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«Ho cercato mille modi per riempire una pagina e non ne ho trovato neanche uno.
Sto lì, fermo, quasi imbambolato, a fissare lo schermo del mio portatile senza che mi venga in mente una frase, un pensiero, una semplice parola. Sto lì a guardare, uardare e basta. La verità, dottore, è che ho sempre sbavato per diventare uno scrittore famoso, uno di quelli con i libri in vetrina e le copertine colorate che ti invogliano a sfogliarli e a mangiarli con gli occhi.
Invece, tutte le volte che mi sono seduto per cominciare il mio capolavoro non sono mai approdato a nulla.»
Il Dottore, nonostante sedesse comodamente sulla sua poltrona, occhiali ripiegati e taccuino alla mano, era uscito un attimo dal suo studio, e, giocherellando con il tagliacarte d’argento, una splendida spada giapponese in miniatura, volava liberamente con il pensiero fuori dalla finestra, sfidando gli uccelli in ardite gare di acrobazie nel cielo stupendamente terso di quel mite pomeriggio di aprile.
«La sua storia non mi preoccupa, in nessuno dei suoi aspetti. Sapesse quanto è comune…»
Il Paziente rimase molto deluso dalla scarsa (inesistente?) attenzione del Dottore.
«Scusi sa, ma che cosa vuol dire che la mia storia non la preoccupa? Se mi sentivo bene, non sarei certo venuto da lei! Inoltre...»
«La prego,» intervenne il Dottore, consapevole del rischio di un possibile scadimento del loro rapporto, «non intendevo offenderla: prosegua pure da dove si era interrotto e non faccia caso a quello che ho detto poc’anzi.».
Il transfert sembrava salvo. Il Dottore si complimentò con sé stesso.
«L’altro giorno mentre rimettevo in ordine la mia scrivania ho avuto una specie di illuminazione. Ho pensato: che stupido sono! Mi arrabatto per avere un’idea originale, l’idea del secolo, pensando di doverla creare ex novo sedendomi davanti ad un foglio bianco, quando invece basterebbe che rileggessi tutti i brandelli dei racconti che ho iniziato (e che, stranamente, non ho buttato) per avere un’ispirazione, una visione di insieme, forse addirittura una trama. Come una coperta patchwork! Capisce Dottore, una coperta! Non è meravigliosamente buffo? Vengo tratto in salvo dalla mia deriva creativa da una coperta, come Linus! Capisce Dottore? Dottore? DOTTORE! DOTTORE MA INSOMMA, MI STA ASCOLTANDO?!»
Il Dottore non si era minimamente accorto delle urla del Paziente.
Non poteva.
Onestamente nessun essere umano di sesso maschile, eterosessuale e con ancora qualche colpo in canna, avrebbe potuto. La sua mente era stata rapita, infatti, dalla pelle di Laura, dai suoi occhi profondi e azzurri come il mare, dalle linee morbide del suo corpo sinuoso e pieno di promesse, dai suoi fianchi armoniosi.
Da quanto tempo non la vedeva? Due giorni? Una settimana? Era la stessa cosa, era come se non la vedesse da una vita, tanto quella donna gli era entrata dentro. Non si trattava di una volgare infatuazione – di questo era certo -, di una storiella passeggera tra uno stimato professionista ormai prossimo alla pensione ed una splendida, giovane fotomodella: no, era AMORE, vero, rotondo, perfetto. Lei gli aveva regalato la giovinezza, di nuovo, e lui non se la sarebbe fatta scappare.
Pertanto, era chiaro che il Dottore non poteva preoccuparsi di quel suo sbiadito paziente, che seguitava ad urlare cose incomprensibili ritto in mezzo alla stanza, alzando i pugni verso di lui. Era come un vecchio televisore in bianco e nero senza l’audio, e il Dottore lo guardava non senza un certo divertimento.
Finché vide quella cicatrice sul suo volto.
E il sorriso, di colpo, sparì.

