Ci sono ancora delle volte in cui, i primi giorni della primavera, nell'odore dell'aria si avverte qualche cosa di particolare.
Non si può parlare di profumo, perché in città aspettarsi tanto sarebbe eccessivo, ma è comunque un non so che di insolito, tra il frizzante e il fresco, che fa avvertire il passaggio dalla stagione fredda alla stagione nuova.
Forse si tratta di un qualche effimero messaggio ormonale, che ci accarezza i nervi e i sensi, predisponendoci all'azione; forse è solo il desiderio di adeguarsi ai luoghi comuni, che si aspettano qualcosa di completamente nuovo, ora che le giornate diventano più lunghe, calde e luminose. Fatto sta che molti hanno bisogno di muoversi e di fare.
Ecco così che una domenica di fine marzo, in un parco pubblico della città di Roma, c'è gente che corre, gente che passeggia, chi gioca con gli amici e chi con i bambini. Quasi tutte le panchine sono occupate, soprattutto da persone anziane, e quasi tutti leggono il giornale o si riscaldano placidamente al sole.
Su una panchina in particolare è seduto un tipo robusto sui trent'anni, con i capelli corti e con lo sguardo serio. Sta carezzando la testa e il collo di un bel cane dal mantello nero, e l'animale, composto e tranquillo, lo lascia fare con la lingua rossa penzoloni.
Intorno a loro passa un po' di tempo, finché dalla stradina bianca che è di fronte alla panchina, lastricata di sassetti arrotondati, arriva un uomo che si ferma, esita un momento, si guarda intorno e infine si siede.
È un tipo magro, un metro e settanta circa, con la giacca chiara e la cravatta rosso scuro, i capelli ormai tendenti al grigio. Si toglie un filo dai calzoni, o qualcosa del genere. Si guarda un momento intorno. Non vede nulla di attraente e allora osserva il giovanotto che accarezza il cane.
Ha in mano un bel mazzetto di fiori azzurrini, gialli e rosa, e quando il tipo che era già seduto si volta, sentendosi osservato, indica l'animale e dice: «Bel cane. Veramente bello. Di che razza è?»
«Pastore belga.»
«Bello. Ed è un cucciolo oppure è grande? Insomma, adulto.»
«Ha quattro anni», risponde il giovanotto, scuotendo affettuosamente la testa del cane.
L'animale, che ha capito di essere l'oggetto della conversazione, muove le orecchie, dimena la coda allegro, poggia le zampe sopra le ginocchia del padrone.
L'uomo con i fiori annuisce. «Quattro anni, eh? Che moltiplicato sette - giusto? - fa ventotto anni circa di un uomo, no?»
«Esattamente», conferma l'altro. «Adesso giù, però, Clif. Stai giù, da bravo», si raccomanda, e il cane piega le gambe posteriori e si mette seduto, continuando a guardare il padrone con occhi speranzosi.
«Proprio un bel cane», approva l'uomo con i fiori. «Mi piacerebbe avere un cane così, magari un po' più piccolo. Però ci vorrebbe un giardino... Una casa col giardino, dico. Un certo spazio, insomma. E naturalmente il tempo per portarlo a spasso tutti i giorni.»
«Eh sì.»
«C'è un cane che... mi pare che si chiami beagle. Una specie di cocker col pelo corto ed il musetto più schiacciato. Quello, è un cane che mi piacerebbe per davvero.»
Il tipo robusto si siede più comodamente. «Il cane di Charlie Brown», osserva.
«Già, è vero. Il cane di Charlie Brown», conferma il signore brizzolato, dopodiché non sembra che abbia altro da dire. Almeno, fino a che non guarda l'orologio. Ci pensa sopra. Chiede: «Lei è qui da molto tempo? Voglio dire, qui, in questa panchina.»
Il giovanotto ci riflette un attimo. «Mah, un po' prima che arrivasse lei. Dieci minuti, un quarto d'ora.»
«Ah, ecco. Un quarto d'ora... Gliel'ho chiesto perché doveva venire a sedersi una persona, in una di queste due panchine», e indica un'altra panchina con un pensionato. «Allora mi chiedevo se per caso aveva visto passare e fermarsi una ragazza... Con un foulard di colore viola.»
