2. Fisica portatile:
L'Universo necessario

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Può capitare di pensare, guardando un cielo stellato, all'immensità dello spazio che ci circonda. Quanto è grande l'universo? La risposta la possiamo trovare ormai in tanti articoli divulgativi: il raggio convenzionale dell'universo visibile (detto raggio di Hubble) si estende per circa 14 miliardi di anni luce. E all'incirca 14 miliardi di anni è il tempo trascorso dalla nascita dell'universo attuale, dal Big Bang.
Un numero molto grande, questo. In natura esistono anche numeri enormemente piccoli: se scendiamo dentro l'atomo, il raggio dell'elettrone è di 3 miliardesimi di micron (il micron è a sua volta un millesimo di millimetro).
Dividendo il raggio dell'universo per il raggio dell'elettrone otteniamo 1040 (1 seguito da 40 zeri), numero che rappresenta un rapporto adimensionale (vuol dire che non dipende dalle unità di misura scelte).
Questo numero si ripete singolarmente in molti altri rapporti adimensionali fra combinazioni di costanti fisiche universali: per esempio, il rapporto fra la forza elettrica e la forza gravitazionale che si esercita tra elettrone e protone dà lo stesso numero, 1040.
Il numero di particelle (protoni ed elettroni) nell'universo (più precisamente contenute entro il raggio di Hubble dell'universo) è 1079, cioè circa il quadrato del numero precedente.
Queste coincidenze fra numeri che hanno origini molto diverse erano state già notate dal celebre astrofisico inglese Arthur Eddington (più noto per aver fornito nel 1919 la prima prova sperimentale della relatività generale, misurando, durante un'eclissi totale, la deflessione della luce di una stella dovuta all'attrazione del Sole) negli anni '30 del secolo scorso.
Nel 1938 Paul Dirac (fisico inglese premio Nobel, fondatore, con l'equazione che porta il suo nome, della meccanica quantistica relativistica) elaborò una teoria cosmologica che prevedeva la variazione nel tempo di alcune costanti universali, basata sulla convinzione che queste coincidenze non fossero casuali, ma riflettessero qualche legge della natura ancora non scoperta, e sulla considerazione che, essendo l'età dell'universo in espansione ovviamente dipendente dal tempo, anche le altre costanti universali dovevano variare nel tempo.
Questa ipotesi ha poi incontrato notevoli difficoltà a fronte dei sempre maggiori e più precisi dati di conoscenza dell'universo e della sua evoluzione che la ricerca e l'osservazione astrofisica ha fornito.
Per molti anni, e ancora oggi, il problema delle "coincidenze dei grandi numeri" (come è stato chiamato) è stato dibattuto producendo una grande varietà di proposte.
In effetti, ci sono cose poco chiare, sorprendenti. Già il fatto che rapporti fra quantità che sono costanti naturali universali (carica dell'elettrone, massa del protone e dell'elettrone, costante di Hubble che misura la velocità di espansione dello spazio in cui si evolve l'universo e così via) siano così straordinariamente grandi sorprende: in genere i rapporti adimensionali fra combinazioni di costanti universali non si discostano molto da numeri dell'ordine di 1; e d'altronde riesce difficile immaginare come numeri così grandi possano discendere da equazioni (di una futura teoria più generale di quelle che possediamo) che in genere hanno come coefficienti numeri interi, costanti matematiche, e così via: comunque numeri di grandezza normale.
Alla fine degli anni '50 il fisico americano Robert Dicke (autore di numerosi e decisivi contributi in molti campi della fisica, teorica e sperimentale) propose una spiegazione diversa, foriera di importanti sviluppi. Dicke notò che l'età dell'universo non è casuale, ma è correlata a fattori biologici (il fatto che nell'epoca attuale noi esistiamo è segno indiscutibile che la vita si è già formata).
La prima condizione è che l'universo, e dunque la galassia, sia sufficientemente vecchio perché esistano elementi più pesanti dall'idrogeno, per esempio il carbonio. Gli esseri viventi si basano sulla chimica del carbonio, capace di formare molecole organiche complesse che sono alla base della vita: come dice Dicke, il carbonio è richiesto per fare i fisici.
Si sa che inizialmente la galassia era composta da solo idrogeno. Gli elementi più pesanti sono sintetizzati, mediante un insieme di reazioni nucleari chiamato nucleosintesi stellare, negli stadi successivi dell'evoluzione stellare, durante la fase di vita della stella detta sequenza principale. La maggior parte delle stelle (compreso il nostro Sole) attraversa questa fase e ci passa la maggior parte della sua vita (circa il 90%). Il tempo di vita di queste stelle dipende dalla loro massa (nel caso del Sole è di circa 10 miliardi di anni). Quando muoiono, le stelle più pesanti diventano supernove, esplodono e spargono gli elementi che le compongono nell'universo.
Solo un universo con l'età almeno della durata della sequenza principale può giungere a produrre e diffondere elementi pesanti.
Allo stesso modo, l'universo non può essere troppo vecchio perché ci sia l'epoca della vita. Il limite è dato dalla condizione che esistano ancora stelle capaci di fabbricare elementi pesanti, e vi sia un ambiente favorevole nella forma di sistemi planetari che girano attorno a una stella luminosa e calda (non occorre ricordare l'importanza dell'energia luminosa per lo sviluppo della vita). Questo tempo è stabilito dall'età massima di una stella capace di produrre energia attraverso reazioni nucleari.
La massa minima e massima di una stella con queste caratteristiche può essere calcolata: una stella con massa 10 volte quella del sole brucerebbe idrogeno troppo rapidamente e morirebbe prima che i processi che danno origine alla vita possano svilupparsi. Una stella con massa 1/10 di quella del sole vivrebbe molto più a lungo, ma la sua temperatura centrale non salirebbe mai abbastanza da permettere le reazioni nucleari. Radierebbe tutta la sua energia e poi si raffredderebbe. Nei due casi ci sarebbe o morte precoce o lungo invecchiamento, senza attraversare la complicata età di mezzo che è quella essenziale: avremmo in altri termini un universo molto più semplice, ma senza vita.
I rapporti fra i parametri calcolati in questo modo riproducono a grandi linee le coincidenze dei grandi numeri.
Riassumendo, perché sia disponibile carbonio nell'universo in evoluzione è necessario che sia trascorso un tempo sufficiente per la formazione di elementi più pesanti dall'idrogeno e dall'elio e per la loro diffusione negli spazi interstellari. C'è un tempo minimo per l'inizio dell'epoca della vita, dato dall'età delle stelle di esistenza più breve che formano gli elementi più pesanti e alla loro morte li diffondono nell'universo. C'è un tempo massimo, dato dalla necessità che ci sia ancora un pianeta illuminato da una stella. Tutto dipende dall'esistenza delle stelle, dunque da una scala temporale determinata dalla teoria dell'evoluzione stellare.
Un universo 10 volte più giovane non avrebbe avuto tempo per costruire sufficienti livelli di carbonio interstellare con la nucleosintesi; 10 volte più vecchio, l'epoca d'oro della sequenza principale e dei sistemi planetari stabili sarebbe già finita da tempo.

