17. Labirinti di lettura
I. In/out: sul lìmine della civiltà

- seconda parte -
Ritorna alla prima parte

L'autrice prende in esame come caso più rappresentativo ciò che è avvenuto in Russia, nell'intreccio tra libero mercato e economia canaglia: "nel vuoto politico che si viene a creare, l'economia canaglia trasforma la globalizzazione, l'invenzione della reganomics, del thatcherismo e della modernizzazione, in un mutante animato di vita propria". Per rimanere nei limiti di spazio di queste pagine riportiamo il giudizio dell'americano Raymond Baker, analista di politiche internazionali, su ciò che è avvenuto in Russia nell'intreccio tra criminalità corrente e criminalità finanziaria: "Negli anni Novanta la Russia ha subito il maggior furto di risorse mai avvenuto in un paese in un arco di tempo così breve. Una stima al ribasso va dai 150 ai 200 miliardi di dollari in dieci anni, ma si pensa che possa arrivare fino ai 350 miliardi di dollari". Ivi compresi i miliardi di dollari spesi dal Fondo monetario internazionale per il salvataggio del rublo, a garanzia dei crediti occidentali, e transitati nelle tasche degli oligarchi. Ora la immemore e disinformata opinione pubblica europea stenta a capacitarsi delle ragioni del risentimento russo nei confronti dell'Occidente. Aggiungiamo, come se non bastasse, che i paesi della Nato hanno fatto carta straccia degli accordi a suo tempo raggiunti con la Serbia sulla non indipendenza del Kossovo. I contraccolpi della diplomazia della furbizia e degli atti di forza occidentali, che hanno messo in un canto il principio sancito negli accordi sulla sicurezza europea di Helsinki sulla intangibilità di confini nel caso della sciagurata decisione sulla indipendenza del Kossovo, si stanno ora vedendo nella ritorsione del drammatico caso della Georgia. Bisognerebbe spiegare perché nel caso del Kossovo sì, mentre nel caso dell'Ossetia no.
"I gestori degli hedge funds e private equity - scrive l'autrice – sono l'ultima frontiera del capitalismo globale".44 Insistendo sul fatto che nessuno controlla l'economia canaglia, Napoleoni ripercorre a grandi passi il frutto di quella che definisce la maledizione comunista che, contrariamente a quanto si potesse temere ai tempi della Guerra Fredda, non è consistita nella distruzione del capitalismo, ma nella sua vittoria. Già, perché "nessuno può spiegare che l'impoverimento del ceto medio americano è avvenuto negli ultimi 15 anni, innescato dalla caduta del muro di Berlino e alimentato dall'avvento dell'economia globale. Sembra il risultato di un destino beffardo". La sconfitta del comunismo "getta le basi per il declino socioeconomico del ceto medio americano. Una grande vittoria globale che distrugge la base stessa del mito americano". Ecco cos'è per l'autrice la maledizione comunista, non la sua vittoria ma l'effetto di impoverimento su quei ceti che più hanno sostenuto la democrazia.
L'affermazione non è solo ad effetto. L'autrice ne documenta i fenomeni principali, particolarmente in Gran Bretagna e Stati Uniti, alcuni dei quali abbiamo già visto commentando il libro di Giorgio Ruffolo e altri ne vedremo con il libro di Joseph E. Stiglitz.45 La scriteriata politica monetaria ed economica seguita negli anni novanta e oltre, il credito troppo facile e i bassissimi tassi di interesse gestiti dalla Federal Reserve hanno generato, tra l'altro, l'attuale crisi dei subprime che non si sa come andrà a finire, visto che all'enorme indebitamento attuale non corrisponde una copertura sufficiente. Eppure, la natura dell'economia finanziaria attuale è tale che "c'è chi prospera sui fallimenti" sempre più fitti (il gioco del cerino di cui abbiamo parlato). Nei soli Stati Uniti, alcuni analisti ipotizzano che "quasi una famiglia con figli, su sette, si dichiarerà al verde, sconfitta dai grandi Monopoli dell'economia americana".46 Nel frattempo, la disparità dei redditi, ossia la fine dell'equità è arrivata a livelli tali da far esclamare all'autrice che si è tornati a una condizione medievale, quando poche persone possedevano quasi tutto. Viene citato l'efficace rappresentazione visiva creata dall'economista olandese Jan Pen, il quale ha immaginato una parata in cui la popolazione sfila a diverse altezze, a seconda del reddito. "Chi ha un reddito medio è alto un metro e settanta, mentre chi ha il reddito più basso rasenta il metro, ovvero la soglia della povertà". La sfilata va avanti e l'altezza dei partecipanti cresce molto lentamente, ma quando tocca all'ultimo un per cento della popolazione, "di colpo sfilano i giganti"; alcuni sono alti 300 metri (sei milioni di dollari l'anno di reddito), altri tre chilometri. "La parata si chiude con un certo numero di colossi alti decine e decine di chilometri".47
A tutto ciò hanno contribuito i sistemi fiscali, visto che ormai "la politica non solo è incapace di impedire il divaricarsi della forbice tra ricchissimi e resto della popolazione, ma addirittura lo facilita". Come nel caso del fisco inglese che permette a una grossa fetta della nuova ricchezza di non pagare le tasse in patria, a differenza di quanto avviene negli Stati Uniti. La conclusione dell'autrice sui processi in atto, che vedono alcuni paesi emergenti correre sempre di più e i paesi industrializzati impoverirsi nel grosso della popolazione, è che "la manodopera occidentale diventerà il vero proletariato del pianeta e le economie dell'Ovest dovranno fare i conti con il proprio declino. Finirà l'età delle illusioni di massa". Forse si tratta di un'affermazione troppo pessimista, ma è certo che le caratteristiche dell'economia canaglia e non solo di quella, proprio per il fatto che nessuno – allo stato attuale delle politiche, delle istituzioni e del diritto internazionali - può controllarla, non lasciano molto spazio alla fiducia nel futuro.
Napoleoni - come caso emblematico di economia canaglia - passa in rassegna il ruolo della 'ndrangheta partendo dalla sua fucina criminale, il porto di Gioia Tauro. Ma non saranno ispezioni più massiccie sui carichi navali (tre milioni di container all'anno), pure necessarie, a fermare la 'ndrangheta, la quale si è ormai trasformata in fornitrice globale di servizi per la malavita internazionale, per cui, come ha testimoniato un agente sotto copertura, essa "oggi è in grado di offrire ai suoi clienti il pacchetto criminale tutto incluso, dal contrabbando transoceanico alla gestione del portafoglio". L'autrice analizza la natura e i mutamenti avvenuti nell'organizzazione, la quale è stata veloce per tutti gli anni novanta nel creare joint-venture, dai contrabbandieri dei balcani ai cartelli della droga sudamericani. A somiglianza di quanto è avvenuto nel mondo di produrre e nelle organizzazioni aziendali più moderne, essa funziona come una rete, muovendo capitali, riciclando all'estero i proventi in imprese coperte dai paradisi fiscali, attraverso l'intermediazione di onorabili banche svizzere e anche tedesche. Dopo la stretta sui controlli delle transazioni in dollari introdotta dalle autorità americane a seguito degli attentati terroristici, l'Europa è diventata la lavanderia del mondo, perché alle banche europee è permesso di fare affari con i paradisi fiscali. D'altra parte, i paradisi fiscali prosperano nel cuore stesso dell'Europa e in stati dell'Unione, per cui si spiega come mai la questione non è stata regolamentata a livello europeo. Come se non bastasse, l'introduzione dell'euro ha ridotto i costi del riciclaggio rendendo ancora più appetibile la piazza. I dati della Guardia di finanza dicono che dal 2001 al 2004 "il riciclaggio del denaro in Italia aumenta del 70%".48
Più si estende il potere delle varie organizzazioni criminali nel mondo, più la funzione di tutela della legalità da parte dello Stato-nazione diventa problematica, più la politica come libertà di scelta da parte del cittadino svanisce (Hannah Arendt). Il fatto è che è proprio la libertà di scelta lo strumento in grado di arrestare il dilagare dell'ingiustizia economica e sociale, ma "mentre la politica è ancora trincerata dietro i confini nazionali, l'economia si è globalizzata e, così facendo, spezza i vincoli delle legislazioni interne". Nel caso dell'economia canaglia ciò significa averle aperto vaste praterie per un'attività senza controllo, consentendole di trarre profitti astronomici che ne rafforzano il potere di ricatto e di penetrazione.
