Poesia della "buona" notte

È freddo.
L'aria umida attraversa le ossa lasciandole fragili e soggette a dolori irresistibili. Il mio vecchio corpo, stanco e deforme, si trascina nella nebbia.
Ho bisogno di carne nuova, ho bisogno di sangue caldo, ma questi denti vacillano, si scuotono, tremano. Al solo pensiero di affondare i canini in una giugulare il mio corpo si desta. Al solo pensiero di dover combattere per conquistare quella giugulare l'animo s'abbandona.
E resto lì, celato, negato alla vita, prossimo alla morte? Giammai, il mio destino è di giacere lunghi anni in questo oblio. Io non sono uomo, non sono animale, la vita non m'è cara e la morte non esiste. Il desiderio, la passione, la lussuria, sono l'essenza e il nettare della mia esistenza.
Io sono Dracula.

Parte prima
I

Era distesa in terra, un rivolo di sangue scendeva da due piccoli fori sul collo. La camicia a brandelli, segno di una lotta appena avvenuta e di un istinto combattivo, non copriva le sue rotondità... e le gambe nude erano piegate, perfette nella posa fetale. I lisci capelli color miele cadevano dolcemente sulle spalle e sul viso. Quel viso tondo che mi aveva conquistato, quegli occhi grandi e di un azzurro infinitamente profondo e quello sguardo intenso erano rimasti incollati alla mia esistenza.
Mai la bellezza di una donna aveva lasciato un segno così indelebile dentro di me...
"Quanto ti amo. Oh! Dieann, quanto ti amo. Non avrei sopportato di vedere il tuo corpo sfigurato dal tempo".
La lasciai lì. Al risveglio non avrebbe capito ma poi avrebbe imparato ad odiarmi, man mano, sempre di più.

Rughe come solchi attraversavano il mio devastato viso. Le ossa sporgevano, la pelle cadeva, gli occhi neri brillavano ma erano in fuori, incavati, le palpebre a stento riuscivano a tenersi su. I capelli grigi, lunghissimi e perfettamente lisci erano ben curati e si adagiavano sulle spalle magre. Solo le labbra, ancora incredibilmente carnose, resistevano alle deturpazioni del tempo. Avevo il terrore di uscire dal mio rifugio seppur io fossi "il terrore". Il mio rifugio? Un buio palazzo in rovina, simbolo dei bombardamenti antinazisti in un oscuro e dimenticato quartiere di una squallida periferia. La vita qui non valeva niente, non era niente, non serviva a niente. Non aveva senso nulla quando si era solo il frutto del lavoro di una puttana, e quando una vita nasceva solo in quel caso. Così, qui avevo quello che mi serviva, e non dovevo temere dei sospetti di nessuno. Perché non si sospetta mai la morte di chi non è mai vissuto.

