L'esecutore

L'autore:

Presenteremo un'intervista completa con Mauro Mirci con il racconto "Opera prima", nel prossimo numero di "Neanche gli dei"

Per contattarlo, scrivete a: mauromirci@tiscali.it

 

Il racconto: L'esecutore

So bene che il mio non è un mestiere amato, che non dà nessuna rinomanza sociale, che, addirittura, è additato spesso al pubblico ludibrio e mai una madre (o qualunque essere, tra le innumerevoli razze dell'Universo Noto e Illuminato, corrisponda al ruolo fisiologico e sociale di madre) augurerebbe alla propria prole di esercitarlo. Però è un mestiere indispensabile e qualcuno deve pur impegnarvisi. Diversamente chi eseguirebbe le sentenze che il Consiglio dei Saggi emette? Chi porrebbe in essere le dure parole che il consesso di quei Santi Esseri ordina di trascrivere sui Libri della Giustizia? Chi si assumerebbe l'onere di fungere da braccio esecutore delle Loro Sante Disposizioni?
Per questo, quando ero bambino (ignoti i miei genitori che mi affidarono, fidando nell'anonimato loro garantito dalla Ruota degli Orfani, alle cure della Casa dei Funzionari del Dio Riconosciuto) fui assegnato alla casta degli Intoccabili e, quando raggiunsi l'età in cui è giusto che ognuno inizi a percorrere una propria strada nella vita, fui mandato a frequentare la scuola degli Esecutori di Sentenze, dove iniziai un tirocinio durante il quale imparai quanto le specie senzienti che popolano l'Universo Noto e Illuminato siano diverse tra loro nei costumi, nella cultura, nell'esplicarsi della razionalità e dell'intelligenza, nelle abitudini quotidiane e, soprattutto, nell'anatomia e nelle funzioni vitali.
Imparai quanto ciò che è necessario e vitale per un Abiniano, può essere micidialmente nocivo per un Uber-Uber delle frange esterne, e che i supplizi inflitti ad un Volatore di Iskas sono teneri sollazzi per un Molonchide ragusiano.
Ogni essere vive e soffre non tanto in funzione degli schemi intellettivi della propria razza (ma anche in funzione di essi, intendiamoci!), quanto in ragione della conformazione fisica che il Dio Riconosciuto ha assegnato ad ogni specie.
Mi spiego.
Che senso avrebbe sottoporre alla trapanazione del capo i Sauri di Isnell, i quali ospitano il proprio cervello all'altezza del dorso, o che danno potrebbe mai produrre in un Umano della Terra l'inalare ossigeno, molecola alla base della loro biochimica, mentre il solo contatto con tale gas sarebbe mortale per me, un Tauride di Candia con processi fisiologici che agiscono in funzione della molecola ammoniacale?
A ogni specie la morte opportuna, questo fu il primo insegnamento impartitomi nella scuola degli Esecutori di Sentenze.
Molti (quasi tutti, per la verità), usano il termine di boia quando parlano di me e della mia categoria, ed assumono un'espressione di disprezzo. Ma ciò non causa in me alcuna mortificazione, e nemmeno astio, poiché, per risollevare il mio spirito basta che io percorra i viali cittadini, oppure che faccia il mio ingresso nei luoghi dove la gente usualmente si diverte, o che fissi il mio sguardo su qualcuno durante l'espletamento delle procedure con le quali mi viene assegnato un alloggio negli alberghi delle città in cui sono inviato ad eseguire le sentenze dei Saggi. Allora colgo solo sguardi colmi di timore, percepisco l'ansia di inservienti e dei funzionari, vedo gli atteggiamenti sussiegosi dei personaggi iù altolocati farsi umili e servili nei miei confronti. Respiro l'odore della paura che mi circonda e vivo con orgoglio la mia condizione di intoccabile del Dio Riconosciuto, protetto dal Suo Nome e dal Suo simbolo, difensore della Sua legge, portatore della Sua ira.

