Il Segreto era entrato assai presto nei suoi pensieri e subito n'era stato affascinato e conquistato insieme. Il gomitolo da dipanare, che gli era capitato in mano, l'aveva condotto, e ancora lo portava, nei luoghi più impensati, lontano dalle solite strade, battute da coloro che temono difficoltà e solitudine e che, pur di sentirsi al sicuro, accettano di abbassare il capo e di assentire sempre e con tutti, quando invece un rifiuto sarebbe più proficuo al loro spirito. Se qualcuno gli domandava di quale segreto mai si trattasse, non si degnava di rispondere: chi non ne intuiva neppure l'esistenza sarebbe stato incapace di capire anche solo superficialmente l'importanza di quello che lo costringeva al suo girovagare inquieto.
La ricerca lo aveva portato nei luoghi più lontani.
Aveva imparato a respirare il vento secco del deserto, accoccolato davanti alla tenda beduina, circondato da uomini avvolti negli scuri mantelli blu, e riconosceva lo stesso vento, anche se freddo, quando spazzava i deserti gelidi dell'Asia Centrale, mentre cammelli villosi si allontanavano lungo la striscia dell'orizzonte con lo stesso passo dondolante ed indolenti dei loro fratelli meridionali.
Aveva nuotato nel sacro fiume, insieme ai credenti che si purificavano nel fluire delle onde fangose, e si era ubriacato con le acque profane di cascate, sacre a Dei e a Ninfe gaudenti.
Aveva scalato il monte più alto, che l'aveva avvicinato alla profondità del Cielo, dove santi monaci, rivestendolo con il mistico arancione, gli avevano insegnato i novantanove nomi di Dio...
Pochi luoghi gli erano sconosciuti, pochi popoli sentiva davvero estranei, anche se ancora il Segreto non gli si era svelato. Ricordava ogni tanto anche altri luoghi, o forse gli stessi, ma in altri tempi, tempi tanto lontani da non costituire nemmeno più la memoria per gli altri, ma che esistevano fortemente nella sua mente.
Un lampo in una notte d'estate, così era stato l'improvviso rendersi conto che da sempre la sua ricerca si sviluppava, addentrandosi nel labirinto che gli si apriva davanti. La prima volta che aveva saputo con chiara certezza che esisteva il Segreto n'era rimasto sconvolto: rammentava perfettamente com'erano andate le cose. Era piccolo, un bambino ancora, quando s'era scoperto ad osservare la terra con attenzione superiore a quello di coetanei e di adulti. Era tanto assorto in questo che all'inizio non aveva sentito bene, poi lentamente aveva udito un sussurro che cresceva d'intensità fino a divenire una voce potente: la Terra lo chiamò e lui rispose, prima come poteva farlo un bambino, poi con maggiore consapevolezza. La Terra gli parlò e gli raccontò tutte le storie che si erano avvicendate sulla sua superficie. Le storie che aveva imparato ad ascoltare non le sentivano gli altri e questo era in parte un bene in parte una disgrazia, infatti, da un lato gli permetteva di isolarsi senza sentirsi solo, dall'altro alle sue spalle chiacchiere sciocche e cattive lo indicavano come visionario, uno che parlava al vento e che ascoltava i vermi della terra. Ignoravano d'essere molto più vicini al vero di quanto non supponessero: non al vento, ma col Vento, che da luoghi lontani gli portava la voce d'uomini che forse esistevano, che forse se n'erano già andati lontano e che nessuno ricordava più, o che ancora non esistevano veramente. E non coi vermi che abitano in superficie, ma con la Terra stessa, che rinserrava nel suo più antico cuore i segreti sussurrati dagli uomini, i loro desideri, le speranze. Gli uomini morivano, tornando nel suo grembo accogliente, ma tutto il loro spirito la impregnava, fino a quando qualcuno non ascoltava e capiva che tutto questo celava il Segreto.