- 2 -

«Dottore, ma è certo di quel che fa? Non mi sembra il caso di fare l’ipnosi, non siamo mica al circo…» Il Dottore non ci faceva caso. Anzi, mosso da una carica improvvisa, aveva fatto adagiare, gentilmente ma con decisione, il Paziente sul divanetto e aveva creato una piacevole atmosfera di quiete e di rilassatezza tirando le tende delle finestre e mettendo su un po’ di musica.
Sentiva di essere molto vicino a ciò che da tempo andava cercando, e non voleva mancare a quell’appuntamento.
Non appena il Paziente cadde in trance, iniziò l’investigazione:
«Qual è il tuo vero nome?»
«Mi chiamo Wolf.»
«Che cosa significa?»
«Lupo.»
«Perché ‘Lupo’?»
«Mio padre... mio padre mi voleva forte come un lupo.»
«Tuo padre era un militare?»
«Sì, un maestro di scherma.»
«E ti ha istruito?»
«Sì.»
«E sei bravo?»
«Sì.»
«Quanti duelli hai sostenuto?»
«Dodici.»
«E quanti ne hai vinti?»
«Undici.»
«E che cosa è successo durante il tuo ultimo incontro?»
«Lui mi ha sfregiato, mi ha sfigurato!»
«Lui chi?»
«Lo Sfidante, quel bastardo senza volto...»
Il Dottore trasalì. Finalmente lo aveva trovato. Dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per non urlare mentre il cuore gli stava per esplodere in gola.
«Chi è lo Sfidante?»
«Non lo so, nessuno lo sa.»
«Da dove viene?»
«Non lo so, nessuno lo sa.»
«Perché hai voluto incontrarlo?»
«Perché l’ho visto battere il Maestro...»
«Hai assistito al loro scontro quindi... volevi combattere?»
«No, volevo scrivere una storia e scoprire la verità sulle Lame Segrete.»
«Allora hai visto tutto?»
«Sì, io ho visto tutto…»

- 3 -

Wolf si guardò intorno. Il luogo dove le sue informazioni lo avevano condotto era una grotta molto ampia e molto alta, traboccante di gente: una folla rumorosa, di uomini elegantissimi e femmine mozzafiato, molte delle quali ancora ragazzine che gridavano come matte, circondava un ampio spiazzo dove alcuni energumeni stavano facendo la guardia. C’era una grandissima tensione nell’aria, e tutti i presenti erano venuti per godersela. Il Banditore introdusse l’evento, mentre il chiasso della folla a poco a poco andava scemando.
«Benvenuti, Fratelli e Sorelle, possa questa buia notte venire rischiarata dalla luce delle nostre spade !
La Confraternita delle Lame Segrete vi regala, questa notte, due campioni, due grandi guerrieri: IL MAESTRO E LO SFIDANTE !!»
La folla impazzì, mentre i duellanti facevano lentamente il loro ingresso. Agli occhi di Wolf essi apparvero subito diversissimi. Il Maestro era un uomo alto, longilineo e dai movimenti lenti: portava una folta barba argentata e lunghi capelli che ingentilivano ogni suo movimento. La sua arma era un capolavoro di arte orientale, e lui l’adorava. Lo Sfidante, invece, era basso, pelato e dimostrava più anni di quelli che certamente aveva. Si muoveva a scatti, circondato dai suoi secondi che lo osservavano in silenzio mentre si preparava all’incontro. Il suo volto, e questo era il tratto più enigmatico, non
esprimeva alcuna emozione. Sì, pensò Wolf, sembrava proprio quello che la gente diceva di lui: era l’Uomo Senza Volto, nomen omen. E faceva paura.
I due si davano le spalle, ma in realtà era come se non si staccassero mai gli occhi di dosso.
«Signori, chi è di scena…»
Al richiamo del Banditore la folla esplose, e i due si voltarono. Pazientemente raggiunsero il centro dell’arena, e, giunti faccia a faccia, fecero un passo indietro e incrociarono le lame. Il Maestro impugnava a due mani la sua lunga katana la cui punta brillava minacciosamente davanti agli occhi dell’avversario: a vederla, nessuno dubitava che quello stupendo capolavoro di arte umana, frutto di secoli di tradizione, potesse da un momento all’altro sublimare l’animo di un esteta e separare definitivamente un uomo da un proprio arto. E il Maestro ne era sicuramente consapevole: per questo sorrideva, mentre fissava negli occhi il suo antagonista.
«Signori, al mio segnale…»
Lo Sfidante, invece, non sorrideva. Non gli serviva. Né forse gli si addiceva.
Un sinistro sentore di Morte lo avvolgeva e la folla se ne era accorta. Tutta l’elettricità che era nell’aria, l’eccitazione del sangue , sembravano venire meno in ognuno degli spettatori man mano che l’Uomo Senza Volto si metteva in guardia: perché, vuoi per la postura, vuoi per l’arma, quell’uomo veniva da un’altra dimensione, da un altro secolo: di questo, Wolf, era assolutamente certo.
«Signori, A VOI !»
Il Maestro non si rese nemmeno conto di ciò che accadde nello spazio di pochi secondi. Il ferro dello Sfidante, una superba spada italiana, era penetrato fulmineo nella sua anca sinistra, danneggiando l’articolazione femorale, e, non contento, se ne era uscito dal gluteo creando una fontana di sangue: il che si tradusse per il Maestro in un improvviso dolore d’inferno che gli fece mancare le gambe e lo ridusse ad un grosso straccio che lentamente si afflosciava sul terreno. E, mentre cadeva, lo Sfidante (per crudeltà? per pietà? per cosa?) estrasse in un sol colpo la lama dal corpo dell’avversario. Istantaneamente i padrini accorsero in aiuto del Maestro, e, preso atto della gravità della ferita, comunicarono che l’incontro, per loro, era finito.
Lo Sfidante, immobile, guardava ciò che era rimasto del suo degno avversario.
Dopo che questi fu portato via privo di conoscenza, estrasse dalla tasca della camicia un leggerissimo e minuscolo fazzoletto di seta bianca, con il quale pulì accuratamente la lama e la coccia della sua spada. Poi vi si soffiò il naso e lo lanciò alla folla esterrefatta.

