era colpito dal realismo di quelle rappresentazioni; esse contribuivano ad alimentare l'ammirazione verso la magnificenza del principe e insieme esaltavano le doti del pittore, capace di destreggiarsi tra pennelli e colori come pochi altri erano in grado di fare. In modo più esclusivo i cortigiani del principe enumeravano i tratti tecnici di più difficile esecuzione, il modo sapiente con cui il colore era disposto sulla tela, lo studio prospettico e altri aspetti che un osservatore meno acculturato non era in grado di cogliere. In definitiva, il quadro era il crocevia di una complessa rete di d'attese, ambizioni, percezioni sensoriali, talenti artistici, gusti estetici, ricostruzioni storiche e ambientali che erano espressione della cultura del committente, dell'artista e anche di coloro che valutavano l'opera, in un gioco complesso di protagonismo e narcisismo in cui ciascuno esaltava, in maniera inconsapevole, la propria fitness.
Con questo non si deve intendere che coloro che a differente titolo si riconoscevano in tale opera fossero portati a farlo in conformità a una spinta riproduttiva o a un desiderio di corteggiamento, ma che attraverso sapienti stimoli sensoriali, erano perlomeno sollecitati dal desiderio innato di adornarsi o di circondarsi di cose belle. L'artista o il committente non avevano contribuito alla realizzazione del dipinto come carta da vendere nell'agone delle opportunità sessuali, o almeno in genere non era così, e pur tuttavia la selezione sessuale operava nella direzione di associare al successo artistico quello riproduttivo. Il pubblico, soggiogato dal piacere della bella opera, ammirava estasiato disponendo il proprio stato d'animo ad una amorevole ammirazione. In uno scenario così ben predisposto committente e artista, ma anche coloro che a vario titolo erano partecipi dell'opera pittorica, fruivano spesso inconsciamente, ma talora consapevolmente, di una sottile trama seducente.
Certo non tutti erano nelle possibilità di commissionare un quadro a un artista di talento, o di possedere le attitudini necessarie a creare un'opera d'arte, ma chi poteva farlo non esitava ad impegnare sostanze e energie, subdolamente indirizzate dalla selezione sessuale, per sua natura dispendiosa, alla esaltazione della idoneità biologica. Il dipinto che, all'interno di una cornice appariscente ed esuberante, ritraeva principe e rampolli, sontuosamente acconciati, svolgeva in parte lo stesso ruolo esercitato dal giardino pieno di bigiotterie dell'uccello giardiniere: un fenotipo esteso finalizzato a incontrare i favori di una femmina in vena di preferirlo ad altri giardini predisposti da altrettanti premurosi uccelli giardinieri. Il quadro finiva dunque con l'essere al centro di stimoli e motivazioni contrastanti, realizzandosi spesso una situazione di conflitto tra committente ed artista, entrambi intenzionati a riempire l'opera di contenuti estetici che indirettamente esaltassero le loro qualità.
È successo talora che, nella esecuzione del dipinto, la genialità dell'artista abbia di tanto sopravanzato, in fama e riconoscimenti, la magnanimità del committente da oscurarne il ruolo; e che questo lo abbia ricambiato rifiutando l'opera o relegandola in zone espositive secondarie. Forse questa potrebbe essere una delle ragioni per cui in alcune sale di Palazzo Pitti quadri che meriterebbero una posizione più centrale, tanto è grande la sensazione che riescono a suscitare in chi le osserva, e basti pensare ad alcune tele di Raffaello, s'intravedano lì dove li ripose il principe, in alto nella parete, sommerse da tante altre sicuramente meno affascinanti.
L'opera pittorica, alla stregua di molte altre espressioni artistiche, era dunque connessa a canoni estetici e a regole strutturali spesso non funzionali alle necessità contingenti della composizione ma all'esigenza di mettere alla prova attitudini, abilità tecniche, doti comportamentali dell'artista che ad esse doveva soggiacere. Inconsapevolmente tali norme divenivano uno strumento di verifica dell'idoneità della sua fitness e si comportavano come un handicap, secondo la stessa logica di chi deve dimostrare la proprie alte potenzialità biologiche imponendosi di correre una gara di cento metri con una mano legata dietro la schiena!
