38 Cultura & Società
Col corpo capisco
articolo di Giovanna Corchia

Grossman Col corpo capisco
David Grossman
Mondadori
Anno 2009
Pagine 308

Il libro Col corpo capisco di David Grossman è formato da due racconti lunghi: Follia e Col corpo capisco. Perché l'autore ha scelto il secondo titolo per racchiudere i due racconti? Perché ha assegnato poi il secondo posto al racconto con quel titolo? Si potrebbe forse immaginare che da qualsiasi follia si possa uscire se i corpi sono in armonia l'uno con l'altro e in armonia con se stessi, se il linguaggio del corpo diventa persino più espressivo, più lenitivo di qualsiasi parola.
Vi è un crescendo di emozioni nei due racconti e il secondo è un lungo percorso verso la guarigione, verso il ritrovato equilibrio di un rapporto madre – figlia che ci fa sentire bene, riscaldati, anche se consapevoli di un prossimo distacco: la morte della madre.
È un lungo dialogo, a volte indiretto, attraverso la lettura delle pagine di un racconto che la figlia ha scritto e legge ora alla madre. A volte diretto, quando la lettura s'interrompe, perché le emozioni prendono il sopravvento.
Le parole scambiate sono, inizialmente, smozzicate: Nili, la madre, è un corpo sofferente, "il suo viso gonfio si muove a fatica sul cuscino", Rotem, la figlia, è al suo capezzale. È là per leggerle il suo racconto, mantenere una promessa prima della cerimonia degli addii.

Una soccorritrice di uccellini feriti o un uccellino ferito?

La lettura è appena iniziata ed ecco una prima interruzione: Nili descrive Rotem come una di quei matti che si affannano a salvare gli uccellini che si feriscono andando a sbattere contro i trasparenti grattacieli di New York. Rotem, lei, si sente piuttosto un uccello ferito... Non è il racconto al centro della narrazione, dell'attenzione, ma i pensieri inespressi, difficili da leggere sul volto della madre, nella sua agonia. Il loro è un lungo tentativo per riemergere da un passato d'incomprensione, di incapacità di tendersi la mano, di fame di orfana, una fame che, spesso, ha attanagliato le viscere di Rotem. Una madre che la figlia ha sentito, spesso, assente, proprio quando la sua presenza era indispensabile.
Spesso Rotem si è sentita una turista smarrita ed è proprio questo il titolo di un suo primo libro inviato alla madre. Lo ha letto? Nili confessa: "Ho provato a leggerlo, Rotem, persino un paio di volte. Però non l'ho capito. [...] Ho avuto l'impressione che tu non volessi che io capissi. Poi si corregge: che tu volessi che io non capissi."
Sembra quasi impossibile che madre e figlia riescano a recuperare, in così breve tempo, quanto di protezione reciproca, di autodifesa si è sedimentato nei recessi più nascosti del loro io, imprigionandolo.
Eppure, in questo difficile dialogo, la vecchia madre vuole trovare le parole per dirlo e quello che vuole dire a Rotem, la turista smarrita, è che, forse, non è riuscita, nel corso degli anni ormai alle spalle, a raccoglierla, a medicarla, quando andava a sbattere contro la sua impenetrabilità, sì proprio la sua, quella di una madre simile a quei grattacieli di New York, per restituirle infine la libertà del volo.

