6. Contributi: Giocatori o giocati?
di Sergio Ascoli*

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È di qualche tempo fa la notizia dell'arresto, in una città di provincia, di un uomo che era riuscito a truffare centinaia di persone, garantendo loro, in cambio di alcuni milioni di euro, un metodo "sicuro" per vincere al lotto. Il metodo consisteva in una sequenza "ragionata" di puntate, destinata - così garantiva il truffatore - ad una vincita sicura.
Penso che la vera protagonista di questa vicenda, come di altre simili, sia non tanto la furbizia dell'uomo (che svolgeva egregiamente il suo mestiere di truffatore), quanto l'ingenuità dei truffati, alcuni dei quali andati su tutte le furie alla notizia dell'arresto. La loro ira era però rivolta non contro il truffatore, bensì contro il magistrato, che, ordinando l'arresto dell'uomo, aveva interrotto la sequenza delle giocate e provocato così, a loro giudizio, il fallimento del metodo!
È scoraggiante constatare ancora oggi il primato dell'irrazionalità in molti dei nostri comportamenti, anche nelle piccole vicende quotidiane. False credenze e luoghi comuni, privi di qualsiasi fondamento, resistono immutabili nel tempo, in ciò favoriti anche dall'ignoranza e dalla superficialità dei mezzi di informazione (salvo poche lodevoli eccezioni). Le iniziative intraprese da alcune coraggiose associazioni (tra le altre, CICAP e UAAR) rappresentano una goccia nel mare di ignoranza e di superstizione che ci circonda.
Come esempio di irrazionalità diffusa, vorrei citare il gioco del lotto, perché, data la sua enorme popolarità, rappresenta un terreno quanto mai fertile per maghi e imbonitori di ogni tipo Ma, soprattutto, rappresenta un'inesauribile fonte di guadagno per uno Stato, che, indossate le vesti del biscazziere, deruba - è proprio il caso di dire - i più sprovveduti, proponendo scommesse in cui il vantaggio (abbastanza consistente, come si vedrà in seguito) è tutto dalla parte del banco.
Penso sia opportuno cercare anzitutto di sfatare alcuni dei più diffusi luoghi comuni, di cui sono spesso vittime proprio i giocatori più incalliti.
C'è una commedia di un autore napoletano nella quale, ad un certo punto, il protagonista racconta di avere giocato al lotto la cinquina 1,2,3,4,5. Stupore degli altri personaggi, che si chiedono come si possa ragionevolmente puntare su una simile combinazione di numeri!
È evidente che, per bocca dei suoi personaggi, l'autore della commedia è vittima di un luogo comune, che l'induce a ritenere che la cinquina giocata dal protagonista della commedia sia, per la sua caratteristica sequenza di numeri, meno probabile di qualunque altra generica sequenza. In realtà, se consideriamo una cinquina qualsiasi, ad esempio la cinquina 15,18,31,43,86 (che non presenta caratteristiche particolari evidenti), non c'è nessuna ragione per pensare che il numero 1 non abbia la stessa probabilità di venire estratto del numero 15, il numero 2 la stessa probabilità del numero 18, e così via. Non c'è quindi alcuna ragione per pensare che le due cinquine non abbiano le stesse probabilità di venire estratte. Ciò che induce in errore l'autore della commedia è il fatto che, nella storia del lotto, l'estrazione di combinazioni così caratteristiche come quella giocata dal protagonista della commedia è, effettivamente, un evento raro. Ma ciò dipende semplicemente dal fatto che tali combinazioni (sequenze di numeri consecutivi) sono, appunto, rare rispetto a tutte le altre (appena 86 su 43.949.268, cioè circa 1 su 500.000). La probabilità di estrarre una cinquina con una sequenza di quel tipo è, cioè, la stessa che si ha di estrarre da un'urna, contenente 1 pallina bianca e 500.000 palline nere, proprio la pallina bianca.
Ma il più diffuso tra i luoghi comuni è forse quello che presuppone l'esistenza di metodi "matematici" per giochi, come il lotto o la roulette, nei quali il verificarsi di un evento dipende unicamente dal caso. Si tratta di un falso presupposto che trae quasi sempre origine da una malintesa interpretazione della "legge del caso" o "legge dei grandi numeri". In maniera un po' grossolana, ma – spero - comprensibile, questa legge può essere enunciata così: quanto maggiore è il numero della prove, tanto più la frequenza di un evento "dovrebbe" avvicinarsi alla probabilità di quell'evento. Il condizionale virgolettato sta ad indicare che non c'è la certezza che ciò accada, ma solo un'elevata probabilità, tanto maggiore quanto maggiore è il numero delle prove.