Siamo a nuovo tribalismo, come lo definisce l'autrice, che limita in alto e in basso e di fatto la libertà. Per illustrare il concetto, Napoleoni prende in esame il caso dei mutras, che rappresentano un esempio di trasformazione di una nomenklatura (quella bulgara) in organizzazione criminale. Intanto non è vero che l'apparato comunista sia stato preso di sorpresa dalla caduta del muro di Berlino; il Kgb aveva già previsto del 1979 il crollo del sistema nel giro di una decina di anni e le varie nomenclature hanno avuto tutto il tempo di organizzarsi, di creare compagnie fittizie e di ammassare denaro all'estero. Nel caso bulgaro, la nascita della mafia nasce da qui, con fenomeni la cui ampiezza e intreccio con i poteri statali è impressionante e che investono tutto il processo di destabilizzazione dell'area dei Balcani. Il contrabbando è diventato l'unico mezzo di sussistenza per vaste regioni e, ovviamente, quando si parla di contrabbando non ci si limita alla benzina e ai generi alimentari, ma si estende al traffico di armi, di droga e alla prostituzione, in un inestricabile e impressionante intreccio tra affari illegali e legali, in un vorticoso giro di capitali che rimbalzano nelle reti finanziarie occidentali e penetrano nelle attività economiche più diverse. Così, "la violenza ridisegna intere società".
Il caso della Cina e del suo successo economico viene presentato dall'autrice come una conferma che "nel nuovo mondo dell'economia canaglia, la politica viene considerata un semplice accessorio dell'opportunismo commerciale: l'economia ha soppiantato anche l'etica e la legalità". Dalla liberalizzazione del commercio del sangue all'inizio degli anni novanta (con conseguente espansione dell'Aids) a tutti i fenomeni della transizione da un'economia dirigistica a una di mercato, "più ci si addentra nel territorio vergine dell'arricchimento cinese più i mercati diventano completamente non regolamentati". Qui ci troviamo di fronte a un "modello" nuovo, lo stato-mercato totalitario, con il quale si propone un nuovo contratto sociale: tu sei libero di arricchirti senza troppi vincoli ma non devi interessarti di politica. Persino una legislazione minima sul lavoro richiesta spesso dai fabbricanti occidentali viene considerata un intralcio, perché "la Cina si considera libera di strutturarsi in base alle circostanze, perfino in base all'economia canaglia".49 Spesso sono le strategie di marketing delle multinazionali occidentali a favorire la contraffazione cinese delle merci, in un sistema in cui la merce vera (la griffe) è destinata a un consumo di lusso e su quella contraffatta e pagata pochi centesimi gli importatori guadagnano una fortuna rivendendola a prezzi molto più bassi a un consumatore che comunque non può permettersi l'originale. Sembra che la metà degli articoli falsi in circolazione provenga dalla Cina, un ramo importante dell'economia canaglia mondiale, ai cui margini prospera il crimine organizzato. Le Triadi cinesi sono infatti coinvolte sia nel traffico di manodopera a basso prezzo, sia nell'export-import delle merci contraffatte e della fornitura di materie prime. I nuovi schiavi della globalizzazione sono gli immigrati illegali che in gran parte finiscono nel settore dell'abbigliamento e ai quali i trafficanti trattengono una quota del salario e requisiscono i documenti di identità che consegnano al datore di lavoro. A quel punto e finché non ha ripagato il debito per l'ingresso clandestino nel paese, il lavoratore cinese è alla completa mercé del datore di lavoro: come nella misera vita della prima rivoluzione industriale: uomini, donne e bambini. "In Europa, la maggioranza degli immigrati illegali finisce nel settore dell'abbigliamento, un'industria da 80 miliardi di dollari l'anno. Italia e Spagna sono le mete principali insieme a Parigi".50
Il fatto è che la Cina non riconosce la proprietà intellettuale e i brevetti, ma a sua volta il mondo si è fatto imporre un regime dei brevetti che definire assurdo e suicida è poco, mentre rispetta ben poco la proprietà di risorse primarie di paesi scarsamente in grado di proteggerle. Cos'è la biopirateria? Per le multinazionali del settore è la contraffazione o la produzione senza brevetto dei loro prodotti, anche generici. Ma per un'altra parte del mondo è la razzia svolta per conto di società multinazionali per impadronirsi di organismi biologici e di principi attivi in Africa, nell'America del sud e in Asia e per sfruttarli ai fini industriali senza pagare alcunché ai paesi di origine. Del resto, la Convenzione sulla salvaguardia della biodiversità della Conferenza dell'ONU di Rio de Janeiro del 1992 è stata firmata da quasi tutti i paesi del mondo, salvo gli Stati Unititi e pochi altri. In ogni caso, uno speciale tipo di accordi commerciali oggi prevalente e che esamineremo più in dettaglio (i Trips), imposti dal Nord del mondo al Sud, sono accusati di cercare di legalizzare la biopirateria delle economie più forti.51
Nel caso dei medicinali, la faccenda è particolarmente grave: il principio attivo di una pianta viene rubato alla medicina popolare o nella foresta di un paese povero, viene isolato e riprodotto, viene brevettato e viene rivenduto in tutto il mondo, compreso il paese di origine, e nel caso di contraffazione viene protetto dai tribunali. Tanto per fare un solo esempio tra i tanti: una multinazionale olandese ha brevettato la proprietà di un cereale etiope, il teff, che rappresenta da millenni l'alimento di base della popolazione locale. Però, l'Ufficio brevetti americano ha negato a Addis Abeba la registrazione di alcune varietà di caffè originarie del paese e utilizzate da una multinazionale americana pagando poco i coltivatori.
Ma le prede della sindrome da brevetto, che all'attuale livello parossistico raggiunto finirà, a nostro parere, per uccidere la conoscenza, non sono solo popoli, aree geografiche, flora e fauna, sono anche gli esseri umani in quanto tali. Qualche anno fa l'Ufficio brevetti degli Stati Uniti, dopo lunga discussione, ha permesso la brevettazione di geni umani, sicché un quinto dei geni del corpo di ognuno di noi sarebbe già proprietà di qualche azienda. Ogni volta che il gene brevettato viene usato per ricerche biomediche scatta la remunerazione al "proprietario", e le tariffe fanno aumentare il costo della ricerca fino a moltiplicarlo per tre. In poche parole, se qualcuno di noi cede gratuitamente una sequenza genica del proprio corpo per finalità di ricerca, il laboratorio dovrà pagare una somma a un'organizzazione terza che se ne proclama proprietaria. Sarebbe come dire che una parte dei propri geni appartiene a una multinazionale. Le parole per definire un tale regime di proprietà vengono a mancare: ci troviamo di fronte a una nuova forma di schiavitù biologica, esercitata da tizi in giacca e cravatta, bene accolti in società, magari ammirati e protetti da qualcosa che ama presentarsi come legalità.52
Quello che è stato definito il sequestro del vivente rappresenta una delle minacce più inquietanti dei possibili scenari futuri. É del tutto evidente come nessun regolamento o accordo commerciale possa legittimamente legalizzare quelli che sono dei veri e propri atti di latrocinio, sui quali però prospera una fetta sempre più consistente del commercio globale. E, guarda caso, scrivono Sachs e Santarius, "nel caso dei biobrevetti, l'epoca della globalizzazione non ha portato le deregolamentazione, ma le prime leggi: tramite l'accordo del Wto sui brevetti si cerca di imporre un sistema approvato universalmente sui diritti di proprietà intellettuale".53 Tra l'altro, entrando tranquillamente in contraddizione con i precedenti accordi raggiunti in ambito Fao sulla biodiversità.
