Quella mattina, quando il pungente freddo di fine novembre lo svegliò, Roe capì che qualcosa era definitivamente cambiato. Senza sollevare il muso appoggiato tra le esili zampe, si scrutò intorno: niente di insolito.
Riposava, come sempre, nel morbido giaciglio di erba e foglie secche che la mamma aveva scovato per entrambi alla fine dell'autunno (quello vecchio, dov'era nato quasi un anno e mezzo prima, si era fatto ormai troppo piccolo per ospitarli entrambi!). Ma quel giorno, stranamente, non riusciva a percepire la flessuosa groppa di mamma appoggiata alla sua e un crudele venticello gli accarezzava il pelo, facendolo tremare tutto.
Roe sollevò la testa, si voltò velocemente e scoprì di essere solo.
«Mamma?» chiamò, con la voce roca del risveglio.
Si alzò di scatto mettendosi in piedi sulle sue lunghe zampe di giovane capriolo e in fretta percorse in lungo e in largo la piccola radura sede del suo rifugio, immerso nel parco del Paneveggio, alle pendici di Cima Folga.
Zampettando veloce ispezionò dapprima i dintorni più prossimi e poi, con crescente angoscia, anche la vicina boscaglia, ma la luce di quella triste mattina di tardo autunno era ancora troppo fioca e non gli permetteva di vedere molto in lontananza.
«Mammaaaa!!» gridò, sperando che il suono lo aiutasse più degli occhi. Ma dal bosco non arrivò nessuna risposta, nessun rumore.
Tornò indietro e saltò agilmente su quelle rocce che formavano una sorta di tetto sopra il rifugio, proteggendolo dal vento e dalla pioggia ma anche dalla vista di volpi, aquile e cacciatori. Si arrampicò sul pendio: da lì riusciva a scorgere le radure erbose che si aprivano al termine del bosco. Era possibile che mamma, come spesso faceva, si fosse inoltrata da quelle parti per brucare un po' d'erba o cercare qualche rara bacca, nascosta nel semibuio dell'alba. Ma anche da lassù non vide nulla.
Quello che aveva sospettato dal momento stesso in cui aveva capito di essere solo iniziava ora ad assumere l'aspetto di terrificante realtà.
Mamma se n'era andata.
A dire il vero da tempo si era accorto che Mà si allontanava da lui con maggiore frequenza e che non si preoccupava più di indicargli con amore quali erano le erbe più tenere e saporite, ma preferiva fosse lui a scegliere, da solo, cosa mangiare e come scovare il cibo. Diverse volte gli aveva parlato di «quel futuro» in cui lei non sarebbe più stata presente, ma Roe, interessato maggiormente a inseguire qualche strano insetto non aveva mai dato tanta retta a quei discorsi.
Ed ora eccolo lì «quel futuro»: mamma aveva capito che Roe era grande abbastanza per continuare il suo viaggio verso l'età adulta senza di lei, e visto che lui non sembrava aver intenzione di lasciarla, era stata lei ad andarsene.
Roe, immerso in quei grigi pensieri, rimase per un po' immobile a fissare il paesaggio. Le luci dell'alba davano una pennellata d'azzurro ad ogni cosa e una fitta foschia si alzava dagli alberi impedendo la visuale dei boschi e dei monti all'orizzonte. Ma anche senza la nebbia mattutina, sarebbero stati i suoi pensieri e l'immagine di Mà impressa nella mente ad impedire a Roe di vedere qualsiasi altra cosa. L'idea di non svegliarsi più strofinando il musetto contro quello di Mà, di non poterla ancora seguire alle prime luci del giorno per cercare qualche frutto succulento e di non passare altri tranquilli pomeriggi a riposare insieme o a giocare stringevano d'angoscia il cuore di Roe che d'un tratto sentì qualcosa di umido e salato scendere sul naso e depositarsi poi agli angoli della bocca. Roe non capiva cosa fosse quest'altra novità e pensò che se mamma fosse ancora stata lì di sicuro gli avrebbe spiegato tutto. Scosse la testa come per mandar via insieme quella strana sostanza e i tristi pensieri e decise di scendere dal pendio:la sua prima giornata da capriolo adulto l'attendeva.

