Recensioni e commenti di saggi

a cura di PierLuigi Albini

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democrazia   

Pietro Scoppola - La democrazia dei cristiani. Il cattolicesimo politico nell'Italia unita

Editore Laterza
Collana Saggi tascabili Laterza
229 pagine (cur. Tognon Giuseppe)
anno 2005

Si tratta di una lunga intervista all'illustre storico cattolico che, per la sua storia e per la sua autorevolezza, è affettuosamente chiamato "il papa laico". È davvero impossibile restringere in poche righe una riflessione così interessante e aperta, che corre lungo la storia degli ultimi sessanta anni e non solo, con un intreccio e un rinvio continuo a temi religiosi, politici ed etici. Il senso della storia che si dipana lungo tutta l'intervista è forse riassumibile nell'affermazione che "senza passione politica cosa diventa la storia se non un'arida ricerca, senza anima e senza problemi?".
L'autore ne esce confermato, se ce n'era bisogno, come un grande intellettuale, capace - anche quando sostiene tesi magari non condivisibili - di spingere il lettore ad interrogarsi, a non dare risposte frettolose, a riflettere sulle proprie convinzioni. La sua esposizione è comunque chiara e serve davvero a sfrondare tanti superficiali e propagandistici giudizi che circolano attualmente sulle gazzette nazionali e nelle arruffate dichiarazioni della polemica politica su cosa è veramente successo nei decenni appena trascorsi dal punto di vista sociale, politico e culturale.
Ovviamente, il cuore delle domande e delle risposte dell'intervista riguarda la presenza dei cattolici nella società e nella politica italiana. Ma Scoppola non si sottrae ad argomenti spinosi, come quello del ruolo della ragione nelle scelte umane, chiarendo che quando il cattolico ne parla lo fa in termini non soggettivi ma oggettivi, nel senso di un ordine universale basato su una ragione divina. È questo il motivo di fondo per cui la tradizione cattolica stenta a fare i conti con la soggettività. E, quindi, aggiungo, con l'autonomia della persona. Ma, venendo ad argomenti più cogenti, come quello del rapporto tra religione e democrazia, Scoppola non esita ad affermare che "la democrazia sfida ogni religione, perché si fonda sulla libertà di coscienza e sul principio di maggioranza, che può entrare in conflitto con i criteri di verità proposti da una religione". Perciò il problema che resta aperto è quello tra democrazia e verità, tra l'ordine oggettivo di verità della religione e la dialettica propria della democrazia "fondata sui diritti soggettivi". Anche la sintetica ricostruzione della storia italiana degli ultimi cento cinquanta anni si muove lungo questo asse, laddove Scoppola afferma che "l'intransigenza cattolica è stata per l'ancor fragile Stato italiano un forte ostacolo alla formazione di una identità nazionale". Tuttavia il tormentato e contraddittorio percorso cattolico, prima nella sfera sociale e poi in quella politica, ha permesso l'approdo attuale in cui il cattolicesimo, pur essendo "arrivato ultimo tra le chiese cristiane ad accettare la democrazia, ha portato in dote il peso e il prestigio della sua dimensione istituzionale e culturale e il suo radicamento profondo nel popolo e nella storia". Anzi, Scoppola rivendica all'esperienza DC la capacità di aver favorito l'evoluzione della Chiesa in questo senso.
Ma su un punto lo storico sembra evasivo. Alla domanda diretta se si può ancora parlare di anomalia italiana e di questione cattolica, Scoppola parla d'altro, anche se tutto il senso complessivo del suo saggio afferma che sì, tale questione è più che mai attuale.

Colore   

Philip Ball - Colore. Una biografia. Tra arte storia e chimica, la bellezza e i misteri del mondo del colore

Editore BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
Collana Saggi
378 pagine
anno 2004

