10 Cultura & Società
Marguerite Yourcenar
Memorie di Adriano
articolo di Giovanna Corchia

Yourcenar    Marguerite Yourcenar
Memorie di Adriano
Seguite da taccuino di appunti
Einaudi
Anno 2005
350 Pagine
           Animula vagula, blandula
Hospes comesque corporis
Quae nunc adibis in loca
Pallidula, rigida, nudula
Nec, ut soles, dabis iocos
Piccola anima smarrita e soave,
Compagna e ospite del corpo,
Ora ti appresti a scendere in luoghi
Incolori, ardui e spogli
Ove non avrai più gli svaghi consueti

Il libro Memorie di Adriano di M.Yourcenar si compone di sei parti:

Animula vagula blandula

Come in apertura, così in chiusura Adriano si rivolge alla propria anima perché non si distragga, come è solita fare, ora che sta per entrare nell'ignoto inospitale, freddo.
Inizia così la lunga lettera testamento dell'imperatore Adriano sessantenne, malato di idropisia del cuore, all'ancora fanciullo, sedici anni appena, Marco Aurelio, perché faccia tesoro delle sue riflessioni sulla vita, sull'arduo compito di reggere l'impero, senza nascondere le umane fragilità, che sono state anche le sue.
Le parole, le frasi, il detto e il sottinteso di questa lunga lettera sono un insegnamento prezioso anche per noi, lettori-spettatori di Memorie di Adriano.
"Caro Marco - scrive Adriano - è difficile restare imperatore in presenza di un medico. Il corpo, questo fedele compagno, questo amico sicuro, non è che un mostro subdolo che finirà per divorare il padrone".
Adriano è consapevole dell'impossibilità di superare i limiti prescritti, senza abbandonarsi alla paura, assurda quanto la speranza. La morte è già vicina e certe parti della sua vita somigliano sempre più "a sale vuote di un palazzo troppo vasto, che un proprietario impoverito rinuncia ad occupare per intero".
Ecco le rinunce ai piaceri giovanili: la caccia, la simbiosi con il proprio cavallo, il nuoto e la fusione con l'onda, il gusto del pane più che dei cibi raffinati, senza però ostentazione di ascetismo; la voluttà dell'amore, forma di iniziazione, punto d'incontro tra il segreto, l'insondabile, il sacro, apertura all'altro. E ancora la rinuncia al sonno, tuffo nell'oceano in cui tutto cambia, colori e ritmo stesso del respiro.
La lettera, iniziata per annunciare che la fine del viaggio si è trasformata in qualcosa di più ampio: raccontare la vita al fine di definirla meglio, giudicarsi, forse, conoscersi meglio, prima di morire. Impresa difficile perché non si dispone di strumenti certi.
Nel cammino della conoscenza-valutazione dell'esistenza umana Adriano enumera tre approcci: la conoscenza di sé, il metodo più difficile ma anche il più proficuo; l'osservazione degli uomini, anch'esso metodo parziale, perché si sa che, in genere, ci si nasconde agli altri o si finge di essere ciò che non si è; la lettura, con tutte le parzialità che i libri contengono.
Adriano è stato un grande lettore. Aggiunge che i libri gli hanno insegnato molto sugli uomini, sui loro pensieri, emozioni, come l'immobilità delle statue gli ha insegnato ad apprezzare i gesti degli uomini, la vita che vi è racchiusa. A volte la vita gli ha chiarito quanto di oscuro si celava in un libro.
Adriano ha amato in particolare la poesia, anche se il mondo che vi è rappresentato è leggero come una bolla di sapone...
È utile l'osservazione dell'altro, ma, spesso, l'altro è, per ognuno di noi, uno sconosciuto, vi è una distanza enorme, infatti, tra l'uomo vestito e l'uomo nudo.
Quanto alla conoscenza di sé, Adriano dice di ignorare tanto dell'individuo vicino al quale sarà costretto a vivere sino alla fine dei suoi giorni. Come conoscersi? Come penetrare nel paese oscuro che è il nostro io profondo? Tutto è confuso, vi è un sovrapporsi tra oggetto della conoscenza, se stesso, e conoscitore, sempre se stesso. Inoltre si tende sempre a giustificarsi, umana debolezza. Si possono prendere le distanze per osservarsi meglio, come suggerirà Machiavelli ne Il Principe; così però tutto appare cristallizzato, freddo, impossibile da cogliere. In questa sua riflessione sulla conoscenza di sé, Adriano affronta il suo rapporto con il tempo, la sua relatività, ed è qui che esprime il suo grande amore per la cultura greca: un giorno ad Atene ha avuto per lui un'importanza ben maggiore, forse, dei quindici anni passati nell'esercito.