Appena Baldo aprì gli occhi,si accorse di essersi svegliato prima del solito: dai balconi non filtrava nessuna luce, solo spifferi d'aria gelida che gli solleticavano il viso. Ma lui non era certo tipo da farsi bloccare a letto dalle buie mattinate di fine autunno o da un po' di freddo. Allontanò le pesanti coperte dal corpo e si mise a sedere. «Aaah» fece: il suo punto debole era la schiena, spesso torturata da fitte dolorose che Baldo aveva deciso di non combattere, convinto che a cinquantacinque anni fosse normale per un uomo di montagna avvertire i primi amari segnali della senilità.
Indossò i logori pantaloni verdi di velluto, infilò la ruvida camicia a quadri di flanella e si diresse in cucina.
Non si era mai sposato, Baldo. Le relazioni sociali a dire il vero non erano mai state il suo forte e in ogni caso le possibilità di conoscere qualche ragazza carina nel piccolo paese di Cicona,(dove passava l'inverno quando il freddo e la neve non gli permettevano più di rimanere a Malga Folga) erano davvero scarse: da anni i giovani preferivano trasferirsi in centri più grossi, come Fiera o San Martino, dove, grazie al fiorente turismo, si trovava lavoro con facilità e anche ai suoi tempi gli amici avevano scelto quella strada. Pochi erano rimasti e con quelli parlava di rado. La vecchia madre si era amorevolmente occupata di lui fino a quando il suo forte cuore di montanara non aveva deciso di fermarsi, l'anno prima. Baldo si era ritrovato così ad occuparsi senza aiuti della malga, ma ciò non gli aveva creato grosse difficoltà:sapeva vivere in maniera molto frugale, e dato che passava le giornate lavorando senza sosta o vagando tra le sua adorate montagne, spesso saltava i pasti oppure si accontentava di un po' di pane imbottito col formaggio che egli stesso produceva. La vecchia madre però gli mancava e a volte,quando fissava le familiari montagne che aveva davanti agli occhi dalla nascita, vedeva apparire il suo volto proprio lì, tra cielo e roccia e le lacrime scendevano sulle sue guance.
Col passare degli anni restava sempre più a lungo su in malga, trattenendosi a volte fino a metà dicembre. Non era necessario perché lassù i pascoli per l'alpeggio diventavano secchi e sterili ai primi freddi, e solo quando addirittura iniziavano ad essere coperti da qualche soffice nevicata Baldo si convinceva a scendere a Cicona, nella vecchia casa del padre, e a sistemare le bestie in stalla. La gente del villaggio lo considerava strano per questo fare un po' da orso, ma a lui non importava:rimanere in malga era il suo modo per non avere gente intorno!
Con l'autunno, il lavoro, per il malgaro, si riduceva sensibilmente. Le quattro grigie alpine andavano munte alle cinque del mattino. Poi, pulita la stalla alla buona, Baldo liberava gli animali nel prato antistante e usciva per andare a caccia.
Era così che riempiva il tempo sottratto alle fatiche della stalla, dedicandosi a questa passione ereditata dal padre il quale a sua volta aveva imparato l'arte venatoria dal suo vecchio, attraverso i mille segreti e le raffinate tecniche che da anni e anni, nella famiglia di Baldo, venivano tramandati di padre in figlio. Fin da piccolo, Baldo, aveva ascoltato, gli affascinanti racconti del nonno, espertissimo cacciatore, che di sera si accomodava sulla scricchiolante sedia a dondolo e intratteneva i nipotini descrivendo con ardore le sue spettacolari imprese di caccia. Ogni inverno le storie si ripetevano ma Baldo non si stancava mai di ascoltare - con occhi che brillavano d'eccitazione -
il vecchio nonno Piero che raccontava di capinere e beccacce, di lepri e di caprioli.
