Una penna più valente di quella del modesto cronista di questi apologhi sarebbe necessaria a descrivere l'emozione che serrò Carmine e Patonsio quando si incontrarono dopo due mesi di separazione.
L'una reciproca morsa dell'altra, le loro destre si strinsero, e lungamente così rimasero.
Ad intensificare l'emozione contribuì il fatto - certo imprevedibile - d'essersi incrociati in una via, neanche molto frequentata, della città insulare di *, dove Patonsio s'era recato per sistemare l'acquisizione di certi documenti catastali relativi ad una proprietà di uno zio - che gli aveva promesso ricompensa per questo servizio - e Carmine invece s'era spinto sedotto dal richiamo di un annuncio economico riguardante una macchina da scrivere a prezzo indubbiamente - così era riportato! - vantaggioso.

***

Era, questo mirabile Patonsio, una persona all'apparenza poco o nulla eccezionale: qualche chiletto in più, qualche capelluccio in meno, un bell'aperto e leale sorriso, quantunque. L'andatura non era proprio quel che si dice: "regolare", e dei modi si sarebbe detto per lo meno ruvidi, quando non addirittura grevi o zingareschi.
Questo nostro eroe possedeva carni scure, un cuore in verità semplice e la prontezza di una mente impulsiva, ben irrorata di caldo sangue isolano.
Com'è, come non è, Patonsio ricevette un'educazione non dissimile da quella dei ragazzi originati dalla profonda provincia; tuttavia coltivò, in tutta autonomia, una sorta di auto-istruzione sulle principali risorse di cui dotarsi, e si tuffò nel mondo con l'incoscienza e la determinazione dei giovanotti testardi e integri.
Quando sopravveniva che qualcuno gli guastasse l'appetito, - nel senso di procacciargli impicci e impacci - Patonsio non dava mostra di troppo dolersene, e si mugugnava dentro senza far pagare ad altri, come sarebbe stato naturale, il suo "nervoso".
Ed infatti non era capace di far male a nessuno, anche se presentava sembianza, tra il serio e il faceto, d'esser capace di fare chissà che spaventosi danni (!), se l'avessero infastidito un tot o poco meno...
Certo non si poteva affibbiargli l'appellativo di "peperino", dal momento che, la somiglianza al "peperone", caso mai, gli era più prossima; e, pure, non si riusciva a prendere troppo sul serio le sue uscite minacciose, nonostante si sforzasse di apparire pericoloso e pazzo.
Chi conosceva bene quel "pezzo di pane" di Patò - ma in questo caso, è forse adatta l'espressione "biscotto di mandorla" - ben sapeva quanto funesta (...) ai moscerini poteva rivelarsi la collera del sunnominato "amaretto".
Patonsio aveva preso l'abitudine, nuova per lui, di frequentare con una certa regolarità Carmine, per il fatto che entrambi - esemplari quanto di più dissimile tra gli uomini - per un motivo o chissà per quale altro, presentati da comuni amici, s'erano piaciuti. Non subito, a causa della cautela verso ciò che è troppo diverso da sè, ma s'erano piaciuti. Avevano vissuto l'uno per l'altro qualche inspiegato eppur tenace istinto di rispetto, di ammirazione, così come ad esempio può accadere nei confronti di una creatura deforme di indubbio valore, d'interiore bellezza e pregio; deformi - e più di un poco - lo erano davvero: chi nell'animo, chi nel fisico; insomma, per certo ben poco avevano di "ordinario".
Ma da qualche settimana, per combinazione, - come fu, come non fu - le occasioni di incontro tra i due si erano diradate.

***

Allorché, incrociandosi per strada, ebbero ad avvistarsi - dopo un periodo non troppo lungo, ma tale da indurli ad un non convenzionale e spontaneo abbraccio - si compiacquero dell'inaspettata occorrenza e si salutarono con schiettezza: - Quel bel compare del mio caro Patonsio! - fece l'uno.
- Ooh, Carmine il-meglio-sei-tu! - replicò l'altro.

***

Apprenda adesso il nostro comprensivo lettore che dopo il suo ritorno a *, Carmine aveva instaurato la consuetudine al ragionamento solitario, pratica che, con grande sua soddisfazione, gli risparmiava opinioni e incompatibilità del prossimo - che teneva in conto propriamente scarso assai - ma che non gli risparmiava una sorta d'inerte amarezza, cui mancava una virgola per diventare rancore. Coerentemente, associò alla recente abitudine quella di parlare da solo, tormentato dal rumore polveroso delle stelle - e preferibilmente non osservato da altri.
L'occasione che Patonsio gli forniva di rinunciare all'inascoltato esercizio declamatorio - al pari della soppressa possibilità di appartarsi e chiudersi in sé ponzando e meditando de vanitate mundi et fuga sæculi - lo allietarono, così che Carmine si dispose favorevolmente ad immaginare sulla strada - accanto alla propria - l'ombra tondeggiante dell'amico, resa ancor più cilindrica e riconoscibile dal sole a picco di uno di quei pomeriggi in cui anche il vento s'ammansisce e rimane a dormire dietro l'ombre, e nei campi non troppo distanti, ognuno desidera il riposo, principalmente.

