1.TecnoRischio & Ambiente
I fallimenti dello sviluppo

Tornate all'indice degli articoli
Tornate alla sala saggistica

Gli ultimi decenni del secolo da poco trascorso sono stati caratterizzati da una crescita socioeconomica senza precedenti nella storia. Come ha ricordato Lester Brown, fondatore del WorldWatch Institute e Presidente dell'Earth Policy Institute, negli anni trascorsi tra il 1950 e il 2000, la taglia dell'economia mondiale si è moltiplicata per sette (L. Brown, Eco-economy, Roma, Editori Riuniti, 2002).
Nello stesso arco temporale abbiamo anche assistito ad uno sviluppo sempre più rapido delle conoscenze tecnico-scientifiche e dei processi innovativi cui si è intrecciato un altrettanto vistoso incremento della massa di merci prodotte e consumate, con il conseguente aumento della quantità di scorie e rifiuti di vario tipo rilasciati nell'ambiente. In altri termini, si è registrato un forte sviluppo della capacità dei sistemi umano-sociali di agire sul contesto ambientale e di modificarlo, anche in maniera profonda e permanente. Al tempo stesso, si è progressivamente evidenziata una divaricazione tra tali sviluppi e l'evoluzione delle conoscenze sul complesso degli effetti collaterali di quell'agire, così come sono emerse nei sistemi sociali le inadeguatezze nella capacità di gestire, orientare, governare tali conseguenze.

Sachs Bruntland Lanza

La questione ambientale nasce e s'impone come argomento socialmente prioritario proprio nel momento in cui diviene chiaro e evidente che le dimensioni di quelle stesse conseguenze, ovvero le qualità e le entità delle perturbazioni indotte negli assetti e negli equilibri ambientali, non possono più essere ritenute trascurabili rispetto alle capacità di autoregolazione del sistema complessivo. Per dare un'idea delle grandezze in gioco, basti pensare che oggi, come ha scritto Giorgio Nebbia, ogni anno vengono estratte dalla nostra Terra circa 30.000 milioni di tonnellate di materiali (aria ed acqua escluse); in Italia tale estrazione è di circa 800 milioni di tonnellate all'anno. Di questi materiali, una parte si trasforma in strutture permanenti (strade, edifici, macchinari a vita media e lunga); nel corso delle trasformazioni e dopo l'uso, un'altra parte dei materiali si trasforma in scorie gassose, liquide e solide che finiscono inevitabilmente nell'ambiente naturale e vanno ad alterare la composizione di aria, fiumi, mare e suolo (G. Nebbia, Passato, presente e futuro della consapevolezza ambientale, in E. Falchetti e S. Caravita (a cura di), Per una ecologia dell'educazione ambientale, Torino, Scholé Futuro, 2005). Da qui, si hanno sia effetti immediati e diretti, sia rischi a medio e lungo termine.
L'esigenza di affermare un approccio preventivo nei confronti dei rischi connessi con le conseguenze dello sviluppo spinge all'intensificazione degli sforzi mirati alla comprensione del funzionamento di sistemi complessi e dei relativi problemi di gestione, soprattutto mediante l'elaborazione, il potenziamento e l'affinamento di modelli teorici, metodi di analisi e di interpretazione. È in tale direzione che focalizzeremo l'attenzione, soprattutto sulle relazioni tra società e ambiente fisico.
Ma, prima, è necessario qualche accenno al concetto stesso di ambiente; in altre parole, dobbiamo definire che cosa è l'altro che si relaziona con i sistemi sociali.