Il tipo robusto aggrotta la fronte. «Viola?», ripete. «No, non mi pare proprio.»
Il signore sorride, però dà l'impressione di essere a disagio. «Ecco, il foulard viola è una specie di segnale di riconoscimento», dice. «E anche questi fiori sono un segnale.» Poi prova a spiegare meglio. «Cioè, prima di tutto sono un omaggio alla bellezza femminile... ma in questo caso anche un sistema per essere riconosciuti.»
L'uomo col cane non commenta. L'altro continua con la sua spiegazione.
«Il fatto è che avevo appuntamento con una ragazza che doveva avere un foulard viola intorno al collo, e la ragazza invece aveva appuntamento con una persona con la cravatta rossa e un mazzo di fiori.»
Il signore con i fiori adesso aspetta una reazione, per cui il giovanotto dice: «Per riconoscervi tra voi.»
«Esattamente: di fronte alla fontana.» Stavolta indica una fontana rotonda e recintata. «Perché io non conosco la ragazza e la ragazza non conosce me. Ma con i fiori e la cravatta da una parte e con il foulard dall'altra, non ci sono problemi, no?»
L'uomo col cane sembra piuttosto scettico, però dice soltanto: «Già.»
Il signore sembra un po' deluso. Guarda di nuovo l'orologio e scuote la testa.
«Già sono arrivato con cinque minuti di ritardo, e adesso è passato un altro quarto d'ora...» Silenzio e infine un bel respiro. «Mi sa che a questo punto non verrà più.»
L'altro tace. Guarda il suo cane che è accucciato e che sembra sul punto di dormire. «Forse non è puntuale neanche la ragazza», osserva. «Ho delle amiche che a volte mi fanno aspettare in macchina anche più di mezz'ora.»
L'uomo con i fiori scuote di nuovo la testa. «No, non viene più, me lo sento, era destino. Un appuntamento al buio ed io che arrivo in ritardo... Non mi era mai capitato di fare tardi. Mai.»
Il giovanotto sembra un po' sorpreso. «Ah. Perché le capita di avere questi appuntamenti spesso?»
Anche l'altro si sorprende un poco. «Quali?»
«Beh, lei parlava di appuntamenti al buio, mi pare.»
«Ma no: gli appuntamenti in genere, intendevo dire... Io sono un tipo molto puntuale.»
Il giovanotto si rende conto dell'equivoco. «Ah.»
Il signore brizzolato sembra leggermente offeso. L'altro forse è un po' perplesso.
Una ragazza in calzoncini corti e la maglietta rossa a mezze maniche passa correndo, attirando per qualche istante l'attenzione di entrambi. Fa più caldo, adesso, ed il signore che aveva un appuntamento posa i suoi fiori sopra la panchina, cerca qualche cosa nella tasca e ne tira fuori un fazzoletto di carta, che passa un paio di volte sulla fronte, con cautela. «A lei piace scrivere?», chiede.
Il tipo robusto aggrotta un po' la fronte: «Scrivere?»
«A me personalmente è sempre piaciuto, fin da quando ero ragazzino. Mi ricordo che quando andavo in vacanza al mare dai miei nonni, facevo sempre amicizia con qualcuno. Poi, quando ritornavo a Roma, la sera mi mettevo a scrivere lettere lunghissime a tutti quelli chi avevo conosciuto.» Sorride. «Naturalmente se erano ragazze carine scrivevo ancora di più.»
Anche il giovanotto sorride. «Eh si, ci credo».
«Già. Ed è da lì che è cominciato il mio interesse per la scrittura in genere e per il mestiere di scrittore in particolare.» Il signore sorride ancora. «La mia dannazione.»
«Mi sta dicendo che lei è uno scrittore di professione?»
«Oh no, no. Magari. Io sono solo un valutatore. Leggo le cose che mi arrivano in redazione, poi mando lettere di critica o di approvazione. Sa: ad aspiranti poeti e scrittori.»
«Poeti e scrittori...»