***

Carmine quel giorno aveva voluto spingersi fino alla vicina città di * - prendendo a pretesto l'interessante annuncio - per allontanare da sé cattivi pensieri e soprattutto per evitare di arringare - more solito, quasi rivolgendosi ad un condiscendente attento auditorio - le pietre torrefatte dei muretti a secco lungo la consuete strade, dove non gli era nuovo pensare: «Dovunque mi trovo, provo sempre questa sensazione di estraneità; non mi riesce mai di essere almeno un po' partecipe, un po' solidale con il posto dove sono.
Che sia questo il sentimento provato dall'apolide? C'è sempre un altrove che mi chiama, ed io non saprò mai cos'è questo altrove. Mmah!»

***

In Carmine era ben vivo - si potrebbe dire sin dalla più tenera età - uno sviluppato senso dell'altrove, dell'altrimenti, vale a dire la propensione a farlo precipitare spesso nell'illusione di poter vivere il momento presente in luoghi e condizioni alternativi, diversi da quelli contingenti; a causa di tale attitudine spesso gli pareva a sé confacente desiderare altro in luogo di ciò che gli uomini desiderano o desidererebbero, - ordinariamente fasullo, grossolano quantomeno - altro in vece di ciò che viene comunemente apprezzato, - mediocre infine - ossia tutto ciò, quindi, cui si conferisce qualità di "normale".
In un bambino che dimostri una simile tendenza all'immaginazione indipendente, alla fantasticheria intessuta di fumi e possibilità non attuali, lo zelo degli educatori provvisti - o meno (che differenza fa?) - di titolo adeguato, insorge allarmato mai trovando pace sino a che questi bubboni infetti non siano medicati e guariti, necessariamente passando attraverso la viva deplorazione di coloro che sono indicati come poveri sognatori, poveri visionari, poveri mentecatti privi di senso comune, il ricorrente contrassegno di povertà dei quali ravviva in un animo verde la simpatia e la tenera solidarietà accordata d'istinto ai poeti e agli idealisti.

***

Quei cari tragitti gli erano necessari per dedurre dissennati soliloqui.

***

- Principeèssso, cheffài, pensi? E se pensi, che pensieri fai? - manifestò poi il roseo giovanotto, cui la lingua italiota era poco meno che interdetta, e perciò riesumava cupe sillabe, minime unità foniche, gutturali evocazioni di un suo remoto idioma che quasi solo lui intendeva, senza però pretendere che avesse un senso universale.
- O Patò, te l'hai preso il caffè? Giuro che se trovo traccia di monete nella tasca, modestamente, te l'offro io.
- No fràte, càlmiti... te l'offro io!
- Errore compare, te lo devo offrire io!
- Non fare accussì che è peggio...
- E te l'offro io, e no te l'offro io, e vedi che mi offendo, e stai manso di qua, e riddùciti di là, fondarono la piccola comitiva diretta alla volta del domicilio dell'inserzionista dell'annuncio economico.

***

Arrivarono alla porta di un villino indipendente, un poco staccato dalle abitazioni vicine. L'isolamento e l'architettura, che rivelavano anche ad un occhio inesperto gotici intendimenti, diedero subito ai due nostri l'impressione - un che di lugubre, di poco comune - di trovarsi quasi al cospetto di un antico maniero come per sortilegio preservato dal diroccamento: un ampio tegolato di ardesie cinerognole ricopriva un fungo murario traforato da finestre irregolarmente disposte, che parevano ansare i profondi respiri del condannato all'eterna inedia.
Patonsio non fece in tempo a dire:
- Ma qua pare che pure le pietre si volessero lament... - che una vezzosa servetta sbocciò dall'uscio.
- Noi siamo qui per... - esordì Carmine.
- Ma sì, lo so, lo so... eh..! - sorrise colei, mostrando due incantevoli fila di denti che in più di un garzone avevano fatto germinare la chimerica vaghezza di un bacio affamato e furibondo. Lo stesso Patonsio ruggì sobillato nell'interiora da una rabbiosa smania ferina:
- Rrrah! Uûunhrr! - mentre la birichina s'aggiustava meglio su un ginocchio un gambaletto di nylon che pareva, anch'esso, volesse morderle le bianche carni succulente.
- Come dice?
- No, no, - fece Carmine accorrente - è l'asma. Lo devasta, poverino. Per non parlare del catarro. A volte rischia di rimanere soffocato.
- Eh! - rimbeccò la temibile biondina - la salute... a chi poca e a chi... - carezzando il volto aggraziato di Carmine con una guardata maliziosa - ...invece tanta..!
Carmine arrossì sino al midollo, ma riuscì, dopo un minuto scarso di confusione mentale a replicare con un intero:
- Ehhh... - sospirato dal recesso più ignorato dello stomaco.
La bella fantesca si volse allora verso la soglia per notificare un - C'è un giovanotto che viene per l'annuncio... - come avvezza ad una formula consueta.
- Ah! - qualcuno rispose.