Ma la potente e ramificata industria della falsificazione non si limita ai casi fin qui descritti. Per esempio, l'attività di contraffazione dei ricambi per aerei è ugualmente fiorente dopo la deregolamentazione dei cieli avviata da Carter e da Reagan, che ha portato certo a un abbassamento delle tariffe, ma anche a una situazione per cui, secondo una fonte della sicurezza aerea americana, "è più facile morire in un incidente dovuto a un pezzo contraffatto che non in un attentato terroristico, eppure il commercio di componenti illegali viene ignorato dai politici".
In quella vera e propria matrix rappresentata dai mercati globalizzati le industrie occidentali sono contemporaneamente vittime e carnefici delle contraffazioni che alimentano il consumismo, ma nascondendo subdolamente "la vera natura di ciò che consumiamo, confondendo di continuo la realtà con la finzione". Non è una caso che vadano tanto di moda i reality show, che addestrano la gente ad abbassare la propria soglia critica. Ma come funziona questa matrix del mercato e perché l'autrice sostiene che si tratta, di fatto della sua faccia funzionale, per cui una parte imponente dell'economia può essere definita canaglia?
Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità il 10% delle compresse che circolano nel mondo è contraffatto; tali medicine sono responsabili della morte di circa mezzo milione di persone, soprattutto nei paesi poveri, e producono profitti per 32 miliardi di dollari. Nel 1995 i falsi vaccini hanno ucciso 2.500 bambini, mentre l'autorevole rivista medica Lancet ha scritto che il 70% dei farmaci contro la malaria in Africa sono inefficaci. Ma anche il ricco Occidente non ne è esente; a parte il caso dei tranquillanti contraffatti, il traffico dei falsi Viagra e Cialis è così remunerativo che renderebbe mezzo milione di dollari per ogni mille dollari investiti. Tanto per fare un paragone, l'eroina renderebbe 20.000 dollari per ogni mille investiti.54 Il più importante produttore di farmaci falsi è la Cina, ma anche il Cile, il Sudafrica e l'Iraq non scherzano e non scherzano neppure l'India e il Brasile, anche se spesso invocano il costo troppo alto dei presidi medici essenziali (farmaci generici) per i paesi più poveri come causa della loro scesa in campo per produrne a prezzi più bassi. E mentre alle grandi multinazionali non conviene molto denunciare le contraffazioni perché ne rovina l'immagine, la protezione elevata di farmaci, anche generici, da parte di quello che è un vero e proprio oligopolio induce all'attività di contraffazione i cosiddetti paesi emergenti. Vedremo più avanti la questione del costo della ricerche invocate come causa dell'alto costo dei medicinali.
Per individuare meglio quelle che sembrano delle sfocature marginali della matrix del mercato l'autrice punta la lente di ingrandimento su alcuni settori e paesi "la cui economia è talmente intrisa di elementi canaglia che un suo eventuale risanamento trascinerebbe nel baratro l'intero sistema, mettendo a repentaglio la sopravvivenza stessa della popolazione". Uno dei casi è l'oro insanguinato del Congo, che ha le riserve auree più importanti del mondo, ma anche di altri preziosi nei paesi africani. Nell'area confinante, l'Uganda, che non possiede giacimenti auriferi, secondo le statistiche ufficiali nel 2003 ha esportato oro per circa 60 milioni di dollari. I signori della guerra congolesi si servono di banche occidentali e di grosse imprese commerciali per coprire la provenienza dei loro traffici attraverso l'Uganda. Ma, attenzione, ci ricorda l'autrice, qui non si tratta solo di commercio di metalli e pietre preziose, perché "oggi la schiavitù ce la ritroviamo un po' ovunque, anche nel frigorifero".
Secondo i dati dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil-Onu) nel mondo si contano 27 milioni di schiavi, con profitti annuali che si aggirano attorno ai 31 miliardi di dollari. Se alla schiavitù aggiungiamo il lavoro minorile (fascia dai 5 ai17 anni), pari a 218 milioni di bambini (in leggero calo, dati 2004), abbiamo tra il 3 e il 4 per cento di persone che nel mondo sono costrette a un lavoro forzato, senza contare i milioni di lavoratori impiegati nella cosiddetta economia informale e privi di qualsiasi assicurazione e protezione, come anche quelli cosiddetti regolari che però lavorano in paesi in cui sono negati i più elementari diritti sindacali (di fatto o per legge), avremmo un quadro impressionante dell'origine di una parte consistente della prosperità degli altri.55 "Dalla frutta alla carne, dallo zucchero al caffè, sono gli schiavi che portano il cibo sulla nostra tavola" – scrive l'autrice.
Ora, senza per questo generalizzare, non c'è dubbio che, specialmente per alcuni prodotti coloniali (come per esempio il cacao), la raccolta viene fatta in regime di lavoro forzato, specialmente per quanto riguarda i minori. Ma bloccarne gli acquisti non risolverebbe il problema, servirebbe solo ad affamare di più le popolazioni coinvolte, in assenza di efficaci interventi sostitutivi. Le aziende importatrici o non sanno o fingono di non conoscere le condizioni in cui vengono coltivati i prodotti. Sta di fatto che "gli scaffali dei supermercati occidentali sono pieni di articoli prodotti dagli abitanti dei paesi in via di sviluppo che percepiscono una frazione infinitesimale del loro prezzo". L'autrice fa il conto dei ricavi delle banane vendute nei supermercati inglesi, in cui il 45% va al supermercato, il 18% agli importatori, il 15,5 % ai proprietari della piantagione (che spesso è una multinazionale) e il 2,5% ai lavoratori. O come il caso del tabacco il cui diminuito consumo in Occidente viene ampiamente compensato dai maggiori consumi in paesi terzi, per cui per ogni fumatore occidentale in meno ce ne sono tre in più in altre parti del mondo, tanto che se le compagnie sono state costrette a finanziare le campagne contro il fumo nei paesi industrializzati, fanno ancora pubblicità in quelli poveri e invia di sviluppo. Ma vedremo meglio in seguito la questione dell'andamento dei prezzi delle materie prime negli ultimi decenni, il cui aumento giunge immediatamente nelle tasche dei consumatori e la cui diminuzione non lascia traccia in un abbassamento dei prezzi.
In ogni caso, come ci ricordano W. Sachs e T. Santorius, "in quelle aree del Sud o dell'Est dove governi corrotti o troppo deboli non adempiono al loro compito di legislatori, alcune imprese approfittano del loro potere per tenere le regole e gli standard a livelli bassi o si servono di regimi corrotti per sfruttare materie prime e forza lavoro a costi risibili, [...] non pochi capitali stranieri vengono investiti in zone di fatto senza legge".56 Ci pare che anche in questo caso si debba parlare di economia canaglia e perciò la lista degli stati canaglia dovrebbe essere sensibilmente modificata e ampliata, mentre quella delle imprese canaglia dovrebbe estendersi ben al di là delle attività considerate tradizionalmente criminali.