Il punto di partenza principale è che la storia dell'umanità non può essere concepita isolatamente, come insieme di processi del tutto interni alle società umane. Tutti i sistemi sociali sono stati e sono legati a una serie di dinamiche fisiche, chimiche e biologiche complesse, dinamiche che nel loro insieme sono alla base del modo in cui le varie specie di piante e di animali (compreso l'uomo) sviluppano comunità complesse e interdipendenti. Pure se le conoscenze scientifiche sinora acquisite relativamente a tali processi presentano in alcuni casi lacune e incertezze, sembra ormai confermato dagli esiti di ricerche pluridisciplinari che "la vita sulla Terra e tutte le società umane dipendono dal mantenimento di delicati equilibri in un'intera serie di complicati processi, e tra un processo e l'altro" (C. Ponting, Storia verde del mondo, Torino, Società Editrice Internazionale, 1992, p. 11). Fattori astronomici, geologici e climatici hanno avuto un'indubbia influenza sulla distribuzione e sull'evoluzione nello spazio e nel tempo dei diversi tipi di ecosistema e quindi sugli esseri umani, che ne fanno parte. Allo stesso tempo, tutte le specie, animali e vegetali, nelle loro attività vitali cooperative e/o competitive, tendono a modificare il mondo circostante per sopravvivere e migliorare la propria esistenza. La specie umana ha però alcune specificità rispetto alle altre per quanto concerne la sua relazione con gli ecosistemi. In primo luogo essa è in grado di compromettere e talvolta anche di distruggere gli ecosistemi da cui dipende; inoltre, è l'unica specie che si è diffusa in tutti gli ecosistemi terrestri e li ha poi sfruttati e dominati attraverso la tecnologia. È da lungo tempo, perciò, che il problema più importante nella storia dell'umanità è stato trovare un equilibrio tra le crescenti esigenze di approvvigionamento di risorse e le capacità degli ecosistemi di assorbire le pressioni che ne conseguono.
Per tornare alla definizione di ambiente, a partire dalle brevi osservazioni appena esposte e seguendo le argomentazioni che lo storico Piero Bevilacqua ha svolto in un libro su ambiente, economia e risorse in Italia, (P. Bevilacqua, Tra natura e storia,Roma, Donzelli Editore, 1996) possiamo assumere che l'ambiente non si identifica né con il mondo fisico dei naturalisti né con la realtà polisemica e ambigua dei filosofi (al tempo stesso sostrato fisico della società, l'universo, la totalità dell'essere, e così via), bensì può essere definito come "ambito territoriale e spaziale... entro cui uomini e gruppi, formazioni sociali determinate, vengono svolgendo le loro economie, in intensa correlazione e scambio con esso." È importante sottolineare che "l'ambiente non è solo il contenitore fragile e vulnerato della pressione antropica, né l'inerte fondale su cui campeggiano le magnifiche azioni degli uomini... [è] un soggetto indispensabile e protagonista, la controparte imprescindibile dell'agire sociale nel processo di produzione della ricchezza." L'ambiente si configura quindi come elemento del processo storico, come componente interna alla vita sociale degli uomini. Assume la valenza di un secondo soggetto, con il lavoro, del processo di produzione sociale dell'esistenza umana. Il riconoscimento del ruolo di tale soggetto, non vincolato ai rapporti sociali vigenti, di valore collettivo e di portata universale, sembra gradualmente affermarsi ai nostri tempi, anche se forse troppo lentamente e faticosamente e con non poche contraddizioni, soprattutto sul piano dell'iniziativa politica e sociale.
Un esempio della centralità del soggetto ambiente per le società umane, e soprattutto delle possibili conseguenze di un suo degrado antropogenico, è rappresentato dalla vicenda emblematica dell'Isola di Pasqua, accuratamente descritta dal già citato storico inglese Clive Ponting. L'utilizzazione intensiva delle risorse naturali, a partire dai boschi, rapidamente consumati ed esauriti per ricavare aree agricole, risorse energetiche, materiali per la costruzione e per il trasporto dei pesantissimi manufatti (piattaforme e grandi statue di pietra), ha portato al collasso del sistema sociale e al vero e proprio crollo di una civiltà che era riuscita a raggiungere livelli piuttosto alti, se rapportata all'isolamento in cui viveva e alla limitata base di risorse di cui disponeva.