II

La rividi due anni dopo. La metamorfosi l'aveva cambiata. Gli occhi avevano perso la dolcezza, l'incantesimo che racchiudevano si era sciolto e non era rimasto che un freddo glaciale. Era notte fonda, si avvicinava l'alba di un caldo luglio. Lei era seduta su una panchina e sulle sue ginocchia un tizio teneva appoggiata la sua testa. Dieann... le sue mani. Che passione! Muoveva le dita delicatamente tra le ciocche scure e lisce del giovane compagno. Disegnava sottili linee invisibili attorno ai suoi occhi, sulle tempie, in fondo al collo e su sulle labbra. "...mmm... come sai muoverle...".
D'un tratto Dieann s'accorse che la luce era prossima e si bloccò. Guardò all'orizzonte. Guardò poi quel collo, così bianco, sinuoso, così ben fatto. Aprì la bocca ed i suoi canini brillarono ferocemente. I suoi occhi, Dio, i suoi occhi erano completamente di fuori, vitrei, invasati. Stette lì un attimo di troppo. Il giovane si girò in cerca di nuove coccole e lei, improvvisamente, cambio espressione. Nei suoi occhi tornò dolcezza, una dolcezza forzata.
Lui adesso la stava toccando. Le toccava i grossi seni, li scopriva, giocava con i suoi capezzoli. La sua lingua scorreva in mezzo ad essi, giù, fino all'ombelico. Saliva, poi, su un fianco. Giungeva sulla piega del seno e poi tornava giù, fin oltre l'ombelico, sino al limite delle sue mutandine. Con un gesto pratico tolse via le mutandine e la sua lingua poté proseguire il suo percorso fino ad immergersi nel desiderio. Lei intanto godeva ma s'intravedeva sul volto l'ombra di un gesto di stizza.
Fecero l'amore, lì, al chiaro di luna e di un alba sempre più vicina. Ed io non potevo sopportarlo. Ma restai lì, inchiodato forse dal ricordo dell'ultima volta con lei e dalla paura di rovinare quest'occasione, quella di potermi riavvicinare e lei. La sentii urlare, contorcersi e godei con lei... ma il goffo ansare e l'urlo di lui mi caricarono di un odio mortale.
Lei si rivestì, baciò lui, baciò il suo glande e poi fuggì. Era tardi anche per me ma ora dovevo farlo.
Lui lanciò solo uno sguardo verso di me quando le mie dita entrarono nel suo collo e gli troncarono di netto la giugulare. Bevvi avido quel rosso nettare. Poi volai veloce come solo un pipistrello può essere, verso la mia casa. Ma la luce si fece troppo intensa. Andai a sbattere contro un albero nel tentativo di cercare un riparo almeno per quel giorno. L'aria era irrespirabile. Sentivo la luce trasformarsi in fuoco sulla mia pelle. Mi salvò l'incavo di una grossa quercia. Riuscii a malapena a entrarvi, era il nido forse di un picchio, ed era abbastanza buio.
Con la stanchezza dei miei anni e della lotta per procacciarmi il cibo caddi in un sonno profondo.

III

Un cielo grigio era sopra di me: una massa densa e informe, scura, con strane strisce nere che disegnavano spirali, cerchi, e si muovevano come serpenti di lunghezza variabile, con scatti imprevisti, comparendo e scomparendo dal nulla.
Sui vetri le gocce cadute lasciavano una scia d'unto mentre strisciavano via. Vivere così tanto rendeva aperta la mia mente ai cambiamenti, più di qualsiasi uomo. Le guerre, ma forse, più di tutto, la "pace", avevano reso il mio spirito immune ai cambiamenti, o meglio: capace di assuefarli, di metabolizzarli più velocemente. Tutto questo non mi aveva però impedito di essere molto critico con la realtà che mi circondava. L'uomo continuava ad essere il vero nemico dell'uomo, continuava a sbagliare, a sentirsi immortale, a fregarsene, ed io non provavo il ben che minimo rimorso quando, anche inutilmente, squarciavo quei colli.

Anche se il mio corpo stava, seppur minimamente, invecchiando, in questi anni mi sentivo molto bene. Il sangue scorreva con impeto nelle mie vene pompato da un cuore ancora forte. I miei dolori erano sopportabili e stentavo a credere di potermi ancora muovere assai rapidamente. Stavo vivendo "l'ennesima" seconda giovinezza. Sapevo che sarebbe giunta. Anche se mi ero accorto che ogni volta era sempre meno vigorosa, sempre meno forte, rispetto alla precedente: la linea della mia vita era in fase calante ormai da secoli.
Nella notte la metropoli era un'enorme esplosione di luci e abbacinanti colori, i loro riflessi rimbalzavano sulle enormi montagne che sovrastavano a nord, e sulle nubi, quasi sempre presenti. L'incessante rumore giungeva nella mia attuale abitazione come un suono basso, pulsante e interminabile.
Io dimoravo lontano da quel caos ma mi rendevo conto che il mio era un misero tentativo di fuggire, perché sapevo di dover tornare di tanto in tanto. Sapevo di non potermi sottrarre all'uomo così come l'uomo non poteva sottrarsi al suo destino.
Aprii gli occhi sul far della sera, il desiderio di sangue s'era fatto forte dopo i cinque mesi estivi trascorsi in letargo. Le mie abitudini erano cambiate spesso, ed ogni volta per consentirmi un'esistenza migliore. Così evitavo i mesi estivi, in cui i giorni erano tali da dar poco spazio alla notte. La "caccia" doveva essere prudente e questo richiedeva una dose di tempo maggiore. Comunque, ora mi sentivo pronto e non vedevo l'ora di inaugurare la nuova stagione!
Non ero solito frequentare gli stessi locali, ma sebbene la mole della città fosse imponente, col tempo i bar, le gelaterie, i pub, le pizzerie, i ristoranti, i parchi, i giardini, i cinema... qualsiasi luogo d'incontro l'avevo visitato e questo per me voleva dire solo una cosa: presto sarei dovuto partire.

