3. TecnoRischio & Ambiente
Rischi tecnologici e società contemporanea
(parte prima)

Premessa: la "società del rischio"

Beck Jaeger Stern
Mandl DeMarchi       Beck LogoISO

Al tecno-ottimismo che ha improntato di sé gran parte del secolo XX, sembra oggi sostituirsi, a livello di opinione pubblica, se non proprio un disincantamento nei confronti delle nuove tecnologie, almeno un diffuso atteggiamento di cautela associato alla percezione del carattere ambivalente della tecnologia stessa. In altri termini, si registra una crescente consapevolezza di vivere in un mondo profondamente segnato da rischi da noi stessi creati. L'espressione società del rischio, coniata da Ulrich Beck – sin dal 1986 [La società del rischio. Verso una seconda modernità, con una Postfazione di Beck del 1999] riassume molto bene questa particolare condizione di vulnerabilità della società contemporanea. Sia Beck che Antony Giddens, in modo indipendente, hanno proposto linee teoriche per una ricostruzione della teoria sociale focalizzata sul concetto di rischio. È stato scritto in proposito che "per Giddens e Beck, lo spirito della nostra epoca è l'universale preoccupazione nei confronti dei pericoli (hazards) del mondo contemporaneo, la vulnerabilità dell'ambiente e della stessa specie umana" [C.C. Jaeger, O. Renn, E.A. Rosa, Th. Webler, Risk, Uncertainty, and Rational Action].
Se il pensiero occidentale, a partire dall'Illuminismo, con il coinvolgimento di scuole di pensiero anche molto distanti tra loro, è stato caratterizzato dalla fiducia nel progresso, in un pressoché continuo miglioramento nel mondo sociale, la presa d'atto dell'esistenza di una società del rischio si pone in chiara contrapposizione alle precedenti ottimistiche assunzioni. "La società del rischio significa un'epoca in cui i lati oscuri del progresso vengono in modo crescente a dominare il dibattito sociale" [U. Beck, Ecological Enlightenment: Essays on the Politics of the Risk Society (1991)].
In tale prospettiva, la lettura scientifica delle società contemporanee tende a sempre meno a considerare i vantaggi della modernizzazione sociale, politica ed economica, e sempre più a sottolinearne i suoi molti, e spesso sottovalutati, svantaggi o rischi.
È per questo che oggi si registra una diffusione sociale, ben al di là della cerchia degli addetti ai lavori, della consapevolezza del carattere cruciale della sfida che si pone alle società contemporanee per l'identificazione, la valutazione, la riduzione e il controllo dei rischi correlati alle moderne tecnologie.
Si tratta, evidentemente, di una sfida non riducibile al mero livello tecnico e, d'altra parte, neppure alla produzione e all'attuazione di determinati strumenti normativi. Basti pensare alla varietà delle posizioni assunte da diversi soggetti – anche scienziati ed esperti - sulla rischiosità o meno di determinati impianti o tecnologie, i conflitti – talvolta anche aspri - che si trascinano nel tempo, le preoccupazioni e le paure di volta in volta registrate, per qualcuno fondate, per altri giudicate più o meno irrazionali. Un adeguato tentativo di lettura di tale campo problematico non può non partire da alcune riflessioni critiche su concetti-chiave, complessi e non univoci, come tecnologie, rischio, percezione del rischio, risk management, non dimenticando il ruolo, sia generale che specifico, dei processi di comunicazione. Nello spazio di alcuni contributi che si susseguiranno in questa rubrica, si cercherà di avviare tale esame, necessariamente asimmetrico (alcuni argomenti saranno appena abbozzati, altri trattati in modo più approfondito), a partire da una rivisitazione della nozione di rischio - in stretta connessione con le dimensioni che caratterizzano il concetto stesso di tecnologia - per evidenziarne la natura di categoria socialmente e culturalmente determinata (o, almeno, condizionata) piuttosto che come attributo fisicamente dato delle tecnologie pericolose. A tal fine si effettuerà una breve ricognizione storico-teorica e un confronto tra alcune teorie sociali del rischio, quali quelle che fanno riferimento alla percezione del rischio e all'approccio socioculturale, con l'individuazione delle linee essenziali di un possibile approccio integrato.