All'inizio credette che questo si nascondesse nei cristalli di quarzo, che affioravano alla superficie della Terra. Passava il tempo a scrutare il cuore segreto delle pietre, cercando che i raggi del Sole l'attraversassero, suscitando bagliori improvvisi, forti e decisi, com'è appunto la forza del Sole Meridiano, ma dalle pietre non sgorgava nessuna spiegazione che sollevasse il mistero che l'affascinava. Decise che il Segreto era nascosto nell'Acqua, per cui si distese per ore lungo le prode di diversi ruscelli di montagna, cercando tra gli schizzi che l'Acqua lanciava ovunque, mentre scendeva saltellando di pietra in pietra. Ma quegli schizzi riflettevano, scomponendola, la luce, creavano curiosi piccoli arcobaleni magici, ma non sembrava sapessero rivelare nessuna traccia del Segreto. Allora pensò che fosse meglio l'Acqua del mare e camminò fino a raggiungere una spiaggia bianca e deserta. Volle aspettare la notte, perché la luce della Luna, più morbida e femminile, sapesse meglio accarezzare la superficie del Mare, convincendolo a rivelare il Segreto, se mai l'avesse trattenuto, racchiuso nei suoi abissi. Ma anche questo tentativo non ottenne lo scopo: il Segreto era ben conservato. Già era cosa mirabile che gli avesse permesso di cogliere la sua esistenza, ma svelarsi senza ricerca non era possibile, era il Segreto più importante di tutti e il meglio conservato al Mondo.
Prestava attenzione alle parole del Vento che, come a pochi succede, sapeva ascoltare e di cui riconosceva le parole nascoste, eppure anche il Vento trasportava solo briciole frammentarie del Segreto, parti infinitamente sottili, niente che gli servisse a ricomporlo per farne parte. Così attraversava il Tempo che gli era dato, spinto dalla passione della ricerca che non aveva fine.
Un giorno s'era accampato nel deserto, al riparo di una parete rocciosa su cui uomini di un lontano passato avevano inciso animali e cacciatori, per tramandare ai posteri il mondo che li circondava, o forse solo per il proprio piacere. Aveva scelto quel luogo perché una piccola tribù di nomadi aveva eletto lo stesso luogo ad abitazione momentanea. Non è bene essere soli nel deserto, è grande e forte e ci si può perdere senza neppure rendersene conto. La compagnia silenziosa di quella gente era in parte assicurazione che la mattina seguente ancora si sarebbe svegliato, pronto per ricominciare.
Accoccolata davanti al fuoco saltellante una vecchia lo guardava fisso, tra le mani teneva un bastoncino sottile, preso da chissà quale misterioso arbusto. La sua faccia rugosa sembrava scolpita nella roccia, ma gli occhi, neri e vivi, non avevano età, erano occhi che molto avevano visto, ma che molto più pensavano o sapevano di dover vedere. Sembrava una regina, il suo velo nero le incorniciava il volto, senza nasconderlo, mentre un complicato monile d'argento scendeva dal capo al petto in una cascata tintinnante di monete e d'arcaici amuleti. Gli fece un lieve cenno: gli uomini l'avevano accolto nel loro accampamento, pur se si erano limitati a parlarsi a gesti, non conoscendo gli uni il linguaggio dell'altro e viceversa, ma poi, ancora troppo occupati ad accudire ai loro cammelli, mentre le donne sistemavano le tende e cuocevano il cibo, l'avevano lasciato in disparte, in attesa di un momento migliore per dimostrargli l'accoglienza. S'alzò per seguirla e lei lo precedette, camminandogli davanti come una regina, mentre le monete d'argento dei suoi ornamenti tintinnavano ad ogni passo. Su un lato della grande parete di roccia che costituiva un limite dell'accampamento, si apriva un anfratto seminascosto da alcuni cespugli riarsi e spinosi. La donna allungò le mani rinsecchite e scostò i rami, l'uomo le dette una mano e all'improvviso davanti ai loro occhi si rivelò uno spazio liscio della pietra, su cui spiccava un segno inciso dagli antichi frequentatori dei luoghi. La vecchia indicò insistentemente all'uomo quell'incisione, sembrava che volesse convincerlo ad imprimerselo nella mente, così lui guardò più attentamente. Si trattava di una Spirale, un segno leggero sulla parete rossiccia, un avvolgersi in spire di un serpente stilizzato. Mentre la fissava, l'uomo fu preso da una vertigine, si sentì trascinare all'interno della spirale stessa, travolto da un gorgo buio di cui non vedeva la fine. Tutto gli svanì davanti agli occhi e svenne. Quanto tempo passò non avrebbe saputo dirlo, sapeva solo che un attimo prima era con la vecchia nomade davanti alla pietra incisa, un attimo dopo sotto una tenda nera, circondato dai volti delle donne, che l'osservavano preoccupate. Sentì il suono dei gioielli della vecchia, che si apriva la strada per raggiungere il suo giaciglio. Come gli fu vicina, gli fece bere una tazza di té bollente e zuccherato, che gli ridiede subito le forze.
