Un diffuso grigiore era nell'aria e molte nuvole cariche di pioggia venivano, veloci, verso di noi, portate dal vento di mare.
Faceva caldo anche se la grande sala godeva di un buon condizionamento e fuori l'umidità era elevatissima.
Ero seduto in una di quelle poltrone rosso lacca che insieme ai tavolini bassi creavano tanti piccoli angoli appartati, dei piccoli salotti, uno vicino all'altro con vista verso il giardino e la piscina attraverso la grande vetrata.
Lì, con fare distratto, con in mano la mappa di Bangkok, oziavo con lo sguardo fra i quattro lifts in costume caratteristico, pantaloni alla zuava crema e casacca rosso scuro, che aprivano e chiudevano le grandi porte in cristallo e legno.
Le persone in pantaloncini passavano velocemente nell'atrio dell'Hotel.
Sì, velocemente, perché alle 6 del pomeriggio scattava l'ora del coprifuoco per i pantaloni corti, nonostante le temperature torride. Non era più permesso, infatti, passare o sostare nell'atrio con i pantaloni corti, erano consentiti solo i lunghi.
Quelle poche persone che capitavano là dopo le 6 venivano cortesemente, ma con determinazione, scortati da qualcuno del personale verso gli ascensori e le camere per potersi cambiare.
E tutti, comunque osservavano queste regole perché questa era la tradizione dell'Oriental, il più antico e regale Hotel di Bangkok e sarebbe stato sciocco opporsi a 125 anni di storia.
Mentre facevo queste ed altre considerazioni, assaporando i modi, i colori e le varie figure che giravano lì intorno con un fare pacato e soddisfatto come quando si gusta un buon bicchiere di wiskey, magari torbato, mi sentii toccare le spalle ed, in un inglese quasi da BBC, qualcuno mi chiese: - scusi mi può prestare un momento la mappa della città?
Mi girai, un po' sorpreso, e vidi due grandi occhi marrone chiaro con qualche venatura di giallo e verde incastonati in un viso con zigomi evidenti ed un pò abbronzato che mi chiedevano qualcosa.
Lì per lì rimasi a guardarla con aria un po' stupida perché non mi ero accorto che qualcuno si era seduto nelle poltrone dietro di me ma, immediatamente dopo, la mia mente si era messa in movimento perché in quella donna dai capelli neri c'era qualcosa che mi stimolava la curiosità.
Trasmetteva una sensazione di benessere e serenità soltanto con lo sguardo ed il modo di esprimersi che era raro trovare da quelle parti dove gli occidentali o erano persone d'affari, sempre con tanta fretta, o turisti spesso con fare trasandato e superficiale.
Mentre facevo tutte queste considerazioni tentavo di mettere a fuoco e capire cosa mi stesse chiedendo e con un inglese meno perfetto del suo le risposi che per andare a vedere il Palazzo Reale si poteva prendere dall'Hotel un battello che passava ogni 15 minuti circa e che le avrei volentieri prestato la mappa.
Cominciammo così a chiacchierare, seppi che non era la prima volta che veniva a Bangkok ma che in passato non aveva avuto molto tempo di visitare la città.

Questa volta voleva andare a vedere le meraviglie del palazzo reale ed in particolare i famosi guardiani del tempio, una serie di statue ricoperte di oro, pietre dure e preziose, che facevano la guardia alla parte più sacra del palazzo stesso che in realtà era una piccola città nella grande metropoli.
Mi prodigai in consigli ed indicazioni e ben presto trovammo molti interessi turistici in comune.
La cosa che più mi attraeva era che mi guardava con quegli occhioni espressivi come se mi conoscesse da tempo ed era attenta a tutto ciò che le dicevo.
Chiaccherando chiaccherando passò più di un'ora e ad un certo punto le dissi: - visto che ormai è tardi per andare a vedere qualunque monumento in città e visto chi è quasi ora di cena vogliamo andare a mangiare qualcosa insieme?

