1o

La settimana lavorativa era finita, Luigi mise in moto l'auto e partì. Un piccolo rumore forse proveniente dal motore attirò la sua attenzione. Si disse che il lunedì successivo, l'avrebbe portata a controllare. Era pignolo in tutto, non solo per l'auto. Giunto presso casa parcheggiò, scese e si diresse verso il bar. Non sarebbe andato subito a mettersi comodo, come amava fare le altre sere, quelle che seguono i giorni lavorativi. Vestaglia, pantofole, e giornale, questo era per lui mettersi comodo. Appena entrato nel bar inspirò profondamente, provava una soddisfazione enorme quando in un locale pubblico non sentiva puzza di fumo. Vide ad un tavolo Paolo e Sergio due suoi amici, e si diresse verso di loro. Amava conversare con loro, non che ci fossero molte occasioni, visto che il suo stile di vita somigliava più a quello di un monaco che a quello di una persona comune.

«Ciao Luigi,» Paolo salutò Luigi con un sorriso.
«Tu non saluti Sergio?» chiese Luigi.
«Volevo essere sicuro che fossi veramente tu, e non una tua proiezione tridimensionale.»
«Già, sua eccellenza è scesa tra noi che onore, chissà a cosa è dovuto,» aggiunse Paolo.
«È dovuto al fatto che oggi è venerdì, e Luigi ci degna della sua presenza, prima di salire alla sua reggia,» concluse Sergio.
Luigi era irritato ma si controllò, non avrebbe potuto fare diversamente. L'autocontrollo era un dogma per lui.
«Come siete ironici, vengo qui apposta per vedervi, parlare un po' con voi, e voi mi accogliete così, dopo quasi una settimana che non ci vediamo.»
«Se tu intendi dire che quel saluto veloce, quello di domenica scorsa è stato un saluto, va bene è quasi una settimana.»
«Che vuoi Paolo andavo di fretta, Clara non ammette ritardi quando andiamo dai suoi.»
Si avvicinò il gestore del bar, un omone di quasi due metri, salutò i tre, Luigi in modo più caloroso con una pacca sulla spalla.
«Sempre affettuoso Luca, vorrei ricordarti però che hai due mani enormi.»
Luca sorrise e chiese cosa dovesse servire. Luigi chiese un bitter, gli altri due un caffè. Parlarono per un po', poi Luigi pagò la consumazione e si alzò:
«Scappi già?»
«Sì Paolo, stasera ci ha risparmiato, neanche un sermone.»
«Spiritoso, veramente spiritoso Sergio. Sapete che Clara sta in pena se non mi vede ad una certa ora, ed è già più tardi del solito. Ciao, ci vediamo.»

Uscì frettolosamente dal bar, dando ai suoi amici appena il tempo di salutarlo. Clara vedendolo rincasare un po' più tardi, non si sarebbe data pena, era venerdì. Sentì la porta aprirsi, poi richiudersi. «Buonasera Luigi,» gli andò incontro e lo baciò. Lui ricambiò, poi si tolse giacca e cravatta che pose sull'appendi abiti, dopo indossò la giacca da camera e le pantofole, e sprofondò nella sua poltrona. Clara lo seguì con lo sguardo, poi si diresse verso la cucina. Allungò la mano verso un tavolino alla sua destra, c'era il giornale. Lo prese, ma prima di cominciare a leggerlo chiuse gli occhi, lo faceva sempre prima di cominciare a leggere. Anche questo era uno dei suoi rituali, pochi minuti. Si calava in quello che lui definiva silenzio mistico, non ci avrebbe mai rinunciato. Quando il tempo trascorso in assoluto relax gli sembrò sufficiente, si sollevò leggermente ed aprì il giornale. Sfogliava quasi svogliatamente il quotidiano, quando un articolo attirò la sua attenzione.
«Senti, senti.»
Alzò la voce perché Clara benché in cucina lo sentisse:
«La solita storia! Arrestato per borseggio, e per resistenza all'arresto.»
Clara entrando in salotto: «Cosa c'è di tanto strano, un arresto come un altro. Ogni giorno se ne sentono a decine di notizie come questa, magari è un povero diavolo.»
«Ci risiamo, di nuovo queste considerazioni assurde.»
Luigi aveva detto tutto in un fiato, in modo secco, continuò:
«Come al solito salterà fuori uno psicologo, o un assistente sociale, salteranno fuori storie strappalacrime, e tornerà presto libero.»
Clara replicò pacatamente:
«L'hai detto mille volte, dovrebbe finire in galera, con la speranza che ne esca il più tardi possibile. Se invece di borseggiare avesse ucciso qualcuno?»
Aggiunse la donna in tono volutamente provocatorio. Sapeva che Luigi si sarebbe imbestialito, ma non era riuscita a tacere come aveva fatto altre volte. Aspettava ora la sfuriata del marito, sapeva che poi si sarebbe calmato. Lui la fissò con gli occhi socchiusi, taglienti come una lama:
«Che domanda idiota, sai come la penso, e dovresti pensarla così anche tu, se uno uccide gli spetta la stessa sorte.» Il tono di Luigi era caustico.
«Occhio per occhio,» concluse Clara.
«satto!» sibilò Luigi. Clara tornò di nuovo in cucina, mentre Luigi continuava a parlare: «Torna pure alle tue faccende, finisci sempre per farmi arrabbiare, non capisci proprio niente.»
Si accomodò meglio sulla poltrona, lentamente si assopì. Non che dormisse, si trovava in uno stato di dormiveglia molto piacevole, riusciva ancora a rimanere collegato alla realtà sia pure vagamente, pensava al borseggiatore.