Varius Multiplex Multiformis

Con questi tre epiteti varius, multiplex, multiformis, Adriano apre una finestra sulla sua lunga formazione al mestiere dell'imperatore, sulla difficoltà di conoscersi nella propria complessità.
Nella sua educazione ha contato molto la presenza del nonno, Marullinus, che credeva negli astri ed era l'incarnazione della saggezza, del rigore dei costumi alla maniera di Catone. Presenta poi il padre,uomo integerrimo, la madre, rimasta presto vedova, ritratto in cui la dolcezza era sempre venata di malinconia.
La tradizione vuole che un imperatore sia nato a Roma, Adriano è invece nato a Italica, in Spagna, che tante tracce gli ha lasciato.
Ricorda la scuola di Terenzio Scauro, maestro di vita a Roma, che tanto lo ha aiutato nell'affrontare le vicissitudini della vita.
La lettura dei poeti è stata sconvolgente per il giovane Adriano, più deliziosa, forse, della stessa scoperta dell'amore.
Lo studio del greco gli ha aperto l'accesso a tanti mondi di sorprendente ricchezza. Afferma: "Tutto ciò che ciascuno di noi può tentare per nuocere ai suoi simili o per servirli è stato fatto, una sola volta almeno, da un Greco".
Lo studio del diritto gli è servito per introdurre in seguito importanti riforme nel governo della cosa pubblica.
Aver frequentato degli attori ha contribuito all'apprendimento dell'arte di porsi agli altri e, soprattutto, di una corretta dizione della lingua latina che tanto risentiva, prima, del suo accento spagnolo. Il contatto con gli eserciti è stato una lezione di vita molto utile: non è certo facile imparare a comandare e, soprattutto, a servire. Adriano consegna qui una pillola di saggezza: è importante saper trarre il positivo da ogni vicissitudine della vita, sapersi inoltre accettare.
"Gli uomini, – aggiunge - so benissimo i loro limiti che sono anche i miei, però non posso disprezzarli, altrimenti che diritto avrei a governarli? Nei loro confronti non posso perciò pormi con la freddezza del filosofo né con l'arroganza del Cesare: in ognuno c'è qualcosa di buono, nascosto forse nel profondo".
Si dice poi felice di non aver soggiornato a lungo a Roma: avrebbe corso troppi rischi d'inasprimento del carattere, di corruzione, di logoramento.
Dai barbari ha appreso la passione per i cavalli, le campagne militari gli hanno dato la possibilità di ammirare la bellezza della Natura: il Danubio, immensa strada di ghiaccio, rosso poi blu nel freddo dell'inverno.
Si sofferma poi a parlare dell'avvento di Traiano, che definisce imperatore-soldato e non soldato-imperatore.
Nelle numerose azioni militari parla delle tante prove di coraggio dimostrate, che definisce, in realtà, prove di cinismo ed anche senso del dovere. Ha acquisito col tempo maggiore sicurezza di sé perdendo la paura di non piacere agli altri.
In questo periodo si celebra il suo matrimonio con Sabina, nipote di Traiano, grazie ai buoni auspici di Plotina, moglie dell'imperatore. La malattia di quest'ultimo e l' ammirazione per il coraggio che ha dimostrato nelle numerose campagne condotte contribuiscono alla sua nomina a successore.
"In quel tempo ero molteplice per calcolo - aggiunge - la situazione lo richiedeva". Esprime a questo punto una riflessione sulle guerre, dicendosi non così ingenuo da ritenere che dipende solo da noi evitarle, ma schierandosi solo per quelle di difesa. A ciò aggiunge la denuncia di tutte le atrocità, il bisogno di cercare la pace al fine di diffondere il bello, la cultura greca.
Alla morte di Traiano Adriano gli succede, Plotina è la sua grande alleata.