Prima la rivoluzione industriale ma soprattutto, in seguito, quella tecnologica hanno reso possibile la produzione di tantissimi oggetti sovrabbondanti di preziosità estetiche, vanificando gli sforzi di chi si era impegnato ad esprimere il proprio valore attraverso un'attitudine artistica capace di creare tali preziosità. La macchina fotografica è un esempio indicativo di come sia oggi possibile riprodurre e manipolare perfettamente una figura umana, sminuendo il ruolo di chi era prima in grado di farlo con maestria tecnica ricorrendo soltanto all'uso di tela e pennelli. La pittura e molte altre espressioni artistiche hanno così avuto la possibilità di esprimersi al di fuori di rigidi canoni estetici.
Uno scimpanzé, con vocazioni artistiche, se viene dotato di pastelli e fogli su cui poter disegnare, comincia a riempirli di colori, assortiti spesso con gusto e fantasia; ma questo non sembra che possa comportare per lui un vantaggio riproduttivo, in quanto la capacità di riempire di colori una liscia superficie non suscita particolare interesse nei potenziali partner; ma forse sarebbe interessante verificare ciò sperimentalmente! La mente dell'Homo sapiens ha invece la predisposizione sensoriale a percepire piacevolmente particolari disposizioni di forme e di colori. L'espressionismo, il cubismo, l'astrattismo, l'impressionismo testimoniano della sensibilità degli artisti nel sapere sintonizzarsi con tali sensibilità, al di fuori dei rigidi canoni estetici a cui in precedenza dovevano soggiacere, ma tale cambiamento ha spesso comportato un'estrema povertà economica per chi aveva modo di esprimere nei dipinti il proprio fenotipo esteso senza doverlo necessariamente condividere con quello invadente del committente, non più disposto a finanziare opere per lui a basso ritorno d'immagine.
L'esuberante e irrefrenabile bisogno innato di rendere manifesta la propria fitness non ha in ogni caso cessato di operare per artisti e committenti anche in un'epoca in cui la tecnologia riesce a soddisfare le più complesse esigenze di perfezione estetica. Dal momento che per i meccanismi che sono insiti nella selezione sessuale quel che conta non è tanto l'economicità dei processi quanto il dispiegarsi in essi di una vena dionisiaca, in grado di suscitare sensazioni di piacevolezza, l'artista ha ritrovato nuovi committenti nell'organizzazione sociale che si è andata ricostruendo dopo la rivoluzione tecnologica. Indicativo è il caso del sultano di un emirato arabo che ha affidato a tecnici e artisti, accorsi alla munifica corte, il difficile compito di erigere in mare, di fronte alle sue reclamizzate spiagge, una ragnatela di piccole isole dalle forme bizzarre, alcune riproducenti in miniatura i continenti, altre strani fiori, tutte in ogni caso abbellite da giardini e palazzi. Ancora una volta l'opera d'arte viene dunque da molti intesa come elemento che suscita maraviglia, ammirazione e piacere, punto d'incontro e d'esaltazione della fitness del committente e degli artisti chiamati alla realizzazione dell'opera, in un quadro generale che colpisce per il dispendio di danaro e francamente per il disprezzo verso lo stato di miseria in cui versa gran parte dell'umanità. Probabilmente da tale operazione verrà un ritorno economico per chi ha finanziato il progetto e non si può certo sottovalutare il ruolo che ha l'economia nel pilotare tale processo; tuttavia esso si configura alla stessa guisa delle piramidi per il faraone, opere cioè dispendiose, volte più o meno inconsapevolmente ad esaltare la presunta buona idoneità complessiva del committente e dei suoi artisti.
Una società democratica non può fare a meno che i suoi membri si misurino nelle più disparate espressione della loro fitness; occorre tuttavia che in maniera condivisa sia posto qualche argine all'ostentazione dissennata del proprio status e della propria celebrazione, se ciò avviene a scapito dell'umiltà, della frugalità e di una maggiore considerazione degli altri.
Oggi i quadri del Principe, esposti nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti, sono entrati a fare parte del patrimonio culturale dell'umanità; della fitness del committente e degli artisti che hanno realizzato tali opere non è possibile ricostruirne la traccia, dispersa tra i tanti discendenti che forse hanno ereditato qualche vantaggio biologico dalla sensazione di piacere che tali opere hanno suscitato nei potenziali partner del tempo. L'evoluzione culturale custodisce oggi alcuni di questi capolavori e li offre al piacere dei contemporanei, impietosamente indifferenti alle fitness dei loro autori ma fortemente sensibili alla generosa magnificenza da loro profusa in tali opere.
Sul tema affrontato in questo articolo si può fare riferimento ai seguenti suggerimenti di lettura    libri

Torna in biblioteca