2o

La poltrona si aprì come una botola, precipitò. Mentre precipitava annaspava, quasi volesse nuotare. I suoi movimenti disarticolati, non produssero nessun effetto, se non quello di cadere più velocemente. Stava saettando, la sua corsa finì con un tonfo che non produsse rumore, si alzò. Di fronte a lui troneggiava un enorme caseggiato scuro. Non aveva ne porte ne finestre, guardando verso l'alto non riusciva a vedere la sommità di quell'immensa ed inquietante costruzione. Da una parte un vicolo, dall'altra una breve ringhiera, dividevano l'edificio da due caseggiati uguali. Voltandosi si trovò di fronte un'altro enorme monolito, ai suoi lati si perdevano due viottoli. Si trovava al centro di un grande quadrato. Sarebbe stato chiuso, se non ci fossero state le tre piccole strade, e la ringhiera. Sentì due colpi di arma da fuoco, secchi come colpi d'ascia. Poi rumori di automobili, stridore di pneumatici sull'asfalto, frenate. Scalpiccio di piedi, grida concitate e d'un tratto silenzio. Il frastuono proveniva dalla parte della ringhiera. Si catapultò in quella direzione, nemmeno lo spazio di un passo, e urtò contro il gelido metallo. Cercò di riordinare le idee. L'inquietudine prendeva forma in lui, unita ad senso di paura. Un rumore di passi, provenivano da uno dei viottoli.