Tellus stabilita

Se l'odio, la stupidità, il delirio hanno effetti duraturi, non dovrebbe avvenire la stessa cosa per la lucidità, la giustizia e la benevolenza? Adriano è comunque consapevole che non si può evitare il ricorso alla forza, per assicurare stabilità a Roma. Riflette sul crimine che chiama il crimine, e si chiede se le sue virtù non siano che maschere. Afferma la volontà di essere clemente, scrupoloso, giusto. Mette alla base del suo potere la ricerca dell'equilibrio, il rispetto dell'altro. Rifiuta i titoli, anche quello di padre della patria, non per modestia, né per orgoglio, ma per calcolo: desiderio di godere di un reale prestigio personale.
Vede ostacoli in ogni tentativo di migliorare la condizione umana, gli uomini forse non lo meritano, ne sono indegni. Cerca, comunque, di essere tollerante, perché gli uomini meritano la pietà, essendo sottoposti a ben gravi pene, mali veri: la morte, la vecchiaia, le malattie inguaribili, l'amore non condiviso, l'amicizia respinta o tradita, la mediocrità di una vita meno vasta di quanto la immaginiamo nei nostri progetti, più opaca di come ci appare nei sogni.
Riflette anche sulla schiavitù. Dubita che si possa eliminare, però cerca delle misure che riducano la sottomissione dell'uomo all'altro uomo. Perciò ha proibito che si obbligasse un uomo a svolgere mestieri disonorevoli, pericolosi, che lo si vendesse ai tenutari di case di prostituzione o alle scuole di gladiatori. Ha così sostituito gli schiavi, là dove era possibile, con coloni liberi.
Nelle scelte matrimoniali ha vietato che si imponesse alle donne un marito non di loro gradimento attraverso la promulgazione di leggi a difesa degli anelli deboli della società. Ha inoltre ridotto le imposizioni tributarie e l'acquisizione di terre rimaste incolte per un periodo di cinque anni. Ha istituito scuole per preparare degni funzionari pubblici, promosso opere che assicurassero una collaborazione con la Terra, al fine di lasciare una buona traccia della presenza dell'uomo sul paesaggio: costruzione di ponti, porti, biblioteche che chiama "granai pubblici contro un inverno dello spirito che mi pare si annunci". Esalta l'arte, nella grande varietà delle sue modulazioni, nel suo legame con l'umano, manifestando una predilezione per la scultura.
Tellus stabilita o il genio della Terra pacificata e il desiderio di estendere a tutti la pace romana e l'ideale di Sparta: forza o rigore alla base della bellezza, fermezza per assicurare la giustizia, giustizia intesa come equilibrio delle parti; le Muse o ricerca dell'armonia, filosofia o esaltazione del pensiero, danza o spazio da accordare alla leggerezza.
In questo periodo incomincia a sentirsi dio: forza, agilità fisica e mentale. Ma essere dio impone il possesso di un maggior numero di virtù dell'essere imperatore. Prova una grande ammirazione per la volta celeste, manifesta la propria ignoranza del mistero della morte, è pervaso da un sentimento d'immortalità.

Sæculum aureum

È il momento in cui Adriano incontra l'espressione più alta della bellezza: il giovane, fanciullo quasi, Antinoo in Bitinia, Asia Minore. La presenza una sera in cui si leggono versi di un giovane che si tiene in disparte: sembianze di un pastore nel profondo della foresta, come fosse in ascolto del grido misterioso di un uccello. Da quel momento diviene compagno inseparabile dell'imperatore: bel levriero avido di carezze, presenza silenziosa, palpebre allungate che danno uno sguardo obliquo agli occhi, carnagione che passa dal candore del gelsomino al colore dolce del miele, se accarezzato dal sole. La passione si impossessa di Adriano: con Antinoo si inebria della perfezione delle architetture di Atene e, la sera, si abbandona alla musica, architettura invisibile.
Continuatore del regno rappacificato di Augusto, Adriano accetta infine il titolo di padre della patria. Dà inizio alla costruzione del Panthéon, a imitazione del globo terrestre, della sfera stellare, che racchiude il seme del fuoco eterno.
La morte di Antinoo è annunciata: il giovane ha paura d'invecchiare, Adriano si definisce triste padrone del suo destino.
Ad Alessandria partecipano insieme ad una partita di caccia al leone e qui Antinoo corre il rischio di essere assalito dal bellissimo esemplare da lui ferito a morte, ma è salvato da Adriano. Il giovane ha sempre più paura di perdere la bellezza, dono unico destinato all'imperatore. In preda a questo affanno, vedendo Adriano in compagnia del giovane Lucio, si allontana e si sacrifica... Il corpo viene più tardi sottratto alle acque del fiume.
Inutile qualsiasi tentativo di riscaldare quel corpo freddo, senza vita. Adriano cerca di resistere, di lottare, ma inutilmente, contro un dolore che lo consuma dentro. Per non soccombere al pianto decide di costruire una città che porti il nome del giovinetto, che racchiuda nel suo cuore un tempio a protezione di quel corpo tanto amato, reso integro, restituito alla sua bellezza dagli imbalsamatori.