***

Una curiosa conversazione si svolgeva intanto all'interno della casa:
- Che inserzione hai fatto oggi?
- Mah, oggi... perh la macchina da scrhivere...
- ...Va bene... tanto per saperlo.
- E dimmi, piuttosto, che perhsonaggio c'è oggi?
- La baronessa Starabeaux. Eppure, se devo dirti la verità, stamattina mi sento così poco adatta... davvero, non mi sento in piena forma. Sai com'è. Certi giorni una si sente tutta un fuoco... e certi giorni invece non si sente buona a fare niente.
- Non dirhe così. Lo sai che poi fai semprhe un figurhone!
- Che ti devo dire... ormai per oggi è così.
- Se non ti senti... cambia progrhamma...
- No, no, è già tutto pronto...
- Ma sì! Ma sì... Bene carha, corhaggio allorha.
Quella che doveva essere - ed era, infatti - la padrona di casa si rivolse infine alla cameriera: - Carlotta, vedi di far passare il signore!
- Veramente, signora, - (con due smorfie susseguentesi: una di evidente disgusto dedicata a Patonsio, e una di "simpatia" riservata a Carmine) – i "signori" sono due. Li devo fare entrare - (con un'altra guardata di sottecchi oltraggiò Patò, senza pietà alcuna per quell'essere inoffensivo, sebbene non proprio perfetto per rappresentare lo stereotipo della star holliwodiana) - tutti?
- Ma cara, vuoi farli entrare forse a gruppi di uno alla volta? Che sbadatella... è proprio vero che non esiste più la servitù di una volta... Patonsio intanto, non trovava di meglio da fare che friggere sul posto, angariato da una punta velenosa di disappunto per l'ostilità abusiva della serva; schiumava e soffiava quindi nel vano tentativo di mortificare a sua volta quell'insolente faccia di tolla.

