4. TecnoRischio &Ambiente
Rischi tecnologici e società contemporanea
(parte seconda)

Gli studi sociali del rischio – 1

I limiti dell'approccio tecnico

La nozione di rischio adottata dagli analisti quantitativi, sintetizzata dall'espressione che il rischio è uguale al prodotto della probabilità del verificarsi di un evento dannoso per le conseguenze (magnitudo) dell'evento stesso in una data unità di tempo, come sottolineato nella parte dello scritto già pubblicata in questa rubrica, nella sua "ingenua" unidimensionalità si è rivelata inadeguata a rispondere alle sempre più complesse e diversificate domande di risk management emergenti nelle società contemporanee. Da qui l'esigenza di un "allargamento" del concetto di rischio alle dimensioni caratterizzanti il campo problematico via via rivelatesi nel corso degli ultimi decenni, soprattutto in virtù, da un lato, della emersione di un numero crescente di "soggetti interessati" e "aventi voce in capitolo" in materia di scelte tecnologiche e di sicurezza, e, dall'altro, delle elaborazioni teoriche e delle esperienze di ricerca empirica di rilevanti settori delle scienze umano-sociali.

Bevitori Krimsky Slovic
Reliability Environment

L'approccio quantitativo summenzionato, che impronta di sé le strategie e le pratiche dell'assessment tecnico, infatti, ha avuto e ha certamente il merito di aver costruito una serie di metodiche e di strumenti atti a prevedere e valutare i potenziali danni fisici agli esseri umani, ai manufatti e agli ecosistemi, a collocare tali eventi nello spazio e nel tempo, e, attraverso l'esame delle frequenze relative (sia quelle empiricamente rilevate sia quelle stimate attraverso modelli), a stabilirne le probabilità. Dal momento che il danno fisico è universalmente considerato come "effetto indesiderabile", le analisi tecniche del rischio sono quindi utili per rivelare, evitare o modificare i fattori causali di quegli effetti indesiderati; e se le cause sono ancora sconosciute, lontane dalle possibilità di intervento o troppo complesse da modificare, tali analisi possono essere preziosi strumenti per mitigare o ridurre al minimo le conseguenze (Ortwin Renn, The role of risk perception in risk management, in Reliability Engineering and System Safety, 59 (1998), 49-62,1988). In definitiva, esse svolgono una funzione di controllo e di riduzione dei rischi, attraverso la minimizzazione delle conseguenze, la definizione di standard e miglioramenti nell'affidabilità e nella sicurezza dei sistemi tecnologici. Inoltre, laddove si voglia espandere il concetto di rischio con la considerazione della dimensione economica, i dati provenienti dall'analisi tecnica del rischio rappresentano un input importante per lo svolgimento di valutazioni rischio/beneficio, previa trasformazione dei danni fisici in valori monetari.