Gli altri esempi portati dall'autrice per parlare della matrix del mercato e delle illusioni alimentari che vengono ampiamente somministrate attraverso la pubblicità e i marchi sono troppo numerosi per riportarli qui, ma il risultato finale è che le malattie da errata alimentazione sono in esponenziale aumento, curate – nella maggior parte dei casi – con altre illusioni medicali di prodotti lanciati sul mercato. A parte il blocco lobbystico delle industrie alimentari alla regolamentazione dei conservanti, che entrano così regolarmente nella catena alimentare.57
Un capitolo a parte merita l'area del cyberspazio, dal mercato secondario illegale che utilizza eBay, alla pirateria informatica, alla pornografia (la maggiore industria online che si stima raggiunga un volume di affari di 57 miliardi di dollari), al gioco d'azzardo, al traffico secondario che si appoggia a siti di realtà virtuale e ai giochi di ruolo, alle correnti truffe online. Ci sono intere cittadine e regioni che vivono dei traffici illegali in Internet, specialmente nei paesi dell'est e in Cina, dove si può approfittare della manodopera a basso costo e con una buona scolarizzazione. Secondo alcune stime, sembra che circa mezzo milioni di cinesi si guadagni da vivere nelle attività economiche virtuali, "dai videogiochi ai mondi sintetici". "Nel cyberuniverso, anche se i mondi sembrano sintetici, le economie sono molto reali" – osserva Napoleoni – a partire dalla moneta elettronica, in prevalenza usata, secondo gli analisti del settore, per i giochi di azzardo e la pornografia. E poiché la territorialità non può essere applicata nel cyberspazio è proprio lì che fiorisce l'imprenditoria canaglia, collegata attraverso canali molto coperti a altre attività magari ai margini della legalità, se non entro la legalità, in un intreccio senza frontiere. Facciamo un esempio. Una delle versioni delle email trappola (phising) inviate a nome delle Poste italiane, con le quali si cerca di estorcere all'ignaro navigante password e dati personali, si appoggia a un provider americano, ma attivando il comando proprietà di Outlook Express si scopre che l'autore scrive in cirillico.
Un altro esempio dirompente della matrix del mercato è l'anarchia che vige sui mari e sotto i mari. Come nel caso del racket sul pesce del Baltico gestito dalla mafia russa, che sfora qualsiasi quota annuale prevista e che trasborda i carichi in navi battenti bandiere di comodo, magari mongole.58 Ora, la Fao ha calcolato che il 75% delle riserve mondiali di pesce è a rischio, mentre il 25% delle riserve sono esaurite, ma le stesse società multinazionali che vendono prodotti congelati ammettono di non essere in grado di controllare la filiera di produzione e di dire se essi provengono da pesca illegale. Dove, occorre chiarire, il concetto di legale non è solo collegato allo sfondamento delle quote di pesca e al mancato rispetto delle acque territoriali, ma anche al fatto che interi equipaggi stanno in mare per due e tre anni, specialmente nell'Atlantico ma anche altrove, senza sbarcare, privati dei documenti personali, tenuti in condizioni igieniche e con turni di lavoro impossibili e il cui pescato viene regolarmente prelevato da altre carrette del mare o da modernissime navi frigorifero per la lavorazione finale e l'immissione sul mercato. Insomma, un'altra condizione lavorativa di semischiavitù, se non di vera e propria schiavitù, che sembra sia soprattutto praticata dalle navi che debbono rifornire l'enorme mercato cinese, molto spesso a cura della Triade. Ma il cuore della pesca canaglia è l'Europa, dove quasi tutto il pesce di frodo pescato (400 mila tonnellate l'anno) passa per le Canarie per essere poi smistato in tutto il mondo. Per il quadrilatero mediterraneo che comprende Spagna, Francia, Italia e Libia sono la mafia marsigliese e quella siciliana a curare le triangolazioni e i trasbordi di pescato, così da rendere difficile individuarne la provenienza.
Inoltre, c'è un'affinità tra la finzione del ritorno della moda dei pirati, dovuta all'industria cinematografica, e la realtà. La pirateria sui mari, quella vera, moderna e perfettamente organizzata, sarebbe cresciuta del 168% nell'ultimo decennio. Il grosso del bottino proviene dall'Asia con guadagni stimati di circa 16 miliardi di dollari. Il fatto è che "spesso i pirati lavorano direttamente con compagnie regolari che operano in paesi dove la lotta alla pirateria non esiste", come nel caso della Cina o della Birmania. La merce razziata si vende in contanti e viene distribuita in tutto il mondo; nessuno fa domande sulla sua provenienza.
L'anarchia sotto il mare è ancora più impressionante. A parte l'inquinamento dovuto alle discariche e ai fiumi che producono morie e mutamenti genetici nei pesci, ci sono ovviamente i disastri procurati dalle petroliere e dalle perdite dei pozzi petroliferi offshore, ma anche gli antibiotici somministrati nei vivai e l'inabissamento illegale, spesso gestito da organizzazioni criminali in collegamento con governi e multinazionali, di rifiuti tossici.59 Insomma, anche "il caos che domina i mari porta la firma dell'economia canaglia".
Ma l'economia canaglia e i conseguenti disastri non sono stati alimentati soltanto da un'economia privata alla ricerca di un profitto senza regole. Il caso degli aiuti dei paesi industrializzati ai paesi più poveri e la storia delle politiche fino ad oggi adottate stanno a dimostrare come spesso, per capire come mai siano esplose tragedie e carneficine locali, sia necessario rivolgersi al nord America e all'Europa. Esamineremo in un successivo percorso i meccanismi e le regole ineguali vigenti nel commercio internazionale, qui prendiamo in esame con l'autrice solo l'aspetto dei rapporti finanziari tra stati, per cui "storicamente gli aiuti stranieri all'Africa si rivelano una forza canaglia che finanzia soprattutto il terrorismo". Per esempio, nei noti casi dell'Etiopia, della Somalia (paesi in cui è stata coinvolta pesantemente anche l'Italia) e del Sudan i soldi trasferiti sono serviti in parte (come in tutti gli altri casi) a finanziare le forniture di aziende occidentali e in parte ad armare e a rendere ricchi gruppi armati locali, e a volte feroci dittature. Se gli standard internazionali dicono che circa il 5% degli aiuti vengono dispersi e utilizzati per tutt'altro fine dell'aiuto alle popolazioni (arricchimento dei potentati locali e armamenti), nel caso dell'Africa tale percentuale sale realisticamente al 20%, quando non va oltre. Napoleoni è molto severa anche nel giudizio dato sulle periodiche campagne promosse da noti personaggi del mondo dello spettacolo a favore dei paesi più poveri, documentando i casi in cui i soldi impiegati sono soprattutto serviti a alimentare le guerre civili e tribali e hanno aggravato i problemi economici preesistenti. L'economia canaglia si impadronisce facilmente delle risorse prima che pervengano alle popolazioni interessate o subito dopo. Invece di "lavarsi la coscienza" con le donazioni private e pubbliche sarebbe molto più saggio, attraverso iniziative mirate, incoraggiare l'autogoverno e la capacità di crescita delle economie locali, responsabilizzare le popolazioni e saltare la intermediazione delle autorità. Così come sarebbero davvero più efficaci regolamenti commerciali che non favoriscano i paesi più ricchi (ne vedremo in seguito alcuni meccanismi) e sostenere politiche commerciali che diminuiscano i dazi. Se molti leader africani, piuttosto che il sostegno finanziario, chiedono il trasferimento di tecnologie e l'adozione di regimi commerciali più equi è anche perché alcuni economisti hanno dimostrato che "per ogni dollaro che raggiunge il continente tre restano nel paese di origine". I meccanismi economici sono tali che "più un paese riceve denaro più sprofonda nella povertà", come nel caso del Kenya e della Tanzania, mentre più gli si consente di valorizzare le risorse domestiche più cresce il reddito, come nel caso del Botswana.