Nei primi anni Venti del secolo scorso, Walter Gropius, il fondatore del Bauhaus, propose di sostituire, per lo studio del colore, uno degli artisti che aveva abbandonato la scuola con un insegnante di chimica. La proposta era coerente con gli indirizzi industriali dell'istituzione ma, forse, voleva anche ricuperare la scarsa attenzione data al colore in quanto materia. Questo "trascurare l'aspetto materiale del lavoro dell'artista - sostiene Ball - deriva forse da una tendenza della cultura dell'Occidente a separare la forma dal contenuto". Eppure, scriveva Anthea Callen, specialista degli Impressionisti, "ogni opera d'arte è determinata in primo luogo e soprattutto dai materiali a disposizione dell'artista e dall'abilità di questi nel manipolarli".
Questo di Ball è un libro fondamentale che dovrebbe leggere chi si cimenta con la pittura, oltre chi ha passione d'arte. Rappresenta un altro tassello importante della formazione per capire un quadro. Peccato che l'edizione economica non abbia consentito di inserire una serie più ricca di tavole che mostrassero le diverse sfumature di colore delle tinte storiche oppure una più vasta esposizione di dipinti. È davvero affascinante seguire l'avventura che si dipana parallela e intrecciata tra assortimento disponibile dei colori, sviluppo del commercio e innovazioni tecniche. Per esempio, è interessante sapere che l'assenza di una miscelazione dei colori nei dipinti antichi deriva dal fatto che non essendo disponibili colori primari puri, il risultato di una miscela avrebbe spento la sua tonalità verso il grigiastro o il bruno. Oppure, che il grado di macinazione di un pigmento influenza la sua tonalità, perché più è fine e più è pallido: diffondendo infatti di più la luce, la grana finissima tende al bianco.
Certo, molte delle tecniche un tempo necessarie per dipingere e dei materiali usati oggi sono quasi scomparsi, non facendo più parte dell'armamentario di conoscenze necessarie per dipingere. Il che ci porta direttamente all'altro aspetto interessante del libro: alla rivoluzione chimica e fisica, che non solo è all'origine dell'invenzione di nuove tonalità ma della stessa possibilità di riprodurre il colore sui nostri computer. Fu Maxwell nel 1855 a definire che l'arancio-rosso (red), il verde (green) e l'azzurro-violetto (blue) sono i cosiddetti colori fondamentali che generano tutti gli altri, l'RGB dei nostri programmi di grafica, appunto.
Il libro ci introduce anche ai misteri delle attuali regole internazionali che regolano le tavole dei colori, ma, soprattutto, ci accompagna lungo il corso della rivoluzione pittorica di fine Ottocento e del Novecento, soffermandosi in particolare sul rapporto tra Impressionisti e nuovi colori industriali disponibili, fino all'introduzione dell'acrilico e a qualche utile annotazione per interpretare tanta parte della pittura attuale. Come il fatto che se la tela non è rigorosamente monocroma, qualcosa di figurativo resta sempre, perché è il nostro cervello (non anche la vista, come scrive l'autore) che ricostruisce comunque "forme familiari dalle campiture di colore giustapposte." Oppure, come il fatto che tanta sperimentazione artistica è derivata proprio dalla disponibilità di nuovi materiali pittorici.

Italiani   

Angelo Del Boca - Italiani, brava gente?

Editore Neri Pozza
Collana I colibrì
318 pagine
anno 2005

Dopo la lettura di un testo così documentato, anche se si sapeva (almeno quelli che non volevano nascondere la sporcizia sotto il tappeto) che la popolare espressione del titolo era solo "fumo fatto a manovella", come si usava dire, mi pare che al suo punto interrogativo andrebbero aggiunti anche alcuni punti esclamativi. Tanto per sottolineare il vizio nazionale di non fare mai conti con se stessi, di assolvere tutto e tutti, di girare insomma semplicemente la pagina di un libro che rischia così di rimanere sempre lo stesso sul piano del costume e dell'etica. Infatti, non c'è mai stato in Italia un vero esame di coscienza nazionale che andasse al di là di ristretti gruppi di intellettuali.
Intanto, gli italiani non hanno ancora fatto davvero i conti con la leggenda intramontabile del "bravo italiano", colonialista e aggressore sì ma diverso dagli altri, che ha coperto nei cento cinquant'anni di unità nazionale i peggiori crimini, non diversi da quelli compiuti da altri. Certo, fatta salva la questione della Shoah, ma non fatte salve le leggi razziali e gli aiuti dati da qualche migliaio di italiani alle SS nelle razzie degli ebrei.
Per i nazionalisti e i guerrafondai di ogni tempo, l'espressione "italiani brava gente" aveva un duplice significato: da un lato, una critica al sentimentalismo e all'umanitarismo eccessivo con cui si supponeva che si trattasse la popolazione soggetta, dall'altro significava salvarsi l'anima e giustificare le avventure militari e l'aggressione ad altri popoli, camuffandosi sotto un "ma noi però li trattiamo bene".
La rassegna di Del Boca, comincia da lontano, dall'unificazione dell'Italia e dagli episodi da quasi pulizia etnica perpetrati nel meridione nel corso della guerra al brigantaggio, che per le sue dimensioni e per l'appoggio dato dalle popolazioni andrebbe piuttosto considerata una guerra civile. Per continuare poi con le sciagurate avventure coloniali, gli eccidi compiuti in Libia, i gas asfissianti impiegati in Etiopia e, ancora prima, le stragi in Somalia. Emblematico dell'atteggiamento italiano nell'Africa orientale questo telegramma di Mussolini al generale Graziani, l'8 luglio 1936: "Autorizzo ancora una volta Vostra eccellenza a iniziare e condurre sistematicamente la politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli e le popolazioni complici. Senza la legge del taglione al decuplo non si sana la piaga in tempo utile. Attendo conferma." Per passare, poi, alle indiscriminate cacce all'uomo scatenate dalle autorità e compiute ad Addis Abeba da civili italiani in seguito ad un attentato a Graziani da parte di due studenti eritrei. Per non tacere, infine, del tentativo di bonifica etnica compiuto nella Slovenia occupata durante l'ultima guerra. E, in questa rapida rassegna, ho citato solo una parte delle vicende raccontate da Del Boca fino alla seconda guerra mondiale.
Ancora più odiose, poi, le motivazioni deliranti e le vere e proprie complicità con cui vennero coperte o giustificate le atrocità italiane. A cominciare dai giornali ma non escludendo la Chiesa italiana, che non mi pare abbia fatto nemmeno lei un esame di coscienza in proposito. Eppure, nel caso etiope, si trattava persino di altri cristiani.

Homo cyborg   

Naief Yehya - Homo cyborg. Il corpo postumano tra realtà e fantascienza

Editore Eleuthera
159 pagine
anno 2004

Accidenti! Questo è un libro che mi sarebbe piaciuto scrivere. Al quale, anzi, stavo vagamente pensando. Beh, ormai è stato scritto e con buoni risultati. Ben documentato, problematico quanto è necessario quando si parla dell'intreccio umanità-tecnologia, senza deliri filotecnologici ma anche senza pregiudizi antitecnologici. Si tratta di una ricognizione dell'attuale stato dell'arte quasi sempre in apprezzabile equilibrio nell'esplorare gli attuali confini raggiunti dalla scienza, soprattutto informatica e biologica, l'estendersi inarrestabile di nuovi comportamenti riproduttivi e sociali e uno sguardo all'immediato futuro possibile. La rapida ricostruzione, quando è necessario, dell'origine storica di alcune suggestioni umane (le chimere e il Golem, il cyborg e il robot, e così via) aiutano a situare la questione della postumanità in una prospettiva più comprensibile. Per postumanità, si intende la fase in cui saremmo già inarrestabilmente entrati, nella quale la tecnologia non è più solo una semplice protesi dell'agire umano, ma ha già invaso il nostro corpo, i nostri comportamenti più intimi e si sta collegando all'attività del pensiero.
In sostanza, il cyborg - innesto o combinazione tra un organismo biologico e una macchina - è già una realtà. Ma qui il termine macchina va usato in senso estensivo, fisico-chimico-biologico. Dunque, è già una realtà dal punto di vista dell'organizzazione sociale, come fenomeno diffuso di interazione uomo-macchina, come utilizzo di tecnologie chimiche e biologiche riproduttive e per la salute, come dispositivi di sostituzione di facoltà che l'età, le malattie o gli incidenti hanno reso malfunzionanti, come supplemento e potenziamento di attività intellettuali, per esempio la memoria, la progettazione o la stessa riflessione. Lo è dal punto di vista personale di centinaia di milioni di individui che sarebbero menomati senza i supporti tecnologici. Lo è non solo nella fantasia letteraria e cinematografica, ma nei programmi scientifici più avanzati, per cui si tratta ormai solo di processi tecnologici da mettere a punto. Siamo, insomma, nella fase sperimentale, nella quale i meccanismi della vita artificiale sono già funzionanti e la cibernetica ha fatto passi da gigante. Presto arriverà la fase industriale, della produzione in serie, spinta da un atavico e irrefrenabile desiderio di evadere da un corpo troppo limitato, di sperimentare nuove dimensioni sessuali, di procacciarsi mezzi di combattimento sempre più potenti, di rinsaldare il potere personale e politico, di fare soldi.
Ora, dal punto di vista non tanto dell'evoluzione della civiltà, ma proprio del ruolo degli esseri umani, cosa avverrebbe nel confronto tra, diciamo, l'umanità-umanità e l'umanità-cyborg? Che fine farebbero talune nostre convinzioni etiche, le credenze religiose, certi rapporti sociali? A chi è destinata in futuro la Terra? L'autore passa in rassegna molte ipotesi senza atteggiamenti apocalittici, in modo discorsivo e richiamando alla nostra attenzione i problemi che sorgeranno (che sono già sorti) e i limiti di vecchie concezioni e di visioni del mondo nell'affrontare una fase davvero del tutto nuovo dell'evoluzione umana. Perché, da qualsiasi punto di vista si guardi questa nuova realtà, di questo si tratta, di una nuova fase dell'evoluzione.
L'unico limite o contraddizione del libro sta nel suo inavvertito ricadere, talvolta, nella superata distinzione tra mente e corpo che pure, in generale, l'autore critica.

Tutta la violenza di un secolo   

Marcello Flores - Tutta la violenza di un secolo

Editore Feltrinelli
206 pagine
anno 2005

Il libro è stato recentemente premiato da una giuria popolare di lettori. Lo segnalo perché è un libro singolare per la sua leggibilità e per la capacità dell'autore di toccare gli aspetti essenziali di un secolo, il Novecento, che potrebbe essere definito, rovesciando il titolo, Il secolo della violenza. Non che la storia precedente non abbia conosciuto stragi e guerre tremende, ma nessuna epoca ha emulato l'entità del sangue versato e la dimensione barbarica della guerra raggiunte nel Novecento.
Effetto di uno straordinario sviluppo tecnico-scientifico che ha messo a disposizione dell'umanità mezzi di distruzione di potenza inaudita? Conseguenza dell'affermazione delle società di massa e di uno sviluppo economico contraddittorio e mal condiviso? Frutto dell'apparizione sulla scena storica della categoria del totalitarismo e, prima ancora, dell'autoaffermazione degli stati nazionali e dei nazionalismi? Prodotto diretto dell'espansione europea nel mondo e della sua eclisse proprio a causa delle guerre scatenate sul proprio territorio? Probabilmente di tutte questa cause insieme e di altre ancora, che libri come questo stanno portando alla luce. Assieme alla constatazione che la sorgente principale della violenza nel Novecento è stato l'Occidente o il nord del mondo, se si preferisce. Ivi comprese le democrazie liberali.
Da questo punto di vista, l'autore non si limita ad una ricognizione degli episodi salienti del Novecento che lo caratterizzano come secolo della violenza, ma li accompagna con un'analisi dei meccanismi psicologici e dei contesti culturali e sociali che di volta in volta ne hanno permesso l'affermazione e la giustificazione. Fino al punto di rendere normale la violenza criminale: quella di Stato, quella giustificata in nome di qualsivoglia "ideale". Non si tratta di una riflessione da confinare nel secolo scorso, essa arriva fin sull'orlo e già dentro il secolo nuovo, per cui opportunamente Flores avverte, ad esempio, che utilizzare categorie e definizioni del secolo passato può risultare davvero pericoloso, come nel caso in cui si cerca di accomunare il fenomeno del totalitarismo al terrorismo odierno.
Accade che questo tipo di distorsioni siano tanto più facili ad essere contrabbandate come vere, come appoggiate a terribili precedenti storici genericamente a tutti noti, quanto più difetta la conoscenza delle cause e dei meccanismi reali che hanno presieduto allo scatenarsi della violenza pubblica (guerre e genocidi) nel Novecento. Cioè, la propaganda e l'asservimento della storia agli obbiettivi politici, che non è certo un fatto nuovo, nasce dall'oscuramento della memoria, dall'abbassamento dei livelli di guardia e dal travisamento di ciò che per davvero accadde.
Ecco perché il Ministero dell'Università e della Ricerca ha fatto proprio male a non sostenere la ricerca di cui il libro è il risultato, come viene denunciato in epigrafe al testo, adducendo giustificazioni risibili, o meglio, sospette.

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