Con queste ricerche di Dicke compare per la prima volta in forma moderna quello che sarà poi chiamato il "principio antropico", aprendo un dibattito che prosegue attivamente ai giorni nostri.
Le coincidenze dei grandi numeri sono viste come conferma della fisica convenzionale (Relatività e Big Bang), purché si assuma il principio antropico: ciò che noi possiamo aspettarci di osservare deve essere limitato dalle condizioni necessarie (e cioè la formazione del carbonio e degli altri elementi pesanti) per la nostra presenza come osservatori. Gli uomini dovrebbero tener conto delle condizioni che l'esistenza umana impone sul tipo di universo che vediamo. In altre parole noi possiamo vedere solo un universo che supporta la vita. Si tratta essenzialmente della reazione a un uso esagerato della solida lezione del principio copernicano (non dobbiamo avere la presunzione gratuita di occupare una posizione centrale privilegiata nell'universo).
Il nome principio antropico fu coniato nel 1973 dall'astrofisico Brandon Carter. È bene sottolineare che non esiste un solo principio antropico: sono state date molte, e molto diverse formulazioni. Per chiarezza, quello a cui ci stiamo riferendo è il cosiddetto principio antropico debole, che è l'unico che si muove in ambito strettamente scientifico. Esistono altre formulazioni (tra le altre, ilprincipio antropico forte, il principio antropico finale) che però scivolano verso considerazioni di ordine teleologico quando non propriamente teologico, spesso a sostegno di posizioni creazioniste o di disegno intelligente. Naturalmente, tra gli scienziati (e in particolare i fisici) le opinioni sono diverse, e sono state tentate risposte differenti ai problemi sopra accennati, assumendo tentativamente il principio antropico o partendo dalla sua critica.