Anche la politica del terrore ha due risvolti, quello della minaccia reale del terrorismo e quello della politica della paura adottata da molti governi occidentali per fini che non hanno nulla a che fare con la sicurezza dei cittadini, se non quella di una sicurezza strategica dei rapporti di forza esistenti (controllo delle risorse di paesi terzi, perpetuazione del predominio e dell'assenza di regole condivise, consenso e controllo della popolazione interna). Per quanto riguarda il primo risvolto, "la probabilità che americani ed europei cadano vittime di un attentato terroristico internazionale – scrive l'autrice sulla scorta di studi specialistici – erano maggiori nel passato". Cioè, dagli anni ottanta del secolo scorso, con l'eccezione dell'11 settembre. Non solo le statistiche stanno lì a dimostrarlo, ma anche le contromisure adottate, specialmente nel caso del traffico aereo, sono solo polvere negli occhi (peraltro costosissima per l'economia), perché la difesa dei reali punti deboli del sistema che i terroristi potrebbero prendere di mira sono troppo costosi per essere protetti. La manipolazione delle cifre e degli allarmi da parte dei politici, specialmente americani e inglesi è continua.60 Eppure, è stato il senatore americano John McCain a dichiarare: "provate a calcolare la probabilità di essere feriti da una terrorista. È più facile essere trasportati al largo da una mareggiata". Per l'autrice, la causa dell'esasperazione della paura e delle politiche per alimentarla è dovuta all'emergere di una nuova realtà geopolitica: lo stato-mercato che si è sostituito allo stato-nazione a seguito del processo di globalizzazione, dove lo stato-mercato è "uno stato in sé quasi interamente spogliato dalla politica". Il processo ha travolto le tradizionali posizioni sia di destra sia di sinistra e mentre il capitale si muove ormai globalmente "la manodopera occidentale rimane immobile". Anzi, come abbiamo visto, viene spiazzata da un mercato del lavoro divenuto globale. Uno stato, per esistere deve "affrontare un doppio problema: uno di razionalità e uno di legittimità". La risposta finora formulata dalle élites politiche occidentali è il populismo e la creazione di mitologie artificiali. Qui il ragionamento dell'autrice si addentra in considerazioni sociologiche e nei casi politici internazionalmente più noti che sarebbe troppo lungo riportare, ma li classifica come esempi di creazione di un nuovo tribalismo, categoria che le serve per spiegare alcuni fenomeni di comportamento politico- sociale.
Una esauriente descrizione della vita che si svolge nei barrios o slums delle varie parti del mondo è illuminante.61 In tutti i casi il controllo del territorio è fondamentale. Le maras o pandillas, nella California meridionale, come la Mara 18 di Los Angeles - nate per proteggere gli ispanici da altre bande etniche e poi trapiantate nel Centro America a seguito delle espulsioni di massa ordinate dal governo americano agli inizi degli anni novanta - hanno preso il controllo delle baraccopoli annacquando la loro fisionomia etnica originaria e diventando bande criminali transnazionali collegate ai signori della droga. Oggi controllano in modo predatorio gli abitanti dei barrios, con gli stessi connotati della 'ngrangheta e della mafia bulgara. Sull'altra sponda dell'Atlantico, in Nigeria, gli Area Boys hanno una estensione simile, taglieggiando con tasse stradali gli automobilisti. Ma la proliferazione delle bande colpisce anche tutti i quartieri periferici delle grandi città occidentali. Sono le condizioni di vita di queste zone e l'incapacità o l'indifferenza di quello che l'autrice chiama lo stato-mercato a permettere che "le famiglie a basso reddito finiscano per pagare migliaia di dollari in più rispetto a quelle ad alto reddito per fare fronte alle esigenze quotidiane, per il solo fatto di essere povere e vivere nei ghetti". Le bande giovanili, nelle quali si entra per paura e per difendersi, costituiscono un universo chiuso dotato di regole proprie e di un fortissimo connotato territoriale, e dalle quali è possibile uscire solo da morti. Per non tacere del fatto che in un recentissimo rapporto presentato all'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), si documenta che essere poveri un una città ricca significa vivere vent'anni di meno, anche nel ricco Nord, come nel caso di Glasgow. Se in tutto il mondo venissero raggiunti gli standard di mortalità infantile dell'Islanda, 6,6 milioni di bambini nel mondo eviterebbero la morte.62
C'è qui un richiamo a forme di esistenza e di psicologia di massa come sottoprodotto e modello degradato a un livello inferiore di potenza, ma non per questo meno inquietante, che cercano nelle identità, inventate o ancestrali che siano, un collante forte nei vari segmenti sociali e territoriali. Tuttavia, si tratta di un atteggiamento per molti versi mutuato dal vivere solo nel presente, le cui radici stanno nelle modalità funzionali del turbocapitalismo. Infatti, "il confronto quotidiano con la morte induce i membri delle bande a vivere alla giornata, nel momento e per il momento. La modellizzazione politica occidentale è a loro del tutto estranea, ma sono molto vicini al concetto cinese per cui niente è permanente e tutto è immediato. Un universo in cui il presente è l'unica dimensione esistenziale dell'individuo". Queste parole riecheggiano gli allarmi di Aldo Schiavone richiamati all'inizio dei nostri itinerari di lettura.
L'autrice compie un rapido excursus storico sulla nascita e sul riemergere nell'era della globalizzazione del tribalismo, cioè sulla rinascita di società chiuse in opposizione e come difesa dai pericoli e dalla incomprensibilità delle minacce esterne. Usa un concetto estensivo di tribalismo moderno, il quale sembrerebbe "in grado di nascere da tutto ciò che accomuna un gruppo di persone, dalla musica allo sport, dalla religione alla criminalità. Gli ingredienti necessari sono l'economia canaglia, la globalizzazione e i potenti miti attorno a cui creare l'identità della moderna tribù", come nel caso del calcio. Si tratta di una riflessione che avrebbe forse richiesto una trattazione ben più estesa, articolata e antropologicamente motivata, ma fa certamente pensare il fatto che questi fenomeni abbiano trovato una nuova vitalità in estranea opposizione alla formazione di una fascia di popolazione cosmopolita presente in quasi tutti i paesi, ben inserita nel processo di globalizzazione, e tendente agli stessi gusti e a un medesimo stile di vita. Una specie di neotribalismo anch'esso.
Ciò che lascia perplessi è il passaggio, abbastanza repentino, che l'autrice compie dal tema del tribalismo come sottoprodotto della globalizzazione all'apprezzamento della finanza islamica, informata ai principi della sharia, come una delle possibilità di riscatto del mondo futuro da una globalizzazione iniqua. "Ogni prodotto finanziario di tipo occidentale ha il suo corrispettivo islamico: microfinanza, mutui, investimenti di petrolio e gas, costruzione di ponti, perfino la sponsorizzazione di eventi sportivi può essere strutturata nel rispetto della sharia (legge islamica)". Iniziata dopo la metà del secolo scorso, oggi essa è attiva in settanta paesi e movimenta un valore di circa 500 miliardi di dollari.
Ma in cosa consisterebbe la sua ispirazione ai principi dell'islamismo? Intanto, segue il principio comunitario islamico – e perciò neotribale, secondo la stessa definizione dell'autrice – in quanto si rivolge alla umma, cioè alla comunità dei credenti che "respira, pensa e prega all'unisono". Inoltre, proprio partendo dalla tradizione musulmana, cerca di impostare una "condivisione del rischio" tra creditore e debitore costituendo tra loro una forma di società e immettendo nel rapporto economico una forte componente sociale. Il suo codice etico, infine, incorpora alcune prescrizioni religiose per cui sono vietati investimenti "nella pornografia, nella prostituzione, nei narcotici, nel tabacco e nel gioco d'azzardo", oltre che gli investimento meramente speculativi. In sostanza, tutte quelle attività che rappresentano la base più consistente dell'economia canaglia. Perciò, secondo l'autrice, la finanza islamica sarebbe l'unica "vera forza globale che si oppone attivamente agli imprenditori dell'economia canaglia". Per essere commerciato, un prodotto finanziario islamico ha bisogno di essere corredato di una fatwa religiosa che ne certifichi la rispondenza ai principi etici. Il fenomeno ha avuto un'accelerazione allorquando la Malesia, probabilmente ammaestrata dai disastri compiuti in Russia e altrove dal Fondo monetario internazionale, rifiutò le sue ricette per uscire dalla crisi e si appellò al popolo musulmano di tutti i paesi perché la sostenessero con la loro solidarietà e con un mercato obbligazionario parallelo alimentato dalla finanza dei paesi musulmani più ricchi. Di fatto, la Malesia uscì dalla crisi a dispetto di tutte le previsioni dei tecnocrati e delle borse occidentali.