E anche ora, mentre legava ai piedi gli scarponi consumati, tornava col pensiero alle tante albe in cui lui e il padre si erano incamminati lungo i sentieri che portavano ai boschi dove si aspettavano con ansia qualche uccello da impallinare. Aveva imparato, in tutti quegli anni, non solo a cercare di vincere di volta in volta l'ancestrale sfida tra uomo e animale ma soprattutto cos'era il rispetto per la montagna e per ogni essere vivente che la popola. Il padre gli aveva insegnato prima di tutto che la preda andava studiata, andava osservata e che contro di essa bisognava lottare, proprio come fanno gli animali quando cacciano. Gli aveva spiegato quanto vile e misero fosse il comportamento dei bracconieri, il cui unico scopo è impadronirsi della vita della bestia inseguita, senza preoccuparsi del modo in cui farlo. E soprattutto gli aveva insegnato ad immergersi nella montagna,a scegliere i sentieri migliori, a riconoscere i pericoli,a camminare in silenzio (per sentire la voce della montagna), ad osservare il paesaggio alpino e i suoi continui mutamenti, a leggere i segnali lasciati dagli abitanti dei boschi; e gli aveva rivelato l'estasi che si può raggiungere lassù, sulle cime, quando ci si sente allo stesso tempo immensamente grandi ed immensamente piccoli e si arriva quasi a perdere la propria fisicità e a fondersi con l'aria e col cielo.
Era proprio in quegli istanti che Baldo percepiva di essere vicino a Dio, gli sembrava di poterlo abbracciare e in cuor suo lo ringraziava per donare ai suoi occhi, ogni giorno, l'indescrivibile spettacolo delle Dolomiti.
Col tempo si era anche accorto che gli capitava sempre più spesso di «dimenticare» a casa il fucile e che le uscite di caccia che programmava la sera prima si trasformavano, il mattino, in silenziose passeggiate su per quegli erti sentieri che, attraverso pascoli, boschi e pietre, lo conducevano alle agognate vette.
Come al solito Baldo infilò nel consunto zaino un tozzo di pane, il salame secco,una borraccia d'acqua e lasciò la malga. Sapeva però che l'escursione sarebbe stata piuttosto breve a causa di quelle nubi nere che nascondevano, brontolando, Cima Folga.

Roe cominciò a sentire una certo appetito. Si era già organizzato male: pochi suoi simili uscivano dai rifugi in pieno giorno per mangiare, ma la fame era troppa! Trotterellò piano nel bosco di faggi, scendendo il pendio a zig zag e quando si trovò ai margini del bosco si guardò intorno con attenzione e si sistemò al limitare della vegetazione a brucare un po' d'erba. Passò così qualche ora, sollevando la testa ad ogni minimo fruscio, pronto a scappare via velocissimo in caso di pericolo.
Una volta saziato pensò che quello non era un giorno in cui riposare (tanto il triste ricordo di mamma non lo avrebbe fatto dormire...) e decise di esplorare le zone più lontane, dove Mà non l'aveva mai portato. Percorse sentieri e pendii, annusando l'aria e infilando di tanto in tanto il musetto tra i cespugli con la curiosità tipica dei giovani caprioli. Incontrò alcuni suoi simili,riuniti in piccoli branchi per affrontare assieme l'inverno. Forse in seguito si sarebbe unito a loro, magari spinto dal desiderio di trovare una compagna, ma per ora preferiva rimanere in solitudine.
Iniziò a cadere qualche grossa goccia e il cielo borbottava, ma Roe continuava la sua esplorazione, dirigendosi verso Cima Folga, dove i boschi si diradavano e la roccia toglieva spazio al verde. Non era mai stato tanto in alto! Era estasiato da ciò che riusciva ad ammirare dalla vetta: quei nuvoloni e i lampi che illuminavano il cielo rendevano il paesaggio ancora più maestoso e il cuore iniziò a battergli veloce. Alzando lo sguardo seguì gli ampi circoli di un'aquila sullo sfondo grigio-violetto di quel cielo arrabbiato.
Ormai aveva deciso:non sarebbe più tornato al vecchio giaciglio perché lì vivevano ancora troppi ricordi e lui desiderava staccarsi del tutto dalla precedente esistenza di cucciolo.
Mosse fiducioso, così, verso Sud, tenendosi sulla cresta della montagna e seguendo lo stretto sentiero che cominciò a serpeggiare verso il basso. Ben presto, valicata una stretta forcella,gli si aprì davanti allo sguardo lo spettacolo del Palone di Folga. Il freddo venticello della sera aveva spazzato via parte delle nuvolacce ma iniziava a penetrargli nel fitto pelo.
