Odiava i medici, e odiava le loro cure.
Trovava spaventoso e freddo e incomprensibile subire visite umilianti, e anche dover mandare giù pillole colorate ruvide e liquidi disgustosi.
I numeri erano tre, sei e nove: "tortura".
Il medico con il camice bianco disse: «E mi raccomando, signora: delle piccole passeggiate, con molta calma, all'aria aperta. Faranno bene pure a lei.» Guardava la signora con aria piena di pazienza e lei lo ascoltava con gli occhi lucidi di riconoscenza.
I numeri erano quattro, nove e due: "quaglia" monotona e lagnosa.
«Grazie, dottore», disse la donna con tono lamentoso e insopportabile. «Speriamo che sia così.»
Stupida. È solo un maledetto medico, pensò il signor Balducci, con disprezzo.
I numeri stavolta erano sei, uno e cinque: "noia".
«Su, su, signora. Vedrà che le cose andranno meglio. Ho visto dei cambiamenti incoraggianti.»
Sette, tre, otto. Somma diciotto, totale nove. Lettera "i", "imbecille", concluse il signor Balducci, col calcolo mentale. Per questo disse «Nove», con l'intenzione di insultare il medico, ma l'espressione dell'uomo di medicina non cambiò.
«Allora, ci rivedremo il 20 giugno, dottore», sussurrò la moglie di Balducci, con soggezione.
Il maledetto medico sorrise. «Il 20 giugno o in qualunque momento mi vuole consultare, se ha dei dubbi. Mi può chiamare quando vuole lei.»
I numeri erano otto, sei e uno: "quattrini". Il medico ne era saturo, come la pelle di lampada solare.
La donna si tirò su dalla sedia con calma faticosa. «Andiamo, Stefano. Possiamo ritornare a casa», disse, scatenando all'interno della calotta cranica di Balducci il panico e le confusione.
Aaaah... Una terribile variazione della condizione di stallo e sicurezza, così vanamente acquisita...
I numeri erano nove, otto e quattro: "zavorra" da trasportare. I movimenti spazio temporali erano l'alzarsi in piedi, inquadrare il riquadro porta per uscire, controllare l'appoggio del piede destro e la torsione del sinistro, con l'ansia che incombeva.
«Arrivederci, signor Balducci; arrivederci, signora», la voce del medico nemico.
«Arrivederci, dottore. E grazie di tutto», la voce di sua moglie stupida lagnosa.
L'appoggio sul pavimento non era sicuro neanche un poco e lo scorrimento sulle piastrelle ruvide era completamente da valutare.
Aaaah... Sentirsi addosso lo sguardo di compassione e di disprezzo di questa gente lurida. Comunque la porta era superata ed ora incombeva la distesa sconfinata del corridoio.
Riacquisizione dei dati di orientamento e nuovi numeri di gestione. Uno, due, quattro: "gabbia". Doveva andarsene da lì.
La donna si sistemò a sinistra del signor Balducci e con il braccio destro gli diede il suo sostegno. «Andiamo, caro. Appoggiati bene a me.»
Due, quattro, otto... tre, sette, due...
Intorno a Balducci si scatenavano e si sovrapponevano tutti i possibili pericoli e tutte le possibile paure. Ci sarebbe voluta molta forza e anche moltissima fortuna.

***

Lentamente ma caparbiamente, la coppia sbilenca superò corridoio dopo corridoio, fino all'apertura dell'ascensore.
Il binario della porta elettrica, scavato nel pavimento, ipnotizzava e intimoriva allo stesso tempo la mente fragile del signor Balducci.
I nuovi numeri erano uno, due, cinque: "h". Nessuna parola poteva definire adeguatamente quella ferita lucida nel pavimento.
Come ogni avvallamento, pendenza o incavo del terreno, il taglio nella superficie che stava percorrendo costituiva un'insidia ed un pericolo mortale. La mente di Balducci vedeva chiaramente il suo piede incastrato nella scanalatura e la caviglia torcersi fino a spezzarsi. Balducci aveva bisogno di un pavimento perfettamente liscio: ogni tranello od ogni ostacolo poteva farlo cadere in terra a faccia avanti.
La voce di sua moglie disse: «Coraggio, caro; prova a sollevare un poco il piede», ma come tante altre volte, la paura impediva a Balducci di collaborare.
Cinque, zero, zero... Sei, due, cinque... Sette, cinque, zero. Variazione continua delle coordinate di postura; pericolo e fatica. La punta del piede destro piegava troppo all'interno e la gamba non si fletteva.
Non era nemmeno necessario che il piede si incastrasse nel binario per davvero: bastava la paura che avvenisse, perché Balducci finisse nel pallone.
«Coraggio, Stefano... Ti prego», piagnucolava la voce di sua moglie.
Stupida lagnosa odiosa femmina.
Pungolato da un istante di cattiveria e di irritazione, il signor Balducci alzò quanto bastava il piede sinistro, superando la linea Maginot.
«Bene», sbuffò sua moglie, approfittandone per spostare di peso anche l'altro piede.
Mentre l'ascensore scendeva dal secondo piano al piano terra, il signor Balducci elaborò otto, sette, cinque e infine uno, zero, zero. "Ah" di sollievo.

