Vivevano in paese da una decina d'anni. Il padre era salito dalla Sicilia e s'era fermato più o meno a mezz'Italia.
Fra altri trentamila abitanti, dopo qualche anno e un po' di gruzzolo, fu tempo di Renault 9 per lui e la famiglia: la piccola Luisa, Carmelo quasi maggiorenne e la moglie Berenice, detta Bere o Bice.
Lui, Giuseppe, il capofamiglia, era più o meno sistemato. Anni in ditta, straordinari ed era a posto. Nessun problema a pagare l'affitto, un po' di surplus per la famiglia, pranzi e cene coi parenti e abbondanza di vestiti da mercato.
Basso, col volto scuro e ispido, mani dure, gambe corte, schiena piatta e pancia dura.
«Bice?» disse un giorno di sorpresa, dopo un pranzo come tanti.
«Andiamo a casa qualche giorno, per le feste scendiamo, andiamo giù tutti in macchina.»
Beppe aveva affermato, non aveva chiesto, era così ma aspettava risposta.
Bice dalla sua non chiedeva altro ma si finse sostenuta e titubante.
«Come vuoi, mi fa piacere ma se me lo dicevi prima mi organizzavo, chiamavo mamma, mi preparavo, avvertivo.» Berenice rispose riordinando, svuotando il desco macchiato, sbriciolato e vivo.
«Scendiamo in macchina Beppe? Sei sicuro? La strada è tanta e tu solo guidi.» L'italiano migliorato e non perfetto si sentì per poco più. Si partiva, era deciso e accordato.
Luisa, piccolina, era contenta: le vacanze, i cugini, mattinate di ozio, dolciumi, visi allegri e leggerezza.
Carmelo, già più grandicello, aveva un po' di pensieri.
«Che ci faccio dai parenti?» pensava, «le vacanze mi piace farle a casa, con gli amici, col gruppo, per Dio!»
Pensò di dirlo al padre e di restare a casa solo, in pace, poi però ci ripensò. Gli dispiaceva di smorzare gli entusiasmi e pensò più o meno così: «ma sì, chissà quando ricapita, facciamo un figurone con la Renault nuova, le cugine non sono male e le amichette ancora meglio; fra capelli sistemati, scarpe nuove e giubbotto, magari ci scappa qualcosa.»
Con gli ultimi pensieri di Carmelo, l'equipaggio fu pronto, la macchina disposta, gli animi caricati e i bagagli pronti.
Mille chilometri e più nella macchina nuova, riempita a dovere, col rodaggio nemmeno a fine.
Lo finirono comunque ed andarono oltre.
Andarono ben oltre, oltre tutto lo stivale, fermandosi più volte a bere, dormire e mangiare.
Vedevano un McDonald's , un autogrill, un self service grandioso.
«Ci fermiamo Bice?» chiedeva Beppe, capofamiglia implorante ritornato bambino.
«Ma sì, così ti riposi, mangi qualcosa, ti distrai e poi ripartiamo. Io vado in bagno e mi rifaccio il trucco, voglio arrivare bella e come nuova.»
Il trucco Bice se lo rifece nove volte. All'ultimo di sedici autogrill dovette ricomprare il set.
La macchina era sporca, cosparsa di insetti abbattuti, incrostata di polvere e schizzi.
Avevano passato solo, acqua, nebbie e calura. Su cinque giorni di ferie tre erano andati in viaggio e il resto era tutto lì. Altri duecento chilometri da fare poi il traghetto e poco più.
Arrivarono come sempre, la macchina inguardabile e loro stanchi, brutti e contenti.
Gli zii, i parenti e le cugine li aspettavano attenti, per vederli, guardarli, riempirsene gli occhi.
Pochi isolati ormai e pochissima gloria. Beppe era cotto, Bice sonnecchiava e i ragazzi smaniavano stravolti.
Ai soldi non c'avevano pensato, si erano concessi tutto: bar, paeselli, autogrill e cassette, giornali, dolciumi, bibite e salumi, pupazzi, gelati, occhiali e cd, poster, caffè e caramelle.
Bice si svegliò di soprassalto. Erano ormai alla meta. Dalla contentezza cominciò a cantare. Spontanea, sicura, intonata.
Si avvicinavano al portone, i parenti in strada e la voce di Bice sovrastante il motore. Ai giri bassi il canto dominava e i testi dei Black Sabbath echeggiavano dolci, ripassati a memoria, battuti e ribattuti, unica cassetta proposta per pionieri da moderna carovana.


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