45. Bioculture:
La nicchia comportamentale

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Amano ancora stare accovacciati tutti e cinque su una poltrona di casa, davanti al camino, assopiti al tepore della legna che arde, con gli occhi pigramente aperti a fasi alterne, tra tanti sbadigli e molta voglia di tenerezze. Sono quattro gattini balinesi mentre il quinto è un trovatello, orfano di madre, sottratto in extremis alle fauci di un predatore. I quattro balinesi hanno abitudini casalinghe, e seppure incuriositi dalla vista che si mostra oltre la porta di casa, prudentemente non la oltrepassano quasi fosse un confine invalicabile. Tra di loro, pur somigliandosi molto per la colorazione crema dei mantelli, già si individua il più audace e il più timido, il pigro e il lamentoso; il quinto gattino, dalla pelliccia grigia argentata, è meno timoroso e anche un po' spavaldo; saltuariamente si avventura per qualche ora fuori casa ma è molto cauto nel farsi accostare, soprattutto da individui che non conosce. Un'ampia varietà di comportamenti è normalmente presente anche in tanti altri animali della stessa specie, siano domestici o selvatici, dei quali tuttavia si tende spesso a fornire una immagine stereotipata e piena di luoghi comuni, come quelli che vogliono la volpe furba, il lupo cattivo o l'orca assassina. Se si ha modo di osservare per qualche tempo dei primati, ad esempio una famiglia di bertucce, oltre alla distinzione tra maschi e femmine che risulta subito evidente se non altro per le differenti dimensioni dei corpi, si impara a riconoscere i vari soggetti per l'espressione del viso, per un particolare modo di atteggiarsi o di muoversi; ad una più attenta osservazione si riesce anche a caratterizzarli per aspetti come la generosità, la prepotenza o l'ingordigia, e anche per gli atteggiamenti sognatori o malinconici, curiosi o esuberanti; vi sono poi le preferenze alimentari e le propensioni connesse alla scelta del partner, fobie e passioni, un insieme insomma di attitudini e di vocazioni che caratterizzano ogni soggetto.

Pievani                Burt                Cavalli Sforza

In un'ottica di spietato determinismo genetico una così grande diversità di comportamenti dipenderebbe soltanto dai geni posseduti da ciascuno mentre l'ambiente di vita eserciterebbe una semplice funzione di contorno nella loro espressione; in contrapposizione, in un quadro di determinismo ambientale, si può ritenere che il patrimonio genetico plasmi in maniera grezza i vari caratteri che vengono successivamente cesellati dalle singole esperienze di vita. L'idea che l'azione dei geni possa essere scissa, nella loro espressione, dal contesto ambientale in cui operano rimanda, per certi aspetti, ad una antica fantasia che voleva presenti negli spermatozoi copie in miniatura dell'individuo adulto, una sorta di homunculus nel caso dell'uomo, che troverebbero nell'uovo, e quindi nel corpo materno, soltanto le condizioni per accrescersi.
Se ogni soggetto fosse già determinato geneticamente, sarebbero fissati anche i suoi caratteri comportamentali, e la selezione naturale favorirebbe una progressiva ottimizzazione e stabilizzazione dei rapporti gerarchici nella comunità biologica o nel gruppo di appartenenza, soprattutto negli animali ad elevata socialità. D'altronde, attribuire all'ambiente un ruolo totalizzante nelle attitudini e propensioni ridurrebbe fortemente il peso svolto nei vari organismi dalla matrice storica impressa nel loro DNA e spingerebbe a specificare i comportamenti cognitivi, e in particolare la mente dell'uomo e le sue culture, non come un prodotto del cervello ma un'espressione di speculative attività metafisiche.
Una ragionevole mediazione tra tali posizioni ritiene che l'informazione genetica e i condizionamenti ambientali debbano vicendevolmente interagire nella realizzazione dei vari comportamenti, dal momento che senza interazione si avrebbero discutibili contrapposizioni tra un'attitudine biologica che si vorrebbe istintiva e dominata dall'innato e un mondo culturale completamente acquisito. Anche nell'asserzione di interazione permane tuttavia l'idea che il DNA sia un significante indipendente dall'ambiente, nello specifico quello cellulare in cui soggiace, attribuendo ai geni il ruolo di depositari di un'informazione intesa come un progetto costruttivo a cui, in itinere, si allineano le varie componenti ambientali. Ciò contrasta col fatto, ampiamente confermato, che una stessa porzione di DNA può guidare la produzione di differenti prodotti proteici a seconda dell'ambiente cellulare in cui si realizza la trascrizione e la traduzione del messaggio genetico.
