10. Contributi: Una nuova Bretton Woods
Gianni Camarda *.

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Dopo la prima guerra mondiale, fu adottato un sistema monetario internazionale denominato Gold Exchange Standard, secondo cui le riserve valutarie di ciascun Paese potevano essere costituite non solo da oro – ormai divenuto insufficiente in relazione al volume del commercio internazionale – ma anche da alcune valute generalmente accettate nei pagamenti internazionali, in ispecie sterline e dollari.

Gli sconvolgimenti prodotti dalla crisi del 1929 prima e dalla seconda guerra mondiale poi determinarono l'esigenza di mettere ordine nel sistema, il che avvenne con gli accordi di Bretton Woods del 1944. In quella sede – i lavori durarono dal 1o al 22 luglio – l'inglese Keynes propose di istituire una sorta di Banca Centrale Internazionale dotata di ampi ed autonomi poteri in tema di erogazione del credito ai vari Paesi partecipanti, di controllo e disciplina dei movimenti internazionali di capitali, di emissione di una moneta di conto internazionale, il Bancor, il cui valore sarebbe stato correlato a quello dell'oro, da utilizzare come valuta di riserva e di regolamento nell'ambito di un sistema di compensazione internazionale delle posizioni debitorie/creditorie dei Paesi stessi. Il che avrebbe comportato una considerevole dotazione iniziale di fondi che non tutti erano in grado o avevano intenzione di fornire.

Il risultato, frutto di un compromesso con le posizioni espresse dall'americano White, portò invece alla creazione di un sistema che sanciva l'egemonia del dollaro e prevedeva l'istituzione di due importanti organizzazioni:

Il tutto nel quadro di un sistema di parità fisse delle monete dei Paesi partecipanti con riferimento al dollaro, a sua volta convertibile in oro nella misura di 35 dollari l'oncia. Quanto alla lira, il rapporto era di 625 lire per dollaro.

Le oscillazioni delle diverse monete rispetto alla parità dichiarata erano consentite entro margini ristrettissimi. In caso di insanabili situazioni di squilibrio, le eventuali misure correttive erano subordinate al preventivo assenso del Fondo, alle cui decisioni il Paese era impegnato ad attenersi in base alle norme statutarie a suo tempo sottoscritte.

Lo sviluppo del commercio internazionale, ma soprattutto l'intensificarsi dei movimenti internazionali di capitali, resero necessario integrare le disponibilità del Fondo, per cui nel 1969 furono creati i Diritti Speciali di Prelievo. Si trattava un nuovo strumento di liquidità costituito da unità di conto, il cui valore era correlato all'oro, rappresentato da aperture di credito di entità rapportata alle quote di partecipazione di ciascun Paese, da incrementare con assegnazioni annuali, e fruttifere di interesse. Un tardivo, parziale omaggio alle proposte di Keynes; tali strumenti, peraltro, non hanno mai assunto un ruolo significativo essenzialmente a causa dei persistenti disavanzi della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti e della conseguente abbondanza di dollari nei mercati internazionali; quindi, sia le transazioni commerciali sia i movimenti internazionali di capitali continuarono ad essere regolati in dollari, la cui sovrabbondanza, alla lunga, rese impossibile il mantenimento della convertibilità in oro.

Allo squilibrio dei conti con l'estero, negli Stati Uniti, dovuto anche alle spese militari (Vietnam), si aggiunse una difficile situazione economica interna per cui l'amministrazione Nixon, il 15 agosto 1971, annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro, pur mantenendo il riferimento all'oro per la determinazione del suo valore. Nel dicembre 1971 il rapporto dollaro/oro fu aumentato da 35 a 38 dollari l'oncia; nel 1973 si rese necessaria un'altra svalutazione del 10%. Anche il rapporto di cambio con le altre valute fu modificato, e ne conseguì un progressivo ampliamento dei margini di oscillazione di tutti i tassi di cambio.