«Sì: lavoro in una piccola casa editrice. Il mio lavoro consiste nel leggere gli scritti e darne una valutazione. Quindi preparo delle belle lettere con le quali comunico le mie conclusioni agli sfortunati artisti, e ricomincio le mie letture.»
«Perché li chiama sfortunati?»
«Perché di solito le valutazioni non sono positive, e non c'è nessuno a cui piaccia sentirselo dire... E anche quando sono incoraggianti, spesso per chi ha inviato il testo vuol dire dover produrre una nuova versione con le modifiche di stile o di contenuto che io», ammicca in modo ironico, «dall'alto della mia preparazione professionale, richiedo per rendere possibile la pubblicazione.»
«Mi sembra giusto», commenta il giovanotto. «Comunque sia, arriverà il momento in cui, per qualcuno, lei autorizzerà la pubblicazione di qualcosa...»
«Sì, certamente, ogni tanto accade. Anche se generalmente pubblichiamo soprattutto ristampe di racconti e di romanzi già famosi. Però qualcuno riesce effettivamente a superare tutti gli ostacoli... che poi non dipendono solo da me, sia chiaro. Ma non sono sicuro che siano i più fortunati.»
Il giovanotto ora si incuriosisce. «Perché? Non è per questo che scrivono e che mandano le loro cose?»
«Eh, perché... Perché alla fine le novità che pubblichiamo sono frutto di un compromesso. Tra ciò che è inesorabilmente brutto e ciò che ha un contenuto gradevole ed uno stile corretto.» L'uomo con i fiori scuote la testa. «Insomma, si tratta di libri che probabilmente verranno dimenticati in fretta. Libri che spesso illuderanno chi riuscirà a vederli pubblicati, e che al lettore non daranno altro che un po' di distrazione in più.»
«Detto così, non sembra molto incoraggiante», osserva in tono amichevole il tipo robusto.
«Sì, è vero; però si rende conto? Montagne di capolavori, eserciti di scrittori... Insomma, è quasi destino perdersi nel mucchio.»
«Oddìo, allora lei fa proprio un mestiere ingrato...»
Il signore brizzolato tace, riflette un attimo e sorride di nuovo. «No, no. Non ho da lamentarmi. Dove lavoravo prima, si parlava solo di computer, di calcio e di programmi televisivi. Almeno adesso...» Momento di esitazione. «Non che ci sia qualcosa di male nel calcio e nella televisione... Intendo dire che ci sono anche i libri e la musica, il teatro...»
Il tipo robusto lo interrompe, sorridendo. «Non si preoccupi. Capisco benissimo quello che voleva dire.» Con entrambe le mani accarezza il cane che si è rialzato in piedi, desideroso di coccole, e dopo lascia che si allontani qualche metro.
Davanti alla panchina passano un uomo ed una donna con una carrozzina. Il cane osserva le mosse di un altro uomo, che gioca a pallone con due bambini un po' più in là.
«Perché mi aveva chiesto se mi piace scrivere?», chiede a un certo punto il giovanotto.
«Perché è il motivo per cui io mi trovo qui.» Il valutatore si toglie gli occhiali e comincia a pulire le lenti con una pezzetta. «Si, insomma... Perché a parte il lavoro che faccio, è proprio per via dell'abitudine di scrivere, del gusto di tenere in mano una penna, che mi sono trovato in questa situazione.» E per chiarire meglio aggiunge: «Mi riferisco all'appuntamento che avevo oggi qui.»
«In che senso?»
«Eh. Solitamente quando qualcuno ci invia i suoi racconti, c'è sempre un minimo di corrispondenza tra noi e l'autore, chiunque egli sia. Quanto meno, bisogna dirgli che ciò che ha mandato purtroppo non ci interessa... e questo è facile perché si ricorre sempre alle stesse frasi. Oppure bisogna fargli capire che qualche cosa risulta valida, ma non è esposta abbastanza bene... e allora gli si spiega cosa dovrebbe fare per migliorare e correggere, per cambiare lo stile o per aggiungere un tratto più personale.» Osserva in controluce le lenti con la montatura sottile. «Così si instaura una specie di collaborazione epistolare, anche se a intervalli di tempo piuttosto lunghi. Due, tre lettere in un anno, si figuri.» Rimette gli occhiali e fissa lo sguardo sul tipo robusto. «Questa volta, invece, dodici lettere. In appena sette mesi.» Sembra quasi che debba giustificarsi di qualcosa, e insiste: «Voglio dire, dodici lunghissime lettere da parte di una ragazza, ad accompagnamento delle sue poesie, e dodici lunghissime lettere di risposta da parte mia.»