Geni e fattori ambientali vanno dunque considerati non tanto nel loro grado d'interazione quanto nella forte compenetrazione che li determina. L'informazione genetica non si realizza tanto nella possibilità di essere trasmessa da una generazione all'altra, quanto nella sua capacità di realizzarsi lungo i cambiamenti morfogenetici connessi allo sviluppo dell'individuo, a partire dalla cellula fecondata. L'insieme di tali eventi si mostra fortemente vincolato, riproponendosi quasi inalterato ad ogni generazione, pur contenendo un elevato grado di contingenze che tuttavia conferiscono un'alta affidabilità a tutto il processo. Per cercare di dare conto di tale apparente contraddizione si immagini un insieme di sfere su un piano; se l'equilibrio di un tale sistema si reggesse rigidamente sulla fissità delle reciproche posizioni spaziali assunte dalle varie sfere, anche un piccolo spostamento di una sola di esse ne metterebbe a rischio la stabilità. Ma se tutte le sfere fossero soggette a piccoli movimenti tali da farle continuamente interagire tra di loro, il sistema nell'insieme sarebbe più resiliente in quanto capace di assorbire in modo equilibrato le piccole variazioni a cui andasse casualmente incontro. Uno dei significati più esplicativi della Natura risiede nella persistenza evolutiva delle potenzialità di sviluppo dei vari aspetti morfogenetici, compresi quindi anche i tratti comportamentali che riflettono la profonda integrazione delle attività dei geni, intesi come ricette e non come progetti, con l'ambiente circostante; tutto il processo è soggetto a trasformazione sotto la spinta di eventi deterministici e di contingenze. Il fatto che una parte dello sviluppo delle attitudini comportamentali di un individuo si realizzi all'interno di ambienti ovattati come l'uovo o il ventre materno, fa sì che esso si mostri vincolato pur mantenendo un alto grado di plasticità. Ciò risulta evidente nella formazione delle complesse reti neurali, soggette a differenti momenti di riorganizzazione guidata da processi selettivi darwiniani che si espletano sia nella fase intrauterina, nel caso dei mammiferi, sia subito dopo la nascita, e che persistono comunque, a più bassa intensità selettiva, per tutta la vita. Nella matrice biologica dei vari caratteri comportamentali si realizza una continua dialettica tra le canalizzazioni dei sistemi di sviluppo che resistono alle variazioni, e le loro alterabilità che riflettono, con la diversa specificità di ricomposizione delle reti neurali, le esperienze acquisite: sulla risultante di tali processi, cioè sul loro fenotipo esteso, la selezione naturale opera discriminando le potenziali modifiche.
Più che essere uno scorrere indifferente dei destini dei viventi, la Natura è dunque continua trasformazione in un estenuante divenire a cui si assoggetta tutta la realtà biologica, compresa anche quella porzione di materia organica che è idonea a produrre le attitudini e le propensioni. La loro matrice biologica che si esplicita nel contesto sociale di appartenenza, al di fuori della loro rappresentazione simbolica nei linguaggi umani, potrebbe trovare maggiore esplicazione all'interno di un concetto di nicchia comportamentale, intesa come un sotto insieme della nicchia ecologica.
Non si tratta dunque di uno spazio fisico entro cui il soggetto manifesta i propri comportamenti, ma di un immaginario volume a molte dimensioni, ciascuna delle quali definisce gli intervalli di intensità dell'espletamento di determinate caratteristiche comportamentali, come la gelosia, l'ingordigia o la generosità. Nello specifico contesto sociale ogni individuo costruirà la propria nicchia prima nei limiti imposti dalla canalizzazione dei processi di sviluppo, all'interno di un ambiente ben ovattato come l'uovo o l'utero, e successivamente dalle influenze esercitate dalle nicchie comportamentali degli altri soggetti con cui interagisce, includendo in tale ambito le cure parentali, la ricerca del partner, le relazioni tra preda e predatore.
Facendo riferimento ai costrutti stereotipati che spesso si hanno di alcuni animali, l'idea che la furbizia sia costitutiva della volpe o la stupidità della gallina non tengono conto della nicchia comportamentale entro cui tali espressioni si esplicano. Non c'è il gene della furbizia né quello della stupidità ma esistono vincoli ontogenetici individuali e contesti ambientali che danno sostanza a una molteplicità di comportamenti nel cui ambito tali espressioni possono dare l'impressione di emergere più degli altri; i caratteri non preesistono nei geni ma si realizzano in modo coevolutivo, in presenza di una plasticità fenotipica individuale e di schemi di comportamento appresi anche per via culturale. Sull'insieme di tutti questi elementi che definiscono la nicchia comportamentale, agiscono i processi selettivi naturali ottimizzando le possibilità di sopravvivenza e di riproduzione degli individui. Ciascun soggetto, soprattutto se partecipe di una organizzazione sociale complessa e flessibile, ha la sua dose di propensione alla furbizia o alla stupidità, avendone una disponibilità variabile in relazione alla sua specifica storia evolutiva, di sviluppo e di cultura.
Ogni individuo è dunque un costruttore delle sue nicchie comportamentali dentro le quali l'informazione genetica si realizza integrandosi in continuità temporale con gli altri fattori. Questo quadro può presentare delle eccezioni. In tutti gli organismi viventi sono presenti alcuni geni, o porzioni di materiale genetico, che possono essere definiti egoisti in quanto portati ad esplicitare le proprie attività in conflitto con quelle degli altri geni, tra loro bene integrate. Essi si affermano manifestando la loro natura egoista in genere a scapito dell'individuo che ne è portatore; ostacolano la trasmissione dei geni omologhi; fanno in modo che la loro replicazione avvenga più spesso di quella degli altri geni presenti nel medesimo organismo, per cui sono implicati nella formazione dei tumori; favoriscono il loro trasferimento nelle cellule riproduttive piuttosto che nelle cellule del soma. Geni egoisti sono anche rappresentati da elementi trasponibili, in grado di trasferirsi non solo in varie porzioni del genoma cellulare ma tra organismi diversi, molto distanti per filogenesi.