Lo statuto del Fondo Monetario aveva subìto nel frattempo numerosi adattamenti per renderlo sempre più idoneo a fronteggiare i crescenti squilibri delle bilance dei pagamenti dei diversi Paesi, peraltro con risultati di modesto rilievo. Il 1° aprile 1978, con il cosiddetto secondo emendamento allo statuto del Fondo, si abolì definitivamente il riferimento all'oro come base delle parità monetarie e quindi anche dei Diritti Speciali di Prelievo, il valore dei quali venne stabilito sulla base di un "paniere" di valute (inizialmente 16 poi solo 5) la cui composizione e la rispettiva ponderazione saranno poi oggetto di periodiche revisioni.

Ne conseguì la libera fluttuazione dei tassi di cambio, temperata soltanto da un generico impegno a cooperare con il Fondo, al quale furono attribuiti "poteri di sorveglianza" per il mantenimento di condizioni sufficientemente ordinate nei mercati valutari internazionali.

Alla vigilia dell'attuale crisi finanziaria, la situazione si presentava nei seguenti termini: il dollaro continuava ad essere la principale valuta internazionale di riserva e regolamento, l'euro andava acquistando tale funzione ma in misura e in un ambito comparativamente assai più circoscritto, altre valute di Paesi in forte espansione (in primis lo Yuan) pur destando qualche interesse, avevano un ruolo ancor più limitato. Constatato perciò che costituire le riserve e regolare le transazioni prevalentemente con la valuta di un singolo Paese vincola di fatto tutte le economie alle vicende del medesimo, ne è conseguito il ripensamento in atto della struttura del sistema valutario globale. Il 25 settembre 2008 il Presidente francese Sarkozy ha perentoriamente rappresentato la necessità di "una seconda Bretton Woods"; gli ha fatto eco il 13 ottobre successivo il Primo ministro Brown; più concretamente il Governatore della Banca Centrale Cinese ha espresso la necessità di studiare un nuovo sistema globale di riserve monetarie. Se i risultati sono quelli emersi in occasione del G20 del 2 aprile scorso, si rileva però che le soluzioni adombrate consistono in modesti adattamenti dello strumentario esistente senza significativi salti di qualità.

All'epoca degli accordi di Bretton Woods, gli Stati Uniti ebbero facile gioco nell'imporre di fatto la supremazia della loro moneta e delle loro impostazioni; oggi non sembra esserci un'economia e una moneta in grado di far prevalere la propria egemonia. Nel frattempo, data la situazione, i singoli Paesi, attenti alle sensibilità immediate dei propri cittadini e ai rispettivi vincoli di bilancio, si adoperano per fronteggiare gli effetti locali della crisi con specifici autonomi interventi e provvedimenti.

A fronte di problemi di dimensione globale occorrono invece organismi e strumenti in grado di fornire risposte globali, con poteri e competenze che necessariamente limitino la sovranità in fatto di politica economica dei singoli Stati, ma soprattutto riescano a tenere sotto controllo i movimenti internazionali di capitali. La Banca Centrale Europea, pur nel suo circoscritto ambito e con i problemi derivanti dal diverso grado di sviluppo delle economie coinvolte, costituisce un valido esempio.

Il problema, a livello mondiale, è ovviamente assai più complesso; la virulenza dell'attuale crisi potrebbe esercitare la necessaria pressione per far accettare alla comunità internazionale scelte costose in termini sia finanziari che di autonomia delle singole politiche monetarie. Nel 1944 tale fattore era costituito dalle disastrose conseguenze del secondo conflitto mondiale . C'è da augurarsi che questa volta gli effetti della crisi siano meno catastrofici e le decisioni che verranno prese – se verranno prese – siano meno unilaterali.

28 aprile 2009

* L'autore, già Condirettore Centrale della Banca d'Italia, ha svolto la sua attività professionale nei comparti dell'organizzazione interna e dei rapporti finanziari con la tesoreria statale.

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