Tre errori, tre equivoci, e due consigli per scrittori esordienti

© 2000 by David Poyer
© 2004 traduzione di Emanuele Cassani

Primo errore

Il primo errore che feci, fu di iniziare troppo presto. Non intendo in termini di età. Intendo con poca esperienza e poca conoscenza letteraria. O, come disse Edward Gibbon: "Sprovvisto di una cultura originale, non addestrato nell'arte del pensare, non specializzato nelle arti della composizione, decisi di scrivere un libro."
Io vedo le abilità di uno scrittore, poggiare su tre piedi, come un tripode dedicato agli dei.
Talento, esperienza, e background letterario. Aggiungete a questi, il contenitore della fiamma: la determinazione; e avrete l'offerta per la Musa. Se sarete fortunati, lei accetterà.
Ho cominciato a scrivere troppo presto anche per la mia conoscenza letteraria. Avevo abbastanza esperienza. La maggior parte dei bambini di dodici ha già provato tutte le esperienze emotive che costituiscono la narrativa. Ma volevo costruire un mondo dove far agire i miei personaggi, un mondo da conoscere intimamente. Lo trovai a 26 anni, ma ancora non conoscevo la letteratura. Me ne resi conto solo più tardi, e preparai un programma di studi per porvi rimedio. Ma i miei primi lavori sarebbero stati migliori, se avessi studiato prima e scritto dopo.
La cosa più importante che dovreste fare è leggere. James Kilpatrick, un uomo con il quale spesso mi trovo in disaccordo, aveva ragione quando disse: "I classici possono non essere necessari per la felicità di un commesso, ma sono indispensabili per la nostra comunità di scrittori. E da questi lavori immortali che formiamo un serbatoio di acume e allusioni."
È davvero impossibile per uno scrittore leggere "troppo", specialmente quando è giovane. Ancora oggi mi trovo a leggere di continuo, e non solo libri classici. Di recente ho scoperto Yukio Mishima, Colleen McCullough, e Vassily Grossman, e leggo i nuovi lavori di John Barth e i vecchi di Anthony Trollope con avido godimento. Spesso durante la lettura salto in piedi, perché mi è venuta un'idea che deve essere inserita nel libro che sta crescendo dentro al mio Pentium, o va ad accatastarsi alla rinfusa tra le idee ancora nella mia mente.
Avrei desiderato un'educazione letteraria più strutturata, più letteratura americana e inglese, russa e francese. Se dovessi rifarlo, sprecherei meno tempo su attività "utili" e più su quello di cui ho realmente avuto bisogno nella vita: lingue straniere, musica, psicologia e arte.

Secondo errore

Il secondo errore lo commisi con gli agenti letterari. Sprecai troppo tempo con loro.
Il mio primo agente viveva nell'Idaho. Far leggere a questo sciocco il manoscritto del mio primo romanzo, mi è costato 150 dollari. Erano una settimana paga nel 1976. Lui lo ha "rappresentato" per un anno, ma dubito che lo abbia mai spedito in giro. Trovo ancora il suo nome nelle liste del "Writer's Market".
Il mio secondo agente non era veramente un agente, era un rappresentante. Avete presente i giocattoli venduti dal "Saturday morning cartoons"? Aveva l'esclusiva per quelli. Vendette tre miei libri a tre editori diversi. Lentamente, la pressione aumentò. Volle che mi facessi un favore. Volle che guadagnassi i soldi. Mi fece scrivere per il "Saturday morning cartoons". Ci siamo spartiti i guadagni. In amicizia, ma ce li siamo spartiti.
Qualche volta dovrete dire di no, anche quando vi sventoleranno i soldi in faccia.
Il mio attuale agente (il numero 4) lavora sodo, ha un buon senso letterario, e sa contrattare. Ma non lo avrei mai trovato se mi fossi accontentato di avere semplicemente "un agente."
Non voglio dire di mettervi alla ricerca disperata di un agente letterario. Sono come i medici: averne uno incapace è meglio che non averne affatto.
Ecco le sette semplici regole di Poyer per trattare con gli agenti.