Li vide eterei, poi man mano che si avvicinavano presero lentamente forma, erano un uomo ed una donna. Si avvicinarono lentamente con andatura sicura, Luigi sentì un leggero brivido lungo la schiena. L'uomo indossava una maglia bianca, su un paio di pantaloni neri. Anche le scarpe erano nere, dalle sue spalle scendeva un mantello dello stesso colore. Recava con se un bastone nero con pomo bianco. Il suo aspetto era quasi regale. La donna indossava anch'essa una maglia bianca molto ampia, e pantaloni neri. Luigi abbozzò timidamente:
«Scusi ha sentito quegli spari, quei rumori. Dove ci troviamo?»
L'uomo rispose pacatamente:
«Sì, li ho sentiti di lontano, sapevo che avrebbero contribuito ad aumentare il tuo smarrimento, e mi sono diretto nella direzione che mi avrebbe portato a te.»
«Tu devi averli sentiti molto forte vero? Rimbalzavano sulle mura.»
La donna parlando con voce sibilante, continuò:
«Chiedevi dove ci troviamo. Una cosa alla volta, prima gli spari.»
Luigi fissò solo per un attimo l'uomo e la donna. Aveva l'impressione di averli già visti, la sensazione di conoscerli. Una goccia di sudore scivolò sulla sua tempia, poi sulla gota. Gli davano del tu, anche loro sembravano conoscerlo. Era solo un'idea assurda che stava prendendo forma nella sua mente? Si erano diretti nella direzione che li avrebbe portati a lui, così aveva detto l'uomo. Luigi scacciò in un attimo quei pensieri, non riusciva a focalizzare nemmeno un frammento di tutto quello che gli era passato nella mente. Avrebbe avuto quelle risposte e tante altre molto presto. L'uomo riprese a parlare:
«La polizia ha inseguito un ragazzo che vistosi perduto si è messo a sparare.»
«Ha ucciso un poliziotto, e lo hanno arrestato,» disse la donna
«Arrestato? Dovevano sparargli subito.» Dicendo questo Luigi riacquistò un po' della sicurezza che gli era consueta. Stava per continuare, l'uomo lo bloccò:
«È stato assicurato alla giustizia.»
Luigi abbozzò un tiepido sorriso compiaciuto. Pochi secondi e l'uomo riprese a parlare con tono duro, anche l'espressione del suo viso denotava durezza:
«Sarà condannato sicuramente.»
Luigi replicò:
«Se anche fosse, se la caverà, a buon mercato come al solito.»
«A buon mercato dici? Non credo proprio,» disse la donna, e aggiunse, «nessuno se la cava qui! E non è tutto.»
Stavolta fu l'uomo a sorridere, ma quello che aveva dipinto sul volto più che un sorriso era un ghigno, volutamente mal celato: «Sarà condannato a morte.»
L'uomo scandì bene la frase, con tono semidelirante, soprattutto pronunciando l'ultima parola.
«Morte! Ma che assurdità. Nel nostro paese non c'è la pena di morte purtroppo.»
Luigi frasi del genere, le aveva pronunciate sempre in modo molto convinto. Stavolta in lui non c'era la solita convinzione. L'ansia non l'aveva mai percepita, aveva sempre sostenuto di non sapere cosa fosse l'ansia. Ora la sentiva forte, la stava scoprendo.
«Hai detto bene Luigi, nel vostro paese. Ma qui non siamo nel tuo paese, qui la gente viene condannata, anche a morte.»
E la donna: «Quando è giusto.»
«Certo che è giusto.»
Luigi cercava di darsi coraggio. In verità era troppo confuso. I suoi pensieri caoticamente si sovrapponevano, si comprimevano, si sdoppiavano. Riprese a parlare:
«Allora,» inspirò, «non siamo nel nostro paese. Mi chiamate per nome, sembra mi conosciate. Visto che non sono impazzito, questo è un sogno.»
«Ne sei sicuro?» chiese l'uomo.
«No!» Luigi era incredulo, ma quel no l'aveva pronunciato di getto.
«Visto? Si è aperta una piccola breccia.»
Stavolta l'uomo parlando si era rivolto alla donna, che continuò:
«Cominci a vacillare, non provare a negarlo. Ti conosciamo è vero, ma sono tante le cose devi ancora scoprire.»
Luigi avrebbe replicato di nuovo, ma un tramestio alle sue spalle lo distrasse. Si voltò di scatto. Non riuscì a capire da quale dei due viottoli dietro di lui fosse venuto quel lieve rumore. Aveva visto per una frazione di secondo, un'ombra dissolversi in uno dei due vicoli. Si era voltato tanto rapidamente da focalizzare i due vicoli come fossero uno. Si girò verso l'uomo e la donna, spariti.

3o

Gli sembrò di aver dormito un secolo. Si sentiva frastornato, aveva l'impressione di essere risalito da un abisso. Quanto tempo aveva dormito? Si voltò verso l'orologio digitale posto sul tavolino accanto a lui, neanche un secondo era trascorso da quando si era addormentato. Era certo di aver guardato l'orologio prima di chiudere gli occhi. La confusione in lui era totale, chiamò la moglie.
«Cosa c'è Luigi?»
«Dimmi Clara, quanto tempo ho dormito?»
Lei lo guardò perplessa, poi: «Ma di cosa parli? Non puoi aver dormito. Ero appena entrata in cucina quando mi hai chiamata. Abbiamo parlato fino ad un attimo prima.»
Luigi afferrò i braccioli della poltrona, li stringeva tra le mani quasi volesse staccarli. Premeva le piante dei piedi contro il pavimento, Il sedere sul fondo della poltrona. Fissò Clara poggiando la nuca su lo schienale.
«Eppure sono certo di aver sognato, a lungo. Si può sognare così a lungo, e così intensamente in una manciata di secondi?»
«Certo,» replicò la moglie, «si può. Comunque se l'impressione che hai avuto, è quella di aver vissuto a lungo e intensamente questo sogno, dov'è il problema? Torno alle mie faccende in cucina.»
Sono un idiota pensò, come posso farmi turbare da un sogno. Provò a rilassarsi di nuovo, l'ansia cominciava a crescere.