Mi guardò, con aria interrogativa e dopo avermi scrutato a fondo, quasi facendomi un controllo medico, dopo qualche secondo di esitazione mi fece:
-va bene ma andiamo a piedi perché vorrei camminare!
Così facemmo, chiesi alla reception un indirizzo, intorno all'Hotel, di un buon ristorantino pulito e caratteristico e dopo aver avuto le indicazioni ci incamminammo.
Dovevamo attraversare, con la piccola barca dell'Hotel che funzionava da traghetto, il fiume che in quel tratto era particolarmente largo ed appena usciti all'aperto fummo investiti da una folata di vento caldo che non faceva presagire nulla di buono.
Dopo essere arrivati dall'altra parte del fiume cominciammo a discendere la riva destra lungo la grande strada che ospitava sui suoi grandi marciapiedi tutta una popolazione di gente vociante che camminava, mangiava, discuteva ad alta voce; con le macchine che, non numerosissime, sfrecciavano a velocità usando forse in modo eccessivo i clacson.
Su quel marciapiede accadeva di tutto, dai bambini che dopo cena giocavano, agli uomini adulti che seduti su sgabellini o accoccolati sulle ginocchia giocavano ad una sorta di dama cinese; dai venditori di sigarette e coca cola a quelli che vendevano frutta e giornali, il tutto in un'afa sempre più montante con quelle folate di vento caldo che almeno davano spazio ad un po' di respiro facendo sbattere le fronde degli alberi posizionati lungo la strada.
Con quel caldo ed umidità gli odori ed i profumi si mischiavano in modo incredibile tanto che a tratti erano irrespirabili specie quando dal fiume saliva qualche folata di marcio misto a gasolio ed altre volte erano invece gradevolissimi specie vicino a qualche casa ornata di gelsomino o altri fiori profumati.
Camminando, ad un tratto, la mia accompagnatrice mi fece notare una piccola trattoria lungo la strada e mi disse ridendo:
- che dici sarà quello il ristorante?
Spero proprio di no- le risposi.
Era un posto orrido, una specie di stanza al seminterrato in una costruzione a due piani dove quattro o cinque tavolini lerci ed unti ospitavano un po' di persone, per lo più maschi, che in canottiera e calzoncini corti giocavano a carte parlando a voce alta o strillando in una atmosfera resa quasi nebbiosa dal fumo delle sigarette, mentre altri due uomini e tre donne chiaccheravano a voce alta aspettando verosimilmente di mangiare qualcosa.
Il gestore della trattoria, un uomo tarchiato con le gambe molto arcuate e dallo sguardo un po' furbetto che metteva in mostra il suo sorriso ed i suoi denti, alcuni dei quali d'oro e splendenti, stava comodamente seduto all'esterno, sul marciapiede, leggendo un untuoso giornale.
La moglie, la cuoca, in quel momento stava mettendo in un unico grande pentolone tanti pezzi di verdura, frutta e pollo che faceva cuocere tutto insieme aggiungendovi grandi quantità di spezie e peperoncino.
Era uno spettacolo sicuramente caratteristico ma uno di quei posti che noi occidentali, in genere, fatichiamo a digerire. Per fortuna l'indicazione non era quella.

