L'era dei rifiuti
Emiliano Ventura

Volgiti e guarda il mondo come è divenuto/
Poni mente a che cosa questo tempo ti richiede

Mario Luzi Nel magma

Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo.

Dante Alighieri, La Divina commedia, Inferno III

Un rifiuto è un oggetto che non serve, è divenuto inutile avendo svolto la sua funzione, è una cosa eliminabile. Ma la parola si presta a diverse interpretazioni, da un significato quasi banale e quotidiano può assumere importanti valenze.
Tra queste se ne vogliono esplicitare due: il Rifiuto che può assumere la funzione di una negazione; i Rifiutati che sono le persone considerate inutili, pericolose, povere. Il campo semantico della parola è ampio e si presta all'attualità, siamo entrati nell'era del rifiuto.
Nella sua storia universale Erodoto elenca le cinque epoche che si sono succedute:
Età dell'oro, dell'argento, del bronzo degli eroi e del ferro. Lo storico greco scriveva circa venticinque secoli fa, in quella che lui stesso aveva definito età del ferro. Molti secoli dopo Carlyle terrà a Londra una serie di conferenze intitolate: Degli eroi, del culto degli eroi e dell'eroico nella storia; lo scrittore inglese dice che gli uomini hanno sempre riconosciuto di eroi come esseri umani superiori.
La sensazione è che ancora oggi si continui a celebrare gli eroi con una stanca e desueta retorica. Abbiamo mai superato la nostalgia per quell'era eroica che vedeva le gesta di Ulisse e Achille?
L'Italia è piena di monumenti agli eroi della patria, ai soldati, ai combattenti e ai resistenti. Precisiamo: chi scrive è vicino a chi muore per un'ideale, o per la patria, non si muove nessuna critica a chi si sacrifica. Ciò che si vuole evidenziare è, semmai, un nuovo concetto di eroismo. Un modo diverso di essere eroi in relazione al gesto, all'azione compiuta. Si vuole sollevare dubbi sul concetto stesso di eroe, porlo in relazione al rifiuto.
Andando a Firenze e passando per il Caffè Le giubbe rosse si può ammirare il detto "Beato il popolo che non ha bisogno di eroi". Sembra invece che non si riesca a liberarsi di questa vecchia categoria. Suscita ancora fascino il portatore dell'aretè, del valore che trionfa contro il male; un Alessandro Magno che realizza se stesso grazie al proprio gesto, al proprio coraggio. L'atto eroico dovrebbe essere nella negazione dell'atto, nel rifiuto, la libertà consiste proprio nel dire di no a ciò che è sbagliato, ovvio, usuale, irrispettoso.
Chi rifiuta di agire contro qualcuno è nemico dell'indifferenza, si apre alla possibilità per la relazione fondamentale io-tu, non del noi-voi, per l'accettazione dell'altro e della sua diversità.
Istaurando questo tipo di relazione io-tu si superano vecchie categorie come amico-nemico, oriente-occidente, nord-sud. Esiste l'altro con tutta la sua diversità e unicità che io mi predispongo a conoscere. Rifiutando l'indifferenza ci si predispone a capire meglio l'altro. Alcuni esempi di gran rifiuto.
Nel 2003 27 piloti disobbedienti israeliani si sono rifiutati di bombardare i territori palestinesi pieni di popolazione civile. Ecco come una non-azione diviene movimento empatico, un avvicinarsi all'altro che non viene più visto come un nemico. Non credo che vedremo mai un monumento alla loro memoria, al massimo li attende un processo.
Goethe venne criticato perché rifiutò di partecipare alla guerra contro la Francia; rispose che non poteva combattere contro una nazione la cui cultura era stata così importante per la sua formazione.
Durante la prima guerra mondiale, il 24 Dicembre del 1914, sul fronte delle fiandre le truppe tedesche e gli alleati improvvisarono una tregua non ufficiale di tre giorni. Si rifiutarono di continuare a combattere, We not shoot-You not shoot, cartelli come questi erano visibili dalle trincee. Qualcuno cominciò anche a calciare un pallone, ne nacque una partita di calcio inaspettata. Quei tre giorni furono un piccolo miracolo che è rimasto nella storia come "la piccola pace nella grande guerra". Il no è stato più forte della guerra, un non-evento che ha prodotto un piccolo miracolo. L'amico Emanuele Cassani nel suo racconto Addestramento ci rappresenta un rifiuto; un bambino disobbedisce all'istruttore che gli ordina di uccidere un cucciolo di cane.
Il rifiuto stesso è complesso, è difficile scegliere o capire dove fermarsi: c'è bisogno di un'etica che insegni a dire no, un no che sia dettato dalla "legge morale interiore" di cui parlava Kant. Il che non vuol dire abbandonarsi ad ogni forma di anarchia pseudolibertaria, ma mettere al centro il rispetto per l'altro; non usare l'altro come un mezzo per raggiungere un fine. In alcuni casi dire ci ripugna, ci disgusta, ci allontana dal rispetto per la vita (d'altronde anche la rigida disciplina militare insegna che un ordine sbagliato non si esegue). È allora che ci si indigna e si rifiuta, distanziandosi e non assecondando una società che spaccia come unico tipo di successo l'apparizione televisiva e il denaro, accumulato tramite speculazione finanziarie (spesso disoneste). Kipling rifiutò la laurea ad honorem perché accettando si sentiva impossibilitato a criticare il proprio governo.
La vecchia categoria dell'eroismo ha corroso il linguaggio, è il tempo di celebrare il non-eroe, colui che non compie atti coraggiosi, ma che coraggiosamente li rifiuta se violenti o immorali. Nella civiltà millenaria della Cina "il non-agire e la non-azione" è un concetto fondamentale di quella millenaria tradizione del Tao, Fai col non-fare, agisci col non-agire.