Sullo sfondo, espressamente teorizzato o tacitamente sottinteso, c'è il mito della ricostituzione del califfato musulmano, con il meccanismo dell'economia che farebbe da battistrada anche ad un altro mito proveniente dalla memoria storica islamica: l'adozione del dinaro d'oro come mezzo transnazionale di pagamento non soggetto al dominio di Washington e occidentale, in quanto ancorato all'oro. In questa direzione c'è già stato un concreto tentativo promosso dalla stessa Malesia, naufragato per l'opposizione degli Stati Uniti.63
Ora, la nozione di economia canaglia fin qui efficacemente illustrata dall'autrice ha purtroppo un raggio di applicazione ben più ampio del codice etico islamico di cui sopra; e, per quanto esso sia eticamente apprezzabile, non ci sembra davvero in grado di contrastarla e di offrire un'alternativa credibile alla correzione degli suoi aspetti ripugnanti e ingiusti. Tanto per fare qualche esempio, non sembra proprio che la finanza islamica sia più razionale del turbocapitalismo nei suoi rapporti con l'ambiente o nella politica internazionale o nel trattamento dei diritti umani e di chi lavora.64
Il tribalismo moderno di cui parla Napoleoni è senz'altro una forma di "reazione naturale di autodifesa degli abitanti del villaggio globale all'economia canaglia". Ma, per quel che ne sappiamo, nessuna forma di tribalismo è in grado di contrastare davvero comportamenti considerati devianti, se non a spese dell'autonomia e della dignità della persona. È una ennesima forma di comunitarismo che ben presto diviene coatto restringendo in una gabbia di ferro di usi, credenze e comportamenti la libertà di pensiero e anche quella personale, senza risolvere i problemi dell'equità e della giustizia.
* Rimane perciò aperta la questione della radicale transizione-mutazione in corso e dei suoi esiti. Converrà approfondirla a partire da più dettagliati saggi sull'attuale situazione ambientale e del mercato. Se, come abbiamo detto, si può nutrire fiducia nelle prospettive umane a lungo termine, ciò che è più oscuro e di difficile soluzione è il meccanismo e il passaggio attraverso i quali la specie umana potrà superare una crisi evolutiva senza precedenti nella memoria storica, ma ben presenti nella storia dell'evoluzione. E qui, il pessimismo ha molte ragioni per convivere con l'ottimismo di prospettiva, perché è possibile che sia troppo tardi, anche per i timidi tentativi di controllare o rallentare i mutamenti climatici in atto e per evitare il collasso, come vedremo con i prossimi libri.

Per i testi citati in questi primi tre percorsi, vedi nelle note; i testi recensiti sono: libri

continua nel prossimo Labirinto

NOTE:
1 Luca Francesco Cavalli-Sforza, Evoluzione, un futuro complicato, in la Repubblica, 16 luglio 2008. 2 Vedi § 2. La mercatizzazione del mondo in questo Labirinto.
3 La questione è soprattutto affrontata nel libro di Stuart Kauffman, Esplorazioni evolutive, Torino, Einaudi, 2005, pp. 377, di cui riparleremo.
4 Vedi § 8. Il destino dell’umanità in un prossimo Labirinto.
5 In W. Sachs e T. Santarius, vedi § 5. Conflitti per l’equità in un prossimo Labirinto.
6 In W. Sachs e T. Santarius, vedi § 5. Conflitti per l’equità in un prossimo Labirinto.
7 Amartya Sen, Identità e violenza, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 221; discusso nel precedente Labirinto III. Il trono, l’altare e al-minbar, ottavo percorso: la questione dell’identità.
8 Vedi il § 6. Sviluppo vs decrescita? in un prossimo Labirinto.
9 Vedi § 5. Conflitti per l’equità in un prossimo Labirinto.
10 Vedi § 5. Conflitti per l’equità in un prossimo Labirinto.
11 Guido Rossi, Così il supercapitalismo uccide la democrazia, su la Repubblica dell’8 maggio 2008, a commento del libro di Robert Reich, Supercapita lismo. Come cambia l’economia globale e i rischi per la democrazia, Roma, Fazi, 2008, pp. 317. Ma, osserva Rossi, il pur apprezzabile libro di Reich "tradisce il difetto di certa cultura americana, in base alla quale le crisi finanziarie sono delle malattie temporanee che in qualche modo si risolvono. Di conseguenza il sistema americano non è non può essere oggetto di discussione, perché è il solo che può garantire sviluppo economico e globalizzazione". Nel libro, continua Rossi, è quasi del tutto assente il riferimento all’attuale capitalismo finanziario, che pure rappresenta la novità dirompente della fase attuale; inoltre, Reich sembra concentrare la propria attenzione "solo sulla concorrenza sfrenata che ognuno di noi vuole come consumatore", senza mettere a fuoco il ruolo delle grandi Corporations e della stessa struttura dei mercati.
12 Vedi § 6. Sviluppo vs decrescita? in un prossimo Labirinto.
13 E. Bloch, Il principio speranza, Milano, Garzanti, 2005, pp. 1618.
14 Vedi § 7. Il destino dell’umanità in un prossimo Labirinto.
15 Vedi § 3. L’altra faccia dell’economia in questo Labirinto.
16 Delle rivendicazioni di una parte del cattolicesimo democratico sulla funzione del cattolicesimo come levatrice del capitalismo, in polemica con la classica interpretazione weberiana (peraltro, anch’essa inattendibile), vedi il cap. 13 La Chiesa e la modernità del mio libro Religione e no, edito nel 2008 anche su Lulu.com in formato .pdf; presentazione in Lupo della steppa.
17 Dopo la metà del Seicento l’Olanda era riuscita ad armare una flotta "di seimila velieri, con 600 mila tonnellate di carico e 48 mila marinai" e offriva servizi nautici agli spagnoli per trasportare l’argento che serviva loro per la guerra nelle Fiandre.
18 Per non tacere che con l’Inquisizione e la Controriforma del Concilio di Trento la Chiesa ha stroncato la libertà di pensiero e di ricerca in Italia, spegnendo il lume della discussione e della scienza, con effetti che si avvertono ancora. Del resto, già da tempo la Chiesa considerava la nascente borghesia un "classe sovversiva e tutta impastata di desideri peccaminosi e di idee eretiche che dilatando - con la sua bramosa ricerca di guadagni e di piaceri mondani – la sfera del secolo, lavorava di fatto a estendere il regno di Satana". [L. Pellicani, Le radici pagane dell’Europa, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007, pp. 212]. Lo citiamo non per polemica pregiudiziale ma perché in alcuni degli attuali filoni terzomondisti e di critica ambientalista, come vedremo più avanti, risuona talvolta l’eco di quelle antiche maledizioni.
19 Sui ruggenti anni novanta, vedi anche il libro di J. E Stiglitz, I ruggenti anni Novanta. Lo scandalo della finanza e il futuro dell'economia, [recensione].
20 E. D. Beinocker, The Origin of Wealth: Evolution, Complexity, and the Radical Remaking of Economics, Harvard Business School Press, Boston, 2006: rielaborazione dell’autore.
21 J. E. Stiglitz riporta un giudizio ancora più severo sugli effetti di impoverimento della globalizzazione. Vedi § 7 Riformare la globalizzazione in un prossimo Labirinto.
22 Si trattava di Carlo Callieri, nel suo dialogo con Bruno Trentin, Il lavoro possibile. Prospettive di inizio millennio, Torino, Rosemberg&Sellier, 1997, pp. 92.