Il rischio e la tecnologia

Con riferimento soprattutto alle moderne tecnologie industriali, ad esempio impianti energetici, industrie chimiche, raffinerie, acciaierie, ecc., si devono considerare anzitutto tre aspetti che contribuiscono alla definizione di una tecnologia, tutti rilevanti ai fini della trattazione dei temi relativi al rischio e con importanti implicazioni sui diversi livelli del concetto di rischio. Essi sono:

  1. l'aspetto ingegneristico, l'unico che può essere precisamente quantificato: si hanno elementi fisici in ingresso e in uscita e un determinato processo che consente di passare dagli uni agli altri;
  2. l'organizzazione sociale della tecnologia, ad esempio l'attivazione di forza-lavoro, di competenze specifiche, di una macchina direzionale e organizzativa;
  3. le relazioni con la società esterna all'organizzazione che la utilizza (impatto sulla società): essa può comportare implicazioni anche su valori basilari delle società, assumere una portata simbolica in grado di rafforzare o distruggere credenze, esprimere significati che rassicurano o che terrorizzano. Si tratta di processi di significazione che contribuiscono, altrettanto quanto le qualità fisiche, alla caratterizzazione di una tecnologia.

Per quanto riguarda il termine rischio, sorvolando sui livelli più alti di astrazione - la nozione più generale e formale di rischio - e considerandone il concetto in relazione alle tecnologie, in particolare alle tecnologie industriali, possiamo partire da alcune definizioni desunte dalla letteratura specialistica (C. Mandl, J.W. Lathrop, Risk and Decision, in H.C.. Kunreuter, J. Linnerooth (eds), 1983, Risk Analysis and Decision Processes]:

  1. Numero atteso di morti per anno risultanti dalle conseguenze di un evento incidentale;
  2. probabilità di un evento dannoso generato da un hazard, in uno specifico periodo di tempo;
  3. frequenza alla quale un certi numeri di decessi acuti sono attesi a causa di incidenti.