***

Nel momento in cui i due compagni si decisero ad entrare - meglio: quando Carmine convinse Patonsio a desistere da propositi violenti e a rinfoderare l'antiestetica schiuma secreta agli angoli della bocca - la padrona di casa aveva appena infilato una porta, dileguandosi, mentre l'ospite, un signore un po' avanti negli anni, armeggiava con uno strano coso per le mani, una macchinetta d'indefinibile utilizzo.
- Ecco i "signori"... - ammise la serva procace, introducendo i visitatori, più o meno imbarazzati: Carmine roteava guardingo intorno gli occhi cercando di decifrare la psicologia degli abitatori di una casa in cui venivano ricevuti in un salotto ampio ma in penombra, ricolmo di oggettini e suppellettili varie, animali di diverse fogge in cristallo e legno, ricami, pizzi, centrini, decorazioni vetero-borghesi, bastoni da passeggio in buona mostra, un lucido pianoforte verticale che mezzo secolo prima doveva aver conosciuto tempi migliori, anch'esso tempestato di trine uncinettate e grondante soprammobilucci raccolti a corte presso un enorme vaso spennacchiante alte penne di pavone e infiorescenze sintetiche d'eguale statura, tendami e tappezzeria appesantiti dal respiro pulviscolare del tempo immemore, tappeti di taglio multiforme e ancora un folto bazar di oggetti dalle forme e provenienze più disparate; dal canto suo Patò si raspava nervosamente un de' due zampetti - aggredito dal prurito tipico dell'iperteso o dell'offeso dal fuoco di Sant'Antonio - e pareva contrastasse un nemico insidioso, giacché il pizzicore sembrava volergli risalire il corpo funestandolo sino alla sommità del cucurbite abbronzato e odoroso di campagna e di giovinezza. E per di più lo infastidiva la claustrofobica prossimità dei tavolini affollati di tutti quei cristalli e cristallini minacciosamente fragili, pronti a rompersi al primo gesto mal controllato - o alla prima traspirazione cutanea nientemeno.
- Buon giorhno caarhi signorhi. - esordì colui che ricopriva con tutta evidenza i titoli di attempato ospite ed inserzionista: il viso dell'uomo era non banalmente disegnato, con una fronte ampia solcata da venerabili rughe conferentigli una certa qual rispettabilità, occhi d'un inquietante azzurro che tradivano un vigore insospettabile dal resto della placida complessione, naso aquilino e importante, gli angoli della bocca piegati in una perenne smorfia indicante un intimo costume di lucido scetticismo e sorniona condiscendenza, favoriti folti e candidi come la rada capigliatura che sormontava quella testa di gentiluomo che in gioventù doveva aver commesso un buon paio di birichinate nei pressi di gonnelle mobili e fruscianti anzichenò.
- Buon giorno. - rispose Carmine compito.
- A lei! - invece Patonsio che andava smaltendo la precedente picca al costato.
- Ma si ac-co-mo-di-no... - scandì bene il gagliardo, rivelando tratti di mondana galanteria d'altri tempi.
- Avevo letto... - provò a dire Carmine.
- Come state, eh? Come..? Mi dicca... mi dicca... - lo interruppe quello, tendendo affettuosamente la mano e trascinando le vocali all'uso del ‘nobilame' squattrinato da opera buffa.
- Ma veramente... bene... e lei?
- Eee bèh, beh... così così... è verho...
- Eh, carissimo amico! - si fece largo Patonsio - al quale le "erre" arrotate facevano impressione di ambiguità e strambezza - approntando, cautamente, un'espressione di solidarietà consapevole e tuttavia superficiale.
- Purtrhoppo mio carho, la pressione, sa com'è...
- Alta, vero?
- Ah, non me ne parhli, è verho... una disdetta!
- Io pure, per la verità...
- Guarhdi, io la porhto, quando va bene, è verho, a centonovanta.
- No, io centosessanta, per carità...
- Beh... - soddisfatto del primato su Patonsio - lo so, lo so... cossa vuol farhe...
- assentì allargando le braccia con indulgente cedevolezza.
Carmine occhieggiava mezzo basito i due complimentosi che se la intendevano così bene sull'argomento "pianeta malattie & dintorni", non riuscendo pienamente a capacitarsi su quale altra causa, eccettuato il meteorismo noto, potesse alterare le interne pressioni dell'amico, e così fendé quasi bruscamente l'ameno contenzioso:
- Dunque, sono venuto per... - ma colui, amabilissimo, lo arrestò:
- Ma se-de-te-vi... vi prhego! Carhloootta, vieni piccola carha, cosa offrhiamo a questi signorhi..?
- Ma non si deve disturb...
- Un biscottino... cerhto, un biscottino... Carhlotta, sii gentile, è verho, prhendi il biscottino che ha fatto oggi prhoprhio la... hum... la barhonessa... prhendi carha, prhendi, è verho... Patonsio, che avrebbe ingurgitato anche più favorevolmente una sproporzionata pagnottona e un capretto intero arrostito con il pelame tutto - per far prima - schioccava già la linguetta lubrica, ma Carmine un poco perplesso voleva precisare: - Ecco, sa, noi...
- Non mi dicca, carho amico - interruppe ancora il gentiluomo - che anche lei pensa come quelli che appena vedono spuntarhe i prhimi baffi, sostituiscono il biscottino con la sigarhetta, è verho. Il biscottino è la fonte della giovinezza..! ma si seggano, ché parlerhemo con più comodo... allorha, cossa si stava dicendo?
- Oh, dunque, noi...
- Ma cerhto, la situazione politica! Ah! Non mi dicca, non mi dicca, questi signorhi non fanno altrho che rhiunirsi, discuterhe, discuterhe... discutono tanto, tanto, e poi? Poi non fanno mica grhanchè, è verho... guarhdino, perh esempio, la pavimentazione di questa strhada... è più di un sei mesi che scrhivo, scrhivo al goverhno, e quelli...
- Non rispondono..?
- Mah! Vedano... il fatto è che alla posta non mi hanno saputo indicarhe l'affrhancatura adatta al caso... che rhazza di incompetenti, è verho... se si tratta di masticarhe la brioscia inzuppata al cappuccino, allorha sì, che la sanno lunga... Ma se si trhatta di farhe il prhoprhio doverhe, eh? Carho amicco, non se ne parhla, nonnò, signorhnò! Che tempi... che tempi, è verho... ‘O temporha... o morhes'!
- Ah! - interloquì brillantemente Patonsio, che aveva una certa granulosa infarinatura di politica interna, esterna, e di fastidiosa burocrazia pure un'anticchia , ma di "latinorum" assai meno - Io, per me, a tutti questi manciafrànchi , ci farei conoscere il lavoro veramente, altro che c... – appena in tempo - altro che storie! In campagna! A zappare! Di corsa!
- Ma ha rhagione da venderhe questo positivo amico! Altrhochè! Carhlotta, bambina, porhta dunque il biscottino qui all'amico che ha rhagione! E quanta, perhdìo! Prhoprio rhagione, rhagionissima!
- Eh! - si soddisfaceva tutto Patonsione, fiero del repentino guadagno di un protettore nel campo della speculazione intellettuale applicata alle scienze sociali.
Carmine non si sentiva precisamente a suo agio, e pensò di affrettare: - Siamo venuti per...
- Ha dunque frhetta?
- Beh, lei dovrà pur conoscere l'oggetto della nostra visita.
- Eeeeh, sì! Non c'è scampo. Si trhatta dell'inserhzione, è verho?
- Esattamente. Ho letto sul giornale, qui, negli annunci economici...
- E lo so, lo so...- mormorò il gentiluomo, scotendo la testa in un modo che denunziava più dolore che consapevolezza, covando nel cuore tristi presentimenti.
- «Vera occasione», - lesse Carmine - «macchina da scrivere... vendo... in ottimo stato... solo privati... »
- Allorha la vorrhà vederhe, immagino... - fece il signor Ruggiero (ché questo era il suo nome), un poco sconfortato.
- Eh, sì...
- Eh, già. La vuole vederhe...
- Sa com'è...
- Ma sì, è giuwsto. Non le posso darhe torto.
- Non è per cattiveria... - tentò di giustificarsi Carmine.
- No, no, quello ch'è giuwsto è giuwsto. Ci mancherhebbe.
- Quanto ne chiede?
- Trhentamila.
- È un poco cara, per la verità... ma se veramente è in ottimo stato...
- Ma senta, carho amicco, ma lei, forhse, se ne intende un poco di queste cose?
- Ma insomma, un pochino... un minimo.
- Ahh! - e qui quel Ruggiero si mostrò alquanto dispiaciuto - peccato! Peccato!
Pazienza..! Comunque... è questa, è verho... - e gli mostrò un indegno scassume di aggeggio che, dietro la ruggine, in effetti un tempo poteva pure aver svolto la funzione di accessorio da scrivania, e chissà, magari qualcuno riuscì, in un altra vita, a far trillare la manovella dell'‘a capo'.
- Questa è? - fece Carmine invero deluso.
Avvolgendosi d'un manto di virile tristezza, l'originale ospite si riscotè come da una penosa memoria e riprese con decoro: - Gia... stavo per dirhglielo... ecco... non è che funziona prhoprhio bene, è verho, anzi ad esserhe più prhecisi, non funziona affatto. Voglio dirhgliela tutta, frhancamente: quest'arhnese maledetto, è verho, non ha mai funzionato un giorhno solo nella sua miserhabile esistenza d'avanzo di rhigattierhe...
- È verho..! - fece Patò, dispiaciuto della caduta del "suo" autorevole vegliardo - e come fu?
- Eeeeh! La vita... la vita, carho amicco...
- Mentre pare antica..! - cercò invano Patonsio di rimediare.
- Mmah! Siamo qua... - l'anziano distinto allargò quindi le braccia con un gesto la cui magnifica eloquenza evocava l'ineluttabilità, l'insondabilità, la caducità delle terrene cose ... - orhmai è qui da tanhto, tanhto di quel tempo, è verho...
- E certo, - disse Carmine, il cui rincrescimento confinava da presso col degno riserbo di chi non intende oltre infierire sull'avversario smentito e vinto - dev'essere qui da un bel pezzo... comunque, anche come oggetto di antiquariato, mi sembra, trentamila... insomma... è un bel pò caro, non le pare, egregio signore..?
- Ebbene, le dirhò... io non la vendo per trhentamila. Non posso prhoprhio. Mi è impossibile.
- E per quanto la vuole vendere, mi scusi?
- Non la posso mica venderhe, sa? Me ne liberherei molto volentierhi, ma non mi è possibile, purtrhoppo... eh già! Si trhatta, guarhdi, glie lo dico perhcé siete delle perhsone davverho simpatiche, è verho, di un rhegalo di nozze di cerhti nostrhi cugini... Sa com'è... bisogna sopportarhli i rhegali dei parhenti, dal momento che ti vengono a trhovare quando meno te l'aspetti, è verho... e perh giunta sono eterhni, sa? L'abbiamo messa qui, sul passaggio, e niente, non vuol saperhne mai di caderhe, di rhompersi una buona volta, prhoprhio mai, sa..?
- Ma magari, volendo, - fece Carmine compassionevole - spingendo un pochino, mettendola qui sul bordo...
- Lei crhede che non ci abbiamo già pensato? - sospirò con una certa amarezza - le cose inutili durhano tutta la vita... Io non lo so come le costrhuiscano, è verho, fatto sta che è semprhe lì, cerhte volte mi sembrha che ci osserhvi con un'aria maligna, come se volesse minacciarhci... Il mese scorhso Carhlotta perh poco non ci lasciava un dito, spolverhandola... io crhedo, guarhdi, che sia maledetta... è verho...
- Non potete dire che si è rotta, magari che non è vero? - volle contribuire Patò.
- Carho amicco, che posso dirhle, non abbiamo il corhaggio. Questi nostri cugini sono così felici quando vengono e la vedono lì, in bella mostrha! Quando uno fa un rhegalo, è come se ci si potesse guarhdare dentrho come in uno specchio, e ci si ritrhova... abbellito, sa?