Finalmente, parlando di tante cose, arrivammo così al piccolo ristorante consigliatoci.
Era sistemato sempre sulla riva destra del fiume che in quel tratto era illuminato da tutta una serie di lampadine dei locali che vi si affacciavano e dai gran pavese delle barche, che nonostante il tempo si facesse sempre più brutto, erano tutti accesi.
Ci sedemmo ad un tavolo un po' distante dalla piccola orchestra che allietava, si fa per dire, la serata.
La cantante era abbastanza brava quando si impegnava in canzoni occidentali ed era piacevole sentirla, ma quando si lanciava in gorgheggi thai francamente diventava complicato sopportare quella grande rumorosità.
Per tutta la cena parlammo di viaggi, lavoro, esperienze varie come se ci si conoscesse da un tempo infinito, lei cercava in genere di avere mie notizie senza dar l'impressione di essere interessata mentre io, al contrario le facevo domande dirette alle quali lei rispondeva con una certa attenzione e cura come se volesse solo in parte farmi partecipe di sé.
Ad un certo punto mi disse che aveva sete e visto che il cameriere tardava a venire mi alzai per ordinare dell'acqua minerale e fu a quel punto che notai sul suo fianco sinistro, poco sopra il margine della lunga gonna thai, in un punto in cui si notava la pelle scoperta che appariva poco al di sotto dell'orlo della casacca anch'essa thai, un piccolo tatuaggio a forma di ali di pipistrello che spiccava sulla pelle abbronzata.
Incuriosito le chiesi cosa significasse e lei mi disse:
- adesso no, ma forse un giorno te lo dirò.
Perché un giorno? non è meglio ora che abbiamo tempo? Tanto non penso che potremo andare molto in giro con questa brutta aria!. Le risposi.
È proprio vero, questo è appena l'inizio di una tempesta tropicale - disse una voce alle mie spalle.
Mi girai e vidi il maitre, che nel frattempo si era avvicinato: -è inusitato- continuò- in questo periodo una tempesta tropicale, ma le previsioni ormai lo hanno comunicato ufficialmente.
Comunque non vi preoccupate, non è pericolosa quanto un uragano. Ci sarà solo tanta, tanta pioggia e vento e durerà almeno altri tre giorni.
Io e lei, già, lei, perché ancora non mi aveva detto, né io le avevo chiesto, il suo nome ci guardammo un po' sorpresi e vagamente preoccupati per quella notizia che avrebbe comunque modificato i nostri programmi.
Dai, non ti preoccupare, le dissi, domani potrai andare lo stesso a vedere il Royal Palace ed anzi per stasera ti propongo di andare a vedere il quartiere di Patpong, se non ti scandalizzi troppo.
Patpong è famoso per essere uno dei quartieri a luci rosse tra i più caratteristici nel mondo ed in particolare nel Sud Est asiatico, ed al di là dei particolare piaceri che ciascuno si poteva procurare era diventato ormai una vera e propria attrazione turistica.
Iris, perché così si chiamava, mi guardò sorridendo maliziosamente e con aria di sfida disse: non sarà mica che ti ci devo portare io a PATPONG?
Penso di no ma se tu la conosci molto molto bene sarei ben lieto che mi facessi da guida! - le risposi con altrettanta malizia.
Con quel sorriso incantevole in quel viso ancora più dolce, guardandomi dritto negli occhi come se volesse entrare nei miei pensieri mi disse: - O.K. sarò la tua guida!! fai chiamare un taxi.
Così feci, non potevo non accettare quella piccola sfida.
Ci incamminammo verso l'uscita mentre arrivava alle nostre orecchie un gran rumore di pioggia.
Il Taxi arrivò quasi subito e dopo aver avvertito il conduttore di attivare il tassametro, cosa fondamentale a Bangkok, ci sprofondammo nel sedile posteriore dandogli l'indicazione per Patpong.
Seduti a stretto contatto avevo un grande piacere che il suo gomito fosse poggiato sul del mio ed uno strano calore veniva da lei; il suo profumo era inebriante, lei stava con gli occhi socchiusi quasi che stesse assaporando quegli attimi di grande dolcezza e tenerezza.
La pioggia veniva giù sempre più forte ed a malapena i tergicristalli della macchina riuscivano a tenere pulito il parabrezza.
Se proprio sicuro di voler andare a Pathpong: mi disse improvvisamente.
No - le risposi. Anzi mi piacerebbe andare in un posto tranquillo a bere qualcosa insieme e sentire parlare di te.
Mi incuriosisci troppo e vorrei sapere chi sei, cosa fai e che cosa pensi.
Mi guardò sorridendo e non rispose
Tornammo all'Oriental, si erano ormai fatte le dieci, in Hotel regnava la solita calma; attraversammo la hall risplendente di luci e marmi ed andammo all'Habana Club, un posto tranquillo, molto intimo, con luce soffusa ed il piano bar che non dava fastidio.
Ci mettemmo seduti ad un tavolo d'angolo, lei volle rivolgere le spalle al muro perché, mi disse, si sentiva più tranquilla. E cominciammo in silenzio ad osservare il passeggio delle persone che dalla sala grande della Hall si recavano per il lungo corridoio a vetrate verso gli altri bar vicini alla piscina dove c'era molta più confusione.
La pioggia che veniva giù era sempre più forte e le gocce schizzava facendo un gran rumore contro le vetrate del corridoio.
Lei mi raccontò di sé, dei suoi precedenti viaggi in Thailandia, delle sue visite nella zona Nord del confine con la Birmania ed il Laos, dei suoi incontri con le tribù delle colline, le Hill Tribs, degli Acca, dei Karen, di queste genti dai lunghi colli ornati ed allungati da una serie di anelli e dalle gengive nere corrose dall'uso dell'oppio, dei suoi viaggi in treno, dell'attraversamento di LopBuri, città delle scimmie, famose queste nei templi Kmer, della sua voglia di cambiare lavoro; faceva la disegnatrice per una grossa azienda di moda, e veniva in Thailandia di tanto in tanto per vedere i tessuti che le tribù del Nord riescono a produrre con tessiture molto preziose e particolari in seta ed oro.
Ed io la ascoltavo, mi piaceva sentirla parlare, guardando i suoi occhi marroni verdi e la espressione del viso con i suoi zigomi evidenti.
Ne ero assolutamente affascinato ed era strano che tutto potesse accadere in quelle poche ore.
Non era certo la prima volta che conoscevo una donna affascinante ma lei, in qualche modo, aveva qualcosa che stregava, che ti agganciava con lo sguardo ed il calore della voce in modo tale da farti sentire un novello Ulisse in balia delle sirene.
Una delle cose che più mi attraeva erano le sue mani, lunghe affusolate ed un po' ossute che metteva una contro l'altra di piatto incrociandole dita e poggiandovi sopra il mento. Quando annuiva facendo dei piccoli cenni con il viso sembrava che potesse capire tutto e di più in perfetta sintonia con il sottoscritto che si sentiva come un turacciolo sballottato nel suo mare.
Aveva l'aria di essere una persona fragile, indifesa, bisognosa di aiuto ed affetto e che, proprio per non mostrare questa sua sorta di debolezza si descriveva come una donna estremamente determinata.
Era singolare che facessi tutta questa serie di considerazioni dopo appena poche ore dalla sua conoscenza, ma comunque la cosa mi piaceva ed attraeva ed anche lei partecipava attivamente mostrando un grande interesse per me.
Parlando capitava talvolta di toccarle le mani e tutte le volte notai che eravamo ambedue attraversati da una strana sensazione di scossa elettrica.