Terzo

Il terzo errore dell'inizio della carriera, fu quando non riuscii a stabilire un rapporto con un singolo editore. I miei primi quattro libri furono pubblicati da case editrici diverse: Jove, Avon, Donning, e St. Martin. Ora mi rendo conto che fu un errore.
Quando pubblicate un libro, chiedete all'editore di fare un investimento sulla vostra carriera. Più consistente sarà l'anticipo, maggiore sarà il budget assegnato alla pubblicità, e più grande sarà il loro investimento.
Il vostro obiettivo è di farli investire molto. Così saranno costretti a far avere successo al libro. Se il rischio per l'editore è contenuto, il libro rimarrà lì fuori da solo, e probabilmente morirà in silenzio.
La vostra meta è di ammassare la merce nella stiva. E lo potete fare rimanendo con lo stesso editore, anche se non vi offriranno molto all'inizio. Gradualmente, se il libro otterrà dei modesti profitti, il riconoscimento del vostro nome crescerà. Venderete più libri a ogni nuovo titolo. È allora che li dovrete colpire, chiedendo dei grossi anticipi, e solo allora li otterrete.
Ma se ci girate intorno, anche se otterrete un buon anticipo, le case editrici vi considereranno come un rischio. Non è una questione di lealtà, sebbene qualche volta è posta in questi termini. È una questione di ritorno degli investimenti. Avrei dovuto scegliere una casa editrice rinomata sin dall'inizio della carriera e rimanere con quella. Per fortuna, ho potuto farlo dal quarto libro in poi.

Questi sono stati gli errori più grossi. Ne feci degli altri, ma questi sono i peggiori. Evitateli. Trovate degli errori nuovi e originali per conto vostro!

Ora continuiamo con gli equivoci.
Gli equivoci fanno sprecare tempo. Portano alla disillusione, e questo vi ferirà. Lo scopo di questo discorso e aiutarvi, quindi ora parliamo di alcune idee bizzarre che gli scrittori esordienti sembrano avere.

Primo equivoco

La prima idea bizzarra è che guadagnerete tanti soldi in questo gioco d'azzardo.
Perdonatemi, ma quest'idea sta ancora girando per la testa di molti di voi. E so da dove viene. Il pubblico generale pensa che tutti gli scrittori siano ricchi. Che facciano vagonate di soldi.
Quest'idea è rinforzata anche dai titoli del New York Times, che condannano le grandi somme pagate per l'ultimo romanzo di Danielle Steele.
Questi sono invece i fatti: L'anno scorso, uno studio promosso da un gruppo di Autori dimostrò che i redditi degli scrittori sono scesi, in termini reali, della metà rispetto agli anni settanta.
La nostra è una professione in contrazione, con un'enorme quantità d'aspiranti scrittori all'inseguimento di un'esigua richiesta di mercato.
È difficile parlare di questo problema senza usare dei termini economici. Già sapete che monopolio indica un singolo fornitore di una merce. Un oligopolio indica che ci sono molti fornitori di una merce introdotta sul mercato, come la farina, o la pancetta di maiale, e meno venditori. Quindi c'è un'enorme quantità di fornitori che combattono per riuscire a piazzare dei prodotti quasi identici. Ho semplificato, ma si può capire che un venditore monopolista, come la Nintendo o la Polaroid, può imporre i propri prezzi e ottenere profitti alti. Il venditore oligopolista invece, come la Ford, può farlo con un'estensione minore e il venditore della merce deve fissare il prezzo seguendo la competizione.
Bisogna anche ricordare che non c'è alcuna barriera che impedisce a nuovo competitore di entrare nel mercato, e che nel tempo, i prezzi continueranno a scendere sino a lasciare i produttori uno stentato pareggio.
Uno scrittore esordiente, inizia come produttore di una merce, e non è nemmeno un produttore efficiente. Tipicamente produrrà una merce di bassa qualità. Le leggi inesorabili dell'economia ci spiegano che riuscirà a venderla solo a un prezzo più basso di quello che gli è costato produrlo.
Gli scrittori più affermati, una volta stabilito un marchio di fabbrica - che nel nostro ambiente chiamiamo "Pen Name" - diventano simili a un oligopolista. Si creano delle delimitate nicchie di mercato. Jonathan Kellerman, Robert Ludlum, V. C. Andrews, Stephen King, sono esempi di scrittori che sono riusciti a stabilire una lealtà alla marca. Io non sto affermando che siano bravi o meno, ma solo che sono riusciti ad aver successo nel mercato (così riuscito in un caso, che si pubblicano i suoi libri ancora dopo la morte).
Ora consideriamo l'acquirente.
Nella mia esperienza, gli editori mi hanno sempre trattato con giustizia, ma non sono stati certo generosi. Non vi daranno un solo dollaro, se non crederanno di riuscire a riaverlo indietro. E nella maggior parte casi, per un esordiente, significa ottenere meno di 5000 dollari per il suo primo romanzo.
Sì, questa misera cifra per il libro che avete scritto in due lunghi anni. Voi ne intascherete solo il 60%, dopo che il vostro agente, e il buon governo che supporta gli scrittori, avranno dato il loro taglio alla somma.
Lo so che questo è un messaggio difficile per l'America, ma non otterrete niente per niente. Non guadagnerete mai un dollaro con più fatica che scrivendo - a meno che non vi sposiate per denaro.