«Dodici lettere...», ripete il giovanotto. «Non sono poche.»
«Può dirlo forte. Ogni tanto, per come mi sono comportato, mi vergogno anche un po'.»
«Perché? Che ha fatto?»
Con la mano destra, il valutatore fa il gesto di scacciare qualcosa, nervoso.
«Eh! Ho assecondato troppo le aspettative di chi mi ha scritto. E ho lasciato che si creasse, man mano, una situazione... intricata.» Sospira ed alza le sopracciglia, serio. «In fondo anche nel nostro lavoro esiste un codice di comportamento. È chiaro che lasciando che lei mi inviasse ogni nuova poesia che scriveva... e che mi scrivesse anche a proposito delle cose che le capitavano, e mi confidasse le sue riflessioni personali... Insomma, anch'io ho cominciato a risponderle allo stesso modo, e così sono andato molto al di là del mio vero compito, che è quello di giudicare solamente i testi e non le
persone.»
«Beh, lei mica è un giudice penale», osserva l'uomo con il cane. «Se mi permette, ho l'impressione che stia esagerando un poco... Io non credo che si possa evitare un certo coinvolgimento personale, quando si interagisce per un certo tempo con qualsiasi persona. E poi, oggi come oggi la maggior parte della gente si conosce nell'ambiente di lavoro e comunque per via di contatti di lavoro. E se è stata proprio questa persona, per prima, a cominciare questo scambio di lettere e di idee... Beh, voglio dire, che problemi ci sono? Tenga presente che il suo tempo è pur sempre il tempo di un professionista... E alla fin fine questa persona a cui lei ha risposto così tante volte, non ha usufruito gratis di un discreto valore?»
«Adesso è lei che sta esagerando», obietta il valutatore, che sembra più calmo. Quindi si gratta il mento, pensieroso. «Il fatto è che tutta questa storia è diventata così strana... Poco per volta, una lettera dopo l'altra, siamo diventati così... intimi. Capisce, che cosa voglio dire?»
L'espressione del giovanotto diventa dubbiosa. «Dipende molto da ciò che vi siete detto.»
Le guance del signore brizzolato si arrossano un poco. «Oh, assolutamente niente di, come dire, spinto o insomma di... tipo torbido sessuale.» Sorride a mezza bocca, in imbarazzo. «Però, cose molto personali. Molto. Come d'altronde sono le poesie.»
Si interrompe per qualche istante e guarda il viottolo di fronte, con le sole foglie forse degne di attenzione. «Lei che ne pensa, per esempio: la poesia le piace?»
Il tipo robusto accarezza il cane che si è riavvicinato e sbuffa, un po' in difficoltà. «Mah, che le devo dire. Non è che le poesie... Non sono un grande lettore.» Per un momento esita. «Alcune mi sono piaciute, mi piacciono. Una volta le ho anche regalate. Alcune no, direi di no, per niente. Come succede per la musica, i romanzi.»
«A me piacciono poco, in generale. È uno dei motivi per cui mi sento in colpa, con questa ragazza. È molto difficile che la mia casa editrice pubblichi un libro di poesie, e si può dire mai poesie di un nuovo autore.»
«E lei glielo lo ha detto?»
«Sì. Gliel'ho detto.»
«Allora non ha niente da rimproverarsi», conclude il giovanotto alzando le spalle, ed il signore ammette: «Già. Dovrebbe essere così.» Ma non è convinto, infatti continua: «Comunque è un genere letterario che mi mette sempre in difficoltà. Perché è veramente troppo personale, privato... Assolutamente concentrato solo sul pensiero intimo dell'autore. Per quanto mi riguarda, devo dire che molte volte trovo le poesie irritanti e imbarazzanti, perché da una parte mi fanno pensare a una mancanza di pudore, e dall'altra ad una specie di... intromissione, in fatti che non riguardano gli estranei.»