Rimanemmo a chiacchierare fino a quando il cameriere ci venne vicino e scusandosi disse che quella era l'ora di chiusura.
Era quasi l'una di notte ma il tempo, in realtà, era passato troppo velocemente e sembrava che noi avessimo l'ansia, quasi il terrore, che passasse troppo in fretta..
Iris si alzò, mi guardò sorridendo dritto negli occhi e disse: E adesso cosa facciamo?
Non so, risposi, tu cosa proponi?
Andiamo a vedere la pioggia, disse.
Mi prese per mano, una mano calda, morbida piena di tenerezza ed al tempo stesso determinata e mi condusse fuori, nel giardino della vecchia dependance dell'Hotel che aveva ospitato narratori importanti come Conrand e Kypling Soumerset Mougham..
Delle grosse gocce di pioggia si spiaccicavano sulla porta a vetri e scivolavano in una corsa incredibile verso il basso disegnando innumerevoli tracce che si intersecavano tra loro brillando e facendo apparire i colori interi dell'iride, appena la aprimmo fummo investiti da una grande folata di vento ed acqua che si abbatteva ovunque con una furia incredibile.
I grossi palmizi sbattevano qua e la creando una sorta di danza di ventagli cinesi dalle mosse cadenzate e multiformi, i petali delle bouganville e degli altri fiori si innalzavano verso l'alto in grossi turbinii e poi ricadevano andando a poggiarsi sull'acqua della piscina a piccoli mucchi, il prato che circondava la piscina e la zona antistante al fiume si riempiva progressivamente di pozze d'acqua ed il cielo si faceva sempre più nero con qualche piccolo sprazzo di grigio scuro.
Superata la grande vetrata fummo quasi travolti da un grande scroscio d'acqua che ci diede inizialmente una strana sensazione di caldo e freddo insieme.
La temperatura interna era molto più bassa di quella esterna quasi simile a quella della pioggia che ci bagnava mentre l'aria all'esterno nonostante il vento e la pioggia era quasi calda.
Rimanemmo lì, come due bambini felici di sentirci bagnati a giocare con l'acqua, la mia mano nella sua in una trasmissione continua di messaggi e sensazioni che venivano portati dal contatto delle dita e della pelle, dalla temperatura delle mani.
Contatti non espressi verbalmente che irradiavano uno strano calore in quell'ambiente umido, difficili da esprimere, almeno per me abituato spesso ad un linguaggio solo formale.
Non so quanto tempo rimanemmo in quella situazione, forse 5-10 m', ma sembrò al tempo stesso una eternità ed una frazione di secondo.
Io sentivo solo il calore del suo corpo attaccato al mio e della sua mano e non smettevo solo un momento di stare nei suoi occhi dalla sfumatura marrone verde.
Il cielo si era fatto completamente plumbeo, l'altra parte della riva del grande fiume si vedeva a malapena tra uno scroscio di pioggia ed un colpo di vento, i rami degli alberi continuavano a sbattere sempre più violentemente gli uni su gli altri; l'acqua della piscina si era ancora più tappezzata di foglie e petali multicolori di orchidee e bouganville, le sedie di paglia spostate e sbattute dal vento formavano delle apparenti barriere a tutto ciò che volava vorticosamente.
La guardai e le dissi: - fra poco avremo bisogno di un salvagente.
Sì - mi rispose ridacchiando - ma forse è meglio che ci si vada a cambiare.
La seguii mentre rientravamo, nella hall dell'Albergo, sotto gli occhi incuriositi degli addetti alla reception ed insieme aspettammo di prendere uno degli ascensori lasciando una pozza d'acqua tutt'intorno, prontamente asciugata dagli addetti.
In ascensore scoprii che stavamo allo stesso piano il 18º, continuai a starle vicino ma non osavo dire o fare altro fino a quando lei stessa non si alzò sulla punta dei piedi ed in modo frettoloso mi diede un piccolo bacio, quasi furtivo, nonostante fossimo soli, sulle labbra.
Mi lasciò sull'atrio, davanti alle porte degli ascensori, dicendomi:
- chiamami dopo, sono all'832.
Ero pervaso da una serie di emozioni, dalla felicità ad una sorta di strana depressione nella consapevolezza di una situazione transitoria che avrei voluto fosse invece consolidata.
Ero comunque soddisfatto perché quella donna mi piaceva, mi dava la sensazione che potesse comprendermi, e trasmetteva calma, tenerezza ed una grande sensualità e tutto ciò mi incuriosiva ed attirava terribilmente tanto che, mentre bagnato fradicio mi spogliavo per entrare in doccia, dicevo a me stesso: - stai calmo, ragiona, non fare come al solito, partire in quarta per una situazione che non conosci né riesci a valutare.

Questo era il mio angelo custode razionale che si sforzava si mettere in riga l'altro angelo custode, quello irrazionale, irriducibilmente romantico e curioso come una scimmia che invece mi diceva: - dai sei forte!! È una persona troppo interessante!! non puoi non volerla conoscere. Una strega meravigliosa, i suoi occhi sono trasparenti, non ti possono ingannare.