È l'era del rifiuto, scorrendo sul significato della parola approdiamo ai rifiutati.
Il rifiuto è un fenomeno della civiltà tecnologico-industriale, della società ricca e opulenta. La possibilità di non produrre rifiuti c'è: negli stati uniti Judith Levine ha raccontato in Io non compro la sua esperienza di un anno di vita senza fare acquisti, esclusi cibo e medicine. L'esempio riscontrabile da molti è nella società agricola che non produce rifiuti ma ricicla quasi tutto.
La civiltà democratica occidentale produce un'enormità di rifiuti, di scorie, di oggetti di scarto, cose inutili. Ma la cosa peggiore è che produce una moltitudine di uomini rifiutati.
I rifiutati sono tutta la grande ondata di poveri del terzo mondo, dei malati, dei disperati, dei condannati a morte, dei torturati, i boat people che premono costantemente alle ricche porte d'occidente. Infiniti serbatoi di questi rifiuti umani sono l'Africa e il sud-est asiatico e indiano, il sudamerica.
L'avidità di guadagno e di produzione ha impedito di vedere con coscienza che cosa si stava realmente facendo. Producendo ricchezza e reificando la natura si rifiutano altre culture, altri uomini. Oggi non sappiamo più come trattare queste "scorie", questi rifiuti. Ci si lava le mani con gli aiuti umanitari, ma questi aiuti sono spesso avariati, andati a male; ancora un rifiuto. È sconvolgente sapere che un anno di finanziamenti minimi per il terzo mondo equivale a quarantotto ore di spesa militare e di realizzazione di armi. La civiltà occidentale basa la sua ricchezza sulla guerra e sulla miseria di due terzi dei suoi stessi simili. Questa visione porta a credere che solo un tipo di civiltà e di governo sia il migliore e l'unico, per questo si sono creati dei nonsense come "guerra preventiva" o "armi intelligenti". Non si è più in grado di riconoscere e accettare la diversità dell'altro. L'etica dei rifiuti deve aiutare a comprendere l'unicità dell'altro. Torna in mente il bel racconto di Melville Benito Cereno, il capitano della nave negriera che finisce per diventare ostaggio degli schiavi stessi. Gli africani nella stiva della nave prendono il comando e tengono in ostaggio il capitano e gli altri membri della truppa. È una metafora che si adatta alla situazione attuale. I rifiutati invadono e prendono il posto dei produttori. Rifiutando la propria ombra, non la si vede perché accecati dal luccichio dell'inutile, questa cresce e prende sostanza e forza, e si rivolterà contro il suo stesso corpo. La sensazione è che i rifiutati esistano per essere la cattiva coscienza, il lato oscuro; sembra che l'occidente abbia assegnato questo ruolo alla cultura islamica. Sembra di vivere ancora una crociata, quando cadrà Gerusalemme o Costantinopoli? Ci sarà un'altra Lepanto? La capacità di riconoscere e accettare l'altro, ci conduce alla conoscenza, la conoscenza al rispetto; così l'altro non è più un oggetto da rifiutare, eliminare o segregare. Tale atteggiamento porta a vedere la persona nella sua ricchezza di esperienza altra, non più una cosa inutile da emarginare o eliminare solo perché diverso, povero o sporco. La conoscenza è nemica del fondamentalismo, del settarismo e delle verità assolute. Quale pensiero distorto, quale morale assurda, ha portato i soldati americani a pisciare in un posto sacro come Najaf, o a posare per una foto con uomini torturati. Cosa ha portato i ribelli integralisti a distruggere le sacre immagini dei Buddha giganti di Bamaiyan in Afghanistan. Ogni cultura umana in quanto diversa dalle altre ha i suoi luoghi sacri; l'etica del rifiuto ci porta a rifiutare di considerare il nostro come l'unico (chi ricorda ancora il discorso del "pagano" Libanio In difesa dei templi, era il 390 d.c.). Una basilica o una montagna hanno la stessa dignità se l'uomo gliela assegna con i propri riti, per accettare e rispettare dobbiamo conoscere. Ecco che conoscendo l'altro ci disgusta accettare di compiere gesti violenti o irrispettosi verso di lui, abbiamo imparato a fare il gran rifiuto. Tamerlano si rifiuta di distruggere la città di Shiraz perché lì c'era un poeta che aveva cantato dell'uomo e di Dio; è un fatto leggendario, forse non reale ma è esemplare come rifiuto e accettazione. Chi scrive non è mai stato in un paese islamico, non ha mai ascoltato dal vivo il canto a spirale del muezzin; quel canto ha influenzato la musica della poesia di Ungaretti che visse l'infanzia ad Alessandria d'Egitto. Anche solo leggendo quelle poesie possiamo ascoltare l'eco di quel canto sacro, d'altronde la poesia può essere definita un canto sacro. La speranza è di poterlo ascoltare in un tempo di pacificazione e di rispetto per l'altro. Il poeta spagnolo Unamuno disse: "Mi duole la Spagna", oggi dovremmo dire "mi duole il mondo". E il mondo duole perché noi non ci rifiutiamo di continuare a distruggerlo distruggendoci; avrei preferenza di no diceva un certo scrivano. Il pianeta è divenuto una terra desolata, un terreno da battaglia infinito, un campo profughi, oggi nell'era dei rifiuti.

A Yunus, il banchiere dei poveri, premio Nobel per la pace, uno che ha detto no al guadagno smisurato, ha cambiato il mondo dell'economia con il sistema del microcredito.

Torna all'indice degli articoli