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«Sei diventata ancora più piccola di quanto già eri. Come hai fatto?»
Era questo che volevo dire ad Alice, quando dopo due anni mi venne a trovare, un giorno a Bologna. I grandi occhi blu, i capelli neri, lisci. Vestita in modo semplice, semplice da chiedersi dove si vendessero ancora quei vestiti in un mondo diventato tanto appariscente. Sorrideva. Era pronta a perdonarmi tutto, era pronta a lasciare perdere quei due anni in cui proprio mi ero scordata di lei. Non lo avevo fatto apposta, ma ero così arrabbiata per il fatto che in un qualche senso era stata lei a lasciarmi sola. Quando mi sono trasferita da Treviso a Bologna cambiai diversi appartamenti e tutti furono un disastro. Non avevo un amico, passavo giorno e notte fuori casa, ogni tanto qualche ragazzo mi offriva una birra e poi non mi richiamava più perché io insistevo per parlare di cinema e di arte e di poesia. Tutti discorsi che agli uomini non interessano. E ad Alice sì.
Quante volte le chiesi di venire a vivere con me? Le dissi: «Lo troverai un lavoro, per qualche mese ne ho abbastanza per entrambe». Ma non si decise mai. E così fui sola e muta fino a che non trovai Guilherme pronto ad accogliermi e a regalarmi tutto il possibile, compreso un solo cucchiaino dopo che avevo perso uno dei miei. In qualche modo, di tutti i regali che lui mi fece, quello mi sembrò il più importante. Voleva dirmi che se mi mancava qualcosa, se avevo un tassello vuoto della mia vita, lui possedeva quello che lo avrebbe riempito. Alice non lo aveva voluto fare. Ero arrabbiatissima con lei. E quando venne a Bologna non la volevo nemmeno incontrare. Ma che scusa potevo trovarle se voleva rivedermi dopo due anni, se avevano smesso di sentirci dicendoci quanto ci volevamo bene, senza litigare mai. Non potei evitarla. Non la trovai cambiata affatto. Invece io cercai in ogni modo di farle credere di essere una persona completamente differente. Mi vantai moltissimo dicendo di essere cresciuta, che avevo smesso di scrivere, che ora mi interessavo di arte, che lavoravo per delle gallerie, vivevo con un ragazzo brasiliano pazzo di me, seguivo un costosissimo corso di lingue, vestivo in modo diverso. Cercai anche di dirle in qualche modo quanto avevo sofferto per il suo abbandono, per il fatto che non aveva voluto fare quel piccolo sacrificio per me di staccarsi dalla casa dei genitori per affrontare una volta tanto la vita. Glielo dissi parlando come per caso di quanto fossi diventata più razionale, di quando meno peso dessi alle emozioni, di come ero triste in fondo, di come ridessi meno e scherzassi meno e facessi di meno ogni cosa bella che mi potesse far sentire meglio. Ma chiaramente lei non credette a una sola parola. Il problema è che anche se lei non ci credeva ci credevo molto bene io. Pensavo di essere sincera in quel momento. E in fondo come poteva essere altrimenti? Due anni senza quasi parlare, senza amici, senza ridere. Fino a pochi mesi prima, cioè fino a quando Guilherme non mi salvò, io ero nel buio più assoluto e mi ero tanto abituata da non rendermi più conto. E anche dopo, quando poi ebbi il mio amore e lui mi convinse senza saperlo a rivedere i miei amici e a riappacificarmi con la mia famiglia, mi ero già così convinta di essere sterile che continuai a esserlo.
È stata Alice a risvegliarmi. Lo capii subito al ristorante, dove non ricordo cosa ordinammo o chi pagò, ma ricordo che stavamo sedute una davanti all'altra e lei era bellissima. E glielo dissi. Da tanto tempo non vedevo niente di più bello.


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