27 Cultura & Società
Vergine giurata
articolo di Giovanna Corchia

Dones Vergine giurata
Elvira Dones
Anno 2007
204 pagine

E di nuovo, immensa
sconfinata, ricomincerà
la vita, senza occhi, senza parole,
senza pensiero
.

Nazim Hikmet
Il raggio è riempito di miele

Vergine giurata di Elvira Dones, scrittrice di origine albanese, è un libro essenziale nella scrittura, insolito nel contenuto, bello nella descrizione dei personaggi, tutti privi di egoismo, capaci di aiutarsi, senza mai nascondere le loro fragilità e paure.
L'Albania e l'America: due mondi. Il primo, un mondo da conoscere perché, se non si posseggono le chiavi per entrarci, lo si banalizza, lo si imbarbarisce, lo si schiaccia sotto i tanti pregiudizi che ci affliggono. Il secondo, un mondo vasto, in cui è possibile rinascere alla speranza se, oltre alle proprie risorse, si è sostenuti da persone capaci di amare.
Al centro della narrazione Hana Doda, una ragazza come le altre, con i suoi desideri, le sue passioni, il suo amore incondizionato per la poesia, per un poeta, tra tutti, Nazim Hikmet, per i libri. Una ragazza anche molto diversa dalle altre, per la sua capacità di sacrificare tutto, persino la sua identità, e di diventare uomo, con il nome di Mark, per essere vicina agli zii ammalati, svolgere il ruolo, vietato ad una donna, di capofamiglia. Questa scelta comporta una rinuncia incondizionata alla sua vera identità, a ogni desiderio di ricevere la carezza di una mano di uomo. Una via di non ritorno secondo le ferree regole del Kanun, codice non scritto, in vigore nei villaggi tra i monti nel Nord dell'Albania, le Montagne Maledette. Lassù una ragazza non può trovare soluzioni ai problemi dell'esistenza con la libertà di movimento riconosciuta agli uomini. A una ragazza è severamente vietato farsi dare un passaggio da un camionista per andare in città e prendere le medicine che attenuino il dolore di uno zio molto amato, un padre per lei...
Hana ha diciannove anni, è al suo primo anno di Università a Tirana: ama profondamente gli studi, la conoscenza dell'inglese che le permette di immergersi nei versi di Emily Dickens, ha una passione per la poesia, scrive versi, anche se, a un certo punto della sua vita, scopre che la sua prosa è molto più bella...
A tutto questo, a soli diciannove anni, Hana rinuncia, anche se in un angolo molto nascosto, celato agli altri, nonostante i capelli cortissimi, le grosse bevute di alcol, le tante sigarette fumate, conserva gelosamente una parte preziosa di sé, la sua femminilità.
Prima della sua drastica scelta, Gjergj, lo zio, vorrebbe che lei continuasse i suoi studi ma anche, sentendosi vicino alla fine, vorrebbe trovarle un marito per assicurarle un futuro senza scosse, come è naturale per chi è nata donna. Hana rifiuta di abbandonare lo zio, di accettare il marito da lui scelto, come vuole la tradizione: il suo compito è curarlo, tenergli con amore la mano, accompagnarlo alla morte, dolcemente.
La rinuncia che le si impone, l'obbligo di vestire una nuova identità, diventare per tutti Mark, non è indolore: nasce dall'amore incondizionato per la zia Katrina, che per prima muore, lasciando per lei, incompiuto, un bel gilet bianco lavorato all'uncinetto, per lo zio Gjergj, spesso in preda a dolori lancinanti. Hana ama molto il mare e deve viverne lontana, tra quelle montagne che per lei, che le abbraccia con lo sguardo, cogliendone la bellezza, sono mansuete, non maledette.
Con naturalezza, Hana si prende cura degli animali della kulla dei Doda, compie i gesti antichi del bucato con la cenere, proprio come mia nonna e mia madre facevano nella mia lontana infanzia in Puglia.
Hana deve, e non è facile, allontanare da sé il ricordo dello studente di francese per il quale provava un'attrazione spontanea; cerca anche di controllare la spinta verso il giovane medico che cura lo zio, il suo bisogno di "appoggiare la testa sul suo petto per sentire l'effetto che fa l'odore di un uomo vicino".
Impossibile restare donna e fare ciò che mai, alle donne, è permesso, stando al codice non scritto in vigore in quella parte del mondo, così vicina geograficamente eppure così lontana, incomprensibile – anche se c'è da chiedersi se anche da noi, in alcune parti del paese, non vigessero regole altrettanto discriminanti nei confronti delle donne.
Per il Kanun, "Solo un uomo può essere capofamiglia. Può essere libero di andare dove vuole, di comandare, di comprare terra, di difendersi, di attaccare se necessario, di ammazzare e farsi ammazzare. All'uomo sono concesse la libertà e la gloria, oltre al dovere. Alla donna non resta che l'obbedienza. E lei con l'obbedienza aveva qualche problema, tutto qua".