«Ora conosci la profondità del Segreto» gli disse la vecchia, con una voce che le veniva da secoli lontani «dovrai trovarne i limiti e conoscerne le apparenze, se vorrai arrivare anche a svelarlo.»
Si stupì, capiva ogni parola che la donna proferiva, pur non avendone mai studiato la lingua; era bastato essere risucchiato nel vortice per avvicinarsi alla forma del Segreto. Lo lasciarono solo perché riposasse, ma la sua mente non sapeva staccarsi dalle domande assillanti che gli ronzavano nel cervello: perché, e dove, e chi? Finalmente, quando si sentì nuovamente padrone delle sue forze, si alzò e uscì dalla tenda alla ricerca della vecchia, voleva la risposta, anzi, tutte le risposte, non aveva nessun'intenzione di girare ancora a vuoto, inoltre era la prima volta che aveva sentito parlare in modo esplicito del Segreto, così vicino non era mai arrivato.
Ora bisognava andare oltre.
Gli uomini erano accoccolati intorno al fuoco, qualcuno fumava il narghilé, altri sorseggiavano il loro immancabile tè con le noccioline. Erano silenziosi, come silenzioso e immenso era il deserto intorno a loro. Le donne erano raggruppate più in là, un unico cerchio di giovani e vecchie, un filo continuo che legava passato e futuro e che garantiva i tempi. Non lo degnarono di uno sguardo, forse già sapevano che doveva essere così, non era lì per loro, era scritto che lo straniero parlasse con la donna della loro tribù che racchiudeva in sé misteriosissime parole. Gli uomini lasciarono che andasse dove voleva, le donne gli indicarono un luogo appartato, spingendolo con gli sguardi, incalzandolo, tanto che fu chiaro che quello era il Dove, la risposta alla prima domanda. Il Dove era davanti alla roccia su cui la Spirale l'aveva catturato. Si avvicinò timoroso, ora che conosceva l'effetto di quei segni incisi. Ai piedi della parete rocciosa c'era la vecchia donna, un'indovina, una maga... forse un'antica Dea. Gli fece cenno di sedersi, attese che si fosse accomodato vicino a lei, quindi gli parlò con voce piana e sommessa, ma tanto carica di potere che per un momento credette davvero che si trattasse di una Dea, dimenticata in quel luogo da chissà quanti secoli, ma ancora sufficientemente potente per annientarlo.
«Hai provato la forza del Segreto, ora sai come entrare. È stato detto molte volte: Apriti, sesamo!, ma pochi hanno capito davvero che non si trattava di parole senza senso, vuote parole che una favola per bambini e per vecchi sdentati narrava, in attesa che sui loro occhi scendesse il sonno. Gli uomini del Deserto sanno che sono parole magiche, che non aprono la grotta dei Quaranta Ladroni, ma spalancano la via per raggiungere il cuore del Segreto. Ora devi scegliere, vuoi continuare ed essere solo, o preferisci mescolarti con molte migliaia d'uomini, che vivono il breve spazio degli anni che sono loro concessi, senza domande, ma anche senza nessuna risposta?»