Il racconto nel racconto

Il racconto che Rotem legge alla madre è la storia di un orfano di affetto, un ragazzo che dice di chiamarsi Kobi e che, solo in fondo, rivelerà il suo nome, Zahy, e la ragione di quel suo primo nome: Kobi.
Kobi è l'amico, il solo che, nel collegio disumanizzato in cui Zahy, l'orfano di affetto, è stato segregato, sia entrato in comunicazione profonda con lui.
Ma, forse perché si è spesso incapaci di capire l'altro, ci mancano strumenti efficaci di traduzione del linguaggio del corpo – il solo che ci svela, che mette a nudo chi siamo, che ci apre all'altro – . Kobi è stato allontanato da Zahy, con il pretesto che l'uno aveva un'influenza negativa sull'altro. È il padre di Kobi-Zahy che si presenta un giorno nella palestra di uno spersonalizzato albergo dove Nili – sì, la protagonista del racconto conserva proprio il nome della madre – è maestra di yoga. L'uomo le chiede brutalmente di fare del figlio un uomo. La richiesta offende Nili, ma, poi, si lascia commuovere da un dettaglio che l'uomo confessa del figlio: il ragazzo è orfano di madre sin dalla nascita, "è solo. Non lega con nessuno! Non parla, può stare una settimana senza parlare!" Accetta così di aiutare quel turista smarrito, quell'isola senza alcun legame con la terra ferma.
Rotem legge, contratta, e un silenzio abissale le avvolge, un profondo, inarrestabile fremito nelle mani che stringono quei fogli. La figlia parla alla madre con quella storia: anche Kobi è un uccello ferito, la Nili del racconto scoprirà che il quadrante dell'orologio del ragazzo, girato verso l'interno del polso nasconde una ferita recente...
Una nuova interruzione della lettura: un sorriso della madre che le chiede di sistemarle il cuscino. Nel chinarsi Rotem sente il forte odore del corpo materno, un corpo stremato, in disfacimento. La madre la rassicura, sottolineando che è sempre così alla fine. Rotem pensa che nessuno può saperlo meglio di lei, Nili, che "ha accompagnato così tanti uomini e donne nel loro cammino finale. Ha insegnato loro ad accomiatarsi, a separarsi dalla vita senza rabbia né rancore. Era orgogliosa che quello fosse il suo grande talento, la sua arte". È una bella sottolineatura della capacità di lenire il dolore della madre, anche se Rotem, la figlia, avrebbe voluto tanto essere la destinataria di quel talento della madre...

L'apprendimento del linguaggio del corpo

Inizia il racconto di un lungo, lento percorso di educazione di Kobi, il ragazzo solo, un percorso di rottura del silenzio, di apprendimento – assorbimento del linguaggio dello yoga che è linguaggio del corpo, il linguaggio dell'armonia. Le prime resistenze del ragazzo cominciano a cadere, la sua espressione cambia, "come se qualcuno avesse acceso in lui una lampada impolverata". Bellissima l'immagine della lampada impolverata, inutile offuscarla con giri di parole: è un inizio di apertura, di speranza, di scoperta dell'armonia.

La fame degli orfani

In una nuova interruzione della lettura, la madre, per prima, rammenta alla figlia l'espressione da lei usata per il ragazzo: la fame degli orfani. Poi i suoi occhi la frugano dentro, quasi ad implorarla di svelare, rivelare come possa lei conoscere così bene quella fame. Per alleggerire la sensazione di colpa che schiaccia la madre, Rotem dice che la forza espressiva di quella sensazione nasce dal fatto che può succedere a chiunque di sentirsi orfano, persino di se stesso. Vuole allontanare dalla madre il peso di una colpa, non vuole che si senta responsabile, come è stato in passato, di quella fame, di quella mancanza di affetto per lei, la figlia.
Il racconto continua a piccoli passi verso una comunicazione dei corpi, senza più veli di polvere che ne attenuino la forza, e i passi diventano via via più sicuri. Di tanto in tanto avvertiamo, nelle sue riflessioni, quanto Rotem abbia sofferto per quel legame speciale tra Kobi e la madre e quanto lei avrebbe voluto essere quel ragazzo.
Rotem ricorda i momenti più bui del suo passato, una sua chiusura alla vita che sembrava senza uscita, il suo corpo da lei stessa rifiutato, il suo corpo malato. Poi arriva a dirsi che è forse lei che sbaglia, che ha sbagliato tutto con Nili. Le loro mani si sfiorano, timidamente, quasi trattenute dalla paura di manifestare sentimenti nuovi che iniziano a riemergere dal profondo.
Ora Nili ride sommessa e cerchi di calore si propagano in lei, Rotem. Segue una breve riflessione sulla morte, Nili è felice che Walter, il compagno della sua vecchiaia, "l'orfano diplomato", il cui vuoto di affetto è stato finalmente colmato dalla sua vicinanza, ha promesso di tenerla in casa sino all'ultimo.
Bello morire dove tutto ci è familiare... Ma queste parole della madre: "Almeno morirò in una bella scenografia" portano Rotem a pronunciare, "con una voce da bambina di tre anni" : "Morirai?"
Rotem si apre alla consapevolezza, dopo la lenta riemersione dal vuoto di affetto, che sta per ridiventare nuovamente orfana, percepiamo così la forza di quel "Morirai?"
Come Kobi, anche lei è stata all'inferno e ne sta tornando, sembra abbia trovato la strada, non più una turista smarrita.
Nili, la madre, nota l'ammaccatura nel suo sorriso; segue un gesto semplice ma che fa tanto bene: la condivisione di una sigaretta, un passo ulteriore verso la comprensione, proprio così: con il corpo si capiscono.

