I francesi, per esempio. Chiamano il mare al femminile: «la mer».

* * *

A volte, verso le sette e mezza, otto del mattino, la marea è una distesa grigia e quieta, appena increspata da file di onde leggerissime e aggraziate.
L'acqua scivola sulla battigia provocando solo un debole fruscio, e qualche cosa - nel frusciare e nel modo in cui la massa lucida si muove in superficie e poi si spande sulla prima riva - fa pensare a un grande corpo semiliquido in riposo, che a modo suo respira, pensa, sogna, vive.
Gli spostamenti pieni di cautela delle onde possono acquistare un ritmo nuovo, indefinibile, sfuggente; una cadenza languida e suadente, che sembra indurre anche il tempo a rallentare...
Volersi immergere per fare un bagno, allora, può essere fatale.

* * *

Erano da poco passate le sette e mezza del mattino e la spiaggia era deserta. Dario ammirò la grande distesa d'acqua incredibilmente quieta provando un piacevole senso di appagamento: neanche una nuvola macchiava il cielo, né vi era un alito di vento fastidioso.
Sorrise, sorpreso di essere così di buonumore, e raggiunse il margine del mare, la battigia di sabbia compatta e scura, dove raccolse con le mani un poco d'acqua fresca per bagnarsi le braccia e il viso. Si spinse avanti, quindi, camminando sopra il basso e limpido fondale.
L'acqua era bellissima, insolitamente calda e cristallina. Sotto i suoi passi cauti, la sabbia non si sollevava nemmeno dal fondale. Dario avanzò sentendo rispetto e gratitudine, per questo miracolo quotidiano.
Quando fu immerso fino alla vita si guardò con piacere intorno: il mare, sia lì vicino che fino all'orizzonte, era talmente immobile e perfetto che provò la curiosa sensazione di scivolarvi sopra solamente con il tronco, invece di passarvi attraverso; come se dalla cintola alla pianta dei piedi il corpo gli si fosse progressivamente sciolto, o meglio ancora (e l'immagine si impresse niente affatto minacciosa nella mente) come se fosse stato sezionato da un'affilatissima lama di rasoio.
Si buttò in acqua, avanzando a rana sul filo del fondale, e risalì per prendere fiato. Si immerse nuovamente a capo sotto, per fare qualche verticale sulle mani, e si divertì a mantenere l'equilibrio più a lungo che poteva. Nuotò sul dorso e fece anche il morto a galla, poi con lo sguardo cercò la boa di segnalazione della distanza minima delle barche a motore dalla riva e quando l'ebbe individuata cominciò a nuotare in quella direzione, attento a non forzare l'andatura.
Si sentiva bene. Era pienamente consapevole del proprio corpo e dei movimenti che faceva. Percepiva con chiarezza sia la resistenza che l'appoggio dati dalla superficie liquida e il giusto accordo tra l'energia delle sue bracciate e le possibilità del suo respiro. Un accordo che gli permetteva di avanzare con piacere e poco sforzo, tagliando l'acqua senza provocare spruzzi né rumore; tanto che quando arrivò alla boa rossastra continuò a nuotare tenendosi parallelo alla striscia chiara della spiaggia, che vedeva ogniqualvolta respirava verso destra.
Contò quaranta bracciate ancora, prima di fermarsi, ma avrebbe potuto anche continuare. Sulla spiaggia non si distingueva alcuna macchiolina in movimento, né vi erano imbarcazioni di qualsiasi tipo in mare. Poiché erano ancora presto e aveva desiderio di sentirsi libero, si sfilò il costume e si distese sulla schiena a riposare.
Il pezzo di stoffa trattenuto dalla mano destra, allargò le braccia a croce lasciando che l'acqua lo sorreggesse. Chiuse gli occhi e si rilassò.