Non era davvero una domanda, se così fosse stato probabilmente non avrebbe mai visto la Spirale incisa sulla pietra e non avrebbe mai compreso una lingua ignota. L'uomo chinò il capo, riflettendo, ma sentiva su di sé gli occhi neri della vecchia, per questo motivo rialzò la testa ed annuì. Voleva imboccare la strada, voleva avere la risposta.
«Allora domani rimettiti in cammino; sarai pronto a raggiungere il nuovo passaggio verso il Segreto. Ora dormi, figlio mio, e che i Geni della Notte sappiano ispirarti le mosse giuste.»
La mattina seguente, al risveglio, l'uomo scoprì che l'accampamento dei nomadi era svanito come le loro tracce sulla sabbia. Avevano levato le tende molto presto il mattino, l'avevano lasciato senza avvisarlo. Si alzò, rinfrancato dal sonno, o forse dalla nuova consapevolezza, e decise che innanzi tutto voleva vedere nuovamente la Spirale, forse voleva riprovare la vertigine che l'aveva catturato la prima volta. Ma con sua somma sorpresa scoprì che nessun segno incideva la roccia, nessuna figura, nessun simbolo, niente Spirale. Una voce sottile, il Vento o la vecchia donna, svanita in una notte, gli sussurrò all'orecchio:
«Cerca l'Acqua, l'Acquario porta l'acqua, troverai un'altra parte di risposta.»
Sapeva dove andare, il Fiume sacro da secoli, lungo le cui rive uomini e donne avevano cercato di purificare l'anima, attraverso la pulizia del corpo. Lungo la sua corrente si lasciavano andare i corpi, abbandonati dallo spirito, mentre dalle rive, le parole di benedizione e di supplica di quella moltitudine affannata si mescolavano alle onde della corrente. Lì doveva andare, lì sarebbe andato.
Era passato del tempo, quando finalmente poté giungere sulle rive del Gange, si chinò a sfiorare con le dita la corrente. Ebbe una scossa, vide sé stesso cadere senza sensi e temette di affogare, senza che intorno nessuno s'accorgesse del suo morire. Il vortice d'acqua lo risucchiava nella stessa maniera in cui l'aveva risucchiato la Spirale del Deserto, poi tutto fu nero e non vide più nulla.
Si risvegliò non sapeva quanto tempo più tardi, era disteso su un giaciglio misero, pochi stracci stesi a terra, all'interno di una misera abitazione. Un uomo, che sembrava scolpito nell'argilla con cui si costruiscono i vasi, lo guardava intensamente, seduto poco distante a gambe incrociate. Un turbante bianco gli avvolgeva la testa e i fianchi erano stretti in un telo, altrettanto bianco. La mano sinistra era appoggiata ad un bastone nodoso, con la destra tracciava strani e misteriosissimi segni sulla terra battuta dell'abitazione.
«Bentornato, straniero. Ti abbiamo strappato all'Acqua, perché conoscevi la parola del Segreto. Forse non te ne sei accorto, ma mentre scivolavi verso la corrente, hai gridato quello che pochi conoscono e che ancora meno cercano. Ora sei giunto ad un'altra tappa del tuo viaggio, riposati, poi parleremo ancora.»
Il vecchio chiuse gli occhi, trasformandosi in una statua senza tempo e l'uomo, che non si era stupito di capire anche la lingua di questo popolo, perché sapeva ormai che era quella comune a chi cercava il Segreto, non poté fare altro che addormentarsi, in attesa di riprendere le forze e di trovare sveglio il suo salvatore. Passò ancora una notte ed una nuova alba si affacciò al limitare del mondo, l'uomo si svegliò, intorpidito per la posizione piuttosto scomoda, ma ben presto fu attento a quanto gli succedeva intorno. Il vecchio Fachiro era seduto allo stesso posto, pareva che non si fosse mosso di un millimetro, gli occhi socchiusi scrutavano il ridestarsi dello straniero. Quando fu certo che l'uomo salvato dalle acque era pronto ad ascoltarlo, il vecchio incominciò:
«Devi conoscere i tempi del Segreto. Hai conosciuto le sue parole, tanto che mi capisci senza necessità d'interprete, ma sei ancora lontano dalla tua meta. Puoi ancora tornare indietro, non a tutti è dato sapere, perché non tutti lo vogliono.»