Mi rilassai un po' sotto l'acqua calda tentando di dirmi che era solo una conoscenza occasionale e come tale dovevo considerarla, come era capitato in altre occasioni, ma quella, sentivo, era una situazione differente, molto più importante delle altre.

Mi rilassai ancora un po', poi decisi di telefonarle: - tanto è talmente tardi, pensai, che starà dormendo.

Il telefono squillò solo due volte, poi: ciao - mi disse - ti aspetto.
Andai da lei, fu una notte meravigliosa, facemmo l'amore più volte ed ognuna con una voglia incredibile di concederci uno all'altra in un crescendo di sensazioni dove le paure inconsce di ciascuno di noi si affievolivano in un crescendo di sensazioni condivise, dove il sentimento e la sensualità si mescolavano in modo tale da creare una amalgama omogeneo non solo tra i corpi ma anche tra le menti.
Mai prima di allora avevo provato tutte queste cose insieme.
La cosa meravigliosa ed incredibile era che tutto avveniva in una successione di eventi che nessuno dei noi aveva potuto in qualche modo controllare; tutto così spontaneo, normale.
Era come se fossimo stati travolti da quegli avvenimenti in una ondata di piena incredibile, trasportati in un viaggio meraviglioso, pieno di messaggi trasmessi non solo dalle parole ma da sensazioni, silenzi, sguardi, profumi della pelle e tanta voglia di vivere e di sentirsi amati.

La mattina dopo mi svegliai e rimasi a guardare quel suo particolare segno che era una "voglia" sul fianco sinistro, a forma di ali di pipistrello, che avevo notato la notte precedente.
Sembrava disegnata appositamente come uno speciale tatuaggio; fuori intanto il cielo era sempre più nero e grigio, i vetri erano rigati dalla pioggia che cadeva sempre più abbondante.
Ci facemmo portare la colazione in camera e la consumammo a letto come due adolescenti alle prime esperienze amorose.
Dalla finestra notai che il traffico sul fiume era diminuito, non passavano più quelle lunghe e strette barche con il grosso motore scoperto piazzato a poppa e con la lunga asta dell'elica. Barche queste portentose per la velocità, che dipinte per lo più in giallo e rosso, solcavano velocissime le acque alzando altissime scie di acqua e facendo un rumore infernale, spesso a gara le une con le altre, nel tentativo del pilota di ricevere una mancia più abbondante dal passeggero che portavano.
Quella mattina anche le grandi chiatte che trasportavano di tutto, trainate da potenti rimorchiatori, erano diminuite nel numero e frequenza insieme ai battelli passeggeri che collegavano i vari quartieri della città attraverso i numerosissimi corsi d'acqua.
La radio intanto trasmetteva nella loro lingua ed in inglese appelli che invitavano tutti a rimanere al riparo in casa o in albergo, avvertendo che vi erano zone in città dove l'acqua cominciava ad invadere i piani terra delle case.

Per fortuna la maggior parte delle case thai erano sistemate su palafitte in funzione di una esperienza millenaria di rapporto dell'uomo con il fiume e l'acqua in generale.

Fui improvvisamente distratto da queste considerazioni da una sensazione di gelo nella parte bassa delle spalle, Iris aveva pensato bene di svegliarmi da quel piccolo letargo poggiandomi le mani bagnate e fredde sulla schiena e facendomi una sorta di strano massaggio che mi elettrizzò tutto insieme.
Una delle cose che più mi piacevano ed eccitavano di lei era il profumo ed il calore della sua pelle ed i suoi occhi con riflessi verdi e marrone che si incastonavano tra capelli neri in un viso dalla pelle liscia, dolce e pulito, sopra due zigomi lievemente sporgenti.
E sicuramente era eccezionale, sapeva prendermi in modo tale che sembrava che potessimo partecipare ad una sorta di scalata di montagne dalle più alte cime ad improvvisi dirupi in un crescendo di partecipazione di difficile descrizione e tanta era la confusione che a stento veniva coperta dalla musica che si irradiava dall'impianto stereo della camera.
E fu tutto il giorno così mentre fuori continuava a piovere a dirotto.

Nel pomeriggio, stanchi ma felici, decidemmo che forse era il caso di fare una passeggiata andando a vedere i cari shops dell'albergo, visto che era praticamente impossibile tentare di uscire per la grande quantità di acque e vento che si stava riversando sulla città.

Era di una semplicità e tenerezza indescrivibile quando rovistava con fare assorto e competente fra le varie stampe più o meno colorate nel negozio di antiquariato o in quello di gioielli, alcuni proposti come antichi.


Rimasi attratto da un paio di orecchini di argento antico lavorato a forma di rombo stilizzato che erano esposti in una confusione indescrivibile in mezzo a bracciali di argento antico ed altri moderni spacciati per antichi.