***

Uno, zero, zero è un numero bellissimo. È la bellezza pura. La buona perfezione.
Mancava solo il vasto salone dell'ingresso della clinica. La mente barcollava, però, di fronte a tanto spazio vuoto in ogni luogo. I punti di riferimento erano così lontani...
Il signor Balducci respirò rumorosamente e con fatica. Le porte trasparenti che permettevano di uscire dall'edificio sembravano diventare piccole come figurine.
«Ti senti bene, caro? Non ti devi preoccupare, sono soltanto pochi passi.»
Passi. Ricominciamo. Uno, due, sei: "insistere".
Passi. Due, cinque, zero: "gradualmente".
Con sofferta fatica, piano piano. Almeno su una superficie liscia e senza increspatura.
Tre, sette, cinque: "qualità" e "quantità" dello sforzo. Altri passetti. Con la signora Balducci a fare da puntello generoso.
Il cuore accelerò di colpo, una volta fuori, nello spazio aperto e luminoso. La gente camminava troppo svelta.
Uno di loro si era voltato verso di lui!
La punta del piede destro si incastrò su un dislivello del marciapiede e tutta la gamba e la struttura di Balducci si piegò di lato.
Aaah... Perché sua moglie lo costringeva a fare questo? Perché lo odiava?
«Ecco il tassì, Stefano. Coraggio. Sono soltanto pochi passi. Devi soltanto camminare un altro poco.»
Sopra, dal medico, prima di uscire dallo studio e andare via, la moglie di Balducci aveva chiesto alla segretaria del dottor Silvestri di chiamare un taxi, per cortesia.
Ora il conducente di quel taxi, che era già sceso dalla vettura, chiese alla donna in difficoltà: «Le serve una mano, signora?»
«Mi basta che mi apra lo sportello, per favore. Mio marito non si sente bene.»
Uno, due, sette! Uno, due, sette! Ripeteva la mente di Balducci, intanto, aggrappandosi all'inizio di una nuova serie di numeri di spiegazione. Uno, due, sette poteva significare "lotta" per non cadere, dall'esito quindi incerto. Avrebbe potuto schiantarsi con il marciapiede, oppure riuscire a rimanere in piedi...
Il conducente del taxi aprì lo sportello posteriore destro, ma afferrò anche con forti braccia il corpo del signor Balducci, aiutando la moglie a farlo salire nella vettura.
Uno, due, sette: come il "lampeggiare" improvviso di un monile che il tassista portava legato al collo. Colpì l'attenzione di Balducci, che per un istante si dimenticò delle sue paure. Il monile rappresentava un leone stilizzato. Un "leone": uno, due, sette, "elle". Al che il signor Balducci sentì "lenire" le sue pene e i dolori persistenti, e si lasciò poggiare senza fare storie sopra il sedile posteriore del tassì.
Uno, due, sette: "elle". "Lampeggiare", "leone", "lenire" e ancora prima "lotta" lo facevano sentire in stato di grazia. Gli piaceva indugiare "molto", su quei sedili "morbidi", intorno a quel numero fatale.
Dov'era l'"elle" ancora? La macchina che l'ospitava era "linda", e aveva anche qualcosa che faceva pensare ad un "lusso" moderato.
Il conducente si rivolse alla signora Balducci, con voce calma ed educata. «Dove dobbiamo andare, signora?»
«In via Giasmini 12, per favore. È una parallela di viale Ornetti.»
Il signor Balducci osservò il conducente, pieno di curiosità.
«Va bene», disse il tassista, allungando il braccio destro per toccare un apparecchio sul cruscotto.
Balducci si allungò in avanti, per vedere meglio, e notò lo stemma della casa automobilistica, in bella vista. Lo stemma della "Lancia": "elle".
«Uno, due, sette!», disse Balducci, intendendo dire "Lancia", e il tassista lo guardò con curiosità benevola dallo specchietto retrovisore.
«Non ci faccia caso», disse la moglie di Balducci, notando i movimenti del tassista. «Mio marito non si sente bene.»
Stupida femmina che non capisce niente.
«Uno, due, sette!», ripeté il signor Balducci, con maggiore foga.
«È che ha una passione per i numeri...», si giustificò la signora, sentendosi come sempre in imbarazzo.
Il conducente volle esserle d'aiuto, sorridendole con simpatia. «I numeri, eh? Anche a me mi piacciono certi numeri. Magari uscissero fuori i numeri che piacciono a me!»
I numeri gli piacevano! Quell'uomo, dunque, lo capiva...
Con una passione insolita, Balducci ripeté «Uno, due, sette!» ancora.
«Stefano, stai buono adesso, per favore», si preoccupò di dire sua moglie, ansiosa.
«No, no. Lo lasci dire, signora. Uno, due e sette sono dei buoni numeri. Ci potrebbe scappare un bel terno secco.»
Balducci gongolò, felice. Si sentiva davvero "lieto", ora, e cercava intorno a sé altri segnali rassicuranti sul numero fatato.
Uno, due, sette! Uno, due, sette! Si ripeteva, eccitato e "lieto". Desiderava con tutto il cuore una prova tangibile e clamorosa, per fare contento il conducente amico e per fare contento il proprio spirito ferito.
«Eh sì, ci potrebbe scappare davvero un bel terno secco. Guardate un po', proprio davanti a noi: quel tizio ha ripitturato la sua 127 colore d'oro», disse il tassista indicando una piccola vettura che li precedeva. «Colore d'oro, colore di quattrini. Era parecchio che non vedevo in giro una 127 prima serie, e questo qui l'ha risistemata proprio bene.»