«Oddio, anche gli scrittori di racconti parlano di cose molto personali», osserva il giovanotto.
«Sì, ma è diverso. L'autore di racconti non dice: ecco, questo sono io e questo è ciò che penso della vita, di me stesso e degli altri. Dice invece: questo è Tizio e questo è Caio, e questo è ciò che pensano e che fanno, insieme ad altri personaggi che interagiscono con loro. Insomma, è molto differente: Tizio e Caio non esistono, non sono reali. Per quanto il lettore possa immedesimarmi nelle loro storie, non li incontrerà mai per strada. L'autore di poesie invece è vero: parla proprio di sé ed è una persona in carne ed ossa. Con quale faccia potrà più parlare con chi conosce i suoi tormenti e i suoi più intimi pensieri? È imbarazzante... È come avere di fronte qualcuno che poco prima si è sorpreso in bagno, perché non ha chiuso la porta bene a chiave.»
Il tipo robusto ride. «Questo si che è un paragone curioso!»
«Ma sì, è così, ci pensi bene. È come quando in televisione intervistano una pornostar e le chiedono tranquillamente come trascorre il suo tempo libero. Ma Cristo santo! Come fanno a parlarle con quelle facce serie? Senza immaginarla nuda e chissà in che razza di posizione!»
Ridono ambedue e scuotono la testa.
«Pornografia dell'anima. In fondo è questo, quello che fanno in genere i poeti», conclude il valutatore.
«Eh! Così finisce con l'offendere la persona che le ha scritto le lettere», osserva il giovanotto.
«No, no: un momento. La pornografia esiste quando ciò che avviene a letto tra una donna e un uomo, o tra chiunque altro, viene reso pubblico e spiato, invece di rimanere un fatto solamente privato. Allo stesso modo la poesia diventa una cosa pornografica quando esibisce i propri sentimenti a degli sconosciuti. Se i sentimenti intimi vengono rivelati soltanto ad un amico altrettanto intimo, ad un parente stretto o in ogni caso solo a qualcuno a cui si vuole bene... Beh, non c'è più pornografia, ma solo affetto. Anzi di più: fiducia totale, comprensione, rispetto...»
Il valutatore esita, cercando un altro termine, e l'uomo col cane dice: «Mi sembra che siamo arrivati al nocciolo della questione: lei parla d'amore. E se posso dirlo, forse perché si è innamorato.»
Il valutatore accusa il colpo, visibilmente. Per un istante rimane immobile e non sa proprio che cosa dire. «Però! Anche lei non scherza, con le parole!»
L'uomo col cane si rende conto di avere colpito il suo interlocutore e cerca di rimediare. «Mi scusi, forse ho esagerato. Questi non sono affari miei e...»
«No, no. Non importa. Non c'è problema. In definitiva sono stato io a tirare in ballo questa storia... Solo che la parola innamorato fa sempre un certo effetto.»
Il valutatore recupera il mazzetto di fiori che aveva posato sopra la panchina e lo mostra. «Certo che anche questi fanno pensare un po' all'amore, eh?»
Il tipo robusto approva. «Sì. Sono bei fiori.»
«Già. E chissà se è così bella anche Tiziana. Si chiama così: Tiziana» Il signore avvicina al viso i fiori e li annusa. «Sono anche profumati. Senta anche lei.»
Il tipo robusto prende il mazzetto di fiori colorati e lo annusa a sua volta.
«Sì, è vero. Hanno un buon profumo.»
Proprio in quel momento, dalla loro destra arriva correndo la stessa ragazza con i pantaloncini corti e la maglietta rossa che era passata prima. Si ferma a pochi metri di distanza, in prossimità della fontana, si siede su un tallone per sistemare i lacci di una scarpa annodati male, quindi si rialza in piedi e con le mani scosta piccole ciocche di capelli ribelli, che le cadono lisci di fronte al viso. Immerge una mano dentro l'acqua della fontana per bagnarsi la fronte e le guance accaldate, fa un bel respiro e riprende a correre, facendo saltellare la massa setosa dei capelli biondi al ritmo immaginario di qualche musica straniera.