***

Entrò, dopo breve momento di silenzio imbarazzato, Carlotta, trasportando in salotto, insieme alla fragranza delle sue fertili carni - che graffiò ancora le nari e le tempie ai due novelli acquirenti falliti - un vassoio – infiorettato da un laborioso ricamo - contenente una bottiglia di pesante crhist - pardon - cristallo, bicchierini della stessa ricercata fattura, biscottini in un delicato piattino di limoges, un lezioso portasalviettine d'argento finemente lavorato con tovagliolini di carta di vario colore disposti con evidente, calcolato criterio, e posò il tutto sul piano d'onice del tavolino, non trascurando d'effondere - con una esperta ritmica ancheggiata maliziosa – al vicino Carmine un nuovo promettente effluvio della sua irrequieta epidermide d'umano giovane animale.
- Lascia purhe, carha... serhvo io questi signorhi... ah! Dì alla Signorha che se vuole, può rhaggiungerhci, dal momento che questi giovani comprhatori sono, nevverho, molto simpaticoni...
- Molto gentile, - fece Carmine, mentre Patonsio cominciava a spazientirsi, non riuscendo bene a capire in che strana casa fossero capitati - però... mi scusi, mi permette una domanda?
- Ma cerhtamente, la prhego, domandi, domandi purhe...
- Oh, bene, mi dica, scusi eh? Ma lei, se non ha intenzione di venderla, la macchina da scrivere, perché allora ha messo l'annuncio sul giornale?
Quello strano tipo di valentuomo non poteva certo esser troppo stupefatto per l'ovvio quesito, eppure, eppure, in volto si rabbuiò; si fece assorto. Una nube di mestizia parve offuscargli il capo. Tacque, crucciato, poi, faticosamente, lentamente, disse: - Sono avanti con gli anni... non esco quasi mai... molto tempo lo trascorrho qui, tra questi murhi... e allorha pubblico questi annunci... Scrhivo che venderhò quadrhi, mobili, cristallerhie, oggetti di varhia naturha, un po' di tutto insomma... Viene gente... parhliamo un poco...