Sostai davanti ad una birreria scalcinata in un vecchio quartiere popolare. "Gli ubriaconi non sono ammessi" diceva un'insegna all'entrata e, infatti, lì dentro... ne era pieno.
La fotocellula scattò e la porta si aprì, la solita nube di fumo m'accolse ed io mi ci immersi. Lentamente, cominciai a scrutare le persone mentre mi avvicinavo al bancone, osservavo e cominciavo a scegliere. Mi sedetti. C'erano due omosessuali, uno molto giovane, l'altro sui quaranta. Si tastavano e si baciavano su un divanetto in un angolo non lontano da me. Il giovane era piuttosto timido e, difatti, era il quarantenne che gli cacciava la lingua in bocca a forza. Era sempre lui a palpare con forza l'arnese del giovane. D'un tratto i due s'accorsero d'essere osservati ed io diressi il mio sguardo altrove.
Un ciccione oltre i centoventi che indossava una maglietta nera con un simbolo strano, mi venne incontro con un ghigno che forse era un sorriso, e che, comunque, non mi piacque.
"Amico, cosa ti servo?".
"Un doppio jack liscio".
"Bene", aggiunse "se hai bisogno di qualcos'altro chiamami, io sono Bile".
Poi, visto che non rispondevo: "e tu, come ti chiami?".
Ovviamente mentii "Serpico".
"Serpico?... mmm..." e si voltò non prima di avermi fissato abbondantemente il pacco. Si allontanò.
A parte i centoventi chili, era abbastanza giovane e pensai che forse "avrebbe potuto essere ottimo".
D'improvviso sentii lo schianto di una bottiglia ed un urlo. Mi voltai. Il gay quarantenne brandiva il collo di una bottiglia rotta sporca di liquido rossastro mentre il giovane si teneva con le mani il viso grondante di sangue.
"Figlio di troia!" urlava il quarantenne "t'ammazzo come un cane!".
Il giovane piangeva "Ma perché? Perchéeeee?!".
Vidi il quarantenne partire per affondare il colpo decisivo mentre tutt'intorno stava una folla che incitava e rideva. In un attimo scansai la gente e diedi un calcio alla sua mano.
La bottiglia volò più in là.
Il tipo, colto di sorpresa s'avvento' su di me cercando di strangolarmi. Misi una mano sulla sua gola, e l'altra sul suo pene. Cominciai a stringere il pene ed a ruotare la gola. Lo vidi sbiancare cercando di liberarsi della presa della gola, quindi strinsi di più sul pene. Cercò allora di farmi mollare la presa sul pene ma girai ancora la presa sulla gola. Lui tornò sulla gola e cercò di colpirmi. A quel punto strinsi così forte sul pene che una grossa macchia di sangue gli si dipinse sulla patta dei jeans chiari e corti. Cacciò un urlo che soffocai troncando di netto la gola dal collo. Cadde a terra rantolando in un mare di sangue.
Immediatamente fu il silenzio, la folla sembrava non avere pi niente da ridere. Sentii Bile urlare: "Prendetelo! È un assassino!". Lo sentivo che c'era qualcosa che non mi piaceva in lui. Balzai oltre due persone che cercavano di prendermi e mi diressi verso Bile. "Addio, Bile!" e correndo di fronte a lui con il palmo aperto gli asportai di netto la gola. "Che spreco di sangue" pensai, e con in mano ancora le due trachee balzai fuori dal bar. Le gettai sul marciapiede: le mie mani erano completamente sporche di sangue ed io non ne avevo ancora assaggiato un goccio.
Si metteva male. La folla stava uscendo dal locale in preda ad un raptus di follia omicida così decisi di fuggire laddove nessuno mi avrebbe cercato: verso la porta di servizio del bar. Scrutai nella penombra. All'interno del locale erano rimasti in pochi, erano intorno al corpo di Bile che, evidentemente, doveva essere ancora vivo. Poi mi giunse un lamento. Proveniva dal bagno. Un sibilo accompagnò i miei rapidi movimenti. Singhiozzando, il giovane gay stava lavandosi il viso ancora scosso per quel che aveva visto. "Dovresti gioire" dissi, ed il giovane fece un balzo di lato "a quest'ora potevi esserci tu al posto di quel porco".
"Cosa... cosa vuoi? Cosa... chi sei?" disse spaventato.
"Tu sei ancora fuori da tutto questo. E non lo meriti. Perché ti stai lasciando andare a tutto?"
"Io non so... ma... tu... che cosa vuoi da me?" ora sembrò calmarsi.
"Io posso donarti il mezzo per volare. Per essere te stesso senza timore."
"Cosa...?"
"Ora rilassati..."
Incredibile. Aveva capito tutto. O meglio: aveva capito che peggio di così non sarebbe potuta andare. Non era oggi, ma forse domani. Per quelli come lui, vivere era un optional, e lui, così giovane, aveva sofferto così tanto...
Affondai i denti in quel collo così morbido, il sangue sgorgò veloce e sentii nuova energia giungere al mio corpo. Non avrei appagato la mia sete, questa notte, ma c'era tempo.
Si accasciò lentamente. Gli avevo lasciato la quantità di sangue sufficiente a sopravvivere. Nel giro di una settimana il processo di mutazione sarebbe terminato. Ed anche lui sarebbe diventato un cacciatore della notte.