«Quella, è una bella ragazza», considera il valutatore.
«Eh, sì», concorda l'uomo con il cane. «È bella sì.»
Entrambi seguono con attenzione la sua figura, fino a che non diventa troppo lontana.
«Ha visto che belle gambe, lunghe lunghe, meravigliose?», dice il valutatore. E l'altro: «Già. E anche dei capelli veramente belli. Brillavano tanto che le illuminavano tutto il viso.»
Il valutatore assume un'aria sognante. «Secondo me, il particolare più attraente delle donne sono le gambe: così affusolate, morbide... Quando le gonne si muovono, e svolazzano di qua e di là, e si sollevano anche di un centimetro soltanto... si trattiene il fiato immaginando cosa si riuscirà a vedere. E come ha detto, quella ragazza aveva anche un viso luminoso. Sottile e serio. Levigato come quello di una statua.»
«Una statua molto giovane», aggiunge il tipo con il cane, ed il signore brizzolato lì per lì non dice niente, poi chiede: «Secondo lei, quanti anni potrebbe avere?»
«Mah. Venticinque, ventisei... Forse un anno di più, forse un anno di meno.»
«Diciamo venti meno del sottoscritto», conclude il valutatore. «Ed ha notato quant'era alta?»
Il tipo robusto dice: «Direi più o meno come lei.»
L'altro alza la mano destra ed allontana leggermente l'indice ed il pollice.
«Magari un paio di centimetri di più.» Fa un bel sospiro, in modo intenzionale.
«Eh, certe volte mi sembra proprio di essere tagliato fuori da ogni competizione... Lei, invece, ha tutto quello che ci vuole.»
«Io?»
«Sì, certamente. Ha meno di trent'anni, vero?»
«No, ne ho trentuno.»
«O beh, capirai, è ancora giovane... E mi sembra anche ben piantato. Lei è alto più di un metro e ottanta, vero?»
«Sì, un po' di più.»
«Ecco, vede? Perfetto! Con le nuove leve di femmine ipernutrite, questa è senz'altro una qualità fondamentale.»
«Veramente, ci sono doti più importanti, nella vita», osserva il tipo robusto.
«Sì, sì, d'accordo, lo sappiamo bene... Ma altezza e prestanza rappresentano sempre un gran bel valore aggiunto. Se lo lasci dire da un maturo e niente affatto atletico frequentatore di librerie.»
«Non sono d'accordo, la cultura e la sensibilità rimangono sempre...»
Il valutatore lo interrompe bruscamente, improvvisamente spazientito. «Lei non è d'accordo adesso! Perché ha ancora il tempo e il modo di cambiare e rimandare... Ma per me il tempo è ridotto, e certamente non mi consentirà di rendere il mio corpo né più robusto né più alto... O di migliorare il mio carattere e l'umore!»
Il tipo robusto lo guarda sorpreso e anche abbastanza risentito. Anche il suo cane sembra sorpreso e alza lo sguardo per indagare. Tra l'altro, il suo padrone ha ancora in mano il mazzetto di fiori colorati, e d'improvviso tutto questo rende piuttosto ridicola la situazione.
«Mi scusi. Nella foga del discorso ho esagerato», ammette, cercando di sorridere, il proprietario dei fiori.
Il giovanotto dice: «Non si preoccupi», e posa il mazzetto sopra la panchina.
Torna il silenzio. Passa altra gente di fronte alla panchina.
Il valutatore osserva la fontana e i suoi zampilli d'acqua scintillanti. Quindi borbotta: «Sono soltanto fantasie.»
Ha il tono amareggiato, molto. Forse per questo il cane si alza in piedi e gli si avvicina.
«Che c'è, bello? Hai capito che oggi mi è capitata una bella fregatura?»
Il tipo robusto non resiste. «Che fregatura le sarebbe capitata?»
«Quale? Quella che mi ha portato qui.»
«Si riferisce all'appuntamento che aveva?»
