2. Note critiche:
La nuova questione sociale

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I nuovi caratteri della questione sociale sono determinati, nell'essenza, dalla metamorfosi del lavoro, nella fase della cosiddetta globalizzazione liberista. La rivoluzione informatica, la piena liberalizzazione del mercato dei capitali, il collasso dell'URSS - i tre fenomeni che hanno segnato la fine del secolo - sono alla base della metamorfosi del lavoro, sia a livello micro,dell'impresa, sia a livello macrodel mondo: condizioni tecnologiche, economiche, politiche. La rivoluzione informatica ha reso possibile un nuovo modo di produrre; la liberalizzazione del mercato dei capitali, come l'artiglieria pesante nelle guerre napoleoniche, ha ripulito il terreno e indicato le vie; il collasso del comunismo sovietico ha ridotto al minimo gli ostacoli politici; a quel punto, la marcia della cosiddetta globalizzazione liberista è diventata inarrestabile e il volto della nuova questione sociale ha preso la sua forma.

Beck               Castells               Castel

All'interno di tale contesto, si sono operati e sono all'opera, due giganteschi processi: una deconversione della società fordista in Occidente, una rivoluzione industriale in Oriente. La Cina è diventata la patria della manifattura. Deconversione e industrializzazione (con caratteristiche della prima rivoluzione industriale), a loro volta, hanno innescato processi sia di destrutturazione sia di sviluppo e di riequilibrio economico e politico, processi che hanno già disegnato e disegneranno sempre più la mappa del mondo, sia in termini di geoeconomia sia di geopolitica. Ma deconversione e neoindustrializzazione scorrono sullo stesso binario tecnologico, causa ed effetto allo stesso tempo,e configurano, per la prima volta, una politica del lavoro alla scala del mondo. La cosiddetta globalizzazione è infatti, prioritariamente e per la prima volta, una politica del lavoro alla scala del mondo.

L'effetto combinato di tale doppio processo ha determinato, nell'immediato, una drastica caduta del potere negoziale – sociale e politico - del lavoro, soprattutto in Occidente, dove cioè tale potere si era storicamente più sedimentato. Inoltre, la caduta del potere negoziale del lavoro ha trascinato con sé anche le due funzioni che il lavoro, il lavoro salariato e i movimenti che dal suo seno sono nati, hanno potentemente sviluppato: la funzione della eguaglianza sociale e la funzione della integrazione sociale.

A livello macro, il fenomeno più evidente è la competizione - strategicamente innescata e realizzata in poco più di venti anni - tra il mezzo miliardo di lavoratori che hanno costruito in oltre un secolo un forte e radicato potere negoziale e il miliardo e mezzo di nuovi lavoratori che lavorano a qualsiasi condizione. Il problema,smisurato, che sta davanti alla sinistra sociale e politica, riguarda la definizione di una strategia unificante di queste due grandi aree del lavoro, pena un precipitare insieme verso il basso della scala dei salari e dei diritti, per il dumping, per la pressione oggettiva e rovinosa, che, almeno nel breve periodo, esercita la condizione meno protetta sull'insieme della condizione del lavoro. Un passo iniziale nella giusta direzione è rappresentato dalla nuova legge sul lavoro della repubblica cinese. Ma va ricordato che tale passo si è realizzato nella totale ignoranza della sinistra politica e sociale della nostra parte del mondo; solo le grandi multinazionali presenti in Cina hanno premuto sul governo cinese, ma ovviamente per conservare la mano libera sul lavoro, tipica dei primi anni del loro insediamento.

La vicenda esemplifica meglio di altre la grande questione: nella situazione attuale, le condizioni di vita e di lavoro del proletariato europeo e americano, sono sfidate oggettivamente dal proletariato globale, che da esse si sente e si vede lontanissimo. Una strategia di unificazione sembra al di fuori di ogni possibilità. Ma dei punti di attacco sono individuabili e necessari, anche per gli effetti distruttivi che oggi sta assumendo tale processo nella condizione di lavoro dell'area di più antica industrializzazione. Il legame concreto e diretto tra queste due realtà è costituito dal nucleo già mondializzato della produzione (M. Castells) - nucleo che non è propriamente una entità metafisica - cioè dalle oltre centomila Corporations multinazionali, a cui fanno capo il milione e oltre di sussidiarie, per lo più europee e americane. L'alternativa oggi è sempre più stringente, dati gli effetti diretti di ritorno sulle condizioni di lavoro dell'Occidente: le centomila Corporations continuano ad essere il veicolo principale per aggirare - ristrutturando la produzione - l'ingombro del diritto del lavoro costruito con lunghe lotte in Occidente, oppure sono sfidate e condizionate a diventare il veicolo del miglioramento dei diritti e dei salari anche in queste nuove aree.

