Aveva inviato i suoi dati per partecipare a quella caccia al tesoro senza convinzione, non gli interessava più di tanto.
Pochi dati personali da spedire come data e luogo di nascita occupazione e poco altro. Tra le domande pervenute sarebbero stati scelti dieci concorrenti, cinque donne e cinque uomini.
Unica regola imprescindibile niente marito o compagno per le donne, stessa regola per gli uomini, ma soprattutto niente figli. Si trovava ora nell'androne di un palazzo che se dall'esterno appariva molto grande all'interno a prima vista dava l'impressione di essere immenso.
Insieme a lui c'erano otto persone che erano già presenti quando era arrivato, in quel momento tutta trafelata giunse una signora, la quinta delle donne, giusto in tempo perché subito dopo arrivò l'uomo che avrebbe spiegato loro le regole del gioco. Era comparso quasi all'improvviso uscendo da un ascensore posto al centro dell'androne. Capelli fluenti gli cadevano leggermente sulle spalle, erano quasi del tutto ingrigiti. Del viso si poteva vedere ben poco dato che quell'uomo portava un paio di occhiali da sole molto scuri. Unica cosa che risaltava era il sorriso, fisso come scolpito. Indossava giacca camicia e pantaloni neri, unica nota la cravatta di un rosso vivace.
Le regole erano semplici, ogni concorrente doveva andare per uno dei corridoi che si potevano vedere di fronte. Partivano cinque dalla destra della porta dell'ascensore, gli altri cinque dalla sinistra. Potevano essere scelti a caso, e dopo aver percorso il corridoio, il concorrente si sarebbe venuto a trovare in una sala dove avrebbe trovato un foglio che conteneva le istruzioni per procedere nel gioco. Si trattava di un indovinello, che una volta risolto dava l'indicazione su come aprire una delle sei porte che il concorrente si sarebbe trovato di fronte arrivando nella sala. In base alla soluzione data, il concorrente apriva una porta, se la soluzione era giusta, il concorrente avrebbe continuato la caccia al tesoro salendo al piano superiore, altrimenti si sarebbe trovato all'esterno dell'edificio, e quindi eliminato. Ad ogni piano un enigma, risolvendoli tutti si arrivava fino al quinto piano, e chi giungeva fin lì avrebbe ricevuto la chiave per aver accesso al tesoro.
Avendo finito di dare le dovute spiegazioni l'uomo si avviò in direzione dell'ascensore, prima di entrare nella cabina si voltò: «Signori non fate affidamento su questo ascensore dovrete salire a piedi e non sarà affatto facile, questo naturalmente per chi riuscirà a procedere nel gioco,» nel pronunciare la parola gioco il suo sorriso parve accentuarsi, «comunque l'ascensore è programmato per salire e poi scendere una sola volta,» e mentre la porta scorrevole si chiudeva: «in bocca al lupo». I partecipanti si guardarono tra loro perplessi, poi ognuno scelse un corridoio a caso e si avviò.

Raggiunse una sala e vide subito le sei porte, da un lato c'era un tavolo con un foglio piegato sopra, sicuramente l'indovinello. Su ognuna delle porte era incisa una lettera dell'alfabeto, da sinistra verso destra in successione: O, P, Q, R, S, T.
Lesse subito l'indovinello era uno strano messaggio: LA PRIMA DI SEI.
Pensò che poteva essere una delle due porte ai lati, ma per quanto la soluzione apparisse semplice non lo era affatto, dovendo procedere a caso, scegliendo le porte laterali aveva cinquanta probabilità su cento di scegliere quella giusta. Si accomodò alla meglio sul bordo del tavolo e continuando a guardare le porte cercò di riflettere. Abbassando gli occhi sul foglio che teneva aperto davanti a se vide il suo indice posato casualmente sulla lettera esse, questo gli suggerì un'idea. Andò sicuro verso la porta che recava tale lettera e si fermò davanti ad essa. Anche se l'idea sembrava ardita, la soluzione a cui aveva pensato era più sicura delle probabilità che gli davano le altre due porte, in fondo la lettera esse era la prima della parola sei e deciso abbassò la maniglia.
La porta si richiuse rumorosamente dietro di lui, provò a vedere se si riapriva dall'interno, niente da fare doveva salire al primo piano. Guardò in alto e vide ammassi di muschio melmoso che come stalattiti pendevano dal soffitto e si allungavano verso il pavimento. Le gocce che si staccavano dal muschio viscido finivano in piccole pozze putrescenti e maleodoranti. Voltandosi vide una scala a chiocciola, era quella la via per salire. Il corrimano era completamente coperto dal muschio, per cui tentò di salire senza appoggiarsi. Si arrese al primo tentativo, anche i gradini erano ricoperti dalla rivoltante sostanza verde. Fece appello a tutto se stesso, trattenne il respiro e salì risoluto più velocemente che poteva. Finita la scala si trovò davanti una piccola porta, la spinse e si aprì subito. Si trovava nella sala del primo piano.