Ora si che questa città era diventata troppo piccola per me.
Cinquant'anni.
Cinquant'anni da quando ero giunto in questo schifo.
Bah! Sapevo che sarebbe giunto questo momento, prima o poi. La mia vita non era altro che un eterno errare, un eterno adeguarsi, un eterno studio, osservazione e ponderazione. Un'eterna preparazione all'appagamento della mia eterna sete.

IV

Partii la sera di un giorno di ottobre. Una luna ubriaca mi guardò prendere il volo, cercò di penetrare la coltre fumosa per illuminare il mio viaggio. Io contraccambiai il suo sguardo con un gesto di riconoscenza.

"Partire è un po' morire". Soprattutto, per me, voleva dire rinascere. Anche se non sapevo ancora dove.
Il viaggio fu lungo. Dovetti fare diverse soste, bevvi dalle gole di sfortunati viandanti, mi persi in immense foreste, mi ritrovai lungo il serpeggiare di fiumiciattoli. Infine giunsi.
Lungo una vallata vi erano diverse cittadine collegate strettamente quasi a formarne una sola veramente imponente. Ma forse il fatto che non fossero unite in una sola città le aveva preservate dall'assumere le spaventose caratteristiche di una megalopoli. Le case erano basse, i comignoli fumanti, l'aria (quasi) pulita.
Non era male per un povero ciucciasangue come me.
Mancava ancora qualche ora all'alba e decisi di dare un occhiata in giro.

Man mano che mi immergevo in questo nuovo mare di vite umane (ora assopite), sentivo farsi largo in me una sensazione strana, indefinita, ma sempre più forte. Questa sensazione la interpretai come un nero presagio. Un'ombra d'inquietudine si gettò nel mio animo. L'alba era vicina. Volai verso le montagne, unica sicura dimora per questa notte.

V

I miei occhi si aprirono che il sole si era già abbandonato dietro un sipario montuoso. Guardai i suoi riflessi sbiadirsi su un tappeto verde di querce secolari. Vidi la luce del sole divenire buio profondo, vidi l'amica morte venirmi incontro, risorgere dal simbolo della vita.
Mi sentivo forte, il mio cuore, le mie braccia... ma... "OOOH!", i muscoli si tesero d'improvviso! Una fitta esplose alla base del mio collo, urlai di dolore, urlai forte, cercai di resistere. Un secondo diventò lungo un'eternità di attimi, la vista si annebbiò, poi fu solo nero... ed urlai fino alla fine.

Al tramonto gli abitanti di una grande vallata della foresta nera udirono distintamente provenire dai boschi che li sovrastavano un urlo lacerante, profondo.
Pochi secondi. Nel rabbuiarsi gli autobus si fermarono. Le auto frenarono. I loro conducenti, guardarono in alto confusi. La gente smise di camminare, di battere il martello, di battere sulla tastiera, di battere, di vedere le corse al cinodromo, di tirare giù le saracinesche dei negozi. Tutti alzarono gli occhi alle montagne. Fu quasi silenzio. Non un clacson, non una sirena, non un niente. Durò qualche minuto.