La vera sfida della globalizzazione, per la sinistra sociale e politica, sta nell'aprire questo conflitto, e, prima ancora nella volontà dell'ingaggiarlo, sapendo quali contraddizioni è necessario affrontare. Una delle principali è certamente data dalla presenza dei fondi pensione dei lavoratori all'interno del capitale delle Corporations, cioè della trasformazione - perseguita e accarezzata anche a sinistra - del risparmio previdenziale in risparmio finanziario nella doppia illusione, spazzata via dalla crisi e dalla autonomizzazione della finanza, sia di elevare i rendimenti e sia di condizionare, in termini di democrazia economica, le scelte produttive. Senza però ridelineare e reimpostare il discorso strategico nella sua interezza di implicazioni, lo scivolamento a destra - inteso come reazione di autodifesa - di masse sempre più estese di lavoratori è matematicamente garantito. All'accerchiamento oggettivo, infatti, la risposta spontanea non può che essere la reazione difensiva, particolarmente della parte più immediatamente esposta del mondo del lavoro.

A livello micro, della organizzazione della produzione, si afferma quella che Ulrich .Beck chiama la "destandardizzazione del lavoro". L'individualizzazione delle mansioni impone la mobilità, l'adattabilità, la disponibilità del lavoratore; di conseguenza anche gli stessi percorsi professionali diventano mobili, incerti. Certamente, il processo di individualizzazione ha in sé una ambiguità profonda; ma il tono generale, in un contesto di competizione esasperata, e sotto la minaccia incombente della disoccupazione, definisce un quadro in cui le storiche protezioni collettive vengono progressivamente erose e la condizione di lavoro precipita nella incertezza e quindi nella insicurezza sociale. Si riaffaccia, in maniera crescente, un modo di vivere che si pensava di aver lasciato alle spalle, il vivere "alla giornata", e che lo sviluppo delle protezioni sociali aveva di fatto cancellato. Infatti, in una società moderna industrializzata e urbanizzata, in cui le protezioni di prossimità, se non scomparse, sono molto indebolite, è solo l'istanza del collettivo che può rendere sicuro l'individuo. L'iscrizione o la reiscrizione degli individui all'interno di sistemi di organizzazione collettiva è stata la risposta ai rischi di disgregazione sociale veicolati dalla modernità.

Gallino               Gorz

Lo Stato-nazione e le categorie socio-professionali omogenee sono stati i due pilastri su cui fino agli anni Ottanta, cioè fino all'inizio del loro sfaldamento, si sono edificati i sistemi di protezione sociale, l'istanza del collettivo. La crisi dello Stato-nazione da una parte, la messa in mobilità generalizzata dei rapporti di lavoro dall'altra, in una parola la ricommercializzazione del lavoro, rappresentano, i due principali fattori che stanno alla base dei processi attuali di insicurezza. La mobilità trapassa facilmente nella precarietà; ma ciò che caratterizza la precarietà, non è tanto la flessibilità ma l'assenza di potere negoziale. All'interno del grande processo di deconversione del fordismo, la questione strategica è quindi la ricostruzione del potere negoziale del lavoro, sapendo che tale ricostruzione può essere realisticamente perseguita proprio perchè in una società di individui, la domanda di protezione è infinita, in quanto l'individuo come tale è situato tendenzialmente fuori dalle protezioni di prossimità.

Riconfigurare un nuovo sistema di protezioni (statuto del lavoro, assetti contrattuali, percorsi formativi, istituti come il salario minimo e così via) diventa quindi dirimente: ma un nuovo sistema, considerati i cambiamenti nella sostanza irreversibili, per essere efficace, deve essere ancorato, da una parte alla idea di dimensione continentale, dimensione indispensabile per "portare in salvo" (Jurgen Habermas) l'antico stato-nazione, e, dall'altra, all'idea del lavoro come percorso lavorativo, e non più semplicemente come posto di lavoro. In una società sempre più di individui, essere protetti significa disporre, di diritto, delle condizioni minime di indipendenza dell'individuo (Saint-Just). Il punto di intersezione tra il lavoro ed il mercato rappresenta oggi lo snodo nevralgico principale delle protezioni sociali:al mercato diventato sempre più volatile,al lavoro diventato sempre più mobile, va corrisposto - contrapposto un sistema pubblico di regolazione, in grado di contrastare il riemergere della insicurezza, un ritorno del vivere alla giornata. Ciò è tanto più vero nel momento in cui la più grande crisi del capitalismo ha posto all'ordine del giorno il tramonto della dittatura liberista del mercato. Il lavoro potrà essere o non essere più sicuro. La grande metamorfosi del lavoro, se da una parte segnala l'ampiezza dei cambiamenti, dall'altra conferma anche però l'antica e originaria missione della sinistra: la linea del fronte per la sinistra sociale e politica torna ad essere la insicurezza sociale come asse di una politica mondiale del lavoro, il banco di prova più concreto della necessità e utilità della sua esistenza. Linea del fronte e insieme nuova frontiera.

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