Ancora un tavolo con sopra un foglio piegato, ancora sei porte. Stavolta sulle porte erano dipinti sei animali: un cane, un gatto, un maiale, un leone, un orso ed un cammello.
Lesse l'indovinello: DI UNA NE PUO' AVERE SETTE, DI UN'ALTRA NE PUO' AVERE NOVE. MENTRE TUTTI GLI ALTRI NE HANNO SEMPRE SOLO UNA.
Cominciò ad esaminare gli animali, pensava già che difficilmente avrebbe sciolto l'enigma. Erano sei quadrupedi, tutti mammiferi. Tre carnivori, due onnivori, ed un erbivoro, un'analisi tanto inutile quanto inconcludente.
Stavolta sentiva che aveva ben poco su cui riflettere.
Riguardando gli animali notò un particolare che prima aveva trascurato, probabilmente inutile, tutti e sei gli animali avevano la coda. Il pensiero di un attimo, poi ricordò: il gatto a nove code era una frusta, e come gli diceva a volte sua nonna da piccolo: hai sette vite come i gatti. Aprì la porta che recava il disegno del gatto, ma come fece per entrare un vento tagliente e gelido lo investì. Retrocedette di un passo e richiuse la porta. Pensò per un attimo di aver sbagliato ma capì subito che non era così. C'era poca luce lì dentro, abbassò di nuovo la maniglia ed entrò. Fu di nuovo investito dal vento gelido che soffiando formava al suolo dei mulinelli dove turbinava di tutto. Lattine, bottiglie di plastica, giornali strappati ed altra immondizia di ogni genere. Sullo sfondo vide una scala a pioli fissata alla parete, aveva l'aria di essere molto vecchia, pensò che poteva essere anche marcia. Ma era l'unico mezzo per salire e si avviò. Fece un paio di passi e tornò subito indietro appiattendosi contro il muro. Il vento era troppo violento e sicuramente lo avrebbe sbattuto a terra. Tirò il fiato e corse verso la scala a pioli, il sistema funzionò e si ritrovò aggrappato alla scala. Senza indugiare cominciò a salire e nonostante i gradini scricchiolassero in modo sinistro raggiunse rapidamente la fine della scala, quindi si catapultò praticamente verso la porta e si trovò nella sala del secondo piano.

La scena che si presentava ai suoi occhi era identica alle precedenti, il tavolo con il foglio e la sei porte.
Cominciò a leggere ciò che era scritto su ognuna di esse: PADRE E FRATELLO, NONNO E PADRE, PADRE E MARITO, MARITO E FIGLIO, FIGLIO E CUGINO, FRATELLO E ZIO.
Le scritte sulle porte causarono in lui una confusione totale, prese meccanicamente il foglio. Il messaggio era scritto in caratteri più piccoli dei precedenti e si rese conto di aver dimenticato gli occhiali per leggere da vicino.
Un po' a fatica lesse: LO ERA EDIPO PER GIOCASTA.
Si sentì perduto, ma solo per un attimo. Tra le notizie che gli erano state richieste c'era anche quella che riguardava il suo titolo di studio. La risposta era quindi alla sua portata, ed anche per gli altri concorrenti doveva essere la stessa cosa, avendo scelto ognuno all'inizio della gara un corridoio a caso. Fece mente locale e cercò di ricordare quanto più poteva dell'Edipo Re di Sofocle. Non impiegò molto a trovare la soluzione. Giocasta era la moglie di Edipo avendolo sposato, ma ne era innanzitutto la madre. Spinse senza esitazione la porta che riportava le parole Marito e Figlio.
Trovò davanti a se una comune scala col corrimano. Percorse tranquillamente la prima rampa poi la seconda. Rimase perplesso vedendo che doveva salire per altre due rampe. Comunque salì fino a raggiungere un semplice varco e non una porta come si aspettava. Appena un passo e precipitò giù per un ripido scivolo, avvenne tutto in modo repentino tanto che si rese conto di sentire lo stomaco in gola solo quando smise di scivolare. Infatti l'ultimo tratto dello scivolo era perfettamente in piano. Si fermò per forza d'inerzia, alzandosi si trovò stavolta davanti ad una porta che aprì subito, era il terzo piano.