Nessuna società, infatti, può sopravvivere a lungo senza una base fisica sana che assicuri le necessarie risorse, che sia in grado di assorbire e riciclare rifiuti, e così via. In risposta all'insorgere di rischi o carenze relativamente a tali requisiti, le soluzioni adottate dalle società umane nel passato, ma anche nel presente, sono state e sono soprattutto quelle caratterizzate da una sostanziale rimozione nello spazio, nel tempo e nel mezzo fisico. Ma poiché il numero delle destinazioni in cui trasferire i problemi non è infinito, una catastrofe ambientale e una conseguente caduta della civiltà a livello planetario potrebbero non essere solo allarmistiche elucubrazioni di profeti di sventura. La storia della civiltà umana ha certamente registrato grandi progressi sul piano conoscitivo, tecnologico e sociale. Ma oggi si delinea sempre più chiaramente l'urgenza di un ulteriore passo avanti, decisivo per la sopravvivenza sociale dell'uomo, verso l'individuazione e l'adozione di un modo di vivere che non sia distruttivo delle risorse disponibili e del sistema bio-geo-fisico su cui si basa la stessa esistenza umana. La coscienza di tale necessità e, quindi, lo sviluppo di una specifica cultura, seppure faticosamente e con un percorso certamente non lineare, sembrano oggi aver fatto almeno un po' di strada.
Ora, la crescita socioeconomica degli ultimi decenni ha mutato profondamente lo stato del mondo.
Possiamo riscontrare, in primo luogo, effetti certamente positivi di tali trasformazioni, almeno per una parte del mondo, quali il calo nettissimo della mortalità infantile e l'aumento della speranza di vita. Basti pensare – ad esempio - a un dato riportato da Luciano Gallino: in Italia, poco più di cento anni fa, l'età mediana dei morti era di 6,5 anni (in altri termini, la metà dei morti in un determinato anno aveva meno di sei anni e mezzo), mentre dopo il 1960 lo stesso indicatore superava il valore di 70 (L. Gallino, L'attore sociale. Biologia, cultura e intelligenza artificiale, Torino, Einaudi, 1987, pp.192-193).
Analoghi progressi si sono avuti nel campo dell'istruzione, con una crescita dell'alfabetizzazione e l'affermazione, in molti paesi, di una scuola superiore di massa. Va citato, infine, l'incremento della produzione globale di generi alimentari, legato soprattutto all'aumento straordinario della produttività del lavoro agricolo.
A tutto ciò si contrappongono però le conseguenze negative dei modi in cui si è andata svolgendo la società contemporanea. Già il cosiddetto Rapporto Brundtland del 1987 descriveva tali problematiche in termini di fallimenti dello sviluppo e di fallimenti in fatto di gestione dell'ambiente umano (Commissione Mondiale per l'Ambiente e lo Sviluppo [1988]. La Commissione è stata costituita sulla base di una risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, adottata alla fine del 1983 - 38a sessione. La Commissione ha operato come struttura indipendente e coloro che ne hanno fatto parte hanno agito a titolo personale e non per conto dei rispettivi governi. Il rapporto finale è stato discusso dal Consiglio direttivo dell'UNEP ed è stato infine sottoposto all'esame dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite alla fine del 1987 - 42a sessione).