4o

Stavolta non sapeva come, ma si ritrovò al centro del quadrato. Non avuto nessun tipo di sensazione. Si trovava al centro di quell'assurdo quadrilatero, come si fosse materializzato. Girando lentamente su se stesso, scrutò in ogni direzione. Frugò con lo sguardo ogni angolo, ispezionò per quello che poteva i tre vicoli. Una nuova sensazione stava lentamente facendosi strada in lui. L'ansia stava svanendo, stava per essere preda di una nuova sensazione, l'angoscia. Respirava a fatica, il suo cuore batteva come un martello impazzito. Si sentiva perduto, vittima di uno strano sortilegio. Riuscì non senza fatica, a riprendere un minimo di controllo. Cominciò a ripetersi più e più volte che era tutto un sogno, stranissimo ma pur sempre un sogno, presto si sarebbe svegliato. Rumore di passi alle sue spalle, non fece in tempo a voltarsi, una strana donna gli era accanto.

Abbigliata in modo bizzarro, con un camicione scuro che scendeva fino a terra nascondendo i piedi, tutto sfrangiato come fosse stato strappato a strisce in modo casuale. I capelli disordinatissimi, pareva volessero fuggirle dalla testa. Ciò che colpiva di più Luigi, era il centro delle pupille di quella donna. Le punte acuminate di due aghi.
Si rivolse a Luigi: «Che fai qui tutto solo? Non ti sei mica perduto?» aveva posto le domande in modo incalzante.
«Macché perso! Da dove spunti fuori? Sembri uscita da un romanzo del terrore.» rispose Luigi ostentando falsa sicurezza.
«Stai molto attento, in questo posto è molto pericoloso parlare di terrore.» la donna che parlava con tono canzonatorio continuò:
«Qui, dove ogni pensiero può prendere forma.»
L'angoscia cominciava a salire, ribatté:
«Lo dicevo, si tratta di un sogno.»
«Stai morendo dalla voglia di sapere chi sono, vero? Visto che ci tieni tanto te lo dirò. Che scuole hai fatto?»
«Cosa c'entrano le scuole che ho fatto, vuoi parlare?»
Luigi perdeva sempre di più il controllo. Si guardava intorno smarrito, come cercasse una via di fuga.
«Allora è vero che non mi conosci. Vergognati! sono la più grande maestra di tutti i tempi. Non esiste cosa che io non sappia, tutto ciò che vuoi posso insegnarti. Nessuna scuola può contenermi, io sono la scuola, sono la strada.»
Luigi non ebbe il tempo neanche per aprire bocca.
«Aspetti due persone, certo. Le ho sentite parlare prima che tu arrivassi. Da quello che ho potuto sentire, dovevano scegliere il modo per fare uscire da qui qualcuno, eccoli.»

Così dicendo la donna si allontanò velocemente, infilò uno dei vicoli alle spalle di Luigi e sparì. Il sudore scendeva ora su tutto il suo viso, si sentiva agghiacciato. Sbucarono da un vicolo e si fermarono di fronte a lui.
«Ci stavi aspettando, vero?»
La donna parlò col tono di chi è sicuro di non poter essere smentito. Luigi restò disorientato, il modo di parlare della donna era fermo e sicuro. Ribatté sempre più angosciato:
«Cosa ti fa pensare che vi stessi aspettando?»
L'uomo poggiò il pomo del suo bastone contro il petto di Luigi costringendolo a fare un passo indietro. Luigi era pietrificato, cominciava a tremare, le sue labbra erano serrate. La lingua incollata al palato, esercitava una pressione tanto dolorosa nella sua bocca, che sul suo volto apparve una smorfia.