Tacque in attesa d'una risposta.
«Quali sono i tempi?»
Era impossibile fermarsi, anche se tremava il cuore: se così pochi sceglievano di conoscere l'inconoscibile, forse la sua era superbia...ma tant'era, a quel punto non poteva, non voleva fermarsi.
Il vecchio annuì, con sorriso leggero sulle labbra, sapeva che sarebbe stato così, non si cominciava, senza la volontà e l'istinto che avrebbero portato fino al compimento di tutto:
«Dunque i tempi... Vedi, credi di essere qui, di esistere ora, e pensi di sapere che poi non sarai più.» l'uomo si ritrovò ad assentire, niente era più sicuro del nascere e del morire d'ogni cosa «invece non è così. Il Segreto non si esaurisce nel breve spazio di una sola vita, non potremmo mai non solo penetrarlo, ma neppure seguirlo. Tu sei qui, perché ci sei già stato, perché già sai, perché possiedi già il bandolo del Segreto.»
Parole strane ed incomprensibili, ma affascinanti. Essere già stato, quando non si sapeva d'essere, come fosse possibile un'alchimia di tal genere l'uomo non se lo figurava nemmeno.
«Dunque, rifletti,» proseguiva intanto il Fachiro «ripiegati su te stesso, ricorda la sensazione che hai provato quando l'Acqua ti ha trascinato con sé. Chiudi gli occhi ed ascolta le voci di dentro, saprai quello che dico.»
Effettivamente l'uomo, che aveva obbedito al Fachiro, chiudendo gli occhi e ricordando, iniziò a sentire una voce, poi un'altra, poi un'altra ancora. Non le conosceva, ma sapeva che erano la sua in mondi diversi, in altri luoghi, in tempi passati. Era già stato e sempre aveva cercato. Vide brevi immagini d'esistenze che non ricordava, ma di cui afferrava la pienezza, proprio perché sue. Si sentì re e schiavo, sacerdote e soldato, soffriva e gioiva per fatti che non sapeva di conoscere, ma le emozioni erano tanto forti da trascinarlo come aveva fatto l'acqua il giorno prima. Quando riaprì gli occhi, stordito e incerto, lesse nel volto del Fachiro comprensione e sostegno.
«Ora sai anche questo. Non potrai più farne a meno, ogni tua azione è già stata compiuta, anche se ancora non lo sai. Oggi e domani, ieri e sempre s'intrecciano e la nostra vita è solo una matassa d'altri fili che dobbiamo dipanare.»
Tacquero entrambi per un po', poi il Fachiro sussurrò:
«Solo i luoghi del Segreto devi ancora scoprire. Cercali. Se farai ciò avrai in mano il Segreto stesso.»
S'alzò lentamente ed uscì.
L'uomo lo rincorse, non voleva che succedesse come con i nomadi del deserto, la Maga era svanita durante la notte, mentre dormiva, ora era ben sveglio e non avrebbe permesso che si ripetesse la stessa storia. Sulla soglia della casupola si guardò intorno: gente che andava e veniva in un turbinio di colori, ma non scorse il Fachiro da nessuna parte. Provò a chiedere a qualcuno, ma nessuno gli prestava attenzione, era invisibile e muto per tutti gli altri, per coloro che non cercavano, per chi viveva senza sapere di vivere.