Secondo equivoco

Il secondo equivoco invadente e dannoso, è che lo scrivere dipende in qualche modo dall'"inspirazione" o dal "genio".
L'idea dell'artista nato con una fiamma divina nel petto - il modello Byronic - è onorato da tempo.
Faulkner lo ha perpetuato dicendo: "Ascolto le voci." O Tennessee Williams: "Tutto quello che dovete fare è chiudere gli occhi e aspettare i simboli." Potrei fornirvi altri esempi. Ma non c'è né bisogno. Sento la loro eco negli esordienti, giovani e vecchi, quando mi domandano: "Da dove prende le sue idee?" e "Scrive tutti i giorni?".
Mi chiedono: "Lei è ispirato quando scrive?" e "Come fa a immaginarsi le cose?"
Non nego che il genio ogni tanto scende a trovare gli esseri umani. Non c'è altro modo di spiegare gente come Shakespeare e Sofocle. Per fortuna, se avete l'ispirazione divina, non avete certo bisogno dei miei consigli.
Non avrete nemmeno bisogno di spendere dei soldi per i raduni per scrittori; dovreste pensare a una carriera nella politica iraniana.
Ma personalmente, sono d'accordo con Jean Anouilh: "L'ispirazione è una farsa, che i poeti hanno inventato per darsi importanza."
Peggio che essere arrogante, l'idea che uno scrittore sia in fondo solo uno stenografo, un canale per lo Spirito della Poesia, è profondamente storpia per un esordiente. Perché? Perché di solito è consapevole che quello che esce di solito è immondizia senza speranza.
Il mio consiglio, è di mettere da parte il concetto di ispirazione. Fingete di non aver mai sentito quel termine! Affrontate il vostro scritto con idee chiare, ambizione, e consapevolezza che la prima stesura sarà una merda (le mie lo sono!)
Stranamente, lo scritto migliorerà se ci lavorerete per più tempo. Se riuscite a produrre una pagina definitiva (interlinea con doppia spaziatura), in meno di quattro ore, allora forse siete stati ispirati. Guardando i miei ultimi libri, ho scoperto che questa è la mia media: quattro ore di lavoro per ogni 250 parole; ottantatre parole all'ora. E qualcuno che è veramente bravo, ci metterà più tempo, non certamente meno.
No. Voglio presentarvi un nuovo modello. Voglio che pensiate a voi stessi come un apprendista.
Chi è un apprendista? Un apprendista è una persona che ha talento e desiderio, senza essere ancora abile. Possiede immaginazione e gli piacciono le parole, ma non ha molta abilità di esecuzione. Non vuole essere uno scrittore, ma vuole disperatamente imparare a scrivere bene mentre lo fa.
O, come l'ha messa Jonathan Swift:
"Cancella, correggi, inserisci, raffina
Allarga, diminuisci, interlinea;
Sii attento, quando l'inventiva fallisce,
Grattati la testa e mangiati le unghie."
Alcuni esordienti pensano che tutto quello che viene scritto con fatica, sia causato dal "blocco dello scrittore". Non è così. Nel mondo reale, non si ottiene nulla senza sudore, e occasionalmente bisogna gridare e piangere. Clausewitz disse: "In guerra, tutto è fondamentalmente semplice, e fondamentalmente difficile." è lo stesso per la scrittura, esattamente lo stesso.