Ma, come si è detto, l'approccio tecnico ha progressivamente mostrato i suoi limiti, segnalati da diversi scienziati sociali e da qualche analista quantitativo "autocritico". Le principali osservazioni sono presentate in maniera esauriente già nel volume del 1992 curato da Krimsky e Golding, Social Theories of Risk, da vari autori. Nei passi seguenti, si fa riferimento alla schematizzazione sintetica di essi offerta da Renn, sia nello stesso volume (nel saggio Concepts of Risk: A Classification, pp. 59-60), sia in altri successivi scritti (nel già citato Risk Management... e in The role of risk perception in risk management, 1998).
In primo luogo, ciò che la gente percepisce come "effetto indesiderabile", dipende da valori e preferenze. Ciò che è indesiderabile per una persona, può essere desiderabile per un'altra. In secondo luogo, le interazioni tra attività umane e conseguenze sono più complesse e "uniche" rispetto a quanto le probabilità "medie" usate nelle analisi tecniche di rischio siano in grado di cogliere. Una terza considerazione riguarda la struttura istituzionale di gestione e controllo del rischio, che è soggetta a carenze e insuccessi organizzativi che possono accrescere il rischio, mentre l'interazione tra malfunzionamenti organizzativi e rischio è di solito esclusa dall'analisi tecnica di rischio. In quarto luogo, l'analisi di rischio non può essere vista come un'attività scientifica svincolata dai valori: i valori si riflettono su come i rischi sono caratterizzati, misurati e interpretati; l'assunzione implicita che i risk assessors possano essere considerati value-free (esenti da condizionamenti legati a valori e concezioni del mondo), come hanno scritto Halina Szejnwald Brown e Robert Goble, è ben lontana dalla "normale" esperienza della realtà (The Role of Scientists in Risk Assessment, 1990). Inoltre – quinta considerazione -, con riferimento alla definizione classica di rischio, la combinazione numerica di magnitudo e probabilità attribuisce un peso uguale a tali componenti. Ciò implica indifferenza tra eventi caratterizzati da elevate conseguenze e bassa probabilità ed eventi con basse conseguenze e alta probabilità, con identici valori attesi. Invece, la gente mostra spiccate preferenze per gli uni o gli altri. Infine, ed è la sesta osservazione, l'analisi tecnica può assicurare solo dati aggregati relativi ad ampi segmenti di popolazione e al lungo termine. Ciascun individuo, tuttavia, può trovarsi di fronte a differenti gradi di rischio, in dipendenza della variabilità della distribuzione delle probabilità. Una persona che è esposta a rischi maggiori della "persona media" può legittimamente non accettare una politica basata su calcoli aggregati (Renn, Risk management...cit., p. 30). Peraltro, il grado di esposizione di una persona a un rischio specifico dipende anche da fattori relativi agli stili di vita e al "sapere informale", legato alla cultura e alle pratiche "locali", fattori per lo più sconosciuti agli studiosi di risk analysis (Brian Wynne, Risk and Social Learning, 1992).