* * *

Cristo, come si stava bene.
In piena sintonia col corpo e con lo spirito, davvero.
Tutte le fesserie del mondo a debita distanza.
Tutto il tempo necessario per non pensare esattamente proprio a nulla.
Si ripromise di continuare a praticare in qualche modo un po' di moto all'aria aperta anche dopo le vacanze, invece di limitarsi a frequentare la palestra. Pochi minuti di corsa leggera e senza traumi, la mattina presto, prima che cominciasse il traffico e la confusione, gli avrebbero permesso di respirare l'aria migliore. Dopodiché una veloce doccia fresca lo avrebbe preparato degnamente alla giornata.
«Ad ogni giornata», pensò, girandosi. E vide la spiaggia più distante di quanto immaginava.
A dire il vero, non era accaduto niente di particolarmente grave. Per un bravo nuotatore il mare era fin troppo calmo, per destare qualche preoccupazione. Ma a quanto pareva ci doveva essere corrente, sott'acqua, e se fosse rimasto a pancia all'aria ancora per molto, avrebbe dovuto farsi una bella sudata per ritornare sano e salvo indietro.
Rimise il costume rimproverandosi mentalmente per la propria distrazione, poi per non rischiare di stancarsi troppo presto decise di nuotare inizialmente a dorso, ma muovendo braccia e gambe simultaneamente, come a rana: un ottimo modo per distendere i muscoli delle spalle e quelli della schiena, spostandosi a ritroso. Peccato per il costume, non fastidioso ma ingombrante, che lo privava del piacere di sentirsi completamente nudo.
Fece una trentina di bracciate, contando mentalmente ed orientandosi col sole; infine si fermò a controllare quanta strada aveva fatto. Non si aspettava ciò che vide, e si sentì gelare: la distanza tra lui e la spiaggia non era diminuita affatto, anzi sembrava quasi raddoppiata.
È vero che non è facile seguire una retta rigorosa, procedendo all'indietro: quasi sempre si finisce col deviare da una parte ed allungare il tratto che si deve fare. Ma lui nuotava spesso in quella maniera, con il sole ancora basso che rappresentava un chiaro punto di riferimento, ed era assurdo che non si fosse avvicinato a riva almeno un poco... in un mare così straordinariamente quieto!
Si guardò intorno con apprensione. Dalla costa sabbiosa all'orizzonte sconfinato, tutto era piatto, vuoto, silenzioso. Il mare sembrava un'immensa vasca piena fino all'orlo, lasciata sotto il sole a intiepidire.
Improvvisamente spaventato, Dario sentì di nuovo freddo e reagì dicendo una bestemmia. Se cominciava a perder tempo e a giocare con la fantasia, allora sì che ci sarebbe stato da tremare!
Un gran respiro, contrazione dei muscoli del dorso e delle braccia. Riprese a nuotare verso terra a stile libero, dando più forza e convinzione alle bracciate. La testa fuori dell'acqua quel tanto sufficiente per succhiare un poco d'aria, a mezza bocca, ogniqualvolta il braccio destro concludeva la sua rotazione.
Braccio avanti, acqua; braccio indietro, acqua e aria. Diligentemente, con metodo: la massima concentrazione.
Eppure...
Eppure aveva l'impressione di nuotare male. Un piccolissimo ritardo delle braccia nell'assecondare l'attimo della respirazione, forse, o forse un'eccessiva oscillazione delle spalle e dei fianchi. Allora accelerò il ritmo delle bracciate, pensando di cancellare con la forza ogni impressione di incertezza o errore; poi naturalmente fu costretto a rallentare l'andatura, stanco, e a fermarsi con l'affanno quando ingoiò un po' d'acqua per errore.
Quello che vide gli tagliò del tutto il fiato, contraendogli lo stomaco per la disperazione.
Non si era avvicinato a riva neanche di un metro, nonostante la fatica spesa, nonostante tutta l'attenzione.
Alla deriva, in una enorme pozza abbandonata...
Aveva addosso il freddo della paura.