5o

Un colpo secco, un suono che evocava echi di morte, così fu percepito da Luigi quel rumore arrivato dal nulla.

«Il ragazzo è stato condannato, sarà giustiziato, senza possibilità di appello.»
La voce sibilante dell'uomo, riportò Luigi alla tragica realtà che stava vivendo, in quello che ancora credeva un sogno.
«Ma tu seguitò la donna, non conosci il significato della parola appello.»
Lo incalzavano ora tutti e due, costringendolo con le spalle contro il muro. A due passi c'èra la ringhiera. Luigi volse lo sguardo verso di essa, ma si rese conto che la ringhiera era ora una grata a maglie fittissime che saliva verso la sommità dei caseggiati. La speranza di una fuga svanì ancora prima di prendere forma.
«È stato condannato da una giuria di persone come te,» disse l'uomo, e la donna aggiunse:
«A morte! Finito! Terminato!» Luigi raccolse le forze residue:
«Che vuol dire persone come me? Io non l' ho condannato, tanto meno sarò il suo boia.» L'uomo con tono lugubre:
«Tu lo hai condannato, in quanto al boia fossi in te non parlerei.»
La donna bizzarra piombò sui tre di colpo. Ansimava, riprese fiato gradatamente:
«Aspettate diamogli una prova d'appello.»
Luigi la guardò sbigottito, non capiva quello che volesse dire. L'uomo e l'altra donna si scambiarono uno sguardo d'intesa, poi fecero un segno di assenso. Luigi fu preso per mano e trascinato verso uno dei vicoli, da quell'essere dai vestiti laceri. Si lasciò condurre docilmente, tanto era il caos che aleggiava nella sua mente.

6o

Al tonfo in salotto, corrispose un colpo alla bocca dello stomaco di Clara. Uscì dalla cucina quasi correndo, vide Luigi a terra. Dopo averlo aiutato a rialzarsi, e quando fu di nuovo comodo sulla poltrona Clara chiese:
«Cosa è successo? Come sei caduto?» Luigi parlando a fatica:
«Non lo so! So soltanto che ho fatto di nuovo quello strano sogno. Che dico! Un incubo terribile,» un'occhiata velocissima all'orologio, « anche stavolta, neppure un secondo da quando mi sono riaddormentato. Si possono fare sogni del genere?»
«Evidentemente sì,» rispose Clara, «perché non me ne parli? Vuoi?»
Luigi la guardò atterrito: «Parlarne? No! Torna pure in cucina, io sto già meglio.»
Clara con poca convinzione si diresse in cucina. A tavola parlando con lei, sarebbe riuscito a non pensare agli incubi appena avuti, si voltò un momento verso Luigi:
«Comunque sia, siamo noi che generiamo i nostri sogni, dovresti saperlo.»

Rimasto solo, Luigi pensò alle ultime parole pronunciate da Clara. Non si era mai posto quel tipo di problemi. Preso com'era da problemi veramente importanti, che risolveva sempre. La soluzione, come aveva fatto a non pensarci prima. Non si sarebbe riaddormentato subito come la volta precedente. Doveva solo vincere la leggera sonnolenza che ancora lo pervadeva. Afferrò il giornale con forza, e cominciò a sfogliarlo. Le mani gli tremavano, ma lui mentendo a se stesso fece finta di non accorgersene. Non leggeva, lasciava che i suoi occhi corressero tra le righe. Sfogliava ormai in modo meccanico. Le pagine del giornale, ne rimanevano poche, poi? Si mise così a pensare a Clara, alla cena. Avrebbero mangiato, poi dialogando pacatamente con lei avrebbe acceso il televisore. Mettere più tempo possibile, tra lui e il suo riaddormentarsi. Questo era ora il suo scopo. Mentre pensava ad una sfida, che avrebbe vinto facilmente, si concesse un istante di relax, un brevissimo fatale istante.