Non mi finisce mai di sorprendere quanti esordienti si aspettano che il loro primo lavoro sia accettato, sia lodato, sia pubblicato, e annunciato come il nuovo capolavoro della nostra era. Sono persone che non si sognerebbero di posare da soli un pavimento di mattoni, e si aspettano di scrivere dei brillanti romanzi al primo colpo.
Un uomo che ho incontrato recentemente a una conferenza, mi ha chiesto se volessi leggere il suo primo romanzo. Beh, chiese per favore, e così accettai. Non riuscii a superare le prime sessanta pagine. Letteralmente non ci riuscii. La prosa sembrava formata da vermi solitarii, che mi mangiavano il cervello. Comunque io non ho bisogno di magiare una pecora intera per capire che non mi piace il montone.
Così, cercai di essere d'aiuto, spedii una lettera segnalando i problemi che avevo trovato.
Ottenni in cambio un inno pieno d'odio.
Come osavo affermare che la sua amata creatura era sgrammaticata, poco convincente, ottusa. Che ha violato le regole della narrativa, ed è stata divisa in mini "raccolte" invece che in scene? Non dicevo di voler aiutare gli esordienti?
Credo che per essere aiutato, lui intendesse ricevere complimenti, lodi, e una presentazione per il mio agente, che allora era anche il mio editore. Il suo arido commento finale, fu che aveva avuto intenzione di concedermi una parte dei diritti, ma considerando che ero così inutile, me lo potevo scordare!
Qualche volta può essere necessario ferire qualcuno per aiutarlo?
Mi ricorda una storia di Irving Stone, che raccontava di un rifiuto ricevuto dal periodico letterario di Berkeley. Il suo racconto era ritornato indietro con una nota: "Perché non impara a scrivere?" E così fece.
Se avessero accettato la storia, probabilmente non avremmo mai sentito il suo nome.
L'attore Harrison Ford, disse durante un'intervista: "Non credo si abbia il diritto di credere in se stessi all'inizio... Il successo è un'anomalia statistica, in tutte le professioni... molti attori che sono scesi assieme a me dall'autobus, avevano altrettanto talento di quanto n'avessi io, o più d'ingegno. Ma mi sento sicuro perché so quanto ho lavorato duro."

Mi ci vuole un anno per scrivere un racconto breve, lavorando dalle sei alle otto ore al giorno. Tutto il mio lavoro consiste nel riscrivere il testo almeno sei volte. L'apertura, il finale, e i passaggi cruciali vengono riscritti almeno sedici volte. Dopo che il primo draft è terminato, impiego un centinaio di ore a eliminare parole, cercando il modo che una faccia il lavoro di tre. Il romanzo diventa un enorme puzzle, un cruciverba, un labirinto, un programma complesso per il computer più complesso al mondo. Leggo ad alta voce ciascun capitolo almeno tre volte; lo faccio analizzare dal workshop di cui faccio parte, da alcuni miei amici di scrittura le cui opinioni rispetto, dal mio agente, e dalle mie fonti, prima ancora che sia visto da un editore.
Per quello che scrittura è realmente, credo che ci abbiano dato il nome sbagliato. Non dovremmo essere chiamati "scrittori", ma "riscrittori". Perché in questa attività sono impegnate la maggior parte delle nostre ore, e questo è il vero lavoro.
In realtà, il lavoro che si fa dopo che il romanzo sembra finito all'occhio del lettore medio, è la vera prova del romanziere. L'uno per cento del lavoro finale, dal quasi completo draft alla pubblicazione del libro, richiede tante ore quanto il processo completo dall'idea iniziale. È quasi impossibile convincere qualcuno che non abbia provato a farlo. Quanto travaglio e lucidatura pura e semplice, devono essere impiegati in un romanzo per renderlo, non solo pubblicabile, ma degno di avere in copertina il nostro nome.
Vi sembra puro masochismo letterario?
Allora lasciate che vi chieda: se non manderete un manoscritto perfetto, senza errori di scrittura, con una grammatica decente, coi dialoghi dei personaggi credibili, con una trama che regge, col tema attinente all'immagine centrale, senza violazioni del punto di vista o scene che mancano di credibilità - allora chi lo farà?
L'editore non ha tempo. I redattori che ricopiano il testo, oggi hanno grosse mancanze grammaticali e stanno ancora peggiorando.
La risposta è: Dovete farlo voi. Voi siete l'autore.
Se non potete, o non avete voglia di farlo, o se non capite di che cosa io stia parlando, o se non credete che sia importante, allora forse sarebbe meglio che pensiate a cambiare la carriera che avete scelto.

