Peso oramai quarantacinque chili. Il volto trasformato in una maschera di dolore munchiano. Sono mesi che non mangio. La mia famiglia me lo impedisce.
Hanno architettato un piano diabolico per farmi morire.
Tutto iniziò una domenica di novembre durante il pranzo. La domenica era l'unico giorno della settimana in cui la famiglia si riuniva allo stesso tavolo. Durante la settimana era impossibile pranzare insieme. Ognuno aveva i propri orari, i propri impegni. La domenica invece ci sentivamo veramente famiglia. Tranquilli si mangiava senza preoccuparsi del lavoro o dello studio.
L'unica cosa da affrontare dopo era un pomeriggio che alle volte sembrava troppo lungo, soprattutto se non avevi niente da fare.
Quel giorno, mentre eravamo tutti e sei a tavola, mio nonno iniziò a sbiascicare.
Non l'aveva mai fatto finora. Provai subito una sensazione di schifo. Rimasi in silenzio cercando di concentrarmi su qualcos'altro ma il rumore era insopportabile.
Mi voltai verso di lui. Apriva quella bocca come un coccodrillo. Vedevo tutti i pezzi di cibo triturati galleggiare dentro la gola. Che schifo.
Le tagliatelle al tartufo persero il loro aspetto invitante. Si trasformarono in un piatto di vipere.
Intanto che le vipere mi fissavano con i loro occhi luccicanti, il nonno sbiascicava senza curarsi del fatto che potesse dar fastidio a qualcuno.
Cercavo di non pensarci. Facevo finta di niente. Presi una forchettata di tagliatelle. Le masticai lentamente. Niente da fare, non riuscivo proprio a gustarle come si deve. Soffrendo come un cane, aspettai con impazienza la fine di quel disgustoso pranzo. Presi il caffè al volo e schizzai in camera mia.
Mio nonno da quel giorno sbiascicò sempre. I pranzi e le cene diventarono una tortura. Dopo alcuni giorni gli chiesi gentilmente se per favore poteva evitare di masticare a bocca aperta. Non rispose neanche. Sbuffò solamente. Pensavo avesse capito il fastidio che mi procurava, invece continuò noncurante.
Tale era lo schifo che provavo che anche i sapori del cibo cambiarono, assunsero tutti un odore di muffa e chiuso.
Cercai rimedio nella velocità. In due o tre minuti cercavo di ingoiare tutto ciò che potevo e scappavo in camera mia. Quello che ingoiavo, però, non era sufficiente a placare la mia fame. Mangiavo la notte, ma solo verso mezzanotte potevo placare i crampi allo stomaco. Prima di c'era mia nonna in cucina a guardare la tv.
Dovete sapere che c'è una regola in casa che non si può violare: mangiare fuori pasto. Non è che sia vietato in maniera assoluta ma, ogni volta che venivo scoperto seguivano frasi del tipo «Si deve mangiare a cena!», «Abbiamo già pulito tutto, così sporchi», «fa male andare a dormire subito dopo aver mangiato» e altre cose del genere.
Odio essere ripreso in quel modo, mi dà sui nervi. Finisco sempre per dire cose di cui poi mi pento.
Per evitare inutili liti preferii mangiare di nascosto.
Parlai dei miei problemi con i miei genitori. «Tuo nonno è vecchio. Vedrai quando avrai la sua età!» fu tutto quello che mi dissero.
Cercai un po' di conforto da mia sorella ma a lei lo sbiascicare del nonno non dava nessun fastidio.
Parlarne con la nonna si sarebbe rivelato inutile. Suo marito aveva sempre ragione anche quando sbagliava. Lo difendeva sempre anche quando aveva torto marcio.
Poche settimane dopo ci furono dei cambiamenti sospetti nelle abitudini alimentari familiari. Di solito la nonna faceva spesa ogni due o tre giorni, di punto in bianco decise di andarci tutte le mattine. Non riusciva più a portare le buste troppo pesanti diceva lei. In conclusione finita la cena non c'era proprio più niente da mangiare. Il frigo era di un vuoto spaventoso e io dovetti dire addio ai miei spuntini notturni.
Il risultato fu che dimagrivo sempre di più. Nonostante tutto stavo bene.
Riempivo le giornate guardando gli annunci di lavoro. Mi dedicavo ai miei hobby. Ogni tanto avevo qualche colloquio di lavoro. Andavano tutti male ma mi impegnavo. Facevo qualche lavoro quando capitava per avere qualche soldo.