7o

Stava camminando, barcollando ogni tanto in un vicolo strettissimo. Il buio era quasi totale. Le sue gambe erano malferme, al punto che di tanto in tanto sbatteva contro le pareti di quell'interminabile e tetro cunicolo. Provò a capire da quanto si trascinava, verso una meta che credeva ormai irraggiungibile. Sbatté questa volta il viso, il dolore lancinante percorse tutto il suo corpo. La fine di quel tortuoso cammino sembrava un miraggio. Guardò dritto davanti a se, non era un miraggio quello che vedeva, la fine del vicolo! Correndo uscì da quella diabolica trappola. Si trovò ancora una volta nel quadrilatero. Una tenue luce lasciava intravedere tre figure in ombra. Erano lì per lui, lo sapeva. Si avvicinò fino a trovarsele di fronte.

«Neanche un secondo di ritardo, com'è tua consuetudine.» La donna dal grande camicione parlava in modo molto aggressivo, «portarti a scuola non è servito a niente dovevo aspettarmelo, a questo punto il mio compito è terminato, si dissolse nel nulla. Guardò i volti dell'uomo e della donna in luce, Gli occhi parevano voler fuggire dalle loro nere orbite, schizzare come bilie impazzite, per colpire le sue. L'uomo:
«Luigi prova a rilassarti. Tra non molto il gioco sarà finito.»
Luigi indietreggiò di qualche passo, voleva mettere più distanza possibile tra lui e quegli esseri, che non era ancora riuscito a definire. Chi fossero, ma soprattutto cosa fossero. Si fermò di colpo, aveva paura di trovarsi di nuovo con le spalle al muro. Vampe di calore si alternavano a brividi gelidi. Il sudore ormai arrivato alla gola, cominciava a scivolargli lungo il corpo. Preda del panico, e con voce roca disse:
«Hai detto bene, il gioco sta per finire. Come questo sogno inconcepibile, poi finalmente sarò libero.» Ogni parola pareva un rantolo, sentiva in se un'agonia, quella del suo essere che si stava dissolvendo.
«Credi di poter chiudere così?» la donna cominciava a diventare evanescente:
«Entrare in luogo remoto ed inimmaginabile come questo, non è stata una tua scelta. Uscire, quello implicherà una scelta,» svanì del tutto. Restavano ora lui e l'uomo.
«Sei rimasto solo tu, che vuol dire? Non mi interessa,» si affrettò ad aggiungere Luigi, «ma chi sei devi dirmelo»! Aveva urlato col fiato che gli restava. Il suo urlo rimbalzò nel quadrilatero da parete a parete. Creava un'eco assordante che annichilì del tutto Luigi. L'altro senza muovere un solo muscolo del viso ed immobile come una statua, con le labbra che si muovevano in modo quasi impercettibile disse:
«Io non sono, ma posso essere, mi hai evocato fino a materializzarmi.»

Luigi lo guardava completamente inebetito. Il suo sudore scorrendo lungo il corpo era giunto fino a terra. Formava due pozze torbide intorno ai suoi piedi, che si fondevano l'un l'altra, formando un rivolo che scorreva fino a perdersi oltre la grata. Si perdeva verso il nulla, producendo un nefando rumore. Goccia a goccia, un distillato di terrore. L'uomo imperterrito continuò:
«Mi hai evocato più e più volte, mentre ti aggiravi negli oscuri meandri della tua anima. Sono me, sono te, sono il ragazzo che hai condannato.»
Un guizzo nella mente di Luigi, un ultimo colpo di coda
Non sapeva come, ma in attimo infinitesimale ebbe tutto chiaro: «Il ragazzo, è lui la soluzione»!
«Bene, ci sei arrivato da solo. Ma non è propriamente lui la soluzione, diciamo che è la chiave per fuggire di qui. Dipenderà dal destino che gli riserverai. Perché a questo punto, tu solo e da solo dovrai decidere.»

Poi l'uomo sparì, si dissolse come le due donne prima di lui. Luigi credette di essere rimasto solo, ma qualcosa a poca distanza da lui stava prendendo rapidamente forma. Il ragazzo! Fissato saldamente ad un enorme sedia. Luigi si avvicinò timidamente, la testa del ragazzo era china, ma Luigi sentiva i suoi occhi osservarlo. Gli occhi del ragazzo, imploranti e interrogativi. Spostò di poco lo sguardo, vicino al giovane poco più in alto della sedia troneggiava, un'enorme vecchia e tetra spietata leva. Restò immobile, nessun pensiero attraversò la sua mente per alcuni attimi, poi il suo braccio si protese verso la leva, la mano tremante esitava...


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