Dopo una notte fatta di sbarchi in Puglia, sul litorale tra Monopoli e Mola di Bari, la Guardia di Finanza aveva rintracciato un centinaio di Albanesi e kosovari e tra loro moltissimi bambini.
La giornata per la polizia era cominciata con l'inquietante avvistamento al largo di un'imbarcazione con a bordo un centinaio di persone.
L'allarme si era diffuso in tutte le capitanerie di porto del basso Adriatico e quello dello Jonio: «Un'ondata di sbarchi clandestini abbiamo avvistato al largo!»...si sentì gridare dalla guardia di finanza, «fra cui moltissimi bambini.»
Le nostre rive per migliaia di disperati rappresentano la frontiera della disperazione e speranza, della miseria e ricchezza.
Arrivano sempre dopo mezzanotte, sbucano dal buio accompagnati dai latrati dei cani.

Cercano pane e rifugio...
ma questa volta erano arrivati con la luce del sole...
L'imbarcazione scivolava silenziosa sul quel braccio di mare, breve se è misurato in miglia, ma lungo un'eternità, se misurato in paura, disperazione, speranze ed ansie.
Quanto è lunga la speranza si era detto Mirkan guardando i suoi poveri compagni di viaggio o meglio di sventura.
Più lunga della vita vissuta da lui e di tutti quanti che come lui erano ammassati su quella barca, che meglio sarebbe stato definire zatterone, mentre sballottava su onde altissime che a mano a mano diventavano sempre più minacciose.
Avevano lasciato tutto per andare verso la libertà, ma anche verso l'ignoto, si apprestavano a vivere senza progetti, senza mezzi, senza alcuna certezza e soprattutto senza il sostegno della loro famiglia, sebbene il fine ultimo, la meta agognata, l'obiettivo unico era la libertà.
Ad un tratto un rumore cupo, insistente distolse il giovane dai suoi pensieri, mettendolo in allarme.
Il rumore all'improvviso divenne un boato; cos'era: uno scoglio affiorante contro cui lo scafo aveva urtato, un'altra imbarcazione colma come la sua di clandestini, vite vendute per qualche frammento di sogno, vite comprate per una manciata di lire?
Erano vite di bambini, di donne, di uomini, nei cui occhi serpeggiavano i bagliori delle fiamme delle case bruciate, nelle cui orecchie echeggiavano ancora i colpi di fucili, di granate, il lamento della sottomissione, le inutili parole di pietà, nonché le violenze e gli stupri sulle donne.
La barca ondeggiava paurosamente, mentre il mare si gonfiava ribollendo come una pentola d'acqua posta su di una fiamma troppo forte. L'acqua nera e fredda l'avvolgeva da ogni parte, si ritirava, lasciandoli fradici, infreddoliti e scioccati per quanto si presentava davanti ai loro occhi.
Mirkan disse «sto morendo...ora affogherò in questo mare sinistro e sconosciuto e nessuno potrà salvarmi.»
Erano mesi e mesi ormai che gli scafisti, come venivano identificati i trasportatori di frodo di tutti coloro che fuggivano dalla guerra, dalla pulizia etnica o dalla miseria, abbandonavano i profughi sulle coste dell'estremo territorio dell'Italia meridionale, ultima spiaggia della loro peregrinazione, quando andava bene, o in mare, appena fossero stati avvistati dalla polizia.
Mirkan ormai aveva percepito i segni della tragedia che si stava consumando sotto gli occhi imploranti dei "clandestini", ma anche sotto gli occhi crudeli di uomini, che non esitavano a gettare in mare donne, vecchi e bambini, pur di salvarsi dalla galera e continuare così il loro turpe traffico.
Gridavano come forsennati, mentre colpivano e colpivano i poveri passeggeri di un viaggio ai limiti dell'impossibile, che si avvinghiavano gli uni agli altri e si attaccavano alle cose:le panche, i bordi della imbarcazione, inutilmente però perché quelli a calci e a colpi di bastone li ricacciavano fuori, scaraventandoli giù.