La Lancia si affiancò alla 127 approfittando di un tratto di strada che lo permetteva. Con buonumore il tassista fece "perepé-pe-pé!" col clacson, per salutare il conducente dell'automobile dorata.
«Uno, due, sette», ripeté Balducci, affascinato.
«Uno, due, sette sì! Fiat 127», confermò il tassista, sorridendo. «Parola di Luigi, stasera ci gioco su una bella schedina!»
Balducci fu come folgorato. Luigi! Il suo amico si chiama Luigi, con la "elle"!
Si tirò in avanti per afferrargli il braccio, col desiderio di parlargli.
«Ehi!», esclamò il tassista, preso alla sprovvista, e la moglie di Balducci disse «Stefano!», allarmata.
Fu allora che lo sguardo del signor Balducci andò all'orologio al polso del tassista. Un grosso orologio di metallo, con le cifre luminose al posto delle lancette.
Il cuore del signor Balducci accelerò di colpo, notando che segnava l'una e ventisette. Ancora gli stessi numeri: «Uno, due, sette!», ripeté.
«Ma che cosa fa? Molla la camicia!» protestò il tassista, passando dal lei al tu e tirando il braccio verso sé per liberarsi. Balducci però si era artigliato al pezzo di stoffa con tutte e due le mani.
«Stefano, lascia!», gridò sua moglie prendendogli gli avambracci tra le mani. Balducci la guardò, offeso e disperato, stringendo con più forza la camicia del suo solo amico. Ormai era come se la stoffa e le sue mani magre fossero saldate dalla paura. Non voleva che glielo portassero via!
Qualcuno suonò col clacson e al conducente del tassì scappò un «E che cazzo!» di rabbia e di esasperazione. Strattonò più forte, frenando bruscamente, e la macchina che stava dietro li tamponò.
«E che cazzo, merda!», esclamò il tassista, riuscendo a liberarsi. La libertà che aveva ritrovato veniva però cancellata dal danno che aveva subito la sua vettura.
«Ah!», gridò la moglie di Balducci, sentendo l'urto del tamponamento. I sette anni di assistenza a suo marito, che andava sempre peggiorando, le stavano per procurare un crollo dei nervi stanchi, e l'urlo era stato così breve e secco perché aveva voglia di piangere senza interruzione.
L'unico che non parlò e che non disse nulla era il signor Balducci, il quale per un attimo si immobilizzò.
L'uno, due, sette non era affatto un numero positivo, e il conducente non era affatto un buon amico. Sua moglie, poi, lo aveva afferrato con cattiveria, facendogli male ai polsi. E il conducente lo aveva guardato con occhi da assassino...
Mi vogliono tenere in questa macchina perché il maledetto medico é d'accordo con loro due, pensò Balducci, con un confuso sospetto di rapimento nei suoi confronti. Forse lo volevano portare in un'altra clinica prigione, e sua moglie ed il conducente erano d'accordo col dottor Silvestri, che gli aveva sorriso in quel modo strano.
«Porca troia, chissà che danno che mi ha fatto!», disse il tassista irato, aprendo lo sportello per andare a controllare, e il signor Balducci si convinse di essere in pericolo, perché quell'uomo era grosso e forte, e aveva detto "guarda che danno che mi hai fatto!", rivolto chiaramente a lui.
«Aaah!», si lamentò Balducci, provando a cercare la maniglia del suo sportello. Sua moglie, che si sentiva strana e aveva bisogno d'aria, aveva già aperto il suo sportello ed stava scendendo dalla vettura.
Uscire, uscire! Ripeteva la mente di Balducci, presa dal nuovo pensiero fisso. Lo sportello si aprì, finalmente, ma tirarsi fuori dal tassì era un'impresa sovrumana.
Il tassista e un giovanotto, che li aveva appena tamponati, erano molto intenti a controllare i danni presenti su un'utilitaria.
Uscire, uscire! Balducci si sentì improvvisamente pervaso da una forza inaspettata. Pensò addirittura a Dio, mentre trovava la forza di tirarsi su.
Era guarito! Pensò, del tutto assurdamente. La verità piuttosto era che l'adrenalina prodotta dalla paura gli stava dando una sostanziosa mano e il caso invece, da parte sua, aveva fatto sì che le coordinate spazio temporale del suo corpo e l'appoggio trovato in un particolare punto del profilo dello sportello aperto gli permettessero di concentrare l'energia nervosa esattamente dove gli serviva.
Era in piedi, alla fine; completamente autonomo e ignorato.
Sorrise, orgogliosamente, e vacillò.
Finito l'incanto e finite le energie, mentre i clacson delle macchine bloccate dal tamponamento suonavano così forte da assordare.
Si era bloccato tutto, e chi era un po' più indietro non capiva.
Un ragazzo con la moto, spazientito, si fece largo nel poco spazio disponibile e dette una sgassata vigorosa. Balducci aveva scelto quel preciso istante, per cadere di lato verso il suolo.
La moto colpì l'ostacolo violentemente, e Balducci colpito sussultò.
È incredibile come sfuggano tante cose, assistendo in diretta ad un incidente. A qualcuno parve che il corpo di Balducci si spezzasse, ad altri invece che rimbalzò. Altri ancora erano convinti che la moto gli passasse sopra, come a un fagotto; parecchi altri notarono solamente il volo del motociclista, che venne proiettato in alto e quindi scivolò sull'asfalto per diversi metri.
Bum, brutta botta, pensarono comunque tutti quanti, trattenendo il respiro e sentendo l'impatto dentro di sé.