Parte seconda
VI

Chissà perché alcuni di noi sviluppano questa capacità? Questa capacità di "sentire", di avvertire la presenza dei propri simili, anche da molto lontano.
All'inizio pensai di essere l'unica, perché mi accorsi che "gli altri" non riuscivano a riconoscermi tanto facilmente. Io, al contrario, ero certa della "loro" natura e sapevo trovarli, ovunque, anche a distanza di chilometri.
Pensavo che la rabbia, il rancore, l'odio, la sete di vendetta avessero spinto il mio fisico, e la mia mente, a sviluppare una sensibilità superiore. Credevo che questo fosse un segno, che il mio destino fosse quello di trovare colui che mi aveva gettato all'inferno e di ucciderlo. Avrei messo così fine a questa angoscia, a quest'ansia di vendetta che mi mangiava dentro per poi vivere la mia nuova vita più serenamente.
Non fu facile però imparare a controllare il mio potere. Nei primi anni esso mi si rivelò a tratti, nei momenti più disparati. Quando meno me lo aspettavo una sensazione scuoteva così forte i miei sensi che spesso cadevo in un breve stato di trance. Altre volte si manifestava con violenti sbalzi di adrenalina che aumentavano spropositatamente la violenza delle mie azioni. Mi capitava così di sentirmi improvvisamente feroce e particolarmente truculenta nel procurarmi il fabbisogno.

Passò ancora qualche anno.
Una notte che avevo deciso di "cacciare" dentro una discoteca capii il motivo dei miei disturbi.
Era una discoteca dark, dai colori molto cupi, che richiamava epoche gotiche e medievali nel suo stile e nelle scene rappresentate sulle pareti. I ritmi erano ipnotici, le luci colpivano come lampi e sembravano cambiare la fisionomia delle persone, la forma delle cose. Tutto era come un viaggio, molto simile ad un'allucinazione. Una densa coltre di fumo profumato non mi permetteva di vedere a più di qualche metro. Sapevo come adescare le mie prede, ma non volevo semplicemente una preda, io volevo un uomo, volevo sentirmi ancora una donna, volevo illudermi di non essere cambiata.
Mi lasciai andare a quel ritmo così cupo e profondo, sentii il cuore assecondarlo. Non avevo idea di cosa stesse facendo il mio corpo, la mia mente era lontana...
E quando tornai c'erano due occhi blu che mi guardavano, c'erano le sue robuste braccia che mi sfioravano. I miei movimenti seguivano i suoi, e lo sentivo desiderarmi, sentivo che mi voleva. Le mie anche scendevano e lentamente risalivano, e in questo su e giù sentivo il suo ventre toccare la mia schiena. Nel mio sangue scorreva ormai solo adrenalina. Tesi le mani e lo abbracciai...

Volteggiando estasiata, in un mondo assolutamente irreale, vivevo questa notte d'illusioni, e sentivo quasi scomparire la catena che mi relegava allo stato di creatura disumana. E fare l'amore era l'unico modo per dimenticare l'incubo in cui ero stata gettata.
Ma il solo pensiero che tutto avesse solo sapore di finzione mi ricacciò in corpo una tal ferocia che in uno stato di totale confusione e rabbia dilaniai il corpo del mio sfortunato amante... e stetti lì, poi, assorta, nei suoi occhi blu, dolci ed esanimi. Sentii le palpebre pesanti, piano, piano si chiusero e mi lasciai cadere sempre più giù, là, in fondo a quel buco nero che era ormai rimasto al posto dell'anima.
Fu in quello stato che, improvvisamente, il mio "senso" venne sollecitato. Mi colpì una fitta dura, ma ora sapevo controllarmi e domai il dolore. L'istinto mi portò ad affacciarmi velocemente alla finestra, ed il mio sguardo si diresse quasi automaticamente sui tetti dei palazzi davanti a me.
Ma... come era possibile? Lui... mi aveva vista! Io avevo visto lui, ma lui era lì, sapeva chi ero... e cosa ero.