L'uomo seppe all'istante che era giunto il momento di cambiare ancora, di andarsene, senza voltarsi indietro. Inutilmente avrebbe potuto cercare i luoghi del Segreto in quel paese, dal momento che, come già prima la Maga, anche il Fachiro gli aveva indicato la nuova tappa, facendogli comprendere come l'Acqua, così come la Spirale, avevano esaurito il loro compito e solo altro avrebbe concesso l'ultimo tassello alla ricerca del Segreto.
All'inizio vagò senza sapere bene dove dirigersi, nel Deserto e al Fiume gli avevano parlato, rivelandogli molto, ora proprio era indeciso a dove volgere i suoi passi; per istinto rifuggiva le città popolose e frenetiche della modernità, sentiva a pelle che soltanto dove valeva ancora il ritmo del passato in una vita senza tempo avrebbe trovato i maggiori indizi per seguire la tenue traccia che lo attirava. Per alcuni mesi camminò senza meta, arrampicandosi sulle vette arcigne d'alte montagne, sulle cui cime risiedevano divinità maestose e algide, poi scese al mare, cercando di ascoltare dalle onde le parole sussurrate da Ninfe che nessuno ormai ascoltava più, le Sirene d'Ulisse cantarono ancora per lui, ma non era questo il canto che l'attirava. Provò a sondare la vastità delle steppe brulle e giallastre, mentre mandrie di cavalli bradi battevano ritmicamente il terreno, suonando una musica bellicosa, travolgente, densa di vita e di paura insieme. Ma quella musica, che aveva stimolato orde d'uomini nei secoli a muoversi e a sciamare oltre i loro stessi confini, lo lasciava indifferente. Una volta si sarebbe lasciato trascinare e avrebbe cercato in quella musica le leggende guerriere di popoli ormai estinti, le loro vie e le cose lasciate indietro, come i loro morti. Ma il Segreto non era lì, non si celava in una tale semplice vitalità animalesca, nel ricordo d'eccitazione sanguinaria e di passione ardente.
La strada per il Segreto era un'altra, sottile e nascosta, così come il Segreto stesso.
Alla fine il lungo girovagare dell'uomo ebbe fine quando davanti ai suoi passi si spalancò l'entrata seminascosta di una grotta. L'antro scuro si addentrava nelle viscere della terra, un altro gorgo, un'altra spirale l'attiravano: era arrivato finalmente alla meta da tanto cercata. Si guardò intorno, ma non c'era nessuno. Entrare in una grotta sconosciuta, di cui s'ignora la dimensione, la profondità, tutto, e da soli, non era cosa da poco. L'uomo pensò a quante altre volte aveva oltrepassato una soglia simile, molte caverne aveva esplorato, ma mai da solo. Mentre era immerso nei suoi pensieri da un cespuglio lì accanto sbucò un bambino. Senza neppure degnarlo d'uno sguardo il piccolo entrò, ma come fu al limitare tra buio e luce, proprio sul punto d'essere inghiottito dal nulla profondo, gli fece cenno con la mano, invitandolo. L'uomo non ebbe più dubbi, quello era il suo destino, non se ne poteva allontanare. Al primo momento non vide niente, poi, piano piano, gli occhi si abituarono alla tenebra, solo appena rischiarata dall'esterno. Con un solo passo era entrato nella parte più remota della grotta, allontanandosi dal giorno, dalla luce, dalla vita normale. Il buio delle pareti lo travolse, come se nuovamente fosse rientrato nel grembo materno. Intravide sulle pareti segni color ocra, quasi indistinguibili, ma che, ad un secondo sguardo, si rivelavano come rappresentazioni di animali: cervi, bisonti, mammut popolavano la grotta, ne sentiva l'odore, ne percepiva il nervoso movimento. Erano disegnati, ma il loro spirito era stato catturato, così che essi, immobili sulla pietra, vivevano ancora senza soluzione di continuità.