L'inclusione delle dimensione umano-sociali: la percezione del rischio

Le sopra elencate osservazioni critiche rivolte all'analisi "tecnica" sono difficilmente eludibili. Pur rimanendo di fondamentale importanza – dal momento che è di aiuto ai decisori nella stima del danno fisico connesso con le varie alternative di azione - l'analisi tecnica rappresenta uno schema limitato che non può pretendere di rimanere unico criterio per l'identificazione, la valutazione e la gestione del rischio. Essa poggia comunque su assunti extrascientifici, vale a dire le regole di selezione per l'identificazione degli effetti indesiderabili, la scelta di un concetto di probabilità e di attribuire un eguale peso per probabilità e magnitudo, che possono anche avere una qualche difendibilità logica ma rappresentano solo una parte di ciò che individui e società esperiscono come "rischio" (Renn, Risk Management..., cit., p. 31). Dal momento che il rischio permea profondamente la società contemporanea (si ricordi quanto riferito precedentemente su Beck, Giddens e la "società del rischio"), esso non può essere confinato al sapere e alla valutazione di élite di esperti e tecnici settoriali. Rischio, come è stato scritto, è fondamentalmente "ciò che preme alla gente", ciò che viene vissuto come tale e richiede quindi l'apporto delle scienze sociali per cogliere quelle aree dell'esperienza di rischio che non sono considerate nell'analisi tecnica.
I concetti di rischio riconducibili alle scienze sociali sono accomunati dall'assunzione che cause e conseguenze dei rischi sono mediate da processi sociali.
Del primo tipo di "contaminazione sociale" del concetto di rischio attraverso l'apporto di una logica "economica" si è fatto cenno nel precedente scritto, così come sopra si può trovare un fugace riferimento all'analisi tecnica come input per la valutazione rischi/benefici. Va rammentato che si tratta dell'approccio più vicino a quello tecnico: trasforma il danno fisico in ciò che gli economisti hanno definito "utilità", che descrive il grado di soddisfazione o di insoddisfazione associata ad un'azione o transazione, esprimibile in termini monetari, consentendo la comparazione rischio/beneficio, ammissibile invece, nell'approccio tecnico, solo in caso che si abbiano valori-soglia definiti o che i benefici siano identici (in modo che si possa scegliere l'alternativa a più basso rischio).
Il contributo della ricerca psicologica, riconducibile soprattutto al filone della cosiddetta "percezione del rischio", espande la sfera del giudizio soggettivo sulla natura e la magnitudo dei rischi. Concentra l'attenzione sulle preferenze personali e tenta di spiegare perché gli individui non basano i loro giudizi di rischio sui valori "oggettivi", vale a dire quelli "calcolati" dagli esperti.
Nella seconda metà degli anni Settanta prende il via un filone di studi che passerà alla storia sotto gli emblemi di quello che è stato definito il "paradigma psicometrico" (si veda, ad esempio, P. Slovic, B. Fischhoff, S. Lichtenstein, Cognitive Processes and Societal Risk Taking, 1976; id., Rating the Risks, 1979). Esso parte dalla constatazione che la percezione individuale del rischio da parte della "gente comune" è, di norma, completamente diversa dalla valutazione degli esperti, dal momento che essa si basa non tanto sui dati quantitativi che costituiscono il terreno elettivo degli analisti, ma su altri elementi di natura qualitativa.
Ancora prima dei lavori di Paul Slovic e collaboratori, un primo apporto al tema della percezione del rischio e della sua accettabilità proviene da uno scritto di Chauncey Starr, un ingegnere dell'EPRI di Palo Alto nel 1969 (Social Benefit Versus Technological Risk, in Science, 165, pp. 1232-1238), in cui sostiene che l'applicazione del metodo costi-benefici permette di "svelare" le preferenze degli individui di fronte ai rischi.
Starr elabora un'apposita formula di accettabilità del rischio, basata sulla relazione tra danni, misurati in termini di mortalità per individuo e tempi di esposizione, e benefici, misurati in termini monetari. Il risultato della sua analisi è che il livello di accettabilità dei rischi aumenta all'aumentare dei benefici; inoltre, esiste egualmente una diretta proporzionalità tra la volontarietà nella assunzione dei rischi e il livello di accettabilità degli stessi. Questo modello include, quindi, oltre a una valutazione statistica, uno spazio alla considerazione – seppure indiretta - di ciò che la società richiede.
L'analisi psicometrica non utilizza il sistema delle "preferenze svelate" di Starr, ma il metodo delle cosiddette "preferenze espresse", mediante indagini condotte soprattutto con questionari rivolti al pubblico su una vasta tipologia di attività e sostanze potenzialmente rischiose, ad esempio centrali nucleari, fumo, pesticidi, viaggi aerei, guida di autoveicoli, ecc.
I risultati delle indagini condotte inizialmente da Paul Slovic, Baruch Fischhoff e Sara Lichtenstein, a cui si sono successivamente aggiunti altri studiosi (si veda, la raccolta più completa e relativamente recente di studi e ricerche nel campo curata da P. Slovic, The Perception of Risk, 2000) mostrano che la "gente comune" tende a "sottovalutare" o a "sopravvalutare" i rischi, poiché basa la propria valutazione non sul computo del numero possibile di morti, di feriti o di danni all'ambiente e ai manufatti, ma sulla presenza percepita di caratteristiche specifiche delle situazioni di rischio (alcune proprietà percepite della fonte di rischio, quali la familiarità col rischio, il controllo personale, la temibilità). Un quadro riassuntivo di tali proprietà o fattori influenti elaborato da Vincent Covello è riportato nella Tabella 1.

Tabella 1.

