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Le ultime novità in campo internazionale sulla responsabilità sociale

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Il lavoro all’Iso (International Standard Organization) sulle linee guida e la Risoluzione del Parlamento europeo del marzo 2007 caratterizzano il dibattito internazionale sulla responsabilità sociale di questi ultimi mesi. All’interno dell’Iso prosegue la discussione per arrivare a delle linee guida, valide in tutto il mondo, sulla responsabilità sociale. "Dopo le norme sulla salute e sicurezza, meglio note come Iso 9000 - affermano nel quartiere generale dell’organizzazione a Ginevra - e quelle per la difesa dell’ambiente, chiamate Iso 14000, abbiamo deciso di impegnarci anche sul tema della responsabilità sociale".

Dal 2005, l’Iso ha così costituito un gruppo di lavoro a livello mondiale che ha il compito di redigere queste linee guida, che saranno conosciute sotto il nome di Iso 26000. Al gruppo di lavoro partecipano non solo i funzionari dell’organizzazione, ma – e questa è un’importante novità – anche i rappresentanti di sei "parti interessate" (stakeholder): sindacati, associazioni imprenditoriali, governo, consumatori, organizzazioni non governative (Ong) e ricercatori. Vi è anche la presenza di rappresentanti di agenzie e istituti delle Nazioni Unite, come l’Organizzazione internazionale del lavoro, nonché dell’Ituc-Csi (il nuovo sindacato mondiale), delle Ong e delle associazioni imprenditoriali e dei consumatori internazionali.

La data prevista per il loro varo definitivo è la fine del 2009. A sentire i responsabili del gruppo di lavoro Iso sulla Rsi è tutto molto semplice: "Queste linee guida" - affermano Jorge Cajazeira e Catarina Munck, rispettivamente presidente e vice presidente del gruppo per conto dell’Iso - "potranno essere utilizzate da un vasto numero di organizzazioni (non solo dalle imprese, quindi) su base volontaria e integreranno in modo innovativo i principi, gli standard e le linee guida che già esistono a livello mondiale. è importante sottolineare che non sono intese per una certificazione". In realtà, il percorso per arrivare a Iso 26000 è tutt’altro che facile. Tanto per cominciare, il rapporto fra l’Iso e i rappresentanti del sindacato, coordinati da Dwight Justice dell’Ituc-Csi, è stato molto difficile fin dall’inizio. Alle tante associazioni imprenditoriali provenienti da tutto il mondo non corrispondono, infatti, altrettanti rappresentanti dei lavoratori, che pure sono la "parte più interessata" alle iniziative di responsabilità sociale. Il problema di una rappresentanza poco equilibrata delle parti interessate rischia così di pesare come un macigno nelle riunioni future del gruppo Iso.

Ma non mancano altri elementi di preoccupazione. Esiste, infatti, il rischio che le linee guida Iso nel campo della responsabilità sociale possano servire a ridimensionare il ruolo di primo piano che nel campo dei diritti gioca l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), l’organismo tripartito delle Nazioni Unite dove siedono rappresentanti delle imprese, dei sindacati e dei governi. L’Oil, grazie alle sue convenzioni internazionali, è sempre stato un punto di riferimento per ogni iniziativa globale nel campo sociale e dei diritti del lavoro in particolare. Per evitare che questo accada, dopo forti insistenze da parte del sindacato, l’Iso ha poi firmato con l’Oil un memorandum di intenti, che prevede una presenza qualificata dei suoi rappresentanti all’interno del gruppo.

Un terzo problema è quello del rapporto fra l’Iso e le parti interessate. è l’organizzazione, infatti, a decidere sulle linee guida, mentre le parti sociali e gli altri stakeholder hanno solo un ruolo consultivo. Quest’impostazione, però, è debole, se si pensa che in assenza di consenso fra tutte le parti interessate non è possibile arrivare a un testo definitivo. La carenza di potere effettivo degli stakeholder apparirà ancora più evidente nelle fasi successive del lavoro, perché le regole Iso dicono chiaramente che man mano che ci si avvicina all’approvazione definitiva di Iso 26000 assumeranno sempre più potere le delegazioni nazionali. Per questo motivo, i sindacati da qualche tempo chiedono un ruolo più forte degli stakeholder nel gruppo di lavoro, che non sia meramente consultivo.