***

Balducci si fece molto male. Per questo venne ricoverato all'ospedale e dentro l'ospedale peggiorò.
La moglie soffrì, ma qualche settimana dopo fu finalmente libera. I sette anni di assistenza a suo marito avevano bisogno di essere cancellati, in qualche modo.
Il tassista, Luigi, si prese uno spavento forte ed ebbe anche dei sensi colpi vaghi. Vedere investito un suo cliente, col quale aveva in un certo senso litigato, gli fece davvero molta impressione.
Comunque era uno scommettitore e giocò l'uno, il due e il sette al lotto sotto casa, con segrete speranze di successo; pur tuttavia il terno secco sulla ruota di Roma non uscì.
I numeri vanno giocati tre volte almeno, pensò, cercando di rincuorarsi, ma anche la seconda volta il terno non uscì.
La terza volta che passò davanti alla ricevitoria era demoralizzato: altri 50 euro volevano dire 150 euro in tutto. Centocinquanta euro di perdita complessiva.
Che cazzo, si vive una volta sola, si disse, con impeto virile. E poi lo doveva a quel poveraccio, pensò con l'imbarazzo di chi si sente in colpa. Era così fissato con i numeri, quel disgraziato: quel 127 lo ossessionava.
Insomma, un po' per cupidigia e un po' per senso di giustizia Luigi giocò anche la terza volta e vinse.
Se proprio vogliamo esagerare, giocò la schedina il primo febbraio del 2007. O il giorno 01/02/07, se preferite.


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