- 4 -

«E se ne uscì dall’arena mentre tutti urlavano come pazzi. Non ne ho mai più sentito parlare…»
Il Dottore era rimasto come paralizzato. Sprofondato in poltrona aveva lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi spalancati e respirava a fatica. Ma riuscì a riprendersi.
«Bene, bene... adesso che tutto è finito può risvegliarsi... tre... due... uno... ORA!»
Uno schiocco di dita e il Paziente ritornò in sé.
«Che cosa mi è successo, dove sono... io...»
«Non si preoccupi, lei sta bene, si è appena risvegliato da una fruttuosa seduta esplorativa. Adesso mi guardi bene, mi riconosce?».
Il Paziente sgranò gli occhi, ed annuì lentamente con il capo.
«Molto bene. Adesso lei starà qui sdraiato per qualche minuto. Poi se ne potrà andare. La nostra ora è terminata.»
Il Paziente sorrise.»Tra qualche giorno lei riceverà come intesi la mia relazione, ma sono lieto di poterle anticipare che il suo caso non è assolutamente preoccupante. Sono certo che lei diventerà un vero scrittore, perché, da quanto è emerso dai nostri colloqui, è un tipo curioso ed un ottimo osservatore, anche se, temo, con qualche difficoltà a... ricordare.»
Il Paziente era in alto, anzi altissimo mare. Aprì la bocca per chiedere qualcosa, ma il Dottore aveva subito ripreso: «Per ovviare a questo inconveniente, direi che una dieta sana ed un adeguato apporto di ore di sonno notturno saranno sufficienti a ristabilirla fisicamente. Tuttavia, mi sento di prescriverle anche la pratica regolare di una attività fisica: ha mai pensato a tirare di scherma?»
Detto ciò, il Dottore cominciò a ridere, e, alzatosi dalla poltrona, invitò con un gesto il Paziente a sollevarsi e lo condusse, zoppicando, alla porta. Gli strinse la mano e lo congedò educatamente.
Non appena si chiuse la porta alle sue spalle, il Paziente avvertì la sensazione di avere già visto quel vecchio da qualche parte, e non certo in uno studio di psicologia. Ma non riusciva a ricordare dove. Non appena ebbe chiuso la porta dinanzi a sé, il Dottore pensò che non era ancora finita. Con l’aiuto del Paziente o senza, avrebbe trovato quel bastardo senza volto, e gliel’avrebbe fatta pagare. Perché il Ferro non perdona. Mai.


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