Al momento, sono stati decisi i diversi capitoli nei quali si dividerà Iso 26000. I più importanti sono sei. Il primo riguarda gli scopi e definirà il campo di azione e i limiti dell’applicabilità delle linee guida. Al secondo capitolo spetta di elencare i riferimenti normativi, vale a dire gli standard e le norme internazionali esistenti. Nel terzo capitolo si parlerà dei termini e della definizione di responsabilità sociale. Il quarto attiene al contesto in cui operano tutte le organizzazioni, mentre nel quinto capitolo si troveranno i principi della responsabilità sociale che sono rilevanti per le organizzazioni. L’ultimo, cruciale, analizzerà come le linee guida dell’Iso si applicheranno ai seguenti temi: ambiente; diritti umani; pratiche di lavoro; governance delle organizzazioni; pratiche di commercio equo; coinvolgimento della comunità/sviluppo della società; aspetti legati ai consumatori.

Un punto importante di cui si discuterà a breve, prima della prossima riunione del gruppo, prevista a novembre, riguarderà la definizione di "parte interessata" (stakeholder), che non solo è troppo vaga nelle bozze del documento fatte circolare finora, ma, come mette in evidenza l’Oil nei suoi commenti, dà anche l’impressione che "tutte le parti interessate sono uguali, creando confusione". Su questo, come sugli altri temi, i (pochi) sindacalisti presenti nel gruppo lavoreranno fino al prossimo appuntamento, con l’obiettivo di arrivare a una nuova bozza di Iso 26000 che tenga in considerazione le esigenze del mondo del lavoro.

In Europa, lo scorso 13 marzo 2007 il Parlamento dell’Ue ha approvato una Relazione sulla responsabilità sociale che in sostanza chiede un maggiore impegno delle imprese e della Commissione europea su questo tema. "Le aziende" vi si legge "dovrebbero dedicare maggiore attenzione alla propria responsabilità sociale, integrando nel loro operato, seppure in maniera volontaristica, un’attenzione particolare ad aspetti ambientali e sociali". La Risoluzione invita, inoltre, la Commissione europea a "divulgare le buone prassi risultato di iniziative volontarie" e a considerare "la creazione di una lista di criteri per le imprese da rispettare se attuano iniziative socialmente responsabili". Particolarmente importante è poi la richiesta che i parlamentari europei avanzano di nominare "un mediatore dell’Unione europea per la responsabilità sociale che svolga indagini indipendenti su questioni relative, su richiesta di imprese o di qualsiasi gruppo di soggetti interessati".

Per la Confederazione europea dei sindacati (Ces), il documento del Parlamento europeo ha finalmente fatto rientrare nei giusti binari il dibattito sulla responsabilità sociale in Europa, mettendo l’accento su concetti come l’importanza delle parti interessate, l’assunzione di responsabilità e la trasparenza, che erano stati messi in ombra nelle discussioni svoltesi durante il Forum europeo multistakeholder, organizzato dalla Commissione Ue alla fine dell’anno scorso. "Ora invitiamo la Commissione europea" afferma Walter Cerfeda, segretario confederale della Ces che si occupa della materia "a operare in accordo con quanto è stato approvato dal Parlamento europeo. La Commissione Ue deve essere il motore di una nuova collaborazione con le parti sociali nell’ambito del Forum multistakeholder". Ed è proprio sulla necessità di un rinnovato impegno della Commissione europea sul tema della responsabilità sociale che la Ces sta insistendo da mesi. Da qualche tempo, infatti, la Direzione generale Imprese della Commissione Ue ha deciso di delegare, di fatto, alle aziende ogni iniziativa su questo soggetto, rinunciando a definire dei criteri su scala comunitaria che identifichino le iniziative socialmente responsabili. In particolare, la Ces chiede che la Commissione europea si occupi anche dei problemi riguardanti la subfornitura, spingendo per una tracciabilità dei beni e dei servizi lungo tutto l’arco del processo produttivo. Inoltre, "la responsabilità sociale" dichiara la Ces "non può essere credibile senza un sistema trasparente e aperto di social reporting. L’Europa può diventare un polo di eccellenza facendo dei criteri di responsabilità sociale una condizione per accedere alle aste pubbliche e costituendo un organismo multilaterale con l’obiettivo di diffondere le informazioni e la conoscenza sulle priorità riguardanti la responsabilità sociale. Questo tema, infine, non può essere credibile, rispetto alla proliferazione di agenzie di certificazione e di strumenti simili, senza un sistema efficace di assunzione delle responsabilità".

* Questo articolo è comparso sul n. 29 del 2007 di Rassegna Sindacale.

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