Irruppe, violento, il silenzio.

***

- Lei fa venire la gente qui per parlare... - s'inserì Patonsio, che assisteva disilluso al crollo di un'idea degna e rilucente - ma che parlate? Che vi contate? Ma lei, com'è combinato? Che è... un poco ammaccato?
- Vede, mio rhubicondo amico, - ma non troppo piacque a Patò quel termine "straniero" - quando si convincono che l'affarhe è sfumato, si parhla un pò di tutto. Spesso capita anche gente simpatica. Io "vendo", come avrhete visto, soltanto ai prhivati: ai prhofessionisti no. I prhofessionisti hanno sempre frhetta... molta frhetta. Vanno di frhetta, loro. Invece i prhivati no. Capirhete bene che chi è disposto a comprhare una sculturha rhaffinata, un oggetto rhicerhcato, cerhtamente ha una cerhta disponibilità di denarho. Spesso, non semprhe, ma spesso, colorho che hanno disponibilità di denarho, hanno anche disponibilità di tempo. Qualche volta finisce prhoprhio bene... - e una smorfia d'allegria gl'illuminò un pochino lo sguardo fino allora solo mesto - e allorha ci mettiamo a giocarhe a carhte...
- Beh, - intervenne Carmine, che quasi si sentiva in colpa d'aver interrotto una specie di sogno - certo che oggi, con noi...
- Eh sì, e forhse mi sono sbagliato; crhedevo che l'antiquarhiato meccanico rihscotesse più simpatie: magarhi sarhà perh colpa della nuova tecnologia. Lo sapete che prhesto metterhanno in cirhcolazione macchine da scrhivere elettrhiche? Eh? Prhoprhio così! Io l'ho saputo da un mio nipote che studia per ingegnerhe, è verho... E insomma, dice che si prheme un tasto, e la macchina va a capo da sola, oppurhe che con un altrho tasto, mi parhe (non vorrhei sbagliare, è verho...), si cambia da minuscola a maiuscola! Capito? Di questo passo, ve lo dico io, l'uomo arriverhà (non prhendetemi perh pazzo)... arriverhà sulla luna!
Eh no? Mi saprhete dirhe, carhi amici, mi saprhete dirhe... cerhto che se ne sentono in girho, eh? Ma lasciamo la fantascienza al cinema, è verho, sapete? Il giorhno che misi l'annunzio perh un ‘Parhmigianino', ah! Quello sì che fu un giorhno di festa..! Sembrhava che fosse la mia festa! Si ballò finanche un poco... - ripiombò così, d'un tratto, in un vallo di tristezza.
Carmine sentì, per quel distinto strambo, qualcosa di simile al compatimento.
Un sentimento a mezzo tra la pena e la tenerezza, quel che avrebbe provato per un anziano parente matto, un consanguineo sfortunato, dalla follia morsicato a gran brani nell'anima, e capace ancor tuttavia di bagliori d'esasperata umanità, mentre Patonsio sembrava essere intenerito principalmente intorno le regioni epatiche dal languore provocato dall'immagine di un "parmigianino" a sua immagine e somiglianza: stagionato, piccantello e sapido - incombeva, del resto, l'ora che volge al desìo e ai masticanti intenerisce il ventre, e, si sa, unicuique suum.