23 Su questo punto è ancora valido il vecchio saggio di un democratico liberale come Robert A. Dahl, La democrazia economica, Bologna, il Mulino, 1989, pp. 146 [recensione]
24 Bruno Trentin, La città del lavoro. Sinistra e crisi del fordismo, Milano, Feltrinelli, 1997, pp. 270.
25 Vedi § 3. L’altra faccia dell’economia in questo Labirinto.
26 Su questi temi vedi anche gli articoli su steppa.net che Ornella Cilona viene scrivendo.
27 Andrebbe esaminato anche il caso italiano, nel quale, favorito da un mancato governo dell’ingresso nell’euro oltre che dai processi accaduti negli altri paesi, si è verificato negli ultimi decenni un gigantesco trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto, che ancora continua, con uno spostamento sensibile verso le professioni e le attività in grado di formare un prezzo libero. Si tratta del problema di fondo italiano, ossia della potenza di quegli interessi corporativi che tengono alta l’inflazione nei settori della distribuzione e dei servizi, deprimendo il potere d’acquisto di salari e pensioni. Se l’incremento di produttività in Italia è stato inferiore a quello avvenuto in altri paesi (in particolare, nel periodo 1998 – 2007), ciò è dovuto soprattutto all’assenza di investimenti innovativi, come è documentato da tutte le rilevazioni, specialmente nel campo della ricerca scientifica, quale che sia stato il governo al potere. In ogni caso, nel periodo 1993 – 2006 l’incremento di produttività è stato del 16,7%, ma l’87% è andato alle imprese e al lavoro solo il 2%. Nell’ambito di questo scarso 2% una quota assai elevata, poi, è andata ai quadri e ai dirigenti. Il Rapporto Ires 2007 documenta che nel periodo 2002 – 2007 la retribuzione dei dirigenti ha registrato 6 punti in più rispetto al lavoro dipendente. Anche in questo campo c’è stato quindi un effetto di ridistribuzione verso l’alto. "Tutto questo ha portato ad una situazione che vede il nostro paese registrare delle retribuzioni medie più basse di quelle degli altri maggiori paesi europei" - continua il rapporto dell’Ires. Naturalmente, si continua a invocare la competitività come il problema centrale per tenere i salari a livelli minimi, con l’effetto di deprimere il mercato interno oltre al tenore di vita di fasce sempre più estese di popolazione. In genere, l’imputato sono le ore lavorate (vedi gli ultimi provvedimenti governativi sulla detassazione degli straordinari che puntano proprio su questo problema) e il differenziale rispetto agli Stati Uniti. Ma, ha chiarito l’economista Tito Boeri nell’articolo Europei oziosi? che "nel complesso, i dati suggeriscono che la ragione principale per cui gli europei lavorano meno degli americani è che molte persone in Europa non lavorano affatto. Certo, il lavoratore medio europeo ha una settimana lavorativa più breve – e meno settimane lavorative in un anno – dei colleghi americani. Ma questo non è il fattore più importante". Mentre invece la presenza dell’Italia sui mercati esteri non è affatto depressa pur rimanendo confinata in produzioni a non elevato livello tecnologico e con una frammentazione imprenditoriale che è il suo più evidente punto debole. Che la cose stiano così è documentato dall’ultimo indice TPI (Trade Performance Index) elaborato dall’ONU e dal WTO, per cui la competitività italiana è seconda nel mondo solo a quella tedesca. Insomma, agli alti profitti degli ultimi anni, si risponde non con l’incremento dei salari, ma con gli alleggerimenti fiscali (naturalmente usufruiti di nuovo anche dal capitale, e assai parzialmente dal lavoro). Il che significa che questa manovra è pagata da tutta la cittadinanza invece che dal capitale, al prezzo di una diminuzione dei servizi e delle prestazioni. In buona sostanza, si tratta di un’ulteriore trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto. La cosa impressionante è che non appaiono linee di politica economica capaci di proporre un mutamento di tendenza, nemmeno nell’opposizione: anche in questo caso si tende a ridurre tutta la questione a un problema principalmente fiscale invece che strutturale.
28 La candidatura di Barak Obama negli Usa non scioglie ancora, nella sostanza, il bloccaggio della società americana. Anche in Italia, l’eredità della provenienza sociale pesa come un macigno sulla possibilità di ascesa dei ceti con condizioni di partenza meno favorite, ragione tra le principali per cui il nostro paese di presenta come imbalsamato, scarsamente capace di innovazione e di fiducia nel futuro. Tutte le battaglie finora fatte per introdurre una modifica del welfare state per metterlo in condizioni di favorire l’uguaglianza delle opportunità di partenza, a partire dal diritto allo studio, hanno ottenuto scarsi risultati.
29 Vedi § 7. Riformare la globalizzazione in un prossimo Labirinto.
30 In L. Napoleoni, Economia canaglia, vedi § 3 L’altra faccia dell’economia in questo Labirinto. L’altra faccia dell’economia in questo Labirinto. Per quanto riguarda l’Italia, sono note le denunce sui livelli retributivi della cosiddetta casta sommersa, nella polemica sulla casta politica, la quale ultima avrebbe livelli retributivi più o meno comparabili con quelli degli altri paesi industrializzati ma con alti livelli di corruzione, mentre gruppi alti dirigenti pubblici e anche privati e migliaia di consulenti spesso sfondano i tetti dei livelli fissati negli stessi Stati Uniti, particolarmente in campo pubblico. Ma qui si aprirebbe un tema di analisi troppo vasto per il contesto di questo Labirinto.
31 G. Ruffolo, Padroni stile padrini, L’Espresso del 24 luglio 2008. Per il libro di R. Reich, vedi nota precedente; l’altro libro citato nell’articolo è di Kelvin Phillips, Ricchezza e democrazia. Una storia politica del capitalismo americano, Milano, Garzanti, 2005, pp. 682. Per l’Italia, basta ricordare i casi della Parmalat, della Cirio e dei bond argentini, per poter parlare della nuova figura sociale del "risparmiatore truffato", nel senso che si tratta di un fenomeno di massa.
32 Per non tacere dei fallimenti di alcuni manager di società pubbliche italiane, costati milioni di euro alla collettività e ricompensati con ricchi stipendi e liquidazioni. Come nel caso dell’Alitalia i cui costi ora verranno pagati dai risparmiatori e comunque da soldi pubblici.
33 Chi ha parlato di rapina a mano armata, nel caso della Enron, è stato Arthur Lewis, per anni direttore dell’organo di vigilanza americano sulla borsa. Ma almeno negli USA è stata subito adottata una legislazione più restrittiva, mentre nel caso italiano si è depenalizzato il falso in bilancio, che è come invitare gli amministratori a imbrogliare i risparmiatori.
34 Per l’economista Nouriel Roubini, "la devastante crisi finanziaria che, associata a quella economica, minaccia di mettere in ginocchio interi continenti e di modificare per sempre il nostro modo di vivere, ha cause precise che possono essere sinteticamente elencate: un modello di business basato sul cosiddetto originate and distribute (creare [prodotti finanziari complessi] per poi rivenderli immediatamente a qualcun altro) - ossia la versione di lusso del gioco del cerino acceso". [da altrenotizie.org]
35 Vedi § 6. Sviluppo vs decrescita? in un prossimo Labirinto.
36 Vale la pena di precisare che la nozione di classe media utilizzata in Italia è molto più approssimativa della nozione americana, dove per classe media si intende il lavoro salariato, ossia subordinato, ma stabile.
37 Per alcuni altri aspetti del fenomeno, per esempio in Cina, si veda il libro di Federico Rampini, L’impero di Cindia, Cina, India e dintorni: la superpotenza asiatica da tre miliardi e mezzo di persone [recensione] e anche, per un panoramica più generale sul continente Cina, il libro di Renata Pisu, Cina. Il drago rampante. Tra modernità e tradizione un paese alla ricerca di una nuova identità [recensione].