Barrow       Smolin

Si può fare riferimento al classico libro di John Barrow e Frank Tipler, Il principio antropico per un'ampia panoramica sul principio antropico e sui suoi precursori nei secoli passati, o al libro di Lee Smolin, La vita nel cosmo, per una posizione critica su linee e ipotesi diverse.
Il principio antropico può portare a qualche predizione di fenomeni fisici? Esiste almeno un caso: una notevole serie di coincidenze, scoperte nei primi anni '50 da Fred Hoyle (famoso astrofisico, ma anche divulgatore scientifico e autore di fantascienza).
È forse utile una breve premessa di chimica nucleare. È noto che il principale meccanismo con cui le stelle generano gas o pressione di radiazione per opporsi al collasso gravitazionale è la fusione di 2 nuclei di idrogeno in elio 4. Quando la stella esaurisce la riserva di idrogeno cessa questa pressione e ricomincia la contrazione gravitazionale, che aumenta la densità della stella facendo crescere la temperatura a un livello sufficiente per iniziare a bruciare l'elio (3 nuclei di elio 4 si trasformano in carbonio 12). Questa successione (esaurimento del combustibile idrogeno -> maggiore temperatura centrale -> elio come nuova sorgente di energia nucleare), con cui la stella si salva dal collasso gravitazionale, contiene una reazione (elio -> carbonio) che, è noto, costituisce il passo fondamentale per la nucleosintesi di tutti gli elementi pesanti, in particolare quelli essenziali alla biologia.
Sembra tutto molto semplice, ma quando si passa agli aspetti quantitativi nascono i problemi. Si vide subito che la probabilità che 3 nuclei di elio si incontrassero per formare un nucleo di carbonio era così bassa che mai avrebbe potuto produrre il carbonio in maniera apprezzabile.
La soluzione fu suggerita nel 1952 da un astrofisico, Edwin Salpeter. Se due nuclei di elio si fossero fusi per produrre un nucleo di berillio, quest'ultimo sarebbe vissuto abbastanza, prima di scindersi nuovamente, per poter incontrare un terzo nucleo di elio creando carbonio 12. La probabilità di questo processo a due tappe è nettamente superiore all'evanescente probabilità che tre nuclei di elio si incontrino nello stesso istante. Ma era difficile a quei tempi valutare quanto e se questo processo a due tappe influisse sull'efficienza della produzione di carbonio.