Ancora una volta sentì che stava perdendo i sensi e cadde, sulle pietre che erano a terra, nel freddo dell'acqua che gocciolava dal soffitto, formando un lieve velo calcareo, come per nascondere le meraviglie di quel bestiario nascosto. Seppe, senza bisogno di parole, che i luoghi del Segreto erano ovunque, che si ritrovavano ad ogni passo, se solo avesse camminato con l'intenzione di trovarli. La cima di un monte o una pianura verdeggiante, un bosco fitto e nero d'ombra o il deserto assolato e riarso non costituivano niente, se non uno degli aspetti dei luoghi del Segreto. Si svegliò, sentendo le deboli mani del bambino che gli sfioravano gli occhi.
«Il mio animale totem mi ha chiesto di indicarti la via - stava dicendogli - ed ora so il motivo di questa richiesta. Devo farti sapere che ora il Segreto è nelle tue mani, lo ritroverai ovunque, perché ne conosci le parole, i tempi ed i luoghi. Ogni volta che t'imbatterai in una sua forma, la riconoscerai, così come riconoscerai come compagni, coloro che, come te, l'hanno cercato, prima di trovarlo, o che ancora lo cercano, perché ne hanno intuito un indizio."
Il Bambino parlava da adulto, i suoi occhi profondi avevano un'intensità simile a quelli della Maga e del Fachiro, era certo lo Sciamano del luogo. L'uomo lo guardò per un momento, ormai non si meravigliava più di niente, anzi, si stupiva davanti alle banalità che generalmente intessono e rendono piana la vita dei molti che di segreti non sanno niente e che niente capiscono. Povere vite, che trascorrono forse felici, in un torpido adagiarsi nell'abitudine quotidiana. Eppure non sentono la pochezza di questo universo piatto, lo preferiscono forse a montagne e a dirupi, non fanno fatica, non hanno esaltazioni, soffrono, ma di poco e con poco trovano soddisfazione. Possedere il Segreto era invece una sfida continua, era accettare di vivere ancora e sempre, per affinare l'istinto, per stimolare la Ragione, per esaltare il cuore. Quel bambino antico, che l'osservava in silenzio, era di certo un aspetto diverso dei saggi che aveva già incontrato, lo stesso in altre forme, in altri luoghi, in altri tempi.
«Anch'io non sono lo stesso, eppure sono sempre uguale a me.» Sussurrò l'uomo. Il piccolo Sciamano l'udì e rise, di un riso giovane, argentino, ma lontano e diverso da quello dei suoi coetanei. Non disse niente, perché niente c'era da dire... il Segreto aveva trovato un nuovo nome da contenere e ciò bastava.
Quando uscì dalla grotta il cielo s'era rannuvolato e prometteva pioggia. Corse veloce verso una casa poco distante, unico riparo nella campagna altrimenti deserta. Non fece a tempo neppure a picchiare all'uscio che già questo si spalancava, come se dalla finestra avessero osservato le sue mosse.
Una donna l'accolse senza parole e lo fece sedere davanti al camino acceso, dove un paiolo bolliva quietamente, con un brontolio saporoso.
«Ti aspettavo» disse senza scomporsi la donna «la tempesta ti aveva annunciato, così come aveva annunciato la pioggia.»
In quel mentre uno scroscio violento sottolineò le sue parole e l'uomo si domandò, toccato da un certo timore, se il suo cercare il Segreto, non l'avesse trascinato in un mondo senza regole, senza ragione, un mondo di fate e gnomi, di streghe e maghi. Poi però si riscosse, si domandò se invece non fosse proprio il Segreto ad avvicinarlo con semplicità a chi ne possedeva un'altra sfaccettatura. Doveva essere così, certamente era così.
Frattanto la donna aveva riempito due scodelle di minestra di farro, antica anche questa, come antico era il tempo che in quel presente viveva. Fece scorrere un filo d'olio per insaporirla e l'invitò alla tavola. Tra loro l'incerta cortina del fumo odoroso rendeva evanescente le immagini e i ricordi si assommavano e si sovrapponevano: ora e sempre... il Segreto.


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