Così diventa Mark, lo zio le allunga il fucile..., lo zio è fiero, orgoglioso della sua scelta. E Hana si ripete, quasi a convincersi della necessità di quel passo, "Non correre non far rumore non pensare. Nessuna fretta. Non più. C'è tutto il tempo di questo mondo, nessuno ti aspetta, non devi più preoccuparti della morbidezza dei tuoi capelli..."
Lo zio muore, Hana lo ha accompagnato, dolcemente, alla morte. Dopo continua a vivere tra quei monti, per quattordici lunghi anni dal giorno del cambiamento, come ha scritto nel suo diario – grande consolazione, per lei, la scrittura.
Un giorno Hana riceve una lettera, non è la prima. A scriverle è una cugina, Lila, molto amata; le chiede di raggiungerla in America, dove lei è emigrata da tempo: la sua famiglia è pronta ad accoglierla. In quella lettera Lila le parla della figlia Jonida, di Shtjefën, il marito, "il suo porto la sua casa il suo tetto".
È l'amore che regna in quella casa, l'intesa profonda tra Lila e il marito che smuovono in Hana il bisogno di amare che lei, vergine giurata, ha dovuto sacrificare. Si agita in lei anche il bisogno di una famiglia, dell'affetto di un uomo, ma non può liberarlo, deve ancora celarlo al mondo, a quel mondo.
Poi, dopo l'incontro con Blerta, una sua grande amica dei tempi lontani dell'università, Hana è ancora di più in crisi nei panni di Mark.
Arriva così improvvisa la decisione di operare un primo taglio con il suo presente senza futuro, non più accolto con determinazione, per ritrovare un passato di donna sacrificato. Ed è la partenza per l'America, l'incontro con un compagno di viaggio che sembra annunciare qualcosa di nuovo.
Hana è ancora Mark.
Questa partenza, proprio perché è l'inizio del ritrovamento di un'identità, la propria, sacrificata per amore, apre il libro: il filo di Arianna della storia sarà recuperato attraverso frequenti flash- back. C'è un pensiero non detto che sconcerta il lettore subito in questa prima pagina: "Non scrivi buone poesie con la vulva secca." Il lettore è disorientato dall'ambiguità del personaggio: una donna, Hana, alla quale il vicino si rivolge con queste parole: "E così, signor Doda, lei è un poeta..." All'arrivo, prima di salutarsi, Patrick O'Connor, è il nome del passeggero, le lascia il suo numero di telefono, se mai dovesse aver bisogno di un consiglio nel nuovo mondo in cui sta per entrare, così lontano dal suo.
In America ha inizio un lungo percorso: il cammino di Hana per recuperare la sua vera identità, spogliandosi, lentamente e con sofferenza, dell'identità che ha indossato per quattordici lunghi anni. Non avrebbe mai potuto intraprendere tale percorso se non fosse partita, se non avesse abbandonato la solitudine delle montagne, se non avesse avuto strumenti di conoscenza che i libri, l'amore per i libri le avevano fornito, se la sua diversità di donna incapace di accettare sino in fondo un ruolo che la tradizione le aveva assegnato non l'avesse sorretta...
Con passi incerti s'incammina verso la riscoperta del suo corpo di donna, il naturale bisogno di una carezza di uomo. Compie questo passaggio in piena autonomia, aprendosi agli altri, svolgendo un lavoro, dopo una prima esperienza, in una libreria: i libri, il suo mondo.
Dopo lunghe esitazioni telefona al compagno di viaggio, Patrick O'Connor. È il suo diario che permetterà di rinsaldare il ponte che, forse, sin dal loro primo incontro, era stato gettato.
Leggendo e rileggendo quelle pagine Patrick è entrato nella storia così speciale di Hana anche se, confessa, non ha colto la vera ragione di quel suo gesto, così estremo.
Eccolo svelato:
"Lei lo guarda dritto negli occhi e gli risponde pacata, senza temere di suonare enfatica. Il suo gesto ha dato onore a Gjergj Doda, l'ha fatto vivere un paio di mesi in più. Se l'avesse concessa in sposa, Gjergj sarebbe morto triste, avrebbe saputo di aver fatto qualcosa che Hana odiava. E se lei avesse disobbedito, Gjergj Doda avrebbe perso la faccia di fronte ai monti. Con Hana fattasi uomo, Gjergj era morto pieno di sconfinato orgoglio."
L'incontro con Patrick è per Hana come una dolce, delicata, premurosa educazione sentimentale.

E di nuovo, immensa
sconfinata, ricomincerà
la vita, senza occhi, senza parole,
senza pensiero
.

"È bello sapere di non dover morire", proprio come recitano i versi di Nazim Hikmet, così si chiude il libro, una chiave di accesso a un mondo poco conosciuto, un ponte per aprirsi agli altri, così lontani eppure così vicini a noi, un aiuto per sconfiggere facili, scontati pregiudizi e, soprattutto, un grande piacere per il lettore. Attenzione, non qualsiasi lettore, ma il buon lettore capace di scavare nelle parole, di coglierne il significato nascosto.

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