***

- Inoltrhe... ne approfitto talvolta per collezionare autogrhafi... - nel dir ciò si alzò, con eleganza, e si diresse verso un secrétaire dal quale trasse fuori un pesante album rilegato in pelle. Lo guardò con orgoglio, l'accarezzò, accennò un sorriso, scivolò quindi di soppiatto tra i due convitati che cercavano spiegazione l'uno nello sguardo dell'altro, e offrì loro l'album aperto - non vorrheste firhmare qui?
- Ma che ci pare che siamo, il mago Zurlì e Richetto? - scatarrò quel Patonsio di Patò.
- In effetti, sa, noi non siamo persone famose... aggiustò Carmine.
- Ma cerhto, lo so, lo so... non dovete pensarhe a questo! Tutti possono averhe autogrhafi di perhsone più o meno famose! Io, invece, colleziono firhme, come dirhe, sconosciute, è verho... Guarhdate: Antoci Carhmelo, Porrhovecchio Giuseppe, Fiorhe Gaetano, Bombaci Giovanni, e ho perhsino un autentico Savà Pietrhino. Capite? Nessuno ha mai sentito parhlare di uno di costoro; mai nessun giorhnale s'è occupato di lorho; nessuno si interhesserhà mai di queste perhsone, sono condannati all'oblio, perh semprhe. Nessuno possiede il lorho autogrhafo... - un lampo di gioia feroce sembrò attraversargli lo sguardo mentre porgeva una penna a Carmine - nessuno lo avrhà mai! Io, è verho, io sì.
Firhmate, firhmate anche voi, prhego...
Fece, a questo punto, ingresso una donna. Non più giovanissima, ma ancora a suo modo attraente, curiosa, provvista di un certo charme, di quel certo non so che, adatto, in tempi forse da poco spirati, a far girare teste maschili e a suscitare più d'un audace pensierotto svolazzante intorno ai suoi fianchi magri, ma non privi - irrorati d'un sangue tumultuante - di una grazia carnosa.
Indossava un bizzarro cappellino guarnito da violette artificiali, un boa di piume di struzzo e lunghi guanti. Recava, inoltre, un ombrellino e una borsa fuori moda tra le mani indaffarate e nervose.
Sostò sulla soglia.
- Molte grhazie, signorhi... - Ruggiero disse recuperato ch'ebbe l'album con la firma incerta di Carmine e quella meno ancor sicura di Patonsio che adesso aveva un bel diversivo a danno del controllo della sua ferinità (e, diciamocelo pure, ad incremento dei suoi brodetti salivari) - vi prhesento... hum... la barhonessa... hem... Starhabeaux... i signorhi della macchina per scrhittura.
- Bonjour madame... - improntò Carmine, a braccio.
- Che ha detto? - chiese la signora.
- Ha detto: buon giorhno signorha. Egli parhla in frhancese.
- Oh! Ma guarda... e... sempre?
- No carha, di solito no.
- Credevo... che lei... fosse francese... - azzardò Carmine con la voce compressa dalla mortificazione, nel corpo tutto ricoperto d'un vivo color cremisi.
- Oh, beh, sì... è vero... sì... ma sono doppiata in italiano..! Caro, non gli hai detto...
- Vedi, il tempo s'è involato senza che ce ne accorhgessimo... Nevverho?
- Ah sì, sissì! - fece il nostro, cercando di ricuperare la voce e il colorito umano.
- Non vorranno comprare la macchina..?
- No carha... ti sembrhano fessi?
- Nonsi, signora, qua fessi non ce n'è. - aggiunse Patonsio che voleva dimostrare d'aver subito, dall'inizio, capito ogni cosa e il suo possibile risvolto - siamo gente che lo sa dove si dorme il lepro!
- I signorhi prhendono un altrho bicchierhino?
- No, no grazie, anzi, magari noi adesso andiamo...
- Oh, guarhda carha, è arrhivata nostrha nipote Vanessa! - (e quasi sottovoce:)
- dev'esserhe andata alla stazione ad aspettarhe il marhito...
Entrò infatti, una ragazza bella, dalla chioma foltissima, e fulva, molto foltissima, ben vestita, fresca, gaia e con movimenti allegri e decisi si diresse al telefono e, dopo aver fatto girare cinque volte il disco con un ditino da mandar bacini sulla punta, spiegò alla cornetta, sorridendo deliziosamente, tante cose di piccolo conto. Comunque, da innamorarsene! Poi, mostrando - (o simulando?) - sorpresa:
- Ma voi eravate qui? Baroneeessa, come va? Siamo proprio uno splendore oggi!
- Una meraviglia, piccola.
- E il suo castello in Normandia?
- Mah! Che vuoi fare... Sempre infestato dai fantasmi...
- Ma non c'era... mi pare... una specie di polverina per eliminarli?
- Si... però si è rivelata più dannosa per i vivi... abbiamo avuto parecchie perdite fra la servitù... naturalmente, i fantasmi, quelli sono aumentati...
- Zio Ruggiero! Come stai..? Ti trovo benissimo! E questi signori..? Li conosco?
- No tesorho, sono frheschi di giorhnata...
- E rimangono a pranzo?
- No, no, per carità... - disse Carmine quasi scusandosi, pressoché commosso dalla presenza di tanta pregevole femminilità palpitante sotto uno stesso tetto. Patonsio invece subì, sentendo il cortese rifiuto, l'aggressione di qualcosa simile ad una ischemia cerebrale. Avresti detto gli sorgesse dal capo un fungo madreperlaceo di denso vapore, perché: «No!no!», avrebbe voluto gridare, «Restiamo qua! Certo che restiamo! Sissì!» per motivi lontanamente simili a quelli dell'amico.
- Ma cerhto che rhimangono... nevverho?
- A questi signori piace il risotto? - sbaronessando, e giocando leziosamente, con rapimento e strazio di Patò, con uno dei lunghi guanti (odorosi d'un profumo... aaah!), la baronessa.
- Ma veramente noi... - rigirando lo stiletto acuminato nel fianco di Patonsio, infiammato da (quel che qui fingeremo si possa chiamare) amore.
- Niente, niente... l'abbiamo capito che il riso lo gradite...
- Eppoi, il rhiso, si butta all'ultimo minuto, è verho...
- Bene! Benissimo! Prhoprhio bene! - come un sol uomo il terzetto d'originali cominciò a battere le manine, a rallegrarsi in una maniera festosa che i nostri non avrebbero saputo prevedere, a congratularsi - si sarebbe detto - l'un l'altro con sguardi complici. Improvvisarono una spontanea danza caraibica a trenino, e qui, Patonsio, appuntando gli occhi affatturati sui fianchi freschissimi di Vanessa la rossa, ch'era in coda al convoglio, dimenticò del tutto la sua avversione ai ritmi latini, ai balli, alle ginnastiche, ad ogni genere - quasi, si capisce - di attività fisiche, e già parlava con lingua di fauno erotomane l'idioma misterioso dei creoli, - in questo facilitato, in qualche modo, dalla carnagione - ancheggiava sul posto come un fiero deportato della Guadalupe e, nell'acme della lascivia, ripeté, come un autentico mulatto della Martinica, quel che da una qualche réclame di Carosello doveva aver sutto : - O-ge-o-ge-o-gie..!
Ma svanì l'incanto.
Cessarono le danze.
Il silenzio, rapidissimo, oscurò la stanza, sorprendendo Patonsio con le braccia delfinanti ancor sollevate sul testone infuocato.