Mirkan ripensava a momenti simili, da cui credeva di essere fuggito per sempre con la fortuna che aiuta gli audaci, ma ora stava vivendo il dramma di una guerra cruenta quanto inutile, sotto un'altra bandiera, ma con lo stesso dolore, con la stessa paura di non riuscire a sopravvivere.
Intanto continuavano i rumori, si facevano sempre più concitate le voci e i gesti, mentre la barca si inclinava su un fianco, facendo scivolare nell'acqua ciò che era in bilico:cose e persone.
Ora rischiava di colare a picco.
Mirkan afferrò tra le mani due fagotti che una donna, prima di scomparire tra i flutti, gli lanciò.
Erano due bambini di pochi mesi, che dormivano, ignari di quanto stava succedendo intorno a loro.
Mirkan riuscì a guardarli:erano belli e innocenti,. Li strinse al cuore, come a voler afferrare e tenere la vita per loro, ma anche per se stesso.
Eccolo qual era il suo viaggio, il suo primo viaggio nella la tempesta solo senza famiglia senza soldi, senza documenti e con due fagottini tra le braccia.

La situazione era disperata, sulla barca ormai c'erano pochissime persone, oltre ai due scafisti, quando il motoscafo della guardia costiera con cui erano entrati in collisione pochi minuti prima, agganciò la barca degli invisibili, lo scafo maledetto degli scampati alla morte.
Una voce ruppe i suoi pensieri;qualcuno in una lingua che a malapena capiva in quel frastuono gli stava dicendo qualcosa ma Mirkan non capiva cosa volesse quel militare.
Pose l'orecchio e intuì che gli diceva di lasciare i due bambini che quasi selvaggiamente stringeva al petto e di saltare sul gommone di salvataggio e che lo avrebbe condotto sulla terraferma.
Capì che era finalmente salvo, gli sembrava un miracolo.
Pochi attimi ancora e sarebbe stato libero.
Due militari avevano puntato le armi contro gli scafisti, mentre un terzo li ammanettava.
Avevano ricevuto la giusta ricompensa, per aver gettato in mare persone ancora viva.
Poi si lanciò nella vedetta della polizia che partì veloce, allontanandosi in un baleno dal relitto che si inabissava, mentre intorno il silenzio copriva vergogne, responsabilità, ma anche il sacrificio estremo di uomini dignitosi.
Arrivati a terra, sbarcarono e furono accolti da una moltitudine di persone premurose e disponibili che li sistemarono in un edificio improvvisato, ma confortevole.
Un uomo in divisa, con molte stellette, certamente un ufficiale gli chiese nella sua lingua, ben parlata: «Da dove vieni?»
Mirkan rispose, guardandolo dritto negli occhi: «Dall'inferno!»
Nessuno, dopo quella risposta osò chiedergli dove volesse andare, perché si capiva che qualunque luogo sarebbe stato migliore del suo inferno.

La speranza

Speranze
         Immagini di vita
spariscono nel nulla,
come uccelli
tristi e creduli
volano
verso terre migliori,
lasciando solo una scia
di ricordi,
un nido vuoto,
un cuore arido
        e illuso.

La speranza
echeggia
come un 'eco
davanti alla porta
delle sensazioni
con vibrazioni
a volte dolci e
confortevoli,
a volte mute
e senza suono.
Come un battito
di fremito
si perdono
nell' ansia
che esplode
nell'attesa.

       Credulo
calmante
che non
si arrende
ad un male
avverso
e si lega
sempre più
a quella idea gradita
        male ostile
                    bene incline

Hopes
Images of life
they vanish into the void
like birds
sad and credulous
that fly
toward better ground,
leaving only a wake
of memories,
a vacant nest,
an arid heart
and deluded.

Hope
resounds
like an echo
in front of the door
of feelings
with vibrations
at times sweet and
comforting,
at times mute
and without sound.
Like a pulsation
of shudders
it gets lost
in the anxiety
that explodes
in the waiting
gullible
calming
that does not
surrender
to an adverse
evil
and it is tied
more and more
to that pleasant
idea that
         hostile evil
                good inclined


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