***

Ho eseguito tante sentenze che non sarei in grado di dire quante esse siano state, ma ognuna di esse è stata emanata secondo l'antica formula universale, sempre uguale e tuttavia garante dell'infinita diversità esistente nell'Universo Noto e Illuminato: "Sia sottoposto al giusto supplizio sino a che morte non lo colga". Una formula che consente agli esecutori delle sentenze di studiare il condannato e di stabilire quale sia il supplizio opportuno da infliggergli, affinché dopo un adeguato periodo di sofferenza, che gli dia modo di pentirsi degli errori che lo hanno condotto innanzi al carnefice, ogni benché minimo soffio vitale sia spento nel suo corpo e l'anima lo lasci per dirigersi ove il Dio Riconosciuto ha stabilito si diriga.
Nessun mezzo, strumento o tecnica mi è precluso in questa mia attività di continua ricerca, poiché milioni sono le razze che popolano L'Universo Noto e Illuminato, e ogni giorno mi viene affidato un essere dall'aspetto nuovo, di cui spesso ignoro ogni cosa, meno che la sua forma esteriore, così come essa appare ai miei occhi, pure abituati alla varietà più sfrenata.

E ora anche questo essere della cui razza ignoro persino il nome, tanto esso deve essere misconosciuto nell'intero Universo. Dal modo che ha il suo sguardo di vagare ed esplorare le mura delle stanze del supplizio, capisco che è perfettamente vigile e non gli sono stati somministrati sedativi. Tuttavia, non ha sguardi d'odio o di paura, com'è invece abituale nei condannati, giacché, per quanto diverse possano essere le forme di vita dell'Universo, nessuna di esse, neanche la più effimera, accetta mai la morte con rassegnazione e serenità.
Le guardie che i Saggi hanno designato a sua scorta lo spingono innanzi a me, mentre io leggo silenziosamente gli atti dell'istruttoria che ha condotto alla condanna. Da essi risulta che ha commesso reati gravi e non perdonabili, punibili solo "con morte atroce e sommamente dolorosa": bestemmia, abuso ingiurioso del nome del Dio Riconosciuto, sedizione. Segue anche un lungo elenco di reati meno gravi ma, leggo, "tutti votati a carpire la credulità popolare e consentirgli di eccitare ed incitare la massa, acciocché essa potesse perpetrare, sotto la sua guida, i medesimi reati, essi reati finalizzati all'ingiuria del nome del Dio Riconosciuto ed all'agire in Suo Nome arbitrariamente, senza l'intercessione dei Sacri Legati, diffondendo la convinzione, ereticamente falsa, che ad ogni essere sia consentito il colloquio diretto col Dio Riconosciuto, quasi Egli fosse paragonabile ad un padre privo di carattere, cui tocchi, a cagione della propria debolezza, subire le inutili ciance del più piccolo infante. Possa Egli perdonare tale oltraggioso paragone, posto innanzi solo a dimostrazione della blasfemia dottrinale del condannato".
Ciò che ho letto mi basta. Getto un nuovo sguardo sull'essere che le guardie dei Saggi hanno costretto a terra, davanti ai miei piedi. Faccio un cenno ai miei collaboratori ed essi prendono la custodia del prigioniero in vece delle guardie, che mi salutano nei modi protocollari e si affrettano ad andar via, visibilmente a disagio di fronte al quel prigioniero strisciante, che pure devono avere duramente umiliato e colpito durante il percorso che conduceva al mio palazzo. Uno di loro si volta e guarda costernato il corpo per terra, come volesse scusarsi per aver compiuto il proprio dovere. Poi si riprende e corre via, anche se dà più l'idea di fuggire.
Mi avvicino all'essere, cercando di afferrarne appieno la forma esteriore e le possibili funzioni vitali fondamentali. Quasi inconsapevolmente sto già svolgendo il mio lavoro, tentando di comprendere quali siano i punti del suo corpo che dovrò colpire per provocare dolore continuo e, infine, la morte.
Ma lui alza gli occhi verso di me e mi fissa con uno sguardo così intenso e compassionevole che, dopo pochi istanti, capisco quali dovevano essere i sentimenti che albergavano nei cuori delle guardie che l'accompagnavano. Come un ferro rovente maneggiato da un carnefice bravo almeno quanto me, il suo sguardo mi fruga dentro rimestando tutti i ricordi di una vita di supplizi inflitti senza alcun rimorso. Sento che la superbia ha vissuto in me in tutti questi anni in cui ho dispensato dolore perché così mi era stato ordinato, ma anche perché ho amato godere del dolore altrui più d'ogni altro piacere, e ne ho fatto un'arte di cui solo io posso apprezzare i capolavori, nelle segrete del mio palazzo, perché sono opere effimere che durano solo il tempo che la vita impiega a fuggire dal corpo.
Io, ubbidiente esecutore del volere dei Saggi, e quindi di quello del Dio Riconosciuto, mi sento insozzato dal mio stesso operato, annullato da una vita che ho creduto di condurre piamente e che - ora solo me ne rendo conto - è stata votata unicamente alla distruzione ed alla menzogna.
Poi, quasi che egli avesse colto i miei pensieri e la mia disperazione, la sua voce risuona in me, suadente e paterna, in una lingua per me sconosciuta eppure, inesplicabilmente, comprensibile.
«Non affliggerti. Ognuno ha modo di riparare ai propri errori quando ne acquista consapevolezza, come hai fatto tu.»
«Chi sei tu che hai saputo mostrarmi la mia vita solo con la forza di uno sguardo?» gli chiedo.
«Non chiedere a me chi sono, perché io sono colui che sono. Chiediti chi sei tu e cosa puoi fare per essere migliore di ciò che sei.»
«Non so più chi sono... cosa sono. Vorrei solo porre rimedio al male che ti è stato fatto, ridarti la libertà, aiutarti a fuggire...»
«È inutile tormentarti ancora. Tutto ciò che sarà già è scritto e nulla potrai fare... potremo fare... per cambiare ciò che è stabilito da tempo immemore. Tutto ciò è già avvenuto ed ancora avverrà, fino a che sarà scritto che avvenga. Tu sei già cambiato, e altri cambieranno se saprai mostrar loro il tuo esempio. Ma perché esso possa avere la forza necessaria, io dovrò prima compiere la mia missione.»
«E io, come posso aiutarti in ciò?» gli domando, speranzoso che Egli possa offrirmi la via della redenzione e della salvezza. Ma le silenziose parole che Egli dice nella mia mente mi raggelano, anche se capisco non sarebbe potuta esistere altra risposta.
«Fai ciò che devi.» E tace.

