Tre furti onirici
di Emiliano Ventura

Noi siamo fatti della stoffa di cui son fatti i sogni;
e la nostra piccola vita è circondata di sonno.

La tempesta, W. Shakespeare

Nella storia della letteratura inglese c'è un'archetipo creativo che ricorre con una certa frequenza, il furto onirico, è interessante seguirne le tracce lungo i secoli.
Nella Historia ecclesiastica gentis Anglorum (vedi testo completo Historia ecclesiastica gentis Anglorum disponibile su Wikisource) il venerabile Beda racconta del primo poeta cristiano d'Inghilterra. Si chiamava Caedmon era un uomo avanti negli anni e accudiva animali in un monastero. Non aveva mai il coraggio di partecipare all'usanza di far passare di mano in mano l'arpa (simbolo della poesia) con cui cantare, era analfabeta e quindi incapace di suonare e di cantare (poetare). Un giorno cade addormentato, nel sogno vede un angelo che gli porge un'arpa e gli impone di cantare: lui dice «Non so cantare» l'angelo risponde «Canta l'origine delle cose create.»
Sbalordito Caedmon comincia a comporre un poema, una volta sveglio riesce a ricordarlo e lo scrive: Il poema si è conservato, si tratta dei primi versi della genesi; tutti rimasero sbalorditi ma Caedmon continuò a mettere in versi il Pentateuco fino al giorno della sua morte. Beda riferisce che nessuno ha "cantato" bene quanto lui perché ha avuto Dio come maestro.
In uno dei tanti libri "mai scritti" da Fernando Pessoa, Pagine esoteriche, viene dedicato un capitolo al sogno di Samuel T. Coleridge: L'uomo di Porlock.

Kubla-Khan   

È il resoconto, per la verità molto noto, della genesi del poema incompiuto Kubla Khan del poeta inglese. Coleridge racconta che un giorno prese dei sedativi per dormire, fecero effetto e dormì alcune ore, durante quel sonno compose il poema che gli si era manifestato tramite immagini fantastiche. Al risveglio cominciò a scrivere fino a quando venne interrotto da un visitatore, l'uomo di Porlock; passò con lui quasi un'ora, tornato solo si accorge di aver dimenticato il resto dei versi; il Kubla Khan rimarrà mutilo. Ci rimane l'inizio di un poema dalle belle immagini musicali, il cui ultimo verso And drunk the milk of paradise (e bevve il latte del paradiso) richiama o invoca un'aldilà. Coleridge aveva in mente di proporre una sua personale visione poetica della Divina Commedia, voleva che tre suoi poemi dovessero corrispondere ai tre regni del poema dantesco.

Il poema Christabel, corrispondeva all'Inferno; The rime of the ancient mariner (La ballata del vecchio marinaio) doveva essere il Purgatorio, e il Kubla Khan, infine, il Paradiso. Come detto il poema Kubla si interrompe dopo una settantina di versi rinviando al latte del paradiso. Secondo Livingston Lowes nel Khubla Khan non vi è un solo verso che non derivi da un altro libro, pur riconoscendo l'originalità e la grandezza del testo. Il poema sarebbe una sorta di originale "centone" ricco di riferimenti, il verso finale che lo chiude potrebbe essere un'eco della metafora usata da Dante per definire la sua cantica del Paradiso, pan de li angeli.
Il luogo della beatitudine e delle visione di Dio viene assimilato al cibo, l'uomo si nutre della divinità.

    Christabel
DrJekyll MrHyde   

Anche Robert Louis Stevenson creando il suo capolavoro si è lasciato ispirare da un "bellissimo incubo".
Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr. Hyde nasce proprio da un incubo dal quale lo scrittore è stato svegliato dalla moglie. Per la verità ad Edimburgo c'era una taverna intitolata a Deacon Brodie un cittadino apparentemente esemplare, falegname e membro del concilio cittadino; di notte però si trasformava in accanito scassinatore e ladro, finirà impiccato. Il personaggio può aver colpito la fantasia dello scrittore. Comunque il sogno riguardava la scena in cui Jekyll beve la pozione e si trasforma in Hyde, ovvero il momento in cui un uomo entra in contatto con la propria ombra. In Inglese to hide è il verbo nascondere ma sta anche per misterioso o segreto, mentre to kill vuol dire uccidere, da cui il sostantivo killer. Stevenson ha voluto rappresentare la sua idea del male che è la crudeltà vista come male gratuito; rende "cosciente" quel lato oscuro che ognuno di noi si porta dietro, l'ombra. Alla fine uno dei due personaggi si uccide e con lui muore anche il suo opposto. Elèmire Zolla ci ha insegnato che raccontare un sogno vuol dire tradirlo; Stevenson non solo ha tradito il suo sogno, ma metaforicamente ha "ucciso" (kill) il suo lato segreto, subcosciente, ha ucciso il suo lato nascosto (Hide).
Come nelle tradizioni esoteriche chi comunica un segreto iniziatico viene punito anche con la morte.

Volendo dare una lettura metaforica del sogno che produce un testo letterario, sorvolando sull'autenticità del fatto, possiamo dire che ogni autore ha il suo "uomo di Porlock" come Coleridge. Nel momento in cui nella creazione l'uomo entra in contatto con la sua parte più recondita e originale possono subentrare delle difese, l'uomo di porlock, che riconducono l'autore ad un livello cosciente. Se la pesca in quell'abisso del mistero, nel Sancta Sanctorum, è stata anche solo un poco preziosa, l'autore vi può trovare materiale prezioso, il suo piccolo tesoro sepolto nell'isola lontana ma che è intimamente sua.

Pessoa ha esemplarmente spiegato cosa sia l'uomo di Porlok, cosa sia la metafora, oltre la realtà contingente del fatto più o meno reale, della creazione onirica, quel piccolo furto:

«Questo visitatore-perennemente sconosciuto-tutti noi lo dobbiamo ricevere, per debolezza nostra, fra l'inizio e la fine di una poesia concepita per intero, che non permettiamo a noi stessi di vedere scritta. E quello che di tutti noi, artisti grandi o piccoli, sopravvive realmente, sono frammenti di ciò che non sappiamo cosa sia, ma che sarebbe, se ci fosse stato, l'espressione stessa della nostra anima... il principio e la fine di qualcosa andato perduto.»