VII

Era lì davanti a me, e mi parlava: "Mi chiamo Sylvian". Fiumi di parole, sensazioni contrastanti, uno stato confusionale reso più acuto dal significato dei discorsi che lui stava facendo, mi stavano stordendo.
Io non ero l'unica.
Non ero così per appagare la mia sete di vendetta. Non ero così perché dovevo vendicare la mia attuale condizione di donnanon donna.
Aveva un soprabito grigio, su un vestito nero. Era alto e piuttosto magro. Aveva occhi chiari, grigi, un espressione seria e decisa. Sembrava calvo, ma non lo era completamente, portava capelli molto corti e sul biondo. Col passare dei minuti la sua voce sembrò calmare la mia inquietudine. Mi accorsi adesso che la sua bocca non si muoveva, e che la sua voce sembrava giungermi da dentro. Era incredibile. Lui comunicava col pensiero.
Mi parlò di generazioni di vampiri che avevano combattuto per sopravvivere in passato, contro lo Stato Pontificio e le sue inquisizioni. Mi parlò di anni difficili in cui l'estinzione sembrò essere l'unica triste conclusione della loro (e della mia) storia. Mi disse che proprio in quegli anni difficili nacque, spontaneamente, la necessità di combattere uniti.
"La cieca violenza scatenata dal nostro istinto di sopravvivenza ci aveva portati ad essere disuniti, a combattere egoisticamente ognuno per la propria vita, rendendoci vulnerabili e fragili di fronte alla compattezza e all'abilità nel riorganizzarsi degli uomini.
"Un giorno di molti secoli fa, fece la sua comparsa una nuova specie di vampiro. Una specie che "sentiva" la nostra presenza. Ed il primo di questa specie si chiamava Morgan. Fu lui a darci nuova speranza. Grazie al suo potere egli poteva contattare tutti i vampiri e organizzare finalmente la grande rivincita. Era come se avesse una visione globale di quello che succedeva. In battaglia, infatti, lui sapeva immediatamente dove stessimo avendo i problemi maggiori, e poteva così renderci in grado di ribaltare ogni situazione.
"Si, lui era il primo, ma non molto tempo dopo si scoprì che tutti coloro che venivano contagiati da lui sviluppavano il suo stesso potere.
"Tu ed io non siamo altro che suoi discendenti."
Scoprii così quello che, in fondo, già sapevo: che non c'era nessun modo per vivere più serenamente la mia condizione. Che una stupida vendetta non avrebbe condizionato la mia vita. Che io non ero più una donna.

Questa verità non mi caricò d'odio, non mi spinse a sfogare tutto il mio risentimento con una violenza e una ferocia inumani. No, questa verità cadde sulla mia testa con tale peso che mi sembrò di non avere più forza. Mi sembrò di non avere più nulla in comune con la mia vita passata. Uno scherzo del destino aveva voluto che mi chiamassi Dieann, Die Ann. Uno scherzo... oppure un presagio a cui avrei dovuto dare retta sin da piccola.
Ormai, non era questo il problema.
No, non lo era.

Sylvian se ne andò, malgrado lo avessi pregato, insistentemente di restare. Mi disse che, dopotutto, un vampiro non è nato per stare con i propri simili, "e se ciò è accaduto è stato solo per necessità". Mi promise comunque che ci saremmo rivisti. Sparì. Così com'era giunto se ne andò, volando oltre i tetti dai quali era giunto.

Era uno veramente affascinate Sylvian. Ma pensai che tutto questo fascino derivava forse dall'essere stato l'unica nota di calore in questa mia nuova esistenza. Sperai di rivederlo...