Disciplina augusta

Adriano procede alla riorganizzazione dei domini imperiali, privilegiando in particolare Atene, città che offre un volto diverso ogni mattino. Ne cura soprattutto la biblioteca, si preoccupa della conservazione dei tesori che vi sono racchiusi: "i libri, fragili oggetti di fibre e d'inchiostro, così utili all'umanità".
Dedica inoltre un'attenzione speciale all'amministrazione dell'Italia, continuano i lavori della costruzione della Villa Adriana, dell'Odeon, biblioteca modello, ospedale dell'anima, come Plotina aveva fatto incidere sulla soglia di un'altra biblioteca. Cerca poi di risolvere i rapporti difficili tra Roma e gli Ebrei.
Ma ecco che il corpo manifesta i primi segni di cedimento alla malattia. Adriano ritorna a Roma e pensa a un successore, la scelta cade su Lucio che è da lui adottato. Del figlio adottivo ammira l'amore per i libri, l'intelligenza rapida e la leggerezza dello spirito. Ritiene che il ragazzo di un tempo si sia trasformato nell'uomo capace di assumersi le proprie responsabilità.
Alla morte della moglie, Serviano, marito della sorella Paolina, avendo perso l'appoggio prezioso di Sabina, cospira per portare alla testa dell'impero il nipote Fusco. Per mettere fine alla cospirazione Adriano ricorre all'eliminazione di Serviano e del nipote. È sì sfiorato dalla pietà per la morte violenta del giovane Fusco, però sembra auto-assolversi in nome di una superiore ragione di Stato. Però la malattia e la morte colpiscono il successore designato, Adriano deve allora pensare ad un nuovo successore e la scelta cade su Antonino, uomo degno e senatore integerrimo, dal quale fa adottare Marco Aurelio, che sarà poi chiamato a succedere al padre adottivo. Del ragazzo ammira la passione per la lettura dei filosofi, la scelta di vita improntata al rigore degli stoici.

Patientia

Di fronte alla malattia Adriano si sente incapace di accettarla e, non avendo il coraggio di procurarsi personalmente la morte, chiede aiuto a Iolla, un giovane medico al suo servizio. Il medico cerca di convincerlo a rinunciare al proprio proposito, ma Adriano non sembra retrocedere, perciò Iolla dichiara la sua obbedienza all'imperatore ma, per non venir meno al giuramento d'Ippocrate, si dà la morte.
Adriano comprende così il valore del sacrificio e il dolore di chi gli vuole bene se manterrà il proposito di darsi la morte, ecco quindi che si riveste di patientia, una parola che fa incidere su una nuova moneta. Capisce infatti che il suicidio sarebbe stato visto dal piccolo gruppo di amici come un segno d'indifferenza, d'ingratitudine, forse nei loro confronti. Ecco perciò la decisione di accettare con pazienza la tortura della malattia. Ho così rinunciato – scrive - a sollecitare la morte. Si sofferma poi sui suoi ultimi interventi umanitari, sulla fede che molti dimostrano alle sue qualità divine, cita l'esempio della vecchia cieca e del lungo viaggio affrontato perché le sfiorasse gli occhi.
La fiducia di cui è oggetto lo ripaga del lungo lavoro per affermare la disciplina augusta; ritiene inoltre che la sua persona acquisti un maggiore prestigio proprio per la sua familiarità con la morte.
Ritorna a evocare Antinoo senza però essere sorpreso dalla constatazione che il culto del giovane sia ancora vivo: "La nostra epoca – aggiunge - ha bisogno di dei".
La patientia di cui si è armato comincia a portare i suoi frutti, la vita ridiventa quasi dolce, l'avvenire del mondo non lo preoccupa più.
Ciò non è dovuto ad una maggiore fiducia nella giustizia degli dei né ad una più grande fede nell'equilibrio dell'uomo. È vero proprio il contrario: la vita è atroce, si sa. Ma non contando molto sull'apporto degli uomini, i periodi di felicità, i progressi parziali, gli sforzi per ricominciare gli sembrano prodigi che ricompensano la massa enorme di disastri, fallimenti, miseria, errori.
"Piccola anima, smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora ti appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più...Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti"...

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