Mi ero quasi abituato a quei pasti rapidi. La tortura in questo modo durava molto meno.
Avevo raggiunto un equilibrio che purtroppo si rivelò essere troppo fragile.
Gli avvenimenti che seguirono lo ridussero in frantumi.
Vi racconterò come.
Io e la mia famiglia vivevamo in una casa a due piani. La mia camera si trovava al secondo piano, proprio attaccato c'era un piccolo bagno ed uno stanzino dove tenevamo po' di tutto: computer, scarpe, borsoni ecc...
Fu proprio a causa di quel piccolo bagno che cominciarono i miei nuovi tormenti.
Una notte iniziò a gocciolare il rubinetto della vasca. Stavo scivolando nei territori oscuri del sonno quando queste gocce mi riportarono indietro. Benché stanco non riuscii più a riaddormentarmi.
Mi giravo nel letto, sudavo, il cuore batteva forte. Intanto la notte diventava sempre meno nera. Sfumava piano piano fino a quando la luce del sole non penetrò nella camera attraverso i piccoli fori della serranda.
Non avevo dormito neanche un minuto. Mai mi era successa una cosa del genere.
Presi la cosa con filosofia, una notte insonne non aveva mai ucciso nessuno in fondo.
La notte successiva, prima di coricarmi, strinsi bene tutti i rubinetti del bagno.
Scivolai sotto le coperte pregustando una dormita favolosa. Spensi la luce.
Passarono alcuni minuti e il rumore della goccia ritornò e uccise il mio sonno.
Cercai di fare finta di niente, di ignorarla. Pensai a qualcos'altro ma non c'era niente da fare, il rumore della goccia era insopportabile.
Sembrava una piccola ghigliottina.
Mi alzai furioso. Strinsi ulteriormente la maniglia del rubinetto ma la goccia
scendeva ugualmente.
Ebbi un'idea. Appoggiai una spugna sul fondo della vasca in modo da attutire il
rumore. Sembrava funzionare.
Ritornai a letto soddisfatto, ma l'illusione durò poco. Il tonfo, appena percettibile, che provocava la goccia cadendo sulla spugna umida, mi innervosiva ancor più dell'altro rumore.
Non riuscii a dormire neanche quella notte.
Ordinai ai miei genitori di chiamare l'idraulico. Spiegai loro che non potevo più dormire. Pensavano che scherzassi, ma vista la mia insistenza acconsentirono. L'idraulico arrivò il giorno dopo. Smontò il rubinetto, ne montò uno nuovo, disse che era tutto a posto e se ne andò.
Quella notte la goccia malefica tornò lo stesso...
Dormivo ogni tre notti. In Pratica solo quando la stanchezza accumulata era così tanta da farmi crollare quasi morto sul letto.
Ancora non pensavo si potesse trattare di un piano per farmi morire. La goccia, il nonno e il fatto della spesa avevano messo a dura prova il mio sistema nervoso ma non erano prove sufficienti. Purtroppo questo era solo un assaggio, una piccola parte di quel piano meticolosamente architettato per farmi crollare. Dormivo poco, diventavo sempre più paranoico e nervoso cosicché i miei pensarono bene di battere il ferro finché era caldo.
I nonni una mattina vennero a lavarsi sul bagno accanto alla mia camera da letto. Niente di strano, a parte che in venti anni non erano mai venuti lassù.

Verso le cinque e trenta sentii dei passi pesanti su per le scale. Era il nonno. Entrò in bagno lasciando la porta aperta. Aprì l'acqua del rubinetto e una cascata sembrò invadere la mia camera. È strano come rumori cui durante il giorno non fai nemmeno caso possano essere così fastidiosi nel silenzio della notte. Credo comunque che non fosse ancora soddisfatto di tutto il baccano che aveva scatenato perché aprì con forza la serranda facendo un rumore infernale.
Poi dulcis in fundo arrivò la nonna. Si misero a parlare, poi a litigare sapendo perfettamente che nella stanza accanto c'era il loro nipote che non riusciva a dormire da chissà quante notti.
Quando mi alzai per fare colazione attaccai la nonna con violenza.
«Come dobbiamo fare?» rispose.
«Come avete fatto sempre!» urlai furibondo «Non potete venire a rompere le palle alle cinque di mattina, aspettate che se ne vanno gli altri e poi vi lavate nel bagno di sotto come avete sempre fatto».
«Ma se non abbiamo più sonno che facciamo? rimaniamo sul letto?»