La stanchezza non tardò a farsi sentire, lo stomaco brontolava di nuovo e doveva ancora scovare un buon rifugio per la notte!
Restando vicino al sentiero, scese un po' di quota, dirigendosi verso spazi più verdi, anche perché camminare sulla roccia si era rivelato, alla lunga, piuttosto scomodo: molto meglio appoggiare gli unghielli sulla soffice erbetta!
Il sentiero,battuto,durante la bella stagione,da numerosi uomini, di cui Roe avvertiva ancora il fastidioso odore, abbandonava lentamente la roccia e si inoltrava, prima, tra i pascoli e poi attraverso la bassa vegetazione d'alta quota, fatta di rododendri, ginepri nani e cespugli di mughi e di mirtilli. Roe avvicinò subito il musetto a quest'ultimi:magari qualcuno di quei deliziosi frutti neri era rimasto attaccato ai rametti! Sì ricordò immediatamente dei placidi pomeriggi di inizio autunno trascorsi con la mamma a fare scorpacciate di mirtilli, ma quel giorno dovette accontentarsi solo di una dozzina di quelle palline scure e di leccare qualche goccia di pioggia dalle foglie.
Prima di riprendere il sentiero, il giovane capriolo si inoltrò ancora un po', a fatica, tra i mughi per vedere se qualche bacca o un germoglio secco fossero fuggiti alla sua ispezione. I cespugli erano piuttosto fitti e Roe faceva le acrobazie per riuscire a rimanere in piedi e a portare avanti una alla volta le lunghe zampe, scomparse ormai tra quegli aghi che sembravano stringere come pugni chiusi i suoi garreti. Si maledì subito per quell'assurda idea! Almeno i cespugli avessero nascosto qualcosa di gustoso: e invece niente, solo pungenti rametti che non lo lasciavano più avanzare.
Fece per voltarsi in modo da uscire da quel groviglio ma la cosa si rivelò più complicata del previsto. Ma come aveva fatto a ficcarsi in quel pasticcio? Che vergogna se altri caprioli l'avessero visto! Avrebbero abbaiato sarcasticamente verso di lui e poi sarebbero corsi via senza aiutarlo,ne era certo!
Deciso ad uscire in fretta da quella situazione fece per portare avanti la zampa posteriore sinistra ma... «Accidenti,che succede?» esclamò tra sé, voltandosi e tirando con maggiore forza per far scivolar fuori l'unghiello da quella morsa di rami intricati che non mollava la presa. Ma non riusciva nemmeno a vedere la sua gamba, tanto era affondata tra gli aghi! Tirò ancora e poi ancora, dando strattoni sempre più forti: il piede però era tragicamente incastrato. Man mano che i minuti passavano l'angoscia si faceva prepotentemente strada nel suo cuore ma Roe non si arrendeva: cercò di ruotare l'articolazione e poi di fare forza sulle zampe anteriori, ma i movimenti gli erano impediti dalla scomoda posizione in cui era bloccato e gli spessi aghi del mugo gli penetravano il pelo,piantandosi sulla pelle come sottili stiletti.

Esausto, si fermò a riprendere fiato. Aveva ormai perso la cognizione del tempo, non sapeva più da quanto era imprigionato lì ma, alzando gli occhi, si accorse che la notte, avanzando inesorabile, aveva già inghiottito i contorni di ciò che gli stava intorno. Una splendida luna illuminava i fianchi delle montagne che, contro il mantello color pece del cielo, risplendevano come enormi diamanti bianchi.
Per i caprioli l'oscurità è complice e amica fidata durante i lussuriosi pasti notturni; ma in quella situazione Roe vedeva ogni sua sicurezza incastrata là sotto, nei mughi, insieme alla zampa che, a forza di tirare e strusciare contro gli aghi, aveva finito col lacerare. Sentiva il sangue scendere lungo il pelo, un bruciore forte percorrergli tutto l'arto e il muscolo era talmente indolenzito da sembrare paralizzato. Alla fine si arrese al sonno e a tarda notte, sfinito, si accomodò come meglio poteva e chiuse gli occhi.