A questo punto della storia, Hoyle fece una notevole predizione: nel corso di un approfondito studio della nucleosintesi stellare si rese conto che se la reazione elio -> carbonio non avveniva in modo risonante la produzione di carbonio sarebbe stata trascurabile. Risonante vuol dire che il berillio e l'elio con la loro energia totale (composta dalla somma delle loro masse e dell'energia cinetica, che Hoyle ricavò calcolando la temperatura dentro una grande stella) trovavano disponibile uno stato del carbonio di energia appena superiore in cui trasformarsi. Hoyle predisse l'esistenza di questo stato del carbonio (all'epoca completamente ignoto). Un anno dopo un gruppo sperimentale scoprì l'esistenza di questo stato del carbonio con l'esatta l'energia prevista da Hoyle, oggi conosciuto come risonanza di Hoyle. Egli fu spinto a fare questa previsione, e ad affermare con certezza che la reazione deve essere risonante, sulla base di quello che oggi chiamiamo principio antropico: poiché è evidente la presenza nell'universo di carbonio e dei prodotti della chimica del carbonio (fra cui lo stesso Hoyle), ci doveva essere risonanza perché il carbonio potesse essere prodotto in abbondanza.
La storia però non finisce qui. L'aggiunta di un altro nucleo di elio al carbonio potrebbe fonderlo in ossigeno. Se questa reazione fosse risonante tutto il carbonio si trasformerebbe rapidamente in ossigeno, scomparendo e privando l'universo di un elemento essenziale. E invece, per un'altra coincidenza, il nucleo di ossigeno ha un livello di energia che è un po'sotto l'energia totale di carbonio + elio, e la risonanza non può avvenire.
Questa notevole predizione trasformò l'astrofisica nucleare: una volta risolto il problema della formazione del carbonio, la spiegazione della produzione degli altri elementi più pesanti andò a posto, e il ciclo del carbonio come modo dominante della produzione di energia nelle stelle più pesanti non rappresentò più un problema.

Nelle considerazioni sopra accennate a proposito della predizione di Hoyle compare una questione che è stata e continua a essere molto dibattuta. Si è visto come processi fondamentali per la vita e per l'evoluzione dell'universo dipendono in maniera critica dai valori di certi parametri fisici, che se modificati, anche di poco, porterebbero a situazioni radicalmente diverse per l'universo che osserviamo (addirittura non ci sarebbero nemmeno osservatori). Nel caso sopra descritto, tutto dipende dal valore del livello energetico risonante del carbonio o dell'ossigeno. Se questo valore fosse appena minore (per il carbonio) o maggiore (per l'ossigeno) non ci sarebbe il ciclo del carbonio, non ci sarebbe produzione significativa di carbonio, non ci sarebbe in definitiva vita e non staremmo qui a scrivere o leggere articoli.
Non si possono immaginare universi (con presenza di vita) in cui questi valori siano scelti arbitrariamente tra le infinite possibilità permesse dalle leggi della fisica. Sembra che l'universo che vediamo è nato da valori molto particolari, che hanno probabilità vicine allo zero rispetto alle pressoché infinite possibilità di scelte casuali. Si possono pensare infiniti universi corrispondenti a diversi valori dei parametri visti: ma uno solo tra questi universi, corrispondente a certi valori ben definiti, può contenere la vita. Si può dire che la condizione di esistenza della vita restringe enormemente il ventaglio delle possibilità, facendo diventare finita, apprezzabile, la probabilità dell'attuale configurazione dell'universo che altrimenti sarebbe praticamente zero.
Questo fatto, che è noto col nome di fine tuning (regolazione fine), è un fatto generale che non riguarda solo il caso della predizione di Hoyle.
Vediamo qualche esempio.
In natura esistono (allo stato attuale) quattro interazioni fondamentali fra i costituenti della materia: l'interazione gravitazionale (che governa il moto delle stelle e dei pianeti e, pur essendo di gran lunga l'interazione più debole, è l'unica che sopravvive a grandi distanze); l'interazione debole (responsabile dei decadimenti radioattivi); l'interazione elettromagnetica (che lega gli elettroni al nucleo nell'atomo); l'interazione forte (che tiene assieme protoni e neutroni nel nucleo atomico).
I valori osservati dei parametri che caratterizzano queste quattro interazioni (o forze) della natura sono bilanciati finemente. Se la forza nucleare forte fosse appena un po' maggiore avrebbe convertito tutto l'idrogeno nell'universo primordiale in elio. Non ci sarebbe dunque stata acqua (composta da idrogeno e ossigeno) né stelle stabili a lunga vita (che si basano sulla fusione dell'idrogeno).
Se la forza di gravità fosse un po' minore, nelle stelle non ci sarebbe la pressione sufficiente a superare la barriera di Coulomb (cioè la forza di repulsione elettrica tra protoni) necessaria per farli avvicinare quanto basta per iniziare la fusione nucleare (che è provocata dall'interazione forte, che agisce efficacemente solo a piccolissima distanza), e le stelle non risplenderebbero. Se invece fosse un po' maggiore le stelle brucerebbero troppo rapidamente il carburante idrogeno, finendolo prima che la vita possa svilupparsi. Analogamente, se la forza elettrica (che lega gli elettroni al nucleo) fosse un po' minore, non ci sarebbero elettroni mantenuti in orbita; se un po' maggiore, gli elettroni non si legherebbero con altri atomi. In un caso o nell'altro, non avremmo molecole. La forza di gravità non può avere che il valore che ha e costruisce le condizioni perché inizi la catena di formazione delle molecole, sempre più complesse, che danno origine alla vita. Formazione che è determinata dall'interazione elettromagnetica col valore che ha. In natura abbiamo due forze (gravitazionale e elettromagnetica) incredibilmente diverse come intensità, che non possono essere variate e che determinano l'infinitamente grande, l'Universo, e l'infinitamente piccolo, l'atomo.
Ancora, un piccolo cambiamento del rapporto fra la massa del protone e del neutrone avrebbe conseguenze disastrose per la produzione di idrogeno nell'universo primordiale e sulla possibilità di esistenza della sequenza principale delle stelle, indispensabile per avere un universo sufficientemente complesso per la nascita della vita; la sequenza principale scomparirebbe anche con una piccola modifica della costante di struttura fine, che è il parametro che governa l'interazione elettromagnetica. E si potrebbe continuare.
È naturale che sia nata la domanda: come si spiega il fine tuning?
Non ci sono risposte univoche (o per meglio dire non ci sono risposte) ma solo elaborazioni tentative, che vanno dalla affermazione, di natura religiosa, che se c'è un fine tuning ci deve essere anche fine tuner (un regolatore esterno all'universo); all'ipotesi di infiniti universi con parametri differenti, coesistenti ma incomunicabili fra loro, fra cui il nostro è quello con i parametri giusti perché possiamo stare qui a ragionare, privilegiato fra gli altri perché è l'unico che può essere conosciuto avendo dentro dei "conoscitori" (in definitiva l'unico di cui qualcuno può parlare); alla proposizione di un principio di selezione naturale che fa emergere preferenzialmente questo universo rispetto agli infiniti altri, nonostante la probabilità estremamente bassa, eccetera. Interessante e stimolante a riguardo è il libro di Smolin prima citato: vale in ogni caso la pena di sottolineare che tutte queste elaborazioni (a parte quelle di natura religiosa che si basano su un sistema di valori diverso dall'ambito scientifico) si servono esclusivamente di teorie e modelli scientificamente fondati.