In tal senso, il rischio deriva sia dall'hazard sia dall'incertezza relativa ai suoi effetti. Con il termine hazard si identifica un oggetto, un'attività, un fenomeno, potenzialmente in grado di produrre un effetto avverso (che causa perdite, lesioni o altre forme di danno). La probabilità che quest'ultimo si verifichi moltiplicata per le conseguenze dell'evento è uno dei possibili modi per definire il rischio, il modo classico degli analisti quantitativi.
Ma se il rischio viene inteso come il possibile verificarsi di un danno e quindi la nozione di probabilità assume un ruolo centrale, nelle valutazioni relative a sistemi complessi (centrali nucleari, grandi impianti petrolchimici, ecc.) e ai loro impatti sull'ambiente e sulla salute, come fa osservare Bruna De Marchi, "si ricorre normalmente alle probabilità soggettive, perché mancano serie storiche di dati su cui costruire probabilità oggettive esaurienti. Nella valutazione entrano dunque elementi di conoscenza ed esperienza personale che spiegano differenti risultati e conseguenti controversie fra analisti. Alle discrepanze nell'analisi di rischio originate da scelte tecniche contrastanti si aggiungono, nella valutazione, considerazioni di tipo psicologico, culturale, sociale, etico e politico-amministrativo" [B. De Marchi, L. Pellizzoni, D. Ungaro, Il rischio ambientale]. Ne consegue che la conoscenza delle problematiche del rischio richieda una decisa crescita del ruolo delle scienze sociali.
Le definizioni proposte nella normativa tecnica, come prevedibile e forse necessario, non sembrano andare molto al di là di una concezione del rischio come attributo fisicamente dato di una tecnologia o di una situazione. Vediamo, ad esempio, ciò che è scritto nell'art. 3 del Decreto Legislativo n. 334 del 1999 (la norma di recepimento nazionale della direttiva europea "Seveso II"):
"...g) "pericolo", la proprietà intrinseca di una sostanza pericolosa o della situazione fisica esistente in uno stabilimento di provocare danni per la salute umana o per l'ambiente; h) "rischio", la probabilità che un determinato evento si verifichi in un dato periodo o in circostanze specifiche" (Decreto Legislativo n. 334/1999, Supplemento Ordinario alla GU n. 228 del 28 settembre 1999, Serie Generale).
Ancora, secondo la International Organization for Standardization, nella Guide ISO/IEC 73, Risk Management - Vocabulary - Guidelines for use in standard, 2002, troviamo:
"Risk: combination of the probability of an event and its consequences"; "Hazard: potential source of harm (phénomène dangereux: source potentielle de dommage)"; "Harmful event: occurrence in which a hazardous situation results in harm", concetto che esprime il passaggio da una situazione pericolosa al danno.
Un allargamento della nozione di rischio è operato da chi, in un'ottica di Risk Management, ai fini della valutazione comparativa dell'impatto di differenti tecnologie (o di differenti scelte tecnologiche), effettua i calcoli del danno (ad esempio tassi di incidenza di tumori, mortalità per incidenti, esposizione a radiazioni e a sostanze chimiche) integrandoli con la nozione di beneficio (produzione di elettricità, occupazione, produzione di beni, ecc.). In questo modo si introduce, attraverso l'adozione di un concetto mutuato dall'analisi economica, l'elemento umano. Si tratta della adozione della cosiddetta analisi rischio-beneficio, variante della più consolidata valutazione costi-benefici, metodologia spesso utilizzata, ad esempio, per decidere sulla economicità sociale complessiva di investimenti pubblici.
Pur introducendo considerazioni di carattere sociale, che in qualche modo arricchiscono la nozione di rischio, siffatti approcci appaiono però non adeguati a spiegare le reali dinamiche in campo. Infatti, essi si mantengono comunque in un'ottica razionalistico-astratta, perché assumono – e qui possono essere usate le argomentazioni critiche di Beato a proposito delle definizioni statistico-quantitative del rischio [Fulvio Beato, Rischio e mutamento ambientale globale. Percorsi di sociologia dell'ambiente] - che sia possibile un chiaro riconoscimento e una integrale calcolabilità delle relazioni causali; una completa neutralità valutativa, un impianto del tutto oggettivo; una minimizzazione della presenza dell'attore sociale, o meglio una espulsione di qualsiasi attore sociale che non si presenti come individuo perfettamente razionale, come calcolatore razionale sulla base del rapporto costi/benefici - un homo oeconomicus che agisce sulla base del principio dell'utilità attesa.
A tale concezione si sono opposti gli studiosi che hanno sottolineato la complessità-poliedricità del concetto di rischio: la varietà delle posizioni che emergono socialmente su determinate fonti di rischio (differenze, per così dire, sincroniche e diacroniche), ne rivelano anche le caratteristiche di costrutto sociale e culturale. Pur nella varietà delle discipline coinvolte e dei presupposti teorici, l'assunzione di un principio di questo tipo ha il suo punto di partenza nell'apparentemente banale constatazione che la gente comune giudica la stessa fonte di rischio in modo nettamente diverso dagli esperti. A ciò va aggiunto, come si è già accennato, che gli stessi esperti sono spesso tutt'altro che omogenei rispetto alla medesima fonte di rischio; fatto, questo, che è stato mostrato dalle numerose ricerche svolte a partire dalla fine degli anni '70 (ad esempio quelle condotte da Slovic e altri) e, più recentemente, dall'esame della dispersione nella valutazione quantitativa del rischio da parte di analisti diversi [per un sintetico resoconto, cfr. A. Amendola, 2002, Gestione dei rischi: dai rischi locali a quelli globali].
Da alcuni decenni, la ricerca sociale ha fornito decisivi apporti sia teorici che empirici in tal senso.
Nel prossimo scritto che comparirà in questa rubrica, a partire dalla critica dell'assunzione che gli individui pongano su una stessa scala di comparazione fenomeni di natura completamente eterogenea, condivisa da tutti gli scienziati sociali, sarà proposta una ricognizione generale dei contributi offerti dagli studiosi della percezione del rischio, della sociologia del rischio e della teoria culturale del rischio.

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