Fattori coinvolti nella percezione del rischio
Fattori Condizioni associate alla crescita della preoccupazione pubblica Condizioni associate ad una diminuzione della preoccupazione pubblica
POTENZIALE CATASTROFICO Morti e feriti concentrati nel tempo e nello spazio Morti e feriti disseminati o casuali nel tempo e nello spazio
FAMILIARITÀ Non familiare Familiare
COMPRENSIONE Meccanismi o processi non capiti Meccanismi o processi capiti
INCERTEZZA Rischi scientificamente sconosciuti o incerti Rischi noti alla scienza
CONTROLLABILITÀ (PERSONALE) Incontrollabile Controllabile
VOLONTARIETÀ DELL’ESPOSIZIONE Involontario Volontario
EFFETTI SUI BAMBINI Bambini specificatamente a rischio Bambini non specificatamente a rischio
EFFETTI SULLE GENERAZIONI FUTURE Rischio Nessun rischio
IDENTITÀ DELLE VITTIME Vittime identificabili Vittime statistiche
SPAVENTO/ TERRORE Effetti spaventosi Effetti non spaventosi
FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI Mancanza di fiducia nelle istituzioni responsabili Fiducia nelle istituzioni responsabili
ATTENZIONE DEI MEDIA Molta attenzione dei media Poca attenzione dei media
STORIA DI INCIDENTI Incidenti gravi e meno gravi Nessun incidente
EQUITÀ Diseguale distribuzione di rischi e benefici Equa distribuzione di rischi e benefici
BENEFICI Benefici non evidenti Benefici evidenti
REVERSIBILITÀ Effetti irreversibili Effetti reversibili
COINVOLGIMENTO PERSONALE Individuo personalmente a rischio Individuo non personalmente a rischio

Fonte: Vincent T. Covello, Social and Behavioral Research on Risk: Uses in Risk Management Decisionmaking, 1985, p. 8.

Ognuno elabora un grado di disponibilità ad esporsi al rischio, che è il risultato di elementi euristici (heuristic principles) e strategie mentali, che in alcuni casi possono portare a "distorsioni percettive", inducendo ad esempio a sottovalutare rischi associati a situazioni di familiarità o a danni non permanenti e recuperabili.
La percezione dei rischi risulta altresì influenzata dalla copertura mediatica, che tende a sottolineare gli eventi drammatici. Come osservano Wilkins e Patterson, "l'evento raro è più notiziabile di uno comune [...], un nuovo pericolo è più notiziabile di uno più vecchio, un evento drammatico [...] è più notiziabile di una malattia molto familiare›" (L.Wilkins e P.Patterson, Risk Analysis and the construction of news, 1987, p.10).
Anche seguendo Bruna De Marchi (Alleanze interdisciplinari e partecipazione pubblica per la governance di vecchi e nuovi rischi, 2004, pp.25-28), di seguito vengono ripresi e brevemente esaminati alcuni tra i principali fattori di influenza sulla percezione del rischio emersi negli studi psicometrici.

La volontarietà del rischio

La gente giudica maggiormente inaccettabili rischi che le sono stati imposti contro la propria volontà, piuttosto che rischi che sono assunti direttamente, in modo "volontario", dall'individuo, o comunque da lui conosciuti o controllati, per i quali si verifica invece un abbassamento dei livelli di vigilanza. L'azione di tale fattore è dimostrata ampiamente dallo scarsissimo successo avuto dalle campagne contro il fumo e l'alcool, e, al contrario, il successo avuto dalle campagne di sensibilizzazione contro i rischi derivanti dalla presenza di campi elettromagnetici sul territorio.

Livello di controllo diretto

Un rischio viene percepito come meno grave quando si pensa di poterlo controllare personalmente e influenzarne direttamente gli esiti. È evidente che la maggior parte delle persone, a prescindere dalla conoscenza delle statistiche relative al numero di morti per incidente stradale ed aereo, si sente molto più sicura alla guida di un auto che su un aereo. Per lo stesso motivo, molti chirurghi sono più impauriti dei comuni pazienti quando devono sottoporsi a un intervento, poiché si sentono "privati" di una funzione di controllo. Un altro semplice esempio riferito al grado di controllo individuale del rischio viene offerto da Starr, che con riferimento al coltello da cucina usato per tagliare il pane afferma: "Se tu prendi sia il coltello che il pan carrè, la distanza fra la lama del coltello e le tue mani può essere molto piccola. Se qualcun altro prende il coltello, probabilmente sposterai la mano più lontano dal pane" (C. Starr, Risk management,. Assessment and Acceptability, 1987, p.68).