38 Alla fine del 2007, a Bali è stato raggiunto un inaspettato accordo per discutere un nuovo protocollo di Kyoto (Kyoto II), che è in corso di elaborazione, che dovrà essere sottoscritto nel 2009 durante il meeting di Copenhagen e che dovrà essere vincolante a partire dal 2013. La novità consiste nella retromarcia di Washington, che all’ultimo momento ha sottoscritto l’accordo dopo essersi opposta e nella estensione del protocollo anche ai Paesi in via di sviluppo, nel passato esclusi dagli obblighi di Kyoto. Non è stato fissato alcun limite preliminare alle emissioni nocive, ma si è trovato un accordo per costituire un Fondo di adattamento per aiutare i Paesi più poveri; per dare appoggio tecnologico e finanziario ai paesi in via di sviluppo, in modo da aiutarli a ridurre le emissioni di gas responsabili dall'effetto serra; per riconoscere degli indennizzi ai paesi poveri per la tutela del proprio patrimonio boschivo.
39 Vedi § 6. Sviluppo vs decrescita? in un prossimo Labirinto.
40 Immaginiamo che Ruffolo si riferisca soprattutto al libro di Umberto Galimberti, Psiche e techne, Milano Feltrinelli, 2000, pp. 812, al quale, come ad altre opere consimili, sarà opportuno dedicare prima o poi un Labirinto.
41 J. E. Stiglitz, vedi § 7 Riformare la globalizzazione in un prossimo Labirinto.
42 In questo stesso sito, vedi una più breve recensione del libro di Loretta Napoleoni.
43 Per esempio, la mafia libanese controlla la prostituzione a Berlino e Amburgo, il PKK curdo la controlla a Colonia, e naturalmente si potrebbe continuare con vari paesi e città.
44 Gli hedge funds sono fondi speculativi, all’origine della gran parte delle bolle finanziarie (una delle attività correnti è la vendita allo scoperto, scommettendo su futuri ribassi); i private equity sono fondi di investimento che, magari attraverso l’accensione di debiti, rilevano aziende non per gestirle ma per venderle, anche in parti separate (lo spezzatino) ripagandosi dell’acquisto e lucrando un profitto. Qualcosa di molto simile sta avvenendo per l’Alitalia. 45 Vedi § 7. Riformare la globalizzazione in un prossimo Labirinto.
46 Citato da E. Warren e A. Warren Tyagi, The Two-Income Trap: Why Middle-Class Mothers and Fathers are Going Broke, New York, Basic Book, 2004. Secondo le autrici il 90% dei fallimenti riguarda il ceto medio.
47 Il libro di Jan Pen è del 1971, ma da allora la situazione è sensibilmente peggiorata con una polarizzazione sociale ancora più accentuata, per cui l’ultima frazione di sfilanti raggiungerebbe altezze ancora maggiori.
48 Nel 2001 il Governo italiano emanò il decreto per il rientro dei capitali dall’estero. Forse sono anche i traffici loschi che hanno concorso a spingere tanto in alto il valore dell’euro.
49 Però il caso della Cina andrebbe meglio approfondito, altrimenti non si possono spiegare molti dei fenomeni apparentemente nuovi che sembra produrre. Ne riparleremo nel corso del § 6 Sviluppo vs decrescita? in un prossimo Labirinto.
50 Magari, una lettura del libro di Roberto Saviano, Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Milano, Mondadori, 2006, pp. 331, anche per queste ragioni, sarebbe bene farla. Ci si rende bene conto dei legami diretti e indiretti che legano le griffe alle varie gradazioni del lavoro di subappalto e del contesto sociale in cui prosperano questi fenomeni. Vedi anche la recensione di Giovanna Corchia del libro su questo stesso sito.
51 Vedi § 7. Riformare la globalizzazione in un prossimo Labirinto, nel quale torneremo anche sulla questione dei brevetti.
52 Ci si sarebbe aspettato che di fronte ad una simile barbarie la Chiesa, che non esita a intervenire di continuo sulle questioni del corpo, considerandolo proprietà di Dio e non personale, avesse scatenato sulla questione una battaglia senza quartiere. Non ci pare che si sia andati molto al di là di qualche tiepida condanna. Sul tema del commercio biologico si può vedere J. Rifkin, Il secolo biotech. Il commercio genetico e l’inizio di una nuova era, Roma, Baldini, Castoldi, Dalai, 2003, pp. 382, in cui sono riportati molti casi, anche di controversie legali, relativi alla brevettazione dei geni. 53 Vedi § 5. Conflitti per l’equità in un prossimo Labirinto.
54 Dati tratti dal libro di Riccardo Staglianò, L’impero dei falsi, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp., 204.
55 Sui problemi del lavoro in relazione alla globalizzazione e al rispetto dei diritti umani e sindacali, si veda il Rapporto del 2006 (annuale) sulla violazione dei diritti internazionali a cura della Cisl internazionale. Secondo il rapporto 2008, dell’Oil, sulle Tendenze mondiali dell’impiego il 49,9% degli impieghi nel mondo sono vulnerabili, ossia non godono di nessuna protezione sociale e sono del tutto privi di reti di sicurezza. In questa percentuale non sono compresi i disoccupati e i lavoratori sottopagati o in nero. La parte preponderante di tali lavoratori è al di fuori delle economie sviluppate. 56 Vedi § 5. Conflitti per l’equità in un prossimo Labirinto.
57 Una curiosità, per definirla così. "Gli addetti all’obitorio di Londra dichiarano che la decomposizione dei cadaveri è rallentata dall’alta percentuale di conservanti ingeriti".
58 Questo è davvero un altro caso, ma non è il solo, dell’assurdità degli attuali assetti e regolamenti internazionali. La Mongolia, che come è noto è piuttosto lontana dal mare, possiede sulla carta una flotta mercantile superiore a quella dell’Australia.
59 "Almeno il 47 per cento delle scorie europee è tossico, come i rifiuti elettronici, dai vecchi computer ai cellulari rotti". I rifiuti vengono suddivisi in riciclabili e non riciclabili; i primi finiscono in Cina e India, i secondi in Africa (Nigeria e Somalia), "la discarica del mondo". Alcuni autori hanno calcolato che ogni anno almeno cinquecento navi fanno rotta verso la Nigeria cariche di materiali tossici. I pirati (non si possono che definire così), approfittando della scarsa sorveglianza e delle carenze o dell’inesistenza di un governo centrale, scaricano i rifiuti nel mare circostante, quando non anche a terra.
60 Di Loretta Napoleoni e Bee G. Ronald, è recentemente uscito un libro specifico sull’argomento I numeri del terrore. Perché non dobbiamo avere paura, Milano, il Saggiatore, 2008, pp 143, nel quale, sulla scorta dei dati statistici ufficiali, si ribadisce la tesi di un uso strumentale da parte dei governi occidentali di una minaccia che colpisce soprattutto il Medioriente.
61 Nel libro di W. Sachs e T. Santarius (§ 5. Conflitti per l’equità in un prossimo Labirinto), si calcola, sulla scorta di analisi internazionali, che già oggi circa un miliardo di persone (il 16.6% della popolazione mondiale) vive nelle grandi, povere ed emarginate periferie urbane, teatro di un vita intessuta di povertà, di violenza, di arte di arrangiarsi e di condizioni ambientali disumane.
62 Vedi il testo completo del Rapporto finale in Commission on Social Determinants of Health - Final Report. Closing the gap in a generation: Health equity through action on the social determinants of health 63. L’origine della finanza islamica è in alcune teorizzazioni fondamentaliste, specialmente dei Fratelli Musulmani. Va comunque segnalata la dichiarazione che "diversi analisti prevedono che nel 2010 il giro d'affari toccherà il trilione di dollari, crescendo ogni anno del 15%. Un business che non è stato compromesso, se non marginalmente, dalla crisi dei mutui subprime". [da Il Sole/24 ore del 5 febbraio 2008] 64 Per un qualche maggiore ragguaglio sulla questione dell’islam e sui suoi rapporti con i diritti umani, che è un’altra area grigia di questa cultura, si vedano anche i capitoli dal 6 al 9 del mio già citato Religione e no.

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