La cosa che notai era che nella forma di quel gioiello c'era qualcosa che ricordava il tatuaggio sul suo fianco e mentre si spostava verso un'altra vetrina mi misi d'accordo con l'amabile signore thai alla cassa, li acquistai e gli dissi che sarei poi tornato a prenderli.
Passammo così, da un negozio all'altro chiacchierando un po' con i commessi, un po' con i proprietari, un po' con altre persone che, come noi, erano state costrette dagli eventi a rimanere in Hotel e durante questo tempo ci scambiavamo occhiate furtive, eravamo presi da una strana scossa quando, di sicuro non molto involontariamente, capitava di sfiorarci le mani o quando le poggiavo la mano sulla schiena per invitarla ad interrompere delle chiacchierate estenuanti con alcuni venditori.

Si era fatto di nuovo tardi e decidemmo di cenare in albergo. Tutto buonissimo a base di suschi con accanto un ottimo vino bianco italiano di buona gradazione, secco al punto giusto e con un retrogusto leggermente profumato; Iris ne fu deliziata e mi confessò che le piaceva il buon vino, d'altronde non poteva essere altrimenti, una donna così bella ed affascinante non poteva non apprezzare una delle delizie del palato come il vino.
Finimmo con un buon caffè all'italiana, cosa rara da quelle parti, quindi decidemmo, visto anche l'effetto dell'alcool di tornare ognuno in camera per darci una sistemata.
Fuori era ormai impossibile uscire, il personale alla reception ci sconsigliò vivamente di farlo perché le condizioni meteo andavano sempre più peggiorando e l'acme era previsto per le prime ore della notte.
Quando tornai nella sua camera sembrava assorta nei pensieri, seduta su un piccolo divano vicino alla finestra da cui si dominava con la vista la città ed il fiume..
Mi avvicinai senza far rumore perché pensavo dormisse ma appena accanto a lei mi prese una mano e la strinse forte come se avesse paura di perdermi.
Fu una strana sensazione! In realtà ero io che avevo paura di perderla e strinsi forte le sue mani nelle mie.
Non osavo dire nulle come se incosciamente stessi esorcizzando in qualche modo una sua possibile partenza e poggiai dolcemente il viso sulla sua spalla inebriandomi del suo profumo e della dolcezza della sua pelle.
Penso che stiamo facendo una pazzia, mi disse. Io non ti conosco, ti ho visto solo 36 ore fa, non so nulla di te e della tua vita ma so solo che con te sto bene in serenità.
Non riuscivo a parlare, né mi andava di dirle delle cose che potevano apparire banali e di circostanza, mi venne solo spontaneo dire: - so soltanto questo, penso che senza di te starei molto male e non voglio pensare al domani.
Era certo questa una forzatura proprio per me che vivevo e vivo di progetti, di cose da fare e di prospettive, ma in quel momento sentivo solo "lei" e volevo solo "lei" in un disperato ed inespresso bisogno di averla vicina il maggior tempo possibile nella prospettiva poi reale di doverci separare.
Mi misi seduto vicino a lei che si accoccolò su di me poggiando una massa di capelli neri sulla mia spalla; mi prese le mani e stringendole forte in modo tale che la potessi abbracciare, le portò sui suoi seni che erano dolcissimi.

In tutto questo notai che c'era una dolcezza infinita ed una sensualità incredibile, ancora una volta difficile da descrivere che comunque ci prendeva interamente.
Passammo così un po' di tempo e quindi andammo a dormire. Stavamo abbracciati con la sua testa poggiata sul mio torace; lei si addormentò subito mentre io rimasi sveglio perché mi piaceva guardare il suo viso mentre dormiva ; un viso che a tratti sembrava sorridere per poi tornare serio tutto insieme, questo durò per alcune ore poi verso le tre mi addormentai anch'io.
Stavo sognando quando improvvisamente Iris mi svegliò dandomi una serie di piccoli baci sulle braccia e collo.
Aprii gli occhi e mi sentii dire: - fuori piove!!
Lo so- risposi con voce ancora non completamente risvegliata dal torpore - sono due giorni che fa la stessa cosa!!
Senti - continuò dolcemente- impara a conoscermi, quando fuori piove ed io ho il tempo di stare vicino ad una persona cara mi viene un gran desiderio di fare l'amore e lo voglio fare adesso, subito! - Concluse con aria determinata e sorridendo.
E fu così, fui suo e lei mia anche questa volta in una confusione di sensazioni, di piccole grida e di mugugni che se non fosse stato per il ticchettio battente della pioggia sui vetri avrebbero reso il sonno difficile ai vicini di camera.

La mattina dopo ci svegliammo tardi ed il cielo cominciava progressivamente a schiarirsi facendo intravedere qualche zona celeste anche se le nuvole ancora erano basse e grigiastre.
La tempesta sta finendo - mi disse ad un tratto Iris - e noi siamo come lei.
Spiegati meglio - che intendi? -
Voglio dire che il nostro incontro può essere paragonato ad una tempesta tropicale veloce violenta intensa e distruttiva per i nostri sentimenti. Chissà quale nome femminile hanno dato questa volta a questa tempesta?
Non lo so mi devo informare - le risposi. Perché in effetti era vero, alle tempeste tropicali veniva dato sempre un nome femminile che seguiva un ordine alfabetico.
Ma tu pensi che il nostro incontro sia solo fortuito ed occasionale - le chiesi di rimando.
Direi proprio di sì, anche se qualcosa mi dice che potrebbe essere anche diverso. mi rispose.