La familiarità

La lunga convivenza con attività o situazioni a rischio tende a diminuire la preoccupazione nei confronti di quel pericolo (si pensi agli infortuni sul lavoro); al contrario, un agente di rischio nuovo produce forte ansia e preoccupazione.

La gravità delle conseguenze (potenziale catastrofico)

Le persone temono maggiormente eventi che hanno una bassa probabilità statistica di accadere ma che avrebbero conseguenze catastrofiche (ad es. incidente in una centrale nucleare), piuttosto che eventi che, pur avendo maggiori probabilità di accadere, sono caratterizzati dalla produzione di danni di minore entità.

La distribuzione di rischi e benefici

È chiaro che chi deve sopportare i costi di una scelta di cui si avvantaggeranno altri soggetti che, pur non subendo la presenza di alcun rischio, riceveranno un beneficio, tenderà a sollevare problemi di equità distributiva. È facile che una certa comunità si opponga alla costruzione di un impianto di smaltimento di rifiuti, ma non si attivi per evitare che rifiuti tossici vengano esportati in paesi in via di sviluppo; si tratta del tipico fenomeno che si usa chiamare con un acronimo inglese NIMBY (Not In My Back Yard), o LULU (Locally Unwanted Land Use), che vuol dire rifiuto di accettare l' installazione di impianti all'interno della propria comunità (su questo argomento, peraltro molto "attuale" ma anche complesso, controverso e oggetto di stravolgimenti strumentali, si rinvia a un possibile successivo contributo).

L'incertezza scientifica

Le paure della gente aumentano nel momento in cui sono scarse le conoscenze scientifiche su un dato argomento. Qualche anno fa, era possibile verificare empiricamente che le persone temevano molto più di essere colpite dalla sindrome da Bse (o della "mucca pazza") piuttosto che di avere un incidente d'auto.

Il terrore, lo spavento

Quello che vari autori (Slovic, Fischhoff, Sandman, ecc) chiamano dread, si riferisce a attività o ad eventi che per loro natura, finalità e conseguenze suscitano timore, spavento, persino terrore; malattie come l'Aids o il cancro suscitano sicuramente terrore.
Gli altri fattori che influenzano la rappresentazione del rischio sono la memorabilità dell'evento (è chiaro che l'esperienza di un incidente molto drammatico, quale può essere un incidente nucleare è più facile da immaginare e memorizzare e aumenta così la percezione del rischio) e la rilevanza morale. I rischi di origine naturale, come le alluvioni, i terremoti ecc., infine, sono meno temuti dei rischi "artificiali", prodotti dalla tecnologia.
Un altro dato rilevante emerso dalle ricerche effettuate nell'ambito della psicologia della percezione è che le stesse informazioni, fornite con modalità diverse portano a differenti valutazioni, a seconda che il rischio venga presentato in termini positivi (vite salvate o tasso di sopravvivenza) o negativi (vite perse o tasso di mortalità). In un famoso studio veniva chiesto agli intervistati di immaginare di essere colpiti da un cancro al polmone e di dover scegliere tra il sottoporsi a un intervento chirurgico o a radioterapia (Cfr. B.J.McNeil, S.G.Pauker, H.C.Sox, A. Tversky, On the elicitation of preferences for alternative therapies, 1982). Le risposte variavano a seconda se i dati risultanti dalle due diverse opzioni venivano forniti in termini di probabilità di decesso o di probabilità di sopravvivenza; fornendo i dati relativi alla radioterapia in termini di sopravvivenza, saliva da 18 al 44 per cento la percentuale di coloro che sceglievano questo trattamento.

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