Consideriamo, come esempio, ancora il gioco del lotto, È evidente che la probabilità che un numero prefissato esca su una determinata ruota è di 5/90 (5 i numeri estratti, 90 i numeri possibili), cioè una su diciotto. In base alla legge del caso quel numero "dovrebbe" uscire, in media, una volta ogni 18 estrazioni. Si potrebbe dunque pensare che, se un numero non viene estratto da tempo su una determinata ruota (per esempio, da 100 estrazioni), "dovrebbe", da quel momento in poi, essere estratto, su quella ruota, con una frequenza superiore alla media, per compensare così le precedenti mancate estrazioni. Si tratta, come detto, di una malintesa interpretazione della legge del caso, di una forma – direi - di animismo, tipica delle culture primordiali, perché presuppone che il caso, proprio come un essere umano, conservi memoria del passato. Il fatto è che la legge del caso è una legge probabilistica, non ha il rigore tipico di un teorema dell'algebra o della geometria. Per rimanere all'esempio precedente, il fatto stesso che un numero non sia uscito per 100 estrazioni già mostra come, almeno in questo caso, la legge dei grandi numeri sia stata tutt'altro che rispettata. In realtà, c'è solo da prendere atto che un evento pur poco probabile (la mancata uscita di un numero per 100 estrazioni) si è verificato, ma ciò non ha alcuna influenza sulle future estrazioni. Quel numero, insomma, continua ad avere la stessa probabilità di essere estratto - una su diciotto - come qualsiasi altro numero. Occorre convincersi che, quando un numero "in ritardo" viene estratto, ciò non dipende, neppure in minima parte, dal ritardo accumulato, ma semplicemente dal caso, esattamente come qualsiasi altro numero. Quando si dice che "un numero prima o poi deve uscire", si fa un'affermazione vera, perché la probabilità che un numero non venga mai estratto è nulla, ma ciò vale, e nella stessa misura, tanto per un numero che non viene estratto da anni come per un numero estratto nell'ultima settimana.
Purtroppo la maggior parte degli amanti del lotto rimane ostinatamente sedotta dalla "teoria dei ritardi". Prova ne è il gran numero di pubblicazioni, "specializzate" e non, che tengono i loro lettori informati sui numeri, o sulle combinazioni di numeri, in ritardo sulle varie ruote. Sulle stesse pubblicazioni sedicenti esperti elargiscono a piene mani consigli ai lettori sui numeri da giocare, traendo poi motivo di compiacimento ogni volta che una delle loro "previsioni" s'avvera. Ma si tratta ovviamente di un fatto del tutto casuale, perché non è affatto improbabile che, fra tanti numeri "previsti", almeno qualcuno venga estratto (dovrebbero essere citati anche quelli che non vengono estratti, ma ci si guarda bene dal farlo).
Un comportamento razionale richiede, quanto meno, una valutazione della convenienza, o del rischio, della scommessa che s'intende fare. Molti, purtroppo, non hanno alcuna nozione del concetto di probabilità, mentre chi propone la scommessa (in genere, un banco che lo fa per lucro) le leggi del calcolo della probabilità le conosce bene ed è in grado così di offrire scommesse che, in varia misura, lo favoriscono comunque ai danni dello scommettitore.
Vediamo alcuni esempi. Nel gioco del lotto la puntata su un solo numero (la cosiddetta ambata) ha, come abbiamo visto, una probabilità su diciotto e dovrebbe essere quindi pagata, per l'equità del gioco, diciotto volte la posta, mentre, in realtà, viene pagata solo 11,24 volte (tasse a parte). Il banco (cioè lo Stato, in questo caso) paga quindi solo il 62% di quanto dovrebbe se il gioco fosse equo. Questa percentuale non varia per l'ambo (pagato 250 anziché 400,5), ma si riduce al 38% per il terno (pagato 4500 anziché 11748), al 23% per la quaterna (pagata 120000 anziché 511038) e, addirittura, a poco più del 14% per la cinquina (pagata 6.000.000, anziché 43.949.268).
Ritengo, di fronte a questi numeri, che il tributo pagato dai giocatori del lotto (tributo che assicura allo Stato, ogni anno, alcuni miliardi di euro) possa essere definito, a buon diritto, una tassa sull'ignoranza (“una tassa a carico degli imbecilli", così la definiva brutalmente il matematico de Finetti)
Cosa si può fare per impedire un prelievo così esoso dalle tasche degli italiani? Tentare di convincere i giocatori ad impiegare in modo più produttivo i loro soldi penso sarebbe inutile: chi coltiva un'illusione difficilmente vi rinunzia, specie se quell'illusione ha il profumo del denaro. Difficile anche pensare che lo Stato, per ragioni etiche, rinunzi al suo ruolo di biscazziere e al gettito che ne deriva; del resto, se lo facesse, provocherebbe la reazione degli stessi giocatori del lotto, che si sentirebbero come derubati di un loro diritto.
Mi limito così solo ad una raccomandazione rivolta ai giocatori. Si convincano che non esistono sistemi per vincere al lotto: si può vincere solo con l'aiuto della fortuna, così come si vince alla lotteria. Se proprio non si sa resistere alla voglia di scommettere, il mio consiglio è allora quello di giocare al lotto con lo stesso spirito con cui si acquista un biglietto della lotteria: con l'idea, cioè, che in quel modo si acquista, quanto meno, la speranza di una vincita milionaria in cambio di pochi euro. C'è solo da augurarsi che, per i più bisognosi, questa speranza si realizzi.

* Sergio Ascoli è ricercatore dell'Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

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