Rimasi taciturno a pensare quale significato avesse tutta quella storia, certo poteva essere solo un momento fuggevole ed intenso ma c'era qualcosa, in quella donna, che mi portava a credere che non potesse finire lì così, ci doveva essere una prospettiva nella nostra vita, non potevamo sempre comportarci in modo da cogliere il quotidiano senza alcun progetto per il domani.

Mi dai il tuo indirizzo - le chiesi improvvisamente.
Lei, che stava con aria assorta a guardare il cielo, si girò verso di me: che ci devi fare con il mio indirizzo ? mi chiese.
Mi misi a ridere: devo venire a svaligiare la tua casa - le risposi - quando ovviamente non ci sei.
Si mise a ridere anche lei- poi improvvisamente mi resi conto che anch'io di quella donna sapevo poco o nulla, se aveva qualcuno, un compagno, un marito dei figli?? Non mi aveva detto nulla né io le avevo chiesto qualcosa.

In quel momento avvenne qualcosa di strano, lei mi guardò dritto negli occhi e mi fece: non ti preoccupare non sono sposata né ho un compagno, vivo sola o quasi!!
Che significa quasi? -le feci di rimando- vivi in una comune oppure hai a casa una specie di bio park secondo una terminologia moderna, ma che fino a qualche tempo fa avremmo chiamato zoo??
No uno zoo no, una comune quasi; nel senso che ho una figlia molto dolce e carina che fa diventare la mia casa una comune quando arrivano tutti i suoi amici ed amiche e mi fa disperare perché quando vanno via mi tocca lavorare per tre giorni di seguito per rimettere tutto in ordine.
Mi venne da sorridere immaginandola, novella Mary Poppins, in tuta da lavoro piegata in due per terra a togliere macchie di coca cola oppure a pulire pavimenti.
Non ci credo - le feci -.
Non credi cosa? Che non abbia una figlia o che non lavori in casa??
No, che lavori in casa, o meglio magari qualche lavoro sì ma proprio tanti no -
Venne da ridere anche a lei e cominciò a raccontarmi quale confusione era in grado di organizzare quando, in casa da sola o con la figlia, iniziava a fare le grandi pulizie utilizzando le scope più nuove e perfette, spostando mobili qua e la e mettendo tutto a soqquadro e facendo alla fine disperare la donna che l'aiutava a fare le pulizie, che, quando arrivava la mattina, trovando tutto quel trambusto, voleva subito dare le dimissioni.
Una cosa sola le piaceva fare e le serviva per rilassarsi: stirare!!
Lo sai fare bene? - le chiesi con aria interessata.
Sì ma solo per le cose mie?? Rispose sorridendo - per gli altri solo in rarissime eccezioni.

E tu, sai usare la lavatrice? Mettere e togliere le cose da lavare e sistemare i piatti nella lavastoviglie? - mi chiese sempre ridendo - perché questi lavori invece, io li odio.
Certo che le so fare - le risposi anzi sono addirittura uno studioso, in questo campo. -

Continuammo così per tutta la mattinata fino al primo pomeriggio parlando della nostra vita quotidiana, delle nostre ansie e timori e delle nostre speranze, senza limiti o pregiudizi.
Ad un certo punto mi guardò fisso e disse; ora devi andare nella tua stanza, mi devo preparare.
Rimasi un po' come intontito perché avevo capito perfettamente cosa voleva dirmi, che, proprio come la tempesta anche la pioggia era finita e lei sarebbe andata via come se non si potessero sovvertire le leggi dell'immutabilità e la nostra storia così come era cominciata ora sarebbe finita.
Tentai di dirle che non avevo capito facendo un minimo di resistenza poi la abbracciai e le dissi: - va bene vado via ma ad un piccolo patto.
Non faccio patti - mi rispose
Sì invece li devi fare, le dissi con testardaggine e determinazione.
E cioè? - mi fece lei con voce dura
Vorrei il tuo indirizzo e prima di andare via mi devi dare il tempo di andare a prendere quegli orecchini che ieri sera abbiamo visto insieme giù nel negozio dell'Hotel.
Mi sorrise, ecco il mio indirizzo mi fece e per quanto riguarda gli orecchini, lo sapevo, avevo intuito che ti eri accorto quanto mi potessero piacere, ma non li voglio.


Comunque adesso vai perché mi devo preparare e poi passo un momento a salutarti. Aspettò che mi preparassi e con dolcezza mi spinse fuori dalla sua camera

Ero un po' stordito, infastidito ed arrabbiato con tutto e tutti perché non sopportavo l'idea di perderla.
Andai a ritirare gli orecchini e per poco non mandai al diavolo il commesso del negozio che, ammiccando, mi disse che sarebbero stati benissimo addosso a quella bella signora che stava con me la sera prima.