Sapevo di aver ragione e il fatto che non lo ammettesse mi fece esplodere: «Mi avete rotto i coglioni. Non ce la faccio più a dormire per colpa di quella cazzo di goccia ed in più le uniche notti che riesco a dormire vengo svegliato da voi perché non avete più sonno. È assurdo. ASSURDO».
Tutte le mattine, alle prime luci dell'alba, puntuali arrivavano i nonni.
Succedeva di tutto in quel bagno. Il copione variava ogni mattina. Alle volte cadeva qualcosa, altre volte tiravano l'acqua del bagno due o tre volte, comunque sia riuscivano a comporre delle sinfonie di musica concreta di raro fastidio.
Io stavo sotto le coperte come una bestia impaurita cercando di afferrare inutilmente quel sonno che mi veniva portato via ingiustamente. Li odiavo e avevo paura di loro allo stesso tempo. Quel loro passo pesante lungo le scale mi tormentava. Ogni mattina, non so come, il mio orecchio sentiva quei passi.
Avevo i nervi a pezzi, iniziai a perdere i capelli. Ero sempre sfinito, alle volte mi sembrava di morire da un momento all'altro. Mi pizzicavano gli occhi dalla stanchezza, i mal di testa erano così violenti che mi facevano quasi cadere a terra.
Dimagrivo sempre di più. Da settantotto chili era passato a poco meno di settanta nel giro di due settimane.
Quei pochi amici che avevo si accorsero del cambiamento. Mi domandavano spesso come stavo. «Oh niente, solo un po' di stress» rispondevo loro cercando di tranquillizzarli.
Come potevo dirgli che la mia famiglia forse tramava contro di me. Chi ci avrebbe mai creduto?
Neanche io ci credevo in fondo...forse stavo diventando pazzo?
Amavo passeggiare ma ero così debole che mi riusciva di fare a malapena cento metri poi dovevo sedermi per lo sforzo. Stavo invecchiando ed avevo solo ventisei anni.
Una sera a cena capii che erano veramente tutti d'accordo. Eravamo solamente in cinque dato che mio padre era fuori per lavoro. C'era un'atmosfera strana. Dei sorrisetti facevano capolino sulle bocche dei miei familiari.
C'era del pollo per cena. Rapido portai nel piatto i pezzi che volevo. Mi alzai a prendere un tovagliolo. Mi rimisi a sedere e assistetti subito dopo ad uno spettacolo allucinante.
Mia nonna si infilò in bocca una coscia di pollo. Se la mise per intero dentro e quando la ritirò fuori l'osso della coscia era bianco e splendente, senza neanche un pezzetto di carne attaccato. Fece lo stesso con altri cinque pezzi di carne. Uno dopo l'altro. Impressionante.
Aveva il volto coperto dell'unto appiccicoso della carne. Sembrava indossare una maschera di bellezza fatta di grasso.
Mia sorella vomitava un liquido verde sul cibo, tipo la mosca sul film di Cronemberg, scioglieva il cibo con quel cavolo di succo, poi infilava la faccia nel piatto e succhiava il tutto. Il nonno ruminava più del solito.
Mi voltai verso mia madre che sedeva alla mia destra. Stava seduta lì tranquilla poi disse «Credo che al pollo manchi qualcosa» prese il coltello e si aprì uno squarcio nella mano. La guardavo atterrito mentre il sangue gocciolava sopra la carne.
Iniziai a tremare e schizzai in bagno a vomitare. Mi chiusi a chiave in camera.
Che cosa volevano da me? Quale era il loro obiettivo?
Rimasi chiuso in camera intere settimane, tanto che non so neanche io quante.
Nessuno venne mai a bussare alla mia porta.
Ogni tanto sentivo il telefono squillare. Erano i miei amici che mi cercavano.
Veniva risposto loro che dormivo, che ero uscito o che stavo sotto la doccia.
Dopo un po' smisero di chiamare.
Nella cucina, al piano di sotto, sentivo la mia famiglia parlare, ridere, scherzare tranquillamente. Gli volevo ancora bene nonostante tutto, erano la mia famiglia... l'unica che avevo.
Iniziai a piangere. Piansi giorni interi. Quando le lacrime finirono piansi sangue.
Ero spaventoso. Magro. Sporco. Restavo a letto tutto il giorno. Cercavo di dormire per non pensare. Non avevo neanche più fame.
Stavo lì, comodamente insensibile, in attesa della morte.


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