Sedeva sempre allo stesso posto, sulla banchina in riva al mare, tutto intento a gettare la sua lenza quanto più lontano poteva e a ritirarla appena la sentiva un po' pesante, convinto che un cefalo, una donzella, uno sgombro o un pesce qualsiasi avrebbero potuto abboccare alla sua misera esca: un verme, una mosca e perfino una mollica di pane.
Trascorreva tutto il tempo in quel posto, anche perché alla sua età ormai non aveva molto da fare.
Si era fatto una promessa: prima di morire avrebbe preso assolutamente il suo pesce e magari proprio in quel posto, là dove tutti dicevano che era impossibile trovare neppure l'ombra di un pesce.
I ragazzi correvano a frotte in riva al mare, soprattutto nell'estate per vedere quel pescatore accanito e un po' bonariamente ed anche in maniera birbonesca lo insultavano chiamandolo "Cilluzzo del merluzzo". Il suo nome era Francesco, ma nel posto dove era nato e vissuto lo chiamavano Cilluzzo, per quel ciuffetto di colore rossiccio, che gli cascava sulla fronte.
Poi divenne Cilluzzo del merluzzo, perché per molti anni era stato commesso in una pescheria, giù alla marina. Non si era sposato, perché non avrebbe potuto mantenere la famiglia col suo magro salario. Aveva un carattere tranquillo, un po' umorista e un po' poeta, soprattutto nei riguardi del pesce, di cui descriveva freschezza, bellezza e bontà, in rima.
Inventava storie, raccontava barzellette che erano diventate popolari dappertutto.Una volta, fra le risate generali, a un polpo, che non voleva morire e si era avvinghiato al suo braccio, disse:"Mi dispiace, la tua vita per il mio braccio, che mi serve per lavorare, mentre tu ormai dipendi da me". E con un colpo secco gli tagliò il tentacolo. Ad un asino, che era bastonato dal padrone, perché non voleva camminare, disse: "Non fare il mulo, corri come un cavallo e lascia indietro quest' asino di padrone". Il suo sogno era pescare dei merluzzi di tre o quattro chili, per dare una motivazione vera al soprannome! pescatori, che tornavano con le barche colme di pesci, lo avevano convinto ad avventurarsi nel mare aperto. I ragazzi lo insultavano, cantando: "Cilluzzo del merluzzo al mare pesca bcucuzze (zucchine) e resta all'asciutto". Per questo doveva fare qualcosa di straordinario e prese la decisione più seria della sua vita: affittò una barca, la riempì di tutto l'occorrente per restare in mare alcuni giorni e una mattina di buon' ora "salpò" dal piccolo porto, verso il mare. All' età di ottant'anni, solo, nel grande mare, un punto all' orizzonte, si apprestava a vivere la sua bella avventura. Armò le lenze e le gettò tutte intorno alla barca, correndo ora dall'una ora dall'altra parte della sua barca e le tirava un po' su a turno ritmato dallo sciabordio delle onde, per controllarne il peso. E cominciarono ad abboccare tanti, scintillanti e guizzanti, di ogni tipo e di ogni grandezza. Sembrava che tutti i pesci dei mari fossero convenuti in quel punto, solo per lui. Intanto giungevano gli spettatori: creature meravigliose, che come bambini, facevano festa con capriole, tuffi vertiginosi, spettacolari acrobazie, riempiendo quel magico silenzio con i loro versi festosi e intelligibili. Cilluzzo era tanto felice che non pensava al ritorno, anzi avrebbe voluto morire là, cullato dalle onde, accarezzato dalla brezza marina e allietato dal canto di quelle creature forse più generose degli uomini, dolcemente si addormentò. Dalla sua segreta partenza erano già trascorsi molti giorni, per cui il proprietario della barca avvisò la guardia costiera, che subito uscì in perlustrazione. La gente si era riversata sulla riva e preoccupata scrutava il mare, sperando di avvistare Cilluzzo.
Un ragazzetto gridò: "Arrivano, c'è la barca di Cilluzzo". Tutti tirarono un sospiro di sollievo e i ragazzi battevano le mani. La motovedetta si avvicinava e dietro si intravedeva la barca di Cilluzzo, seguita da altre cose non ben definite. Sembrava la processione della Madonna del mare. Entrarono nel porto e ... meraviglia di tutti, quelle strane cose erano delfini, che con salti altissimi, evoluzioni, tuffi e riaffiori ripresero il largo, dopo aver scortato Cilluzzo nel porto. La barca, irata a secco, mostrò il ricco bottino: grossi pesci in quantità e soprattutto merluzzi. Cilluzzo però non si vedeva ritto a prora, come sarebbe stato logico e ciò mise in allarme la popolazione. Si sentivano i bisbiglii, si avvertiva la paura negli sguardi che taciti si interrogavano sull' accaduto. Due marinai rimossero da sotto i merluzzi il corpo senza vita di Cilluzzo.
Cosa era accaduto? La domanda passava di bocca in bocca e la gente piangeva per una persona, verso cui fino a qualche giorno prima aveva mostrato indifferenza o tutt'al più curiosità. Soltanto i delfini sapevano come se n'era andato il vecchio pescatore, che aveva realizzato il suo sogno. E quelle meravigliose creature avevano contribuito, senza nulla in cambio, alla felicità di Cilluzzo, offrendogli lo spettacolo più bello della sua vita e, salutandolo a modo loro, lo affidarono ai suoi simili, nella speranza (penso io) che gli uomini possano imparare anche dagli animali.
Cilluzzo venne accolto da tutti come un eroe, grazie alla sua impresa, all'amicizia con i delfini, ma soprattutto perché tornava da morto. Tra gli applausi degli astanti, il vecchio pescatore, ribattezzato "Cilluzzo dei merluzzi", portato a spalle dai ragazzi, fece la sua ultima apparizione sulla banchina in riva al mare. "Mi sono divertito tanto nel vedere i miei compaesani preoccuparsi per me ora che sono morto e non m'importa più niente, mentre mi ignoravano e mi insultavano quando ero in vita e potevo dare loro l'amore. Bisogna morire per avere il rispetto e la considerazione?"
Così Francesco, detto Cilluzzo dei merluzzi, avrebbe detto se qualcuno fosse stato capace di ascoltare, invece affidò al cielo le sue ultime riflessioni.


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