Storie e canzoni lontane

La madre ricorda Rotem appena nata, così piccola da dover essere protetta da un'incubatrice e così importante, essenziale, da farle sentire il bisogno di restare giorno e notte vicino a lei a raccontarle storie, tutte le storie che conosceva, a cantarle canzoni... Tutti pensavano che fosse matta. Persino dei massaggi le faceva, anche se tutto doveva essere sterile in quella stanza..."Le sue mani, è il pensiero della figlia, si sono sempre tese verso chiunque manifestasse dolore. Per massaggiare, consolare".

Gli isolotti gibbosi

Il racconto continua con un lungo elenco di ricordi simili a isolotti gibbosi: le liti, le incomprensioni, le paure dell'abbandono, un incolmabile senso di vuoto. La madre la ringrazia per non aver taciuto, per aver tirato fuori ciò che ha, a lungo, tenuto dentro. Ha trovato le parole per dirlo, la scrittura l'ha aiutata a colmare il vuoto che la separava dalla madre, una madre ritrovata.
Ed ora è come se qualcuno le afferrasse con forza la nuca e spiccasse il volo con lei: la leggerezza del corpo, l'armonia di tutte le sue parti è stata infine ritrovata.

"Dille di aver cura di te. Diglielo da parte mia"

Rotem lascia cadere l'ultimo foglio di quel racconto. Nili sente per la prima volta, senza luoghi comuni, senza pregiudizi, di condividere pienamente le scelte della figlia: negli anni bui Rotem ha trovato una grande amica, una compagna capace di capirla, di ascoltarla, di consigliarla, Melany, e, ora che lei sta per partire, solo Melany potrà aiutarla ad accettare la separazione definitiva. Ed ecco il messaggio per Melany: "Dille di aver cura di te. Diglielo da parte mia".
"Mi tende una mano e io le avvicino il volto. Mi passa un dito sulla fronte. Sugli occhi, sul naso. Sulla bocca". E quel contatto continua con le poche forze che le sono rimaste.
Le sue parole: "Sono così felice, sussurra, che finalmente abbiamo parlato."

Una breve riflessione

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Commovente l'incontro tra madre e figlia. Ammirevole la forza della madre nell'accogliere i ricordi amari della figlia, di cui è stata lei l'involontaria causa, quasi per un suo difetto di crescita, un'incapacità di svolgere il ruolo di madre.
Straordinaria la sensibilità della figlia: non è stato facile mettere a nudo le sue numerose ferite, per raggiungere, infine, una piena armonia con se stessa e con la madre. Non sente più i morsi della fame dell'orfana. Non è più una turista smarrita.
Ringrazio David Grossman che ha rinunciato a sé per essere, profondamente, Nili e Rotem, il padre di Kobi –Zahy e Kobi –Zahy, per essere diventato con Nili un maestro di yoga, per aver messo a nudo il linguaggio del corpo:

Ho tolto la maschera a una parola
E muti
L'uno di fronte all'altra
Siamo rimasti

Anche il suo linguaggio è senza maschere e saperlo cogliere lascia muti...

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