Baldo aveva consumato il suo pasto accovacciato in una piccola grotta tra le rocce, dove si era rifugiato per non inzuppare camicia e pantaloni. Ci aveva visto giusto quella mattina quando aveva osservato il cielo troppo rosato! Dopo poche ore infatti una delicata pioggerella aveva iniziato a bagnarli capelli e vestiti e la sua escursione era stata presto interrotta per quella sosta forzata, al riparo dalle intemperie. Addentando piano il pane, aveva visto il cielo brillare all'improvviso e aveva scorto lepri e uccelli dirigersi verso le rocce o l'erba alta, nel tentativo di mantenere asciutti pelo e piume.
Qualsiasi altro cacciatore, vedendo le bestiole in fuga, avrebbe afferrato con gesto meccanico il fucile e fatto fuoco. Ma non Baldo. Baldo non si era nemmeno reso conto di aver dimenticato per l'ennesima volta l'arma alla malga ed era invece rimasto incantato dal quel frenetico fuggi fuggi fatto di leggeri calpestii, veloci batter d'ali e richiami striduli e i suoi occhi avevano catturato avidamente ogni particolare per trasformare la scena in un quadro che avrebbe per sempre serbato nel cuore.
Passato l'acquazzone decise di fare ritorno in malga:le sue care vacche – col freddo e il buio- pretendevano di essere rimesse in stalla molto prima la sera!

Dopo cena, Baldo si sistemò davanti al caminetto acceso, si arrotolò una sigaretta e osservando dalla finestra il cielo stellato programmò una nuova passeggiata per il mattino dopo.

Il fioco sole svegliò Roe, convinto di trovarsi nel suo rifugio di sempre. Aprì gli occhi e li stropicciò un pochino, arricciando il naso. Ma un senso di vertigine lo portò immediatamente alla drammatica realtà trasformando i raggi del sole in lance infuocate e i mughi in coltelli affilati. Le lacrime gli appannarono la vista e il terrore si impadronì di lui.
Con la forza della disperazione diede fortissimi strattoni alla zampa incatenata, raspò il terreno con gli arti anteriori, scalciò... Ma fu tutto inutile! A tratti si fermava per prendere fiato, qualche secondo, e poi ricominciava la sua instancabile lotta con più ardore di prima.
D'un tratto, dei passi.

Il sentiero sembrava più erto del solito. Eppure aveva percorso così tante volte il cammino fin su al Palone che era convinto di poterlo fare anche bendato! Baldo percepiva i segnali che gli mandava quel corpo tanto abituato alla fatica ma inevitabilmente segnato dagli anni. Avanzava quasi senza far rumore perché sapeva che la montagna si deve vivere nel silenzio; sulla schiena lo zaino semivuoto e il fucile, appeso con la tracolla alla spalla destra.
Quel giorno l'aveva portato, prendendolo dall'armadietto con lo stesso gesto meccanico con cui si afferra l'ombrello quando fuori piove.
Erano le sette, camminava da venti minuti. Il sentiero aggirava il torrente e poi saliva percorrendo la cresta,fino a portarsi alla vetta del Palone, quel signore fatto di roccia che così spesso gettava nell'ombra la valle in cui viveva. Il freddo gli si insinuava tra i vestiti ma lo sforzo per arrivare ai duemila gli stava riscaldando il corpo. La giornata era limpida e camminando sulla cresta Baldo poteva ammirare la foresta del Paneveggio, dove spesso amava inoltrarsi. Giunto alla vetta bevve un sorso d'acqua, si godette per alcuni istanti il fresco sole del mattino e poi scese verso ovest. Camminava silenzioso tra i mughi e i ginepri quando d'un tratto udì un rumore,quasi un calpestio, ma più intenso. Aspettando di veder schizzare fuori una lepre, si avvicinò alla bassa vegetazione.
Ma il suo cuore accelerò di colpo quando si accorse che, a meno di dieci metri di distanza, spuntavano testa e groppa di un giovane maschio di capriolo. Senza pensarci troppo tolse il fucile dalla spalla e mirò alla bestia, ma lo stupore,quando vide il capriolo voltarsi e fissarlo intensamente, non gli permise di premere il grilletto. Perché diavolo non fuggiva?