Per quanto riguarda i primi, è opportuno richiamare l'attenzione sui seguenti esempi (Dati desunti dai Rapporti dell'United Nations Development Programme (UNDP). Si veda, da ultimo, UNDP, 2004.):

Tali fallimenti, che, da un lato, condannano alla miseria un numero crescente di persone e, dall'altro, ad una degradazione progressiva dell'ambiente tale da mettere in crisi, in un futuro più o meno prossimo, condizioni basilari dell'esistenza stessa della vita umana, appaiono in modo evidente non come semplici effetti collaterali o accidenti della crescita, ma come processi strettamente legati, per così dire connaturati, al modello di sviluppo dominante negli odierni sistemi sociali. Ed è proprio in risposta a ciò, che da alcuni anni è stata lanciata, a livello mondiale, la parola d'ordine dello sviluppo sostenibile, da intendersi come "un nuovo modello di sviluppo capace di sostenere il progresso umano, non solo in pochi luoghi e per pochi anni, ma sull'intero pianeta e per un futuro di lunga durata." (Commissione Mondiale per l'Ambiente e lo Sviluppo, 1988).
Il termine sviluppo sostenibile, da quegli anni in poi, è stato molto utilizzato e con diverse accezioni: ancora oggi, infatti, non riusciamo a trovare definizioni rigorose e universalmente condivise. Già nel 1989 Pearce, Markandya e Barbier riportavano ben ventiquattro definizioni ( Ad esempio, quella di J. Coomer, Quest for a Sustainable Society, Oxford, Pergamon Press, 1979: "La società sostenibile è quella che vive entro i limiti ‘autoperpetuantesi' del proprio ambiente. Quella società ... non è una società a ‘crescita zero' ... Essa è, piuttosto, una società che riconosce i limiti alla crescita ... e cerca modi alternativi per crescere"; di Robert Allen: "Sviluppo sostenibile - uno sviluppo che permette di ottenere una duratura soddisfazione dei bisogni umani e un miglioramento della qualità della vita umana" (R. Allen, 1980, p. 205, cit. da Pearce, Markandya e Barbier, 1991); per quanto riguarda la posizione elaborata dalla Commissione presieduta dalla signora Brundtland, si veda, in particolare, il Cap. 2 del volume Il futuro di noi tutti (Commissione Mondiale per l'Ambiente e lo Sviluppo, 1988, pp. 71-97). In esso, tra l'altro, troviamo le seguenti formulazioni: "Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Esso implica due concetti-chiave: - il concetto di "bisogni", in particolare i bisogni essenziali dei poveri della Terra, ai quali va data assoluta priorità nella scelta delle politiche da adottare; - il riconoscimento delle limitazioni imposte dallo stato della tecnologia e dall'organizzazione sociale alla capacità ambientale di soddisfare esigenze presenti e future. [...] Lo sviluppo implica una progressiva trasformazione dell'economia e della società; e una via allo sviluppo sostenibile in senso fisico potrebbe essere percorsa teoricamente anche in un contesto sociale e politico rigido. Ma la concreta sostenibilità non può essere assicurata finché le politiche di sviluppo non tengano conto dei mutamenti nell'accesso alle risorse e nella distribuzione dei costi e dei benefici. Persino la ristretta nozione di sostenibilità fisica implica un interesse per l'equità sociale a livello intergenerazionale, preoccupazione che ovviamente non può non estendersi all'equità nell'ambito di ciascuna generazione." - (ivi, p. 71). Senza voler entrare troppo nel merito, e al di là delle differenze specifiche, la nozione di sviluppo sostenibile implicava, da un lato, la considerazione dei fattori che incidono sul benessere degli individui - sia in termini di disponibilità di beni, servizi e risorse, sia in termini di rispetto di diritti e di perseguimento di valori come libertà, equità, istruzione, e così via - dall'altro, il perseguimento dell'equità intergenerazionale, vale a dire l'adozione della fondamentale finalità di fornire alle generazioni successive una eredità, in termini di quantità e di qualità della ricchezza, almeno uguale a quella garantita alla generazione attuale.