Senza indugiare afferrò il foglio e lo aprì, il fatto di aver dimenticato gli occhiali per vedere da vicino gli faceva provare un'ansia indicibile. Allontanando il foglio distese le braccia quanto più poteva e riuscì a leggere: FINCHÈ ABBIAMO I DENTI IN BOCCA, NON SAPPIAMO QUEL CHE CI TOCCA.
E una domanda a fondo pagina: «A chi può essere riferita questa frase?»
Su ognuna delle porte c'era una parola: UOMO, RAGAZZO, RAGAZZA, BAMBINO, VECCHIO, NEONATO.
Cominciò a pensare e dopo aver riflettuto scartò ragazza. Un nome femminile tra cinque nomi maschili era per lui chiaramente fuorviante. Anche il neonato non fu preso in considerazione in quanto non ha ancora denti. Restavano gli altri quattro, pensò che un bambino può avere ancora denti da latte ma che comunque vengono sostituiti. Guardò le tre porte rimaste, poi senza dubbi disse fra se, vecchio. Infatti pensava che un uomo molto vecchio non ha praticamente denti, segno tra gli altri di una fine prossima. A questo punto non gli restava che aprire la porta.
Entrato vide subito una strana cassa di legno. Alta circa due metri e larga più o meno un metro era attaccata sul piano superiore da una corda che saliva verso l'alto, cercò di vedere dove finiva ma riusciva a seguirla con lo sguardo solo per un tratto. Si accorse in quel momento che un'altra corda penzolava vicino a lui. Tutto fu chiaro, doveva issarsi da solo. Entrò nella cassa afferrò la corda con tutte e due le mani e cominciò a tirare. Saliva abbastanza facilmente facendo poca fatica, sembrava tutto facile, troppo facile. Un attimo di rilassamento e la corda gli scivolò tra le mani. Cominciò a scendere sempre più velocemente verso il basso. Mentre precipitava cercò di bloccare la corda stringendola forte, niente da fare a cassa sbatté al suolo con un rumore assordante. Appena si fu ripreso si guardò l'interno delle mani, la pelle era praticamente bruciata. Prese da una delle tasche della giacca una bottiglietta d'acqua che portava sempre con se e la versò sulle mani quasi sanguinanti. L'acqua alleviò il dolore, portava sempre con se una bottiglietta d'acqua visto che era solito bere spesso durante la giornata. Sapeva però che quella era l'unica via d'uscita, quindi raccolse tutte le sue forze ed in modo molto più che determinato ricominciò a tirare la corda. La salita durò un tempo che a lui sembrò un'eternità ma alla fine sentì la cassa di legno bloccarsi. Riaprì gli occhi che fino a quel momento aveva tenuti chiusi e vide davanti a se la porta che dava accesso al quarto piano.

Era scritto più in piccolo, o era una sua impressione?
Riuscì anche senza occhiali ed a fatica a leggere il messaggio: DA VENTICINQUE TOGLINE, QUANTI NE RESTANO?
Guardò le porte sorridendo e come si aspettava su ognuna di esse era inciso un numero: 3 - 7 - 11 – 15 - 19 - 25.
Era fin troppo facile, tanto da non sembrargli vero. Da venticinque togline, cioè da venti toglierne cinque. Spinse la porta con il quindici, entrò.
Stavolta al centro della stanza pendeva un enorme canapo. Lo guardò allucinato poi lo sfiorò con la punta delle dita, era ispido e pungente. Un'arrampicata era una prospettiva che trovava assurda. Aggrappato a quel canapo non ce l'avrebbe mai fatta, la situazione però era purtroppo chiara, non poteva tornare indietro. Afferrò senza convinzione la grossa corda ma appena la trasse sentì un rumore provenire dal soffitto, un attimo e l'altro capo del canapo staccandosi cadde vicino a lui. Se era uno scherzo lo trovava di un gusto rivoltante. Si voltò e vide su la parete alla sua sinistra dei pioli piantati che formavano una sorta di scala. Erano lucidi come fossero di metallo, avevano l'aria di poter scivolare tra le mani, si sentì rassicurato guardandole, la pelle era screpolata, quasi spaccata in più punti, gli avrebbe almeno dato una maggiore presa sui pioli che salivano perpendicolari circa un metro l'uno dall'altro. Saliva tenacemente, la disposizione dei pioli rendeva la salita difficile ma nonostante la fatica continuava a procedere, cadere sarebbe stata la fine per lui. Ansante e madido di sudore spinse l'ultima porta e si lasciò cadere. Dopo un po' si alzò e scrutò la sala del quinto piano.
Era giunto quasi alla fine di quella che, cominciata come una comune caccia al tesoro, si era rivelata un gioco crudele, quasi sadico. La sala era priva di finestre tranne due feritoie ai lati di una porta che non aveva maniglia ma solo una piccola serratura. Dalle feritoie si rese conto che fuori era ancora giorno. Sulla stessa parete ad un paio di metri c'era la porta scorrevole dell'ascensore che cominciò ad aprirsi molto lentamente. Mentre la porta si apriva notò a terra una cassa di legno non molto grande senza serrature e senza lucchetti. La porta finì di aprirsi ed all'interno vide che c'era l'uomo che all'inizio della gara aveva spiegato a lui ed agli altri le regole del gioco, e non solo. Immobile pareva fosse arrivato in quel momento, ma lui l'aveva visto sparire nell'ascensore al piano terra. L'uomo mosse qualche passo verso di lui, si fermò: «Bene sei arrivato quasi alla fine di questa gara, sei stato l'unico. È stata molto dura, lo so visto che sono stato io a prepararla. In quella cassa che aprirai senza problemi c'è un numero imprecisato di chiavi, dovrai trovare quella giusta ed aprire la porta, a quel punto il tesoro sarà tuo. Ti occorrerà pazienza, memoria ed occhio per non confonderti, in quanto al tempo ne hai finché vuoi».
Detto questo tornò nell'ascensore e la porta si richiuse.
Aprì la cassa freneticamente e vide un'infinità di chiavi, migliaia di piccole lucenti chiavi. Anche se sapeva che sarebbe stato inutile mise comunque le mani nelle tasche della giacca alla ricerca degli occhiali.


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