«Sì, certamente. Mi sembra ovvio, no? Per questo sono venuto qui, con quella specie di insalata colorata», e indica i fiori. «Cravatta rossa, giacca, rasatura accurata... E per incontrare chi? Nessuno. Infatti, sono soltanto fantasie.»
L'uomo con il cane non lo segue. «Mi scusi, ma non la capisco.»
Il valutatore si mordicchia un labbro e quindi spiega: «Lo sa? Nelle lettere mi ha detto che non ha il telefono e non intende averlo. Per questo non ci siamo mai parlati e non conosco neanche la sua voce.» Si strofina il mento; si gratta un momento il naso. «Io avrei voluto, sentirla almeno per telefono. Ma lei ha rimandato sempre, fino a questo momento. Per questo parlo di fantasie.» Abbassa il tono, dubbioso. «Ho solo un fantasma senza corpo né voce.»
Anche il giovanotto parla più piano. «Sta esagerando di nuovo.»
«Lei trova? Davvero?» L'uomo che aveva un appuntamento sorride a denti stretti.
«Pensi che per riconoscere Tiziana, per renderla tangibile e reale, io non ho altro che un foulard di colore viola... Soltanto questo e basta. Tutto il resto è solamente fantasia.» Sorride ancora, accarezzando il cane che è vicino. «Sono venuto a non incontrare una fantasia...»
«Mi sa che lei ha letto un po' troppi libri, ultimamente», osserva il tipo robusto, in tono amichevole.
«Sicuramente. Troppi libri; troppe storie. Eppure non abbastanza, visto che ho imparato così poco.»
Silenzio. Silenzio di riflessione. Anche il giovanotto tace, consapevole che l'altro sta rimuginando in testa tante cose.
«Quello che mi manda in bestia, è che non ha nemmeno provato la curiosità di vedere com'ero», si sfoga ancora il valutatore. «Quella che invece dovrebbe essere la tentazione più femminile!»
Il tipo robusto non muove neanche un muscolo, e l'altro continua nel suo sfogo.
«Forse, come me ha temuto questo incontro... Anch'io, se devo essere sincero fino in fondo, penso di avere fatto in modo di essere in ritardo... in qualche modo.» Pausa. Pausa protratta.
«I sentimenti fanno paura a tutti», si azzarda a dire il tipo più giovane. E visto che la frase passa, aggiunge: «E più sono forti e più ci fanno paura.»
Passa una bicicletta, suona, ed il pastore belga si volta di scatto e abbaia.
Accenna quasi a mettersi all'inseguimento, e il suo padrone lo afferra per la collottola e gli dice subito: «Stai buono, Cliff. Stai buono.»
Dopo la bicicletta, a piedi, seguono una signora anziana e una bambina. La signora osserva il cane con timore, tenendo per mano la piccolina, che ha gli occhi spalancati più per la curiosità che per la paura.
Il tipo robusto dice: «Stia tranquilla, signora, passi pure», e la signora passa tenendosi la bimba il più possibile vicina.
Una volta in salvo, la signora protesta: «I cani dovrebbero portare la museruola.»
«Sì, è vero, ha ragione. Scusi», ammette il giovanotto, conciliante. Poi però aggiunge a voce bassa: «La dovrebbero portare anche un sacco di persone.»
Il valutatore ride. «Giusto! E penso che valga anche per il sottoscritto. Con tutte le stupidaggini che ho detto, devo averle riempito la testa come un uovo.»
«No, invece. È stato interessante. E poi mi pare che qualche riflessione l'abbiamo tirata fuori tutti e due.»
«Eh, come no!», ironizza il valutatore. «Per esempio sulle gambe lunghe e affusolate.»
«Beh, no. Non solo.»
«Sì, certo. Sto scherzando», il valutatore sorride. «Ho parlato con lei molto volentieri.»
Il tipo robusto non aggiunge nulla, ma annuisce. L'altro controlla ancora l'orologio. «Però! Si è fatto tardi... Mi dispiace solo per i fiori.»
«Ma adesso che farà, con la sua amica? Le scriverà di nuovo?»