Terzo equivoco

Il terzo equivoco è che ci sia qualche trucco per essere pubblicati, o che conoscere qualcuno sia più importante di quel che si scrive, o come lo si scrive.
Vi concedo che si possa risparmiare tempo, avendo un fratello che lavora all'accettazione manoscritti da Simon e Schuster. Ma nessun editore vi pubblicherà solo sulla base di un'amicizia. E io non ho mai avuto l'impressione che sia difficile farsi pubblicare, quando si produce un lavoro di qualità. Larry Brown, l'autore acclamato dalla critica, di Facing the Music, Dirty Work, e Joe, ha cominciato a pubblicare sulla rivista Easyrider. E si trovano dozzine autori oggi molto noti, che hanno fatto l'apprendistato nei piccoli periodici letterari.
Ci sono mercati che accolgono bene i principianti; mercati dove la domanda è sempre più alta dell'offerta. È anche vero che l'offerta è di così basso livello, perché il mercato non paga stipendi da poterci vivere. Ma stiamo parlando di come iniziare, non di come trovare un posto di lavoro per tutta la vita. Preoccupatevi di quello che scrivete, non di chi conoscete. Troppi principianti si preoccupano di cercare un agente, quando dovrebbero invece cercare un insegnante!

Quarto equivoco

Il quarto equivoco è: anche se non guadagnerò molto, otterrò il prestigio. Siete convinti che qualcuno si occuperà di voi, o vi rispetterà.
In qualche modo, questo è l'errore più patetico. La maggior parte delle persone che incontrerete, non avrà la minima idea di quello che significa essere uno scrittore. Letteralmente non capiranno di che cosa state parlando.

E ora, lasciate che vi dia due piccoli consigli. La cosa migliore che possa offrire.

Primo consiglio

Il primo: per crescere professionalmente, avete bisogno di far parte di un workshop.
I workshop migliori non sono classi. Sono più simili alle terapie di gruppo, o sono proprio come delle piccole sette di fanatici. Sono formati da 5 a 12 scrittori ossessivi, che si incontrano regolarmente per leggere i loro lavori, li criticano, parlano di scrittura, vivono di scrittura.
Aggregatevi a un gruppo esistente o iniziatene uno vostro. Tutto il resto, tutti i consigli, come scrivere, come attirare l'attenzione di un lettore, s'imparerà in un workshop. Gli artisti imparano dagli errori commessi durante la creazione, e potete commettere errori facilmente e velocemente in un workshop.

Secondo consiglio

Il secondo piccolo consiglio a che fare con i fallimenti. L'anno scorso, gli scrittori esordienti hanno sprecato 1,2 milioni di ore in depressione, a causa dei rifiuti dei loro lavori. Peggio ancora, hanno abbandonato senza realmente dare tutto ciò che avrebbero potuto, perché si sono scoraggiati.
Vi raccomando di adottare la Regola del 32.
Consiste nel lasciare agli esordienti un bonus di 32 fallimenti gratuiti. È il prezzo della cultura del lavoro. Solo dopo 32 rifiuti, insulti, cattivi romanzi, racconti poco riusciti, comincerete a contare.

Sono riuscito a farvi capire quanto crudele può essere questa professione?
Vi lascia costernati il pensiero che non sarà semplice?
Bene. Perché ora vi spiegherò il motivo: nonostante tutti gli inconvenienti, non c'è null'altro al mondo che vorrei essere al posto di essere uno scrittore, ed in nessun altro luogo invece che di fronte a una tastiera.
Sono riuscito a evitare di avere un capo che controlla il mio lavoro e i miei compiti. Per tutta la mia vita da impiegato, ho dovuto lavorare per gente meno intelligente, meno creativa, e meno idealistica di me. Quando ho cercato di usare i miei talenti, sono stato sempre bloccato.
La scrittura è una delle poche attività creative rimaste nella nostra cultura.
Manipolare soldi, pubblicità, produzione, sorveglianza, vendita - tutte queste professioni ci pongono delle mete decise da altri. Solo nelle arti esprimiamo i nostri concetti, la nostra strada. In un certo modo, i miei romanzi sono conversazioni con amici che non ho mai ho incontrato. E in più; Posso rendergli un servigio.
Mario Vargas Llosa ci ha chiamati: "esseri mutilati, oppressi con la dicotomia di avere una sola vita e l'abilità di desiderarne mille."
Ma la narrativa ci lascia un passo fuori dalle nostre vite e dentro a quelle di altri. C'insegnano il rispetto per gli altri, e anche l'amore.
Questa alla fine, è la miglior ragione che conosco per scrivere: per i vostri lettori.
È molto più semplice di quel che sembra.
Buona fortuna!