La fisica si propone di trovare leggi che descrivano, interpretino e prevedano i fenomeni naturali nel mondo che ci circonda. Generalmente, fra i criteri che guidano questa ricerca c'è quello della massima semplicità (e anche dell'eleganza formale), partendo da principi primi.
Questa semplicità cerca di spiegare un mondo che viceversa è enormemente complesso. Perché a leggi semplici non corrisponde un mondo semplice? In altri termini potrebbe esistere un mondo meno complicato nelle sue innumerevoli manifestazioni?
La risposta che emerge dalle ricerche e dalle elaborazioni cui abbiamo accennato è negativa. Un universo più semplice sarebbe un universo omogeneo, piatto, in cui nulla avviene. È la complessità e la varietà delle stelle nella evoluzione della sequenza principale che produce e diffonde continuamente materia e energia, mantenendo in vita un ciclo termodinamico che si oppone in alcune zone dell'universo all'aumento dell'entropia e allontana la morte termica. L'universo attuale è molto lontano dall'equilibrio termodinamico.

Tutto è iniziato con il Big Bang, e credo che nessuno sa come finirà, ma un fatto sembra certo: non ci troviamo in un universo stazionario che è sempre esistito e sempre esisterà uguale a se stesso, ma in un universo in continua evoluzione che proprio per questo genera complessità, tanti elementi diversi e infine vita.

Sui diversi temi affrontati in questo articolo si può fare riferimento alle seguenti indicazioni bibliografiche    libri

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