In vari animali, compresi i mammiferi, geni egoisti possono contribuire alla formazione di nicchie comportamentali anomale in cui l'individuo manifesta atteggiamenti o attitudini che ne sfavoriscono la sopravvivenza o la possibilità riproduttiva. Tali comportamenti possono riguardare i ruoli sessuali, la cura differenziata della prole, l'incapacità di decifrare alcuni segnali di riconoscimento della propria specie. L'azione dei geni egoisti e delle loro nicchie invadenti è in genere controbilanciata, per effetto della selezione naturale, da altri geni soppressori della loro attività, che permettono lo sviluppo equilibrato degli organismi e delle loro nicchie comportamentali.
In ciascun soggetto, dunque, i vari caratteri si realizzano lungo attività integrate di geni regolatori e processi morfogenetici che bloccano le propensioni dei geni egoisti. Partendo da questa considerazione risulta difficile l'estensione del concetto di nicchia comportamentale oltre il livello individuale, per rapportarlo alla popolazione o anche alla specie. Infatti, già risulta riduttivo attribuire a un singolo esemplare un comportamento che lo identifichi in quanto la selezione naturale tenderà a rendere evolutivamente stabili strategie comportamentali miste; ad esempio, in relazione all'aggressività o alla remissività un soggetto potrebbe assumere la regola di essere prepotente con chi si dimostra più debole di lui e remissivo con chi è più forte.
Una popolazione può essere intesa come un insieme di individui idonei a veicolare flussi continui di materiale genetico, ma mentre a livello del singolo l'esigenza di trasmettere l'informazione genetica alla generazione successiva favorisce la costruzione integrata della propria nicchia comportamentale, i conflitti egoistici che inevitabilmente si verificano tra i membri di una popolazione, in relazione alla sopravvivenza e alla riproduzione, rendono impossibile la costruzione di un'unica nicchia che contenga tutti i comportamenti espressi dai vari soggetti.
Parlare quindi di una qualità comportamentale a livello di un intero gruppo o specie è fuorviante; spesso si tratta di simbolismi linguistici che tendono a dare una descrizione grottescamente deformata delle nicchie comportamentali facendo variare arbitrariamente alcune delle loro dimensioni. Così, l'etichetta di pericoloso che è stata assegnata a molti mammiferi e rettili, anche attraverso atti legislativi, è in ambito ecologico fuorviante e sbagliata. Essa infatti non fa riferimento a singoli individui ma a generi, famiglie e addirittura ad interi ordini tassonomici; per esempio, si dice che tutti i canguri, da quelli di poche decine di centimetri a quelli che superano i due metri di altezza, sono pericolosi, mentre sarebbe più corretto specificare che alcuni maschi adulti, appartenenti alle specie dei canguri giganti, nel periodo degli accoppiamenti assumono comportamenti che possono risultare pericolosi per chi li avvicina. Forse la normativa sugli animali pericolosi è stata sollecitata con discutibile arguzia da chi desiderava scoraggiare la detenzione in cattività di animali non domestici, a difesa delle loro popolazioni naturali, ma assegnandogli l'etichetta di animali pericolosi si è finito per rendere meno esecrabile la caccia, soprattutto alle loro pelli, se rettili, o alle loro pellicce, se mammiferi. In maniera analoga di altri animali come cinghiali, volpi, faine, donnole si è detto che hanno caratteri nocivi, quindi possono essere utilmente eliminati, come se si trattasse di errori biologici sfuggiti alla selezione naturale. I polli in genere godono di una fama di stupidità quasi a giustificare le batterie intensive che di loro si fanno per la produzione di uova; tali pratiche tolgono ad ogni soggetto persino la capacità reggersi sulle zampe. Capita così di stupirsi se in un parco o in natura si osserva come tali uccelli, per sfuggire ai predatori, sanno raggiungere, volando, i loro dormitori, tra il fogliame alto degli alberi. La tendenza ad appiattire le nicchie comportamentali dei singoli soggetti è presente anche nei confronti delle popolazioni umane, per cui con leggerezza si definisce un certo popolo avaro, un altro superbo, stupido o coraggioso. È stato documentato che la distanza genetica media fra due individui qualsiasi è di solito più grande della distanza genetica media tra due popolazioni distinte di esseri umani: ciò spinge a ritenere che anche la variazione tra nicchie comportamentali di individui appartenenti alla stessa etnia possa essere maggiore di quella presente nella media delle espressioni caratteriali di altre etnie: chi esalta tali differenze in genere fa riferimento ad estrapolazioni riduttive che tendono a creare dei falsi stereotipi di alcuni caratteri. Tutto ciò non ha alcuna base a livello della loro matrice biologica.

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