Parte terza
VIII

Erano lì, uno di fronte all'altra: il passato e il futuro. Nella penombra della foresta la vita sembrava essersi fermata. I cuori di tutte le forme di vita presenti sembravano aver cessato di battere. L'aria era senza brezza, ma una foglia si staccò dal suo ramo. Era secca, morta. Tutto ciò che era morto sembrò voler essere vivo come se tenesse a distinguersi. Così la grossa foglia cadde e in quel silenzio d'attesa fu un rumore sordo in una stanza chiusa.
"Non ti sei neanche accorto di me. Com'è possibile, visto che sei tu che mi hai contagiato?
"Io... posso ciò che tu non puoi, lo sento. E non c'è bisogno che tu apra bocca, posso leggere quello che pensi, mentre tu devi solo sperare che io parli. Perché? E chi sei?"
Le parole di Dieann furono dure, e non ebbero pietà per le anziane sembianze dell'uomo che aveva di fronte.
Lui, riprendendosi dal colpo subito a ancora vacillando, lentamente si rialzò.
"Il mio nome è Morgan" disse.
La risposta fu un lungo silenzio. Poi, con gli occhi pieni di stupore Dieann chiese: "...quel Morgan?"
"Quel Morgan", si riempì i polmoni come per caricarsi. "Il Morgan che un giorno lontano ci strappò dal baratro dell'estinzione. Lo stesso Morgan che perse le redini del gioco e assistette alla mutazione della nostra razza da esseri solitari e dannati, perennemente in fuga, in vampiri in grado di formare una comunità, di crescere intellettualmente nel rispetto di noi stessi, e potenzialmente in modo da poter trattare con lo stolto uomo la nostra libertà, per avere un nostro spazio indipendente accanto a loro"
Dieann sembrò paralizzata da quell'affermazione. D'improvviso si sentii bloccata dalla forza carismatica di chi aveva di fronte. Non potè far altro che stare ad ascoltare, imbambolata...
Morgan intese il momento e seguitò.
"Purtroppo non sono mai stati maturi i tempi per un accordo del genere: né per gli uomini e le loro religioni, superstizioni e paure, né per noi che con i secoli ci siamo divisi sempre più, sparpagliati nel mondo per l'irrefrenabile istinto di solitudine che ci spinge lontano prima da noi stessi, poi dal mondo, Un istinto che è più una condanna alla dannazione e all'esilio.
"La delusione fu grande per il fallimento dei miei sogni, e portò a sviluppare in me un senso d'angoscia profondo, viscerale nei confronti della mia natura. Desiderai così il ritorno al vampiro originario, quello solitario e dannato, senza alcun potere di comunicazione mentale, e lo desiderai così forte che, un mattino, al risveglio mi accorsi di esserlo diventato. Ora sono un semplice vampiro."
"Ma... perché? Perché hai voluto qualcosa in meno. Avresti potuto fuggire, ugualmente, lontano!", Dieann stava cambiando. Cominciava a conoscere quello che era stato il suo boia e man mano il sentimento d'odio cominciò a mutare.
"Tu, forse, sei ancora troppo giovane. Non te ne rendi conto. Non hai ancora mai provato, almeno una volta, l'impulso di correre, volare lontano, veloce fino al limite delle tue possibilità, non hai mai desiderato lasciare uscire quell'energia che riempie i muscoli e pompa nelle vene, non hai mai..."
"BASTA!" urlò Dieann con in volto una rassegnata disperazione, "ma non capisci? Possibile che centinaia di anni non ti abbiano ancora insegnato che noi..." sembrò quasi cadere, "noi siamo morti...", nell'aria il rumoreggiare degli animali venne sovrastato dal verso di molti gufi, che sembravano piangere. "Io ero felice. Lo sai questo? Non te lo sei mai chiesto, vero? Preferisci tacere a te stesso e crescerti una morale falsa. Io ero una donna: lo capisci? Ed io ti odio per tutto questo, ti odio per come mi hai fatto sentire, per cosa mi hai fatto diventare. CHE VITA È QUESTA?!!" le vene gonfie sul collo, sulla fronte, il volto paonazzo di colpo si distesero, e Dieann cadde, sfiancata dagli eventi, cadde sulle ginocchia e poi a terra esausta. Morgan non ebbe la forza di aprire bocca.

La vide ancora una volta come allora, la prima volta, quando fece tutto per uno slancio d'amore, quando lasciò andare se stesso a quel gesto, quando credette veramente che donargli l'eternità fosse la cosa più giusta da fare.
Ora le sue convinzioni erano statue di ghiaccio al sole, ora non aveva più sicurezze da estrarre dal cilindro della sua secolare esistenza. Ora, tutto quello che sentiva era racchiuso in un'unica figura, una donna, e realizzare il suo amore per lei era pura utopia.
Lei lo odiava, e lui sapeva e capiva che tutto questo non sarebbe mai potuto cambiare.
Si chinò su di lei e la raccolse tra le braccia.

