NOTA: Per linguaggio usato, questo racconto è riservato a un pubblico adulto.

Al guardò l'orologio già sapendo di essere in ritardo. Mancava un quarto d'ora alle dieci. Richiuse gli occhi e affondò la testa nel cuscino.
Voleva dimenticare, sprofondare ancora nell'irresponsabilità del sonno, nell'auto inganno dell'oblio. Non poteva andare avanti così, eppure il corpo era immobile, statico, paralizzato.
Se almeno fosse riuscito a fottersene. - OK, affanculo il mondo, aspetterò la fine a letto -. Invece no!
I sensi di colpa, le paure, le responsabilità, il dover dar conto, l'andare avanti degli altri, i paragoni, i confronti.
La morsa allo stomaco parlava chiaro. Non era capace di auto esiliarsi, di rinchiudersi a letto tutto il giorno ad aspettare la morte. Era troppo condizionato, ed era questo che lo distruggeva di più. Era sempre sospeso fra due abissi, con la duplice tensione di poter precipitare da un momento all'altro, o nel primo o nel secondo.
Ansia, ansia, ansia, solo ansia, chili, quintali, tonnellate d'ansia al giorno.
Tra il diabolico e la santità, Al non avrebbe avuto esitazioni. Eppure la sua vita, bene o male borghese, aveva dettato in passato già le sue regole, alle quali ora lui non riusciva più a rinunciare.
Era la fobia del rischio a non permettergli il definitivo balzo all'inferno ed era l'aver compreso il mondo troppo presto a non consentirgli l'ascesa in paradiso.
Così l'attesa del purgatorio, la lucida ragione sempre in moto a rammentargli la sua condizione e gli occhi sbarrati per vedere e la bocca spalancata per inspirare veleno, fin giù nelle più profonde viscere di un corpo sempre più fragile.
Il battito cardiaco aumentava, cresceva il respiro, sempre più, sempre più forte, il cuore pulsava veleno a getto continuo, frenetico, impossibile.
Al sbarrò gli occhi. Di fronte l'orologio impietoso: 10:08.
- OK, è persa anche questa mattinata -. Ma quante erano state le mattinate, i pomeriggi, le giornate perse, buttate, sprecate nel nulla, col cuore sempre più stretto in gola a pulsare a mille il sangue nelle vene.
L'operosità quotidiana s'insinuava fra le imposte e giungeva accusatrice. La gente al bar era già in pausa, era in attività da almeno quattro ore.
Al si voltò sul fianco, rannicchiato contro il muro, gli occhi di nuovo serrati, i pugni stretti, la morsa al petto.
Avrebbe voluto sparire, rientrare nell'utero dell'esistenza, tornare spermatozoo, non vita, non morte.
Si sentiva costretto ad aspettare, condannato ad attendere, non sapeva neanche lui bene cosa. E la vita nel frattempo a scorrergli accanto indifferente, ne benigna ne maligna, INDIFFERENTE.
Si chiese se era mai stato felice in vita sua.
L'unica volta che lo era stato sul serio, aveva gli occhi chiusi dalla cecità dei vincenti, quella menzognera cecità dei non sapienti.
Poi il buio, quello vero, quel serpente attorcigliato agli intestini. Il silenzio della pace per sempre perduto e mille compagni vocianti, urlanti assordanti, i nuovi predicatori della sua anima.
Al avvertì il respiro tachicardico e il cuore rimbalzargli nelle orecchie.
Aprì gli occhi e fissò il muro.
Voleva non pensare, ma era mattina e gli toccava.
Il sonno era andato, i sensi erano ormai già desti, la realtà, abbandonata con piacere qualche ora prima, era di nuovo lì, più agghiacciante e vile della sera precedente.
Per altre sedici ore sarebbe stato costretto di nuovo a fare i conti con se stesso, con gli altri, con le soluzioni da trovare, il caffè da bollire, le mosche da schiacciare.
Si sedette al letto coi piedi penzoloni.
Di fianco l'orologio segnava le 10:52. Impossibile ignorarlo.
Impossibile ignorare il novanta per cento delle cose inutili che con sapiente lavaggio del cervello, era costretto alla fine a considerare normali.
Impossibile ignorare l'odore del caffè tostato che scandiva le mattine normali di tutti.
Al scese dal letto e inforcò le ciabatte.
L'uccello, prepotentemente, fece capolino sotto i bisunti calzoni del pigiama.
- Ecco la mia vera condanna. - pensò mentre lo portava a pisciare. - Eserciti di fiche e culi e cosce gireranno già a quest'ora. Tutti imbellettati sfileranno per le strade della città, rinchiusi ad arte dalle loro padroncine in costose lingerie, nell'attesa solo di qualcuno che li scopra.
Che idiozia l'umanità! - pensò scrollandosi il membro.
Si trascinò in cucina e si accese una sigaretta. La tv trasmetteva il solito talk show, vetrina quotidiana di scrittori esordienti. Bellimbusti lacchè e dannatamente per bene, convinti che lo scrivere fosse infilare quindici metafore zuccherine in ogni sostantivo, come fossero spiedini di maiale.
- Riuscissi almeno a vomitare la mia merda interiore. - rifletté. Ma questo era un altro punto dolente. Il flusso si era bloccato, inceppato, smarrito e migliaia di stronzi sfilavano in video coi loro romanzetti fatti in laboratorio. - Dio santo che vergogna-
I mille concorsi senza risposta, le bieche proposte di pseudo case editrici e i complimenti di amici d'infanzia, tutto qui il suo curriculum letterario.
Lo scrittore prodigio in video sembrava lobotomizzato e citava a caso Kundera, Freud e Sartre. La puttana al suo fianco mostrava le cosce fin quasi alla passera, dicendo che la bellezza non conta nulla senza la ricchezza interiore.
Disgustato, Al cambiò canale.
Un'altra troia si stava facendo tonificare un gran culo da un vibro massaggiatore, lisciandoselo sorridente. La speaker al suo fianco urlava che era l'ultima offerta mentre le palpava le cosce sode e brune.
Spense la tv, andò in bagno e si punì. Si sentiva distrutto e provato.
L'orologio segnava le 11:36. Di lì a poco la frenesia sarebbe tornata sovrana per le vie.
Si avviò in camera. L'ansia c'era ancora e un velato torpore era tornato ad avvolgerlo.
- In fondo - pensò - inutile cominciare a vivere ora, è quasi mezzogiorno.
Tanto vale provarci nel pomeriggio -
Si infilò fra le coperte disfatte e si distese, stanco e dolorante.
I sensi erano intorpiditi. Si poteva provare ad ingannarli prima che si fossero ridestati.
Si aggiustò il cuscino e richiuse gli occhi.
Il bar di sotto si popolava per gli aperitivi. Qualcuno in fondo alla sala sorseggiava il suo drink, carico di energie, nell'attesa di tornare al lavoro.


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