* * *

Una volta, in visita con altri amici da una ragazza che abitava vicino al mare, per fare lo spiritoso aveva fatto il bagno nelle onde gelide di aprile o maggio, prendendo un raffreddore eccezionale. Quel fatto era sembrato divertente a tutti, nella comitiva che frequentava, e insieme avevano scherzato, bevuto e riso fino a tarda sera... Poi era passato il tempo, tanto che la maggior parte delle sue serate, adesso, le trascorreva davanti a un televisore.
Immaginò sé stesso nello schermo, che nuotava nell'acqua al rallentatore. Mentre respirava con la bocca semiaperta e storta, le braccia dentro e fuori l'acqua densa e scura, aveva l'espressione ottusa e affaticata, così lontana ed estranea.
La telecamera mostrava il mare, tutto intorno, e il cielo stinto; accarezzava l'orizzonte e poi si allontanava. Finché di lui non rimaneva che una macchiolina in mezzo a una massa grigia, senza nemmeno un sottofondo musicale...
Scosse la testa e sbatté le palpebre. Non era il fotogramma di un documentario, da cancellare con il pulsante di un telecomando. Che cazzo, non lo era! Così riprese a nuotare subito, con collera e paura insieme, spingendo avanti le braccia rigide e doloranti e stordito dalle fitte all'interno delle tempie e dei polmoni. Fino a quando poté farlo, almeno; quindi si fermò di nuovo.
Respirava.
Respirava con gli occhi velati per la fatica, ma respirava.
Sognando che di colpo il mare si riempiva di bagnanti e barche in suo soccorso, e delle braccia lo adagiavano al sicuro.
Desiderava la sua stanza, riscaldata dalla luce e dal calore del primo pomeriggio. Il letto, le lenzuola. Sentire i passi di chi cammina senza fretta sotto la finestra e addormentarsi, e riposare fino al giorno dopo.
Ma era invischiato, preso in una fetta di paesaggio simile alla carta moschicida; insieme al mare, al sole, alla sabbia adagiata sul fondale.
Quando si arrese, si sdraiò col viso contro il cielo, ad aspettare che il corpo smettesse di fargli male, respirando dalla bocca amara e disgustosa.
Chiuse le palpebre per un secondo, sentendo che stava per svenire. Per un secondo solo.

* * *

Faticosamente, Dario si sforzò di allontanare il velo che gli appannava la vista e i pensieri. Stava sentendo qualche cosa farsi avanti, dietro la nebbia e il ronzare delle orecchie; più importante del respiro soffocato e delle palme fredde delle mani. Qualcosa di inatteso, di grottesco, che lo costrinse a chiedersi quanto controllo ancora conservava.
Alzò un poco il capo, mentre i sensi spergiuravano che l'acqua si insinuava e si stringeva intorno ai suoi testicoli. Aveva l'impressione di una voce femminile che ridacchiava.
Si mosse per ritornare in posizione verticale, e le sue braccia si allargarono e si chiusero con lentezza esasperante. Gli occhi velati vedevano soltanto un'acqua opaca; il cielo era solo un chiarore vago, quasi nebbioso.
Come se non gli appartenesse, sollevò un poco il braccio sinistro fuori dalla poltiglia: alcuni rivoli colarono dalle dita fino alla superficie del mare appiccicoso. Allora sollevò più in alto il braccio destro, e strisce di liquido vischioso discesero dal palmo della mano fino al gomito, per adagiarsi a loro volta sopra il... qualcosa che era diventato il mare.
Iniziò a sprofondare quando le gambe non riuscirono più a spostarsi in mezzo alla melma semitrasparente. L'unica cosa che poté fare, prima di essere inghiottito interamente, fu provare a urlare contro il cielo che non c'era, ma qualcosa lo aveva preso per i piedi, tirandolo giù con decisione.
La marea giocò con Dario a lungo, riportandolo di sopra tutte le volte che i polmoni sembravano sul punto di scoppiare. Sott'acqua, fece girare l'uomo su sé stesso, gli scompigliò i capelli, disarticolò le braccia e le gambe, penetrò e si ritrasse in briciole di istanti dalle fessure delle orecchie, del naso e dell'ano; forzò i suoi occhi fino a farli roteare in modo innaturale, rovinando le fibre muscolari di tenuta.
Due, tre volte gli concesse di riprendere fiato con lame di ossigeno rovente, poi lo trascinò con grandi bolle sotto quell'acqua torbida di nuovo. Per ultimo si dedicò soltanto alla bocca, facendo leva con forza progressiva contro le labbra e tutti i muscoli serrati.
Dario "sentiva", e fino all'ultimo tentò una forsennata, animalesca resistenza; ma la marea entrò di forza nella bocca aperta e corse subito oltre la gola.
Per un secondo il liquido discese lungo la trachea, come una brutale sonda d'ospedale. Dario si irrigidì e contorse inutilmente: il mondo esplose nel tentativo di tossire.

* * *

L'uomo riprese i sensi sulla spiaggia, tremante, dolorante, privo di vestiti. Come tanti marinai salvati dalle acque, che spesso si ubriacano fino a sentirsi male.
Nell'aria galleggiava l'eco di una voce femminile, quasi di bambina, che canticchiava una nenia giocosa e canzonatoria.


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