Dobbiamo poi considerare i differenti approcci, catalogabili genericamente come sostenibilità debole e sostenibilità forte (Mercedes Bresso, in sintesi, individua tre tipi di approcci alla sostenibilità. Il primo è rappresentato da una ipotesi "debole", nella quale, in pratica, si assume la situazione attuale come quadro di riferimento e ci si pone l'obiettivo di mantenere costanti i livelli attuali di immissione di inquinanti e di prelievo di risorse, con una riduzione dei consumi e degli inquinanti pari all'incremento degli stessi dovuto alla crescita. Una seconda ipotesi, più forte, prevede ugualmente una riduzione dei consumi di risorse e di energia, ma senza una ulteriore crescita del prodotto. Le risorse liberate sarebbero utilizzabili per lo sviluppo dei paesi più poveri. Ciò implica un'ipotesi di stato stazionario abbastanza in contrasto con le caratteristiche strutturali di una economia capitalistica di mercato. La terza linea di pensiero, oltre alla riduzione delle emissioni e del consumo di risorse, prevede una profonda modifica degli stili di vita e dei modelli di comportamento di tutti gli attori sociali. Tale passaggio non sarebbe un mero fatto economico-produttivo, ma soprattutto un processo culturale, di trasformazione sostanziale "del tipo di relazioni che si stabiliscono fra gli uomini e fra di essi e il resto del mondo vivente", sviluppando "un sapere meno funzionale alla produzione di beni e più diretto ad assicurare la simmetria del sistema di relazioni che si stabiliscono fra l'ecosistema umano e gli ecosistemi naturali" - Bresso, 1993, p. 82. Questo terzo punto di vista, che richiama le idee fondamentali dell'economia ecologica, esprime un concetto di sostenibilità ancora più forte, perché non implica soltanto la considerazione del livello tecnico ed economico, o meglio politico-economico, come gli altri due approcci ma anche un cambiamento culturale che sganci in modo deciso lo sviluppo dalla crescita quantitativa).
Non mancano, infine, le contestazioni alle stesse ambiguità dell'espressione. Per Wolfgang Sachs e Serge Latouche, ad esempio, sviluppo sostenibile è un ossimoro: il termine sviluppo è viziato alla radice dall'ideologia economicistica della crescita quantitativa (Sachs scrive che si assiste per lo più a compromessi tra istanze in realtà incomponibili: "da un lato proclamano la riconversione ecologica e dall'altro sottolineano il valore della crescita economica e del libero commercio. Un tale risultato diventa facilmente una trappola per coloro che avevano in mente una civilizzazione più ecologica e più umana e non soltanto una gestione lungimirante del business as usual": in W. Sachs, Ambiente e giustizia sociale. I limiti della globalizzazione, Roma, Editori Riuniti, 2002. Vedi anche S. Latouche, Giustizia senza limiti. La sfida dell'etica in una economia mondializzata, Torino, Bollati Boringhieri, 2003). La sostenibilità della società può essere conseguita solo grazie alla combinazione di "ecologia+equità sociale": la richiesta di giustizia per i popoli della Terra si deve coniugare con l'aspirazione a riconciliarsi con la natura ("[...] la sostenibilità non è in primo luogo la protezione delle zone umide o la salvezza delle balene: è piuttosto centrata sulla cittadinanza globale [...] è la ricerca di una civilizzazione che sia in grado di estendere l'ospitalità del pianeta ad un numero di persone doppio di quello odierno senza rovinare la biosfera per le generazioni successive - Sachs, 2002, p. 16) e ciò implica piuttosto una qualche forma di decrescita.
Da ciò che abbiamo sin qui accennato risulta immediatamente visibile la stretta relazione tra società e ambiente fisico, economia e risorse naturali, benessere umano e qualità di aria, acque e suoli. Non è casuale se autorevoli studiosi hanno sottolineato la necessità di una vera e propria scienza organica dell'interazione tra sistemi sociali e sistemi bio-geo-fisici, soprattutto alla luce delle problematiche globali di più recente emersione.

Una bibliografia sull'argomento sarebbe ovviamente molto ampia. Qui, oltre ai testi citati in nota, si può fare riferimento, per delle sintesi generali, alle seguenti indicazioni bibliografiche    libri

Torna in biblioteca