Così ho inchiodato il Suo corpo a due grandi assi di legno incrociate, e L'ho esposto sulla cima d'un colle che sorge nei pressi del mio palazzo perché la folla possa vederlo bene, insultarlo, storpiare il Suo nome che ho inciso a fuoco su una tavoletta posta sopra il Suo capo.
Poi mi sono posto ai piedi della croce e l'ho osservato mentre, con occhi privi d'odio, si consumava nel dolore e nella compassione per tutti noi, senza maledire, senza implorare, solo gemendo per le atroci ferite che io Gli ho inferto con tutta la mia sapienza di artigiano della morte, perché solo dall'estremo supplizio può nascere la redenzione.
Ed ho pregato con le parole che Lui mi ha insegnato durante il supplizio. Ho detto "Sia fatta la Tua volontà" e "rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimetteremo ai nostri debitori", e Gli ho chiesto di avere pietà di me, perché sapevo quel che facevo.
Quando sarà finita Lo calerò dalla croce e gli darò degna sepoltura. Quindi inizierà la mia nuova vita, votata a seguire l'esempio del Maestro crocifisso, sia in vita sia in morte, così che la Sua parola sia perpetuata per il mio tramite e per il tramite di coloro che seguiranno il mio esempio.

Tornate all'indice
Tornate in biblioteca