Ritornai di corsa nella mia camera e feci appena in tempo perché dopo poco arrivo Iris.
Ci guardavamo non sapendo che fare o dire, ma sicuramente c'era una grande tristezza nell'aria, e le feci- be' anche in questo siamo uniti!
Che intendi - mi fece lei
Dico che in due giorni ho sperimentato che ci intendiamo in modo meraviglioso e sembra quasi che siamo stati sempre insieme, uniti ed anche questo momento la separazione in realtà ci unisce.
Troppe chiacchiere: mi fece e mi diede un lungo bacio.
Le consegnai gli orecchini e l'abbracciai a lungo mentre lei li guardava attentamente.
Poi mentre stava mettendo la scatolina di legno contenente gli orecchini nella borsa da viaggio, arrivò la telefonata della reception per dire che il taxi per l'aeroporto era pronto e l'attendeva all'uscita principale.
Ci fu un po' di trambusto, la piccola scatola di legno cadde in terra e si aprii facendo scivolare all'esterno quei due piccoli rombi di argento antico.
Io raccolsi la scatola, le chiesi se lei aveva preso gli orecchini e mi disse di sì, mise tutto velocemente nella sua borsa, e dicendomi: ciao! Sei dolce! Mi diede un piccolo bacio sulle labbra e scappò via, in fretta.
Rimasi lì immobile, con il colore dei suoi occhi stampati nella mia mente e con il profumo della sua pelle nel mio cervello e capii in quel momento che ero proprio solo, e che la mia vita sarebbe stata vuota senza di lei.
Dovevo reagire, mi dissi, dovevo fare qualcosa, sentire un pò di musica, di rumori, di voci, cose che potessero in qualche modo distogliere la mia attenzione da quella persona che mi aveva appena lasciato:
Andai ad accendere la televisione, misi tutte le luci al massimo e mentre facevo tutto ciò notai un luccichio per terra, raccolsi quell'oggetto e rimasi pensieroso.
Era uno degli orecchini che avevo regalato ad Iris, evidentemente nella fretta lei aveva pensato che li avessi messi a posto io nella scatola dopo essere caduti in terra.
Quell'oggetto era per me motivo di amore come unico ricordo tangibile di lei dall'altra di odio perché desideravo quasi volerla dimenticare, perché soffrivo troppo al pensiero che non ci fosse più.

Dopo qualche settimana tornai in Europa, ripresi il solito lavoro e la solita vita, sembrava quasi non mi interessasse nulla più di tanto.
Sì in effetti ero depresso, pensavo sempre a lei e mi arrabbiavo con me stesso perché non osavo chiamarla, anzi avevo quasi timore che contattandola mi dicesse:- che vuoi? non ti voglio vedere! - Anche se poi la convinzione ultima era che non le sarebbe dispiaciuto rincontrarmi.
Quindi, da una parte dicevo a me stesso che dovevo assolutamente per lo meno telefonarle e dall'altra invece mi rispondevo che ero un visionario, un irriducibile romantico, uno che aveva sbagliato il secolo in cui vivere, come spesso parlava di me un carissimo amico.
Questo balletto delle due anime che imperversavano nella mia mente mi comportava una confusione incredibile, una sorta di dissociazione mentale tale che qualunque cosa dovessi fare la facevo male e con poca soddisfazione.

Un bel giorno mi decisi.

Non andai a lavoro, presi l'aereo ed arrivai nella sua città, mi feci portare da un tassi al suo indirizzo.
Era un palazzo di quelli antichi inizio secolo, trovai il cancello aperto, senza il portiere; entrai nell'atrio e salii le scale per prendere l'ascensore, trovai il piano segnato sulla targhetta all'ingresso.
Notai, tra i vari pensieri che mi attanagliavano in quel momento, che l'ascensore era di quei tipi vecchi con le porte di legno ed i vetri antichi lavorati, con tutta una gabbia intorno di rete dipinta di color oro scuro.
Cigolando, l'ascensore arrivò al piano e con molto timore bussai al campanello; era pomeriggio e probabilmente Iris stava in casa, non avevo voluto telefonarle, era una specie di scommessa con me stesso.
Quando lei aprì la porta rimase prima immobile a guardarmi e dopo un momento, sorridendo in quel modo tutto suo, molto speciale, fissandomi negli occhi, mi fece:
lo sapevo che prima o poi saresti venuto, se non altro per portarmi l'altro orecchino, vieni entra pure!
Anzi se proprio non sai che fare vieni ad aiutarmi! Se sei bravo ti assumo stabilmente
Mi tolsi la giacca poggiandola su una poltroncina all'ingresso e la seguii in cucina e capii ancora una volta ed ancora di più che era proprio lei la donna che desideravo fosse la mia compagna nella vita.


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