«Mah; non so proprio. Penso che ne parlerò a un collega... Voglio dire, di tutte le poesie che mi ha inviato. Io ormai non sono più in grado di dare un giudizio valido, perché sono coinvolto in modo troppo personale. E poi gliel'ho detto: la poesia non è il mio forte. Anche se una che mi ha scritto, effettivamente mi piace.» Mette una mano in tasca e prende un foglio di carta verdolino. «Gliela leggo al volo.»
L'altro è sorpreso. «Mi scusi, ma questo non contrasta con quello che diceva prima, ossia che le poesie dovrebbero essere riservate solo ai parenti e agli amici intimi?»
«Sì, certamente. Però la maggioranza la pensa in modo differente... Inoltre le contraddizioni sono il simbolo di questi tempi, e noi che ci siamo in mezzo, dobbiamo imparare ad accettarle.» Sorride, per far capire che sta scherzando.
«Comunque, un certo grado di confidenza tra lei e me si è instaurato, e le assicuro che la poesia non contiene niente di imbarazzante, quindi...»
Il valutatore ora sembra quasi allegro, e il giovanotto non può fare a meno di sorridere a sua volta. «Okay», cede. «Sentiamo»
«Bene. Ecco qui, allora.»
L'uomo si raschia un attimo la gola e legge:

Canta il mio cuore e spesso si dispera,
e piange e ride all'improvviso,
per via del tempo o dell'amore.
Tace per giorni, mesi ed anni interi,
poi si ridesta e parla,
di zucchero e di sale.
Canta il mio cuore e spesso si dispera.
Ed io non comprendo ciò che accade.

Il signore brizzolato piega il foglio e guarda il tipo robusto. «Finita. Allora, che gliene pare?»
«Mi sembra bella... O quanto meno a me è piaciuta», risponde quello, con cautela.
Il signore annuisce. «È così malinconica. Mi fa pensare a quanto poco controllo abbiamo sulle nostre emozioni, che non riusciamo mai a spiegare, neanche a noi stessi.» Fa una mezza smorfia, rimette il foglietto in tasca e dice: «Va be', adesso basta», alzandosi in piedi.
Anche l'uomo col cane si alza dalla panchina.
«Scusi, se l'ho annoiata con le mie storie», dice il valutatore. «Oggi è stata una giornata un po' particolare.»
«Ma si figuri», lo tranquillizza il giovanotto, mentre il pastore belga scodinzola gioioso e guarda alternativamente tutti e due. «Le ripeto che è stato interessante, invece. Non capita frequentemente di fare questo tipo di discorsi.»
«Eh, sì. È vero», conferma il valutatore. «Discorsi assai impegnati!» Sorride con ironia. «Bene. Arrivederci di nuovo», conclude, e data la mano al tipo robusto si gira e si allontana.
L'uomo col cane lo guarda allontanarsi e si risiede. Il valutatore cammina senza fretta verso un'uscita dei giardini e a un certo punto, quando casualmente incrocia ancora la ragazza che faceva jogging, la ferma e le consegna i fiori, dicendo qualche cosa che ormai è impossibile sentire.
Lo scambio di fiori e di parole dura solo qualche istante, dopodiché l'uomo si allontana nuovamente e la ragazza riprende a correre trotterellando, con i fiori colorati stretti in una mano.
Il tipo robusto sorride divertito e scuote la testa. Alla fin fine, l'uomo che aveva un appuntamento era riuscito ad essere galante con qualcuno.
Il cane si agita. Scodinzola impaziente.
Chinandosi in avanti, il giovanotto mormora: «Clif. Bello. Che dici? Andiamo a casa a prepararci un bel pranzetto?»
Il pastore belga guaisce e gli lecca le mani. Poi alza due volte la zampa destra per toccarlo, desideroso di manifestare la sua approvazione.
«Okay, va bene. Allora andiamo.»
Il giovanotto mette il guinzaglio all'animale, si alza in piedi e tira fuori dalla tasca qualche cosa. Per un attimo la guarda pensieroso e ha un mezzo sorriso. Quindi si avvolge un foulard viola intorno al collo. E se ne va.


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