***

- Tesoro, con chi parlavi al telefono? - chiese la zia baronessa.
- Oh, beh, ma... con nessuno... avevano sbagliato numero. - e uscì dalla comune, più o meno da una importante faccenda richiamata, ma con un garbo, una leggerezza (per cui le punte soltanto dei piedini eran sufficienti), uno scrollar di capo negligente (e però quella vermiglia chioma di animalessa non del tutto domestica flagellava turbinante l'aria in un tempo inverosimilmente dilatato), con un far spallucce innamorante, che Carmine ( le cervella rosolate a puntino ) dovette costringersi, per non dar troppo nell'occhio, a far rientro dall'universo parallello in cui fluttuava ammaliato e tardo di mente, col dire:
- Ma non parlava con una amica sua..? M'era sembrato che...
- La sua amica non esiste. - sospirò soyeusement la baronessa.
- Essa chiama un qualsiasi numerho e parhla, parhla...
- Dicendo al telefono tutto ciò che non vuol dirci...
- Ma che, all'istesso tempo vuole farhci saperhe...
- Che cara bambina... non ha segreti per noi...
- Ma cheffà, non rispondono dall'altro apparecchio? - tossicchiò illanguidendo Patonsio, che all'altro capo avrebbe trascorso la vita sua intera, a condizione che i telefoni fossero finti, e che la fanciulla tizianesca sedesse sulle irsute sue ginocchia ingorde.
- Rispondono sì! Poi forse pensano che si tratti di un contatto, e quando si sono stancati mettono giù...
- Eh, certo... - fecero in coro Carmine e quello stesso Patonsio di prima, che trasfigurava in mente sua ogni singolo vocabolo riferentesi a Vanessa in una delirante apoteosi di fradicia lussuria.
- Magarhi tutto questo potrhà sembrharvi strhano...
- No, no.., e perchè? Ci mancherebbe... - disse commossa la medesima voce bicefalica emanata da Carmine e dal suo cupido scudiero.
- Beh, signorhi, prhoprhio tanto norhmale norhmale... non è... vi parhe?
- Lo sapete, oddio... perchè stamattina nostra nipote è andata alla stazione?
- Ad aspettare il marito! - sempre a una voce, i due sventurati.
- E che cosa è successo? Egli è forse arrivato ?- fece la baronessa flautando.
- Non tanto... - (timorosi quasi di sbagliare la risposta).


- Perhò...
- Domani arriva!
- Ka quàle..! Alla stazione, ci va un giorhno sì e un giorhno no...
- Alla stessa ora.
- Orhmai la conoscono...
- Ma non va ad aspettare il marito? - chiese Carmine, tra il perplesso e (segretamente) lo speranzoso.
- Ah, sì. Questo sì. Bisogna pur dirlo...
- Orha son già trhe anni e otto mesi che ci va. Puntuale come una sveglia. Ah, perh questo poi...
- Quattr'anni, squasi... - disse Patonsio, che in aritmetica aveva un certo talentaccio.
- Da quando sarebbe dovuto arrivare... - canticchiò la donna.
- Ma non arrhivò mai...
- Pensò che avesse perso il treno, così ci andò il giorno dopo.
- E il giorhno apprhesso purhe...
- Come pure la settimana seguente...
- E febbrhaio, marhzo, aprhile...
- Ad agosto, poi, con tutto quel caldo... mamma mia, con tutti quei turisti...
- Una volta, dal trheno scese purhe quello della rhadio, Filogamo... mi parhe...
- E quel bell'uomo del cinematografo, come si chiama... Nazzari... no?
- Arrhivava gente di tutti i tipi...
- Oh, sì, altrochè... ne arrivavano di tutti i colori...
- Beh, cerhto, alla stazione... parhte e arrhiva tanta gente...
- Tutti, tranne suo marito...
- Ma perché - chiese Carmine compassionevole - gli era capitata qualche disgrazia?
- Ma niente... se n'è scappato con una modella a Taormina.
- Ah! Che era, pittore?
- Ma non faccia l'ingenuo... ormai i pittorhi le modelle non le usano più. Non vede che oggi sono tutti astrhattisti, è verho..?

***

Per strada, Carmine e Patò camminavano l'uno di fianco all'altro, rimuginando a testa bassa.
Non parlavano.
Ogni tanto si scambiavano qualche occhiata, gareggiando - più confusi che persuasi - a chi storcesse gli angoli della bocca più in basso, sgranando gli occhi al contempo.
Poi si stancarono le facce, con quell'esercizio scomodo, alla lunga.
- Ma cheffà, ce lo prendiamo, a un bel momento,'u cafè? - disse Patò, sazio di emozioni contrastanti.
- Ma sì, meglio... meglio è... - gli rispose Carmine con un gran sospiro, impegnandosi in un sorriso. Ma aveva il cuore gonfio.

Come una specie di tristezza.


Data invio: