Recensioni e commenti di saggi

a cura di PierLuigi Albini

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Futurismo esoterico   

Simona Cigliana, Futurismo esoterico. Contributi per una storia dell'irrazionalismo italiano tra Otto e Novecento

Editore Liguori
Collana Critica e letteratura
384 pagine
anno 2002

Di recente, sono usciti alcuni testi sugli stretti rapporti esistenti tra gli ambienti nazisti e la loro propensione per la pratica dell'occulto. Questo volume della Cigliana esplora quell'ampio territorio semisommerso dell'irrazionalismo e del paranormale che, a partire dal Romanticismo attraversò il Positivismo, innervò alcune estetiche come il Simbolismo e il Decadentismo, nonché il Futurismo, ed è poi continuato nel tradizionalismo romano e nella destra neopagana. Che, poi, tanto semisommerse queste tendenze non furono, se l'esoterismo rappresenta l'altra e parallela linea espressiva dello sforzo di dominare la realtà che è "continuativamente presente nella cultura moderna, evidente ora nella poesia e nel romanzo, ora nei settori della ricerca filosofica e scientifica." Dove, ovviamente, di scientifico non c'è niente.
La teosofia, che è, per così dire, il vestito filosofico delle credenze paranormali, fu di gran moda tra Ottocento e Novecento. Marinetti, il fondatore del Futurismo, non ne fu immune, influenzato com'era dalla sua partecipazione alle sedute spiritiche nei salotti milanesi. Ma come poteva conciliarsi l'entusiasmo futurista per le macchine e per la tecnica con un pensiero intessuto di magismo? La cosa è meno assurda di quel che può sembrare, se pensiamo che la moda dello spiritismo nasceva dalla spiegazione scientifica del magnetismo, questa forza invisibile che poteva muovere le cose. La fisica andava svelando un mondo fatto di onde e di radiazioni non percepibili dai sensi e, dunque, sembravano dire molti intellettuali, perché escludere l'esistenza di un parallelo mondo psichico ugualmente invisibile? E, infatti, ritorna continuamente nei manifesti futuristi l'idea di riuscire a rendere sulla tela ciò che Boccioni chiamava il trascendentalismo fisico, tendente all'infinito mediante linee-forze, percepite mediante l'intuito. In fondo lo schema concettuale di base di una tale credenza poggiava sull'antica tradizione del dualismo tra spirito e materia. Nemmeno il Positivismo fu immune da questa moda, in quanto, per un certo periodo il mondo dell'occulto fu, appunto, un possibile campo di esplorazione della scienza stessa. Per parafrasare Eric R. Dodds, un grande classicista irlandese, si pensava che le scienze occulte potessero dare alle scienze riconosciute lo stesso contributo fornito dall'alchimia alla chimica. [Per un approfondimento sul tema del rapporto tra spiritismo e scienza, si può peraltro consultare la tesi di laurea di Fabrizio Pesoli, pubblicata sul sito dello Swif, Sito italiano per la filosofia]
Ma, in generale, fu l'Idealismo e la sua reazione al Positivismo l'alveo in cui prosperò l'esoterismo e la sua versione più presentabile, l'irrazionalismo, che è la cifra essenziale del futurismo. Troppo tardi se ne avvide Benedetto Croce, il quale - dopo averlo vezzeggiato per la sua battaglia contro il Positivismo - finì per condannarlo quando si rese conto dei guasti intellettuali e politici di cui era portatore.
Nel primo dopoguerra un robusto filone futurista, specialmente romano, accentuò la sua propensione per l'occultismo e cominciò a darsi una veste storicizzata attraverso Julius Evola, tuttora caro al tradizionalismo più reazionario e irrazionale, che immagina le sue radici in ere lontane e in misteriosi e sotterranei lasciti sapienziali.
Ai tanti seguaci dell'occulto che tuttora proliferano non farebbe male dare un'occhiata anche al sito del Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale.

Arte e scienza   

a cura di Rossana Boscaglia, G. Barilli, G. Caglioti, G. Dorfles, V. Fagone - Arte e scienza

Ilisso Edizioni
Collana Appunti d'arte
104 pagine
anno 1993

In Arte e scienza un critico, un fisico, un artista critico d'arte e uno storico dell'arte contemporanea si confrontano su uno dei temi che vengono di tanto in tanto discussi tra esperti di diverse discipline. Confronti utilissimi ma che non hanno ancora portato a opinioni condivise. Talvolta il tema riguarda la somiglianza tra le due attività a proposito del ruolo centrale dell'intuizione, altre volte sono gli scienziati - specialmente i fisici e i matematici - ad insistere sulla consonanza tra l'estetica delle formulazioni scientifiche (un'equazione vera è anche elegante) e le operazioni compiute dall'artista. Altre volte ancora si insiste sul fatto che, in un certo senso, artista e scienziato procedono in parallelo, tenendosi molto d'occhio dal punto di vista dei risultati. Spesso si sottolinea il ruolo dell'arte nell'interiorizzare e qualche volta anticipare le nuove tecnologie. Anche i singoli interventi di questo testo, seguiti da un dibattito, confermano le divergenze.
Barilli si serve dell'uso del simbolo, procedimento comune all'arte e alle scienze, per marcare la differenza tra le due attività. Si riferisce però soprattutto alla tecnica, osservando che l'essenza della sfera tecnica sta nell'inseguire "fini concreti e precisi, laddove l'opera d'arte qui ipotizzata si caratterizza per il fatto di darsi libera dalla finalità o dotata di finalità intrinseca."
Caglioti parte invece dal punto di vista dei criteri di ordine e di simmetria che regolano contemporaneamente la materia e la nostra percezione artistica per suggerire che "una struttura artificiale [...] si presta a generare in noi reazioni di rilevanza psicologica [...] se i moduli strutturati - i colori o i segni, le masse o le note, o le stesse parole - nel combinarsi si strutturano configurando un ordine compatibile con certi possibili significati." Abbozza poi una suggestiva tavola strutturale di corrispondenza tra oggetti naturali e oggetti artistici.
Dorfles, al contrario, nel sottolineare che l'opera d'arte è portatrice di una molteplicità di significati, cioè che è e deve essere in sostanza ambigua, e che è proprio questa ambiguità a costituire il fenomeno estetico, sostiene che ciò è "in contrasto con l'assoluta corrispondenza tra significante e significato e alla prevalenza della denotazione sulla connotazione d'ogni ricerca e d'ogni teoria scientifica."
Fagone affronta il problema soprattutto dal punto di vista iconologico e ricorda come nei primi decenni del Novecento la ricerca delle avanguardie sulla quarta dimensione si affiancò alla discussione tra fisici e filosofi sullo stesso argomento e come esista una correlazione tra psicologia della forma e arte astratta-concreta.
In conclusione, se anche il testo di questa interessante discussione a più voci, per fortuna ancora in commercio, non approda a conclusioni condivise, forse - a distanza di dodici anni - il dibattito ha subito una pausa di riflessione in attesa di indicazioni più sperimentali da parte delle neuroscienze.

Chiesa e totalitarismo   

a cura di Vincenzo Ferrone - La Chiesa cattolica e il totalitarismo, Atti del Convegno: Torino, 25-26 ottobre 2001

Leo S. Olschki Editore
Collana Fondazione Firpo. Studi e testi
216 pagine
anno 2004

Riconosco che gli atti dei convegni non sono una letteratura di largo consumo. In genere sono diretti (e letti, quando sono letti) ad un pubblico ristretto. Ma questo della Chiesa cattolica e il totalitarismo è un tema che meriterebbe una più ampia riflessione, ben al di là della cerchia degli specialisti. In qualche modo, è un complemento storico-analitico a molte delle osservazioni contenute nell'intervista a Piero Scoppola, in precedenza recensita.
Se vogliamo, è la storia, non certo ancora conclusa, di come la Chiesa ha combattuto il mondo moderno, di come ha cercato di difendere il suo essere una specie di istituzione anfibia, mezza dentro e mezza fuori del mondo (almeno nella sua pratica concreta e nelle sue rivendicazioni), di come dopo il trauma della seconda guerra mondiale si è progressivamente arresa alla pratica democratica tra i laici, capovolgendo tutto un indirizzo di opposizione frontale al liberalismo e alla democrazia cominciato nell'Ottocento e continuato ben dentro il Novecento. Ma è proprio per la sua condizione anfibia che la Chiesa conserva nel suo bagaglio delle contraddizioni irrisolte che l'arresto dei processi messi in moto dal Concilio Vaticano II rischia di far diventare più acute. Per esempio, al riconoscimento dei diritti dell'uomo effettuato nel secondo dopoguerra (un atto che avrebbe fatto inorridire tutti i papi dei due secoli precedenti) non si è accompagnato un sostanziale progresso sul tema dell'autonomia della persona. Eppure, quel riconoscimento è stato importante, se si considera che l'entrata in vigore delle leggi razziali in Italia nel 1938 non fu contestata dal Vaticano per ragioni umanitarie, ma perché vulneravano il concordato per quanto riguardava i matrimoni misti.
Poi, sappiamo che anche la Chiesa, con la sua teoria dello Stato cattolico, dette un aiuto (quanto diretto o indiretto è ancora oggetto di discussione) alla formazione delle teorie riguardanti lo stato totalitario. Fu Pio XI a sostenere che "se c'è un regime totalitario - totalitario di fatto e di diritto - è il regime della Chiesa, perché l'uomo appartiene totalmente alla Chiesa, deve appartenerle." Certo, all'epoca, il termine totalitario non era ancora carico delle tragedie umane che sappiamo, ma è stato lo storico del cristianesimo Adolfo Omodeo che nel 1945 ha usato l'espressione "totalitarismo cattolico".
Molto interessanti le analisi comparate dei comportamenti storici delle chiese nazionali francese, tedesca e italiana di fronte alle ascese del fascismo e del nazismo. Come si sa, le ultime due non escono bene dal confronto. Infine, molto istruttiva è la ricostruzione del conflitto tra la chiesa e i comunismi. Con grande sorpresa degli ambienti cattolici conservatori, furono soprattutto i vescovi polacchi, al tempo di Paolo VI, a chiedere di affrontare il comunismo dal punto di vista dei diritti della persona e non dei diritti di verità che essa diceva di possedere in modo esclusivo", com'era stato fino ad allora. Come si sa, l'intelligenza del cambio di posizione dette i suoi frutti e venne papa Wojtyla.

Pensare la tecnica   

Michela Nacci - Pensare la tecnica. Un secolo di incomprensioni

Editori Laterza
360 pagine
anno 2000

Questo è un libro che sarebbe bene leggessero in molti, specialmente certi filosofi, i recensori "umanisti" di testi di divulgazione scientifica, coloro che sono interessati alla storia della cultura, in particolare nel nostro Paese, i lettori che si interrogano su certe tendenze di fondo della società italiana, tutti quelli che si chiedono come mai coloro che decidono sembrano estranei all'idea di una necessità dello sviluppo scientifico, e anche gli studenti, perché può orientare meglio la loro formazione. Non che l'autrice pretenda di dare una risposta a tutti i problemi posti, ma la sua analisi storico-filosofica descrive piuttosto bene le vere e proprie deviazioni epistemologiche che nel Novecento hanno ostacolato un rapporto non complessato con la tecnica, del tipo di quelle messe in campo da Heidegger, tuttora molto seguito in alcuni ambienti culturali italiani.
Pensare la tecnica chiarisce che, contrariamente a tante elaborazioni vecchie e nuove, l'impressione di potenza e la minaccia di una supposta autonomia delle macchine, che giungono a dominare l'uomo, sono proprio il frutto di una vera e propria operazione di travisamento e di occultamento del fatto che la tecnica non esiste di per sé, ma che essa è incorporata nell'uomo con tutto quel che ne consegue. Sono perciò i rapporti di potere, economici, sociali e culturali, ad agire la tecnica e non viceversa. La volontà di potenza che apparterrebbe al sistema delle macchine, appartiene in realtà all'uomo. La tecnica non è perciò un Moloch, ma è casomai la maschera che nasconde un altro uomo. Se di asservimento dell'uomo o di dominio sull'uomo si vuole parlare, allora l'indirizzo a cui rivolgersi non è certo la tecnica ma il sistema umano che la genera e la domina. La Nacci si rifà con semplicità illuminante a una definizione di John Dewey: "la tecnica è l'azione con strumenti". Sostenere poi il fatto che l'ambiente tecnico in cui vive l'uomo è qualcosa di estraneo alla sua natura, che la tecnica non è un operare solo umano, come fanno Heidegger, J ünger, Jonas e tanti altri, significa entrare in una specie di loop alla Escher, in cui una mano disegna una mano che disegna la mano che la disegna.
Il travisamento del rapporto tra tecnica e umanità ha alimentato molta della filosofia nichilista del Novecento, sia di destra sia di sinistra, per cui il mutamento dei valori, lo spodestamento dell'idea dell'uomo come centro dell'Universo ha prodotto una perdita di identità (non importa quanto fosse falsa, era comunque tranquillizzante). Invece di rivisitare criticamente e ricostruttivamente il pensiero del passato, di prendere atto del "sentimento di una rottura con tutta la storia passata" entrando in un nuovo e più solido umanesimo, questa cultura ha prodotto un rifiuto oppure una fuga. Forse in questi atteggiamenti negativi, se mi è permessa un'osservazione sbrigativa, c'è molto di interessi di bottega. La filosofia - come ha scritto Horkheimer - "è oggi schiacciata non solo dalla ragione sociale, ma anche dal predominio della scienza sulla filosofia." Forse proviene da qui il rifiuto di tanta parte della cultura del Novecento: da un precedente rifiuto di pensare che, forse, una filosofia della storia non esiste o non era quella alla quale per secoli si era pensato.

nessuna chiesa   

Giulio Giorello - Di nessuna chiesa. La libertà del laico

Editore Cortina Raffaello
79 pagine
anno 2005

Un pamphlet che ha fatto recentemente discutere, frutto della polemica che oppone i laici ai cosiddetti "atei devoti" e ai clericali che si sono fatti recentemente più invadenti. Il taglio del saggio è però un po' troppo segnato dall'esigenza di difendere la filosofia, operazione legittima ma che va a scapito della popolarità del testo. Il quale conserva tuttavia una sua leggibilità.
Anche Giorello, come altri, è per un "relativismo relativo". Nel senso che teorie, norme, massime e pratiche etiche non vanno poste tutte sullo stesso piano. Tuttavia "là dove abbiamo buone ragioni per credere nella verità di una teoria o nella bontà di una norma - precisa l'autore - non possiamo escludere in linea di principio che si possano trovare argomenti per teorie e norme rivali". Giorello, che è un filosofo della scienza, mette quasi subito a fuoco il problema di fondo che alimenta la polemica in atto, chiarendo "come lo scontro in atto sulla presunta dittatura del relativismo sia uno scontro filosofico sul senso e sulla portata della scienza, della riflessione critica, della tolleranza politica e della scelta morale".
Naturalmente, il ragionamento dell'autore affronta anche temi molto discussi, come quello delle tecniche per la riproduzione umana, sostenendo che è molto più umano che ciascuno sostenga il peso della propria sofferenza ma anche quello di una libera scelta. Laddove l'alternativa sarebbe tra un intervento responsabile oppure un atteggiamento irresponsabile, "inchinandosi al caso". Se poi si invoca quella che l'autore chiama la "questione del fondamento", ossia qualcosa che è centrale nel pensiero religioso, "occorre riconoscere - aggiunge - come essa non trovi cittadinanza entro quella pratica che da qualche secolo chiamiamo scienza".
Rivendicando lo statuto del laico, Giorello ricorda come l'etimologia del termine significhi "volgare", "popolare", ma anche profano, ossia escluso dalla cerchia dei sacerdoti. Ciò comporta l'adozione immediata del principio di tolleranza scegliendo l'orizzonte di questo mondo come l'unico a cui concretamente guardare, perché è l'unico che condividiamo nei fatti. Principio di tolleranza che non può tuttavia essere assoluto, in quanto la società deve essere legittimata ad intervenire su chiunque nuoccia agli altri, maggioranze o minoranze che siano. Ma non possono considerarsi comunque legittime azioni che tendano a imporre una modello sanitario o a modellare le mentalità o a frugare nelle coscienze.
La solidarietà necessaria per tenere insieme una società, comporta il riconoscimento che le cosiddette "radici culturali", siano plurime e che si riconosca che l'origine (di una identità, di un popolo e così via) è sempre "particolare e contingente". Questa solidarietà si intreccia oggi a tre fili (natura, tecnica e società) senza che ciò significhi, per rimanere nel solco della tolleranza, l'adozione di un principio trascendente, ma senza nemmeno escluderlo. Questo principio trascendente deve arrestarsi, però, sulla soglia della coscienza e delle scelte altrui, come del resto è vero il reciproco. Il che, aggiungo, porta diritti a confermare il principio di libertà per tutti.

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