IX

Dieann dormiva.
E mentre dormiva sognava. Ma non erano bei sogni.
Il letto sembrava una graticola per lei. Si girava, si rigirava e si contorceva. Era sudata, bagnata fradicia, e sembrava lottare contro i fantasmi che popolavano i suoi sonni. La sua danza sembrò non curarsi del tempo, ma minacciosi, i primi raggi di luce segnavano l'avvicinarsi del giorno e così Morgan portò con se, nella sua cripta Dieann. Non avrebbe mai immaginato e mai voluto che Dieann giacesse con lui in queste condizioni. Lui sognava castelli per lei, e come un bimbo che non vede la realtà che lo circonda si illudeva.
Non gli restò che chiudere gli occhi e sognare. E sognando credere di aver realizzato il suo sogno.

X

Era ormai il tramonto. Dieann sentì nel dormiveglia i formicolii classici del risveglio. Le membra sembravano captare le particelle di luce del sole. Era come se il corpo assaporasse costantemente l'aria e capisse quando quest'ultima fosse sgombra dall'inquinamento della luce.
Una lingua d'aria fredda scivolò lungo la sua schiena e Dieann aprì gli occhi. Ci volle qualche istante prima di capire tutto. Si alzò scrutando nel buio della stanza. Era sola. Dov'era Morgan?
Lei non lo "sentiva". E non era neanche nei dintorni. Non c'era la benché minima traccia di lui nel suo campo sensoriale. Se ne era andato.
"Perché?" pensò.
Dentro di se Dieann era mutata.
Era cambiata la sua posizione nei confronti di Morgan. Erano cambiati i suoi sentimenti.
Dov'era Morgan? Lei doveva ritrovarlo.
Si alzò e cercò l'uscita da quello che gli sembrò un rifugio sotterraneo. Salì dalle scale e aprì una porta. Fuori, era ormai buio.
Ancora confusa e stordita dai fatti degli ultimi tempi decise di andare alla ricerca di Morgan. Ma lei non lo odiava più, era stato il suo carnefice, eppure non provava risentimento. Aveva visto dentro di lui e l'aveva conosciuto. In lui non esisteva odio o follia, ma solo una passione che investiva ogni sua azione. Il suo sonno agitato non le rivelò nient'altro che... che si era innamorata di lui.
Ma dov'era? Perché l'aveva lasciata?
Passando per la sala notò un biglietto sul tavolo. E come un adolescente al suo primo amore si gettò su quell'unica speranza di rivederlo. Strappò la busta quasi neanche leggendo il "per Dieann" e spiegò velocemente il foglio all'interno.
Ma il Paradiso divenne Inferno e con occhi terrorizzati, bagnati di disperazione si ritrasse gettando via quelle parole volendo non averle mai lette!
Si voltò, cercò un' uscita e corse. Superò la soglia ma inciampò in qualcosa di grosso e cadde rovinosamente. Si rialzò immediatamente e tornò indietro a vedere.
Dapprima velocemente, poi, esitando si avvicinò. La luce proveniente da dentro la casa illuminava parzialmente la soglia, ma fu sufficiente.

Dieann si inginocchiò accanto a quell'ammasso di carne carbonizzata e ancora fumante, e urlò. Con tutta la forza, con tutta la sua disperazione contro la vita, il destino e la morte, che era desiderata più di ogni altra cosa.

Un altro urlo riechieggiò nella valle...

Per Dieann

Cara Dieann, sono giunto in fondo ad un viale e ho guardato in dietro: è giusto che paghi il conto.
Ancora una volta la passione mi ha tradito. E come in passato ha portato in me solo un'altra profonda delusione.
Non so se batte un cuore nei nostri petti, non so se sia il caso di parlare d'amore: se siamo morti perché dovremmo fingere di essere vivi? Questo nostro essere eternamente combattuti è solo un riflesso delle nostre vite passate o c'è ancora un'anima in noi? Io so solo che provo dolore. Può un morto provare dolore?
Provo dolore per il male che ti ho inferto. E spero che questo ti appaghi.
Domani comincerà una nuova vita per te, senza il peso dell'odio nei miei confronti.
Ancora una volta il mio gesto è dettato dalla mia passione.
Ma, stavolta sono sicuro, non sbaglierò. Io non esisterò più.

Addio amore,
Morgan


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