I passi si avvicinavano lenti e leggeri. Roe smise di muoversi e, per non essere visto, si appiattì il più possibile sulla vegetazione che lo teneva prigioniero. Era terrorizzato e le forze iniziavano ad abbandonarlo. Qualcuno era vicinissimo, dietro le sue spalle. Quando ebbe il coraggio di voltarsi vide un fucile puntato su di lui e una faccia d‘uomo che lo fissava.
Allora abbassò il capo e chiuse gli occhi: era stanco di lottare.
Ma, invece di uno sparo, sentì di nuovo quei passi, farsi ancora più vicini.
L'uomo, stringendo in mano il fucile, arrancava tra i mughi. Roe si sentiva quasi svenire per il terrore, le stanchezza e dolore. Sapeva chi era quel mostro. Nella riserva,i cacciatori non potevano entrare, ma una volta mamma lo aveva portato ai confini del parco ad ascoltare gli orribili spari delle loro armi e gli aveva sempre raccomandato di fare molta attenzione e di scappare il più velocemente possibile se mai avesse incontrato quegli assassini.
Ora ne aveva uno davanti a sé, a meno di un metro di distanza e non poteva muovere un muscolo. Non si sentiva pronto per la morte.
Baldo capì ben presto perché la bestiola non era fuggita. Si piegò sulle ginocchia e come meglio poteva, graffiandosi le braccia, scostò gli appuntiti aghi intorno alla zampa incastrata dell'animale. Deglutì a fatica quando si accorse che a forza di tirare per cercare di liberarsi il capriolo si era procurato una ferita profonda che gli aveva lacerato la carne e che – strattone dopo strattone - si era talmente allargata che ora l'arto penzolava quasi staccato dal resto del corpo. «Mio Dio...» sussurrò non riuscendo a capire come quel piccolo animale potesse aver resistito a tanto dolore e ad essere ancora vivo. Baldo lo guardò e vide due occhi lacrimosi, annebbiati ormai dalla morte, tentare ancora di lottare per la vita, chiudersi lentamente e poi riaprirsi per non cedere a quel crudele destino, che l'aveva portato all'incontro con lui.
Baldo sentì i loro istinti fondersi. Sentì risvegliarsi dentro di sé la natura più selvaggia, quella che aveva sempre cercato, e non percepì più quell'animale come una preda ma come un fratello da salvare. E non smise di strappare gli aghi nemmeno quando le mani iniziarono a sanguinare, e continuò a rassicurare la bestiola con parole dolci, e curò e pulì la ferita come poteva.
Ma più le ore passavano inesorabili più il groviglio sembrava infittirsi e il giovane capriolo, ormai stremato, non si muoveva, steso su un fianco.
Alla fine Baldo si fermò.
Aveva perso. Le orecchie fischiavano e la vista era impedita dalle lacrime.
Il fratello moriva.
Lo guardava respirare appena. Accarezzò la piccola testa e si accorse che l'animale non aveva più paura, come se avesse capito che non era venuto per fargli del male. E sentì che lo pregava di liberarlo, per sempre.
Baldo allungò una mano verso il fucile. Appoggiò per un attimo il suo capo a quello del fratello morente. Si alzò e si allontanò di qualche passo.
Lentamente Roe sollevò la testa. La sua esistenza da adulto era durata solo un giorno, ma la sua morte non sarebbe stata inutile. Donava la sua anima a quell'uomo. Che sparando, avrebbe liberato lui dalla sofferenza e se stesso dal lungo conflitto che aveva in corso con la vita.
Chiuse gli occhi ed aspettò.
Nemmeno la montagna quel giorno percepì il rumore dello sparo tanto forte quanto lo sentì Baldo nel suo cuore. La sua anima si era fusa con quella del capriolo. E quella morte era servita a riappacificare l'uomo-cacciatore con la Natura.
E quando Baldò alzò lo sguardo verso la montagna vide la vecchia madre sorridergli. Mentre con una mano accarezzava dolcemente un piccolo capriolo...


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