un caso di demenza senile
Pietro non capiva bene cosa ci facesse in quel posto, tra quei vecchi mezzo rimbambiti. Se ne sarebbe tornato volentieri alle sue terre. Solo, non riusciva a trovare la forza per decidersi: si sentiva debole, svogliato per prendere qualsiasi decisione.
Del resto era uscito solo ieri dall'ospedale, dove gli avevano aperto e ricucito la pancia: un taglio lungo un palmo. Si faceva in fretta a tagliare, in ospedale. Forse si sarebbe persino potuto farne a meno, di sottoporlo a quel tormento!
Ma intanto ora era costretto a starsene parcheggiato lì, tra la confusione di quella casa troppo grande, insieme a quegli estranei che non lo capivano.
Debole, come un bambino. Come quando da bambino veniva assalito dalle febbri estive delle zanzare e la mamma, che conosceva bene la cura, lo rimpinzava di zabaioni di uova fresche, piccioni lessati, e scodelle enormi di latte di capra con pane bianco delle feste. Tutto di nascosto dai fratelli e dal padre; perché se no ci veniva il desiderio anche a loro, e le risorse erano quelle che erano. Le febbri lo fecero soffrire fin quasi a morirne, ma ne aveva serbato sempre un ricordo piacevole. Quante volte, quando si era sentito stanco e tediato dal lavoro improbo della campagna, aveva desiderato il loro arrivo, per avere un motivo valido per fermarsi un po', per sentirsi coccolato da chi si sarebbe dovuto prendere cura di lui. Invece quelle erano durate solo lo spazio dell'infanzia, poi erano sparite per sempre dalla sua vita!E la mamma? E il vecchio babbo?
I dolori lancinanti all'addome lo avevano costretto al ricovero urgente in ospedale; ce lo aveva accompagnato un conoscente occasionale di passaggio. Aveva dovuto lasciare i genitori soli, nel casale della tanca. Chissà come se la stavano cavando adesso, senza di lui. Erano molto vecchi e l'unico aiuto su cui potevano contare era il suo; dato che nessuno, tra fratelli e sorelle, si era voluto prendere l'impegno di assisterli. Ma già! Era toccato sempre a lui, col pretesto che era il più giovane, provvedere a queste incombenze familiari.E quei vicini? Gente strana quella. Erano apparsi un bel giorno all'improvviso, dovevano essere marito e moglie. Lui era rimasto riservato, un po' sul freddino; lei più intraprendente. L'aveva trattato subito con molta familiarità, sembrava nata e cresciuta in quel casale. L'aveva chiamato "babbo", eppure non c'era tutta questa differenza di età. Se non ci fosse stato presente il marito glielo avrebbe fatto vedere lui, il "babbo"!
L'aveva lasciata fare. Era curioso di vedere fino a che punto sarebbe giunta. Aveva rassettato alla bella meglio l'unica stanza del casale, messo lenzuola pulite alla branda, scaldato nel fornello a gas un pentolino di minestrone e una padella di spezzatino, apparecchiato il tavolo zoppicante e preteso che lui mangiasse tutto. E lui mangiò. Non tanto perché lei glielo aveva ordinato con un tono così fermo, ma perché in fondo gli faceva piacere essere servito e riverito in quel modo. Naturalmente non finì tutto, ne avanzò una buona parte, la lasciò per i suoi genitori, per quando sarebbero tornati, la sera, dal far legna.
Dei suoi genitori non fece cenno ai vicini, non erano affari che li riguardavano, né quel giorno né in seguito. Perché tornarono. Venivano a fargli visita a scadenze settimanali, di domenica. Sistemavano il locale, gli facevano cambiare tutto il vestiario, gli facevano mangiare il cibo caldo e, dopo aver sistemato nello stipetto quello in scatola per la settimana, se ne andavano via.
La generosità, di quella donna, lo insospettiva: nessuno fa niente per niente. Poteva darsi che lei si fosse innamorata di lui e solo la presenza continua e assillante del marito la tratteneva dal manifestarglielo. Ma poteva anche nutrire secondi fini. Come quello di impossessarsi dei suoi beni, con raggiri ben congegnati e con tutte quelle moine, ingiustificate in assenza di un qualche interesse. Delle donne non ci si poteva mai fidare pienamente. Savina, la moglie, più di ogni altra l'aveva portato a questa convinzione. Non aveva fatto altro che sperperare tutto quanto egli aveva prodotto nella sua vita, e ora se n'era andata chissà dove, lasciandolo solo nella tanca, a seguire le bestie e a coltivare i campi e l'orto.La grande casa non era proprio di suo gradimento. L'avevano sistemato in una stanzetta insieme a due vecchietti che non conosceva. Si ostinavano nel dirgli che avevano trascorso l'infanzia e la gioventù da coetanei, da compagni di giochi e avventure. Gente falsa! Gente di cui diffidare. Non avevano alcunché da spartire con lui, loro, così vecchi e rincoglioniti. Ma li assecondava, poverini! Diceva che sì, si ricordava bene degli spassi giovanili, del periodo militare, delle battute di caccia con Efisio, uno dei due, che era stato suo vicino di tanca. Roba da matti, poveri diavoli! Lui annuiva, cercando di mascherare, per quanto gli era possibile, il sorrisino beffardo che non riusciva a trattenere.
All'ora dei pasti si riunivano tutti in un grande salone. Anche per il mangiare aveva molto di che lagnarsi. Intanto quegli orari così precisi, imposti a bacchetta dalle signorine, che dovevano essere delle dottoresse perché indossavano il camice bianco come negli ospedali. A mangiare a orari prefissati non c'era abituato, e non era prudente, perché poteva sopravvenire un'urgenza da un momento all'altro. Che sò, una mucca che partoriva, lo sconfinamento delle bestie nella tanca del vicino, lo scoppio di un focolaio se si era d'estate, e tanti altri accidenti del genere, che solo chi lavora in campagna conosce bene. Intanto lui stava sempre nell'attesa ansiosa di essere chiamato ad accorrere alla tanca, specialmente nell'ora dei pasti, che era il momento in cui tutti gli altri apparivano più distratti e spensierati. Qualcuno doveva pure stare all'erta: ci pensava lui, visto che intorno non vi erano che vecchi rimbambiti e incapaci. Altro motivo di scontento, per Pietro, erano le porzioni troppo scarse. È vero che ripassavano nei tavoli per il bis, però si doveva richiederlo espressamente e lui si tratteneva dal farlo; un po' per ritegno, ma ancor di più perché non aveva mai chiesto niente a nessuno e non avrebbe certo cominciato a farlo proprio ora, in quel posto poi...! Il pane. Non sopportava che fosse razionato: un misero panino per ciascuno! In casa sua, come in casa di ogni contadino degno di tale nome, il pane, il buon pane grande da tagliare a fette enormi, non era mai mancato; nemmeno quando Savina si era impigrita e lo si doveva comperare alla panetteria. Il pane abbondante era sempre stato l'orgoglio di ogni contadino, specialmente negli anni tristi della guerra e in quelli non meno duri di carestia, che aveva vissuto nel corso della sua vita. Ora il vedersi ridotto a sbocconcellare la razione lentamente, per prolungare il piacere del suo gusto, quasi fosse un'"ostia della messa", lo teneva in uno stato di grande umiliazione e di rabbia impotente. Lui mangiava tutto ciò che gli portavano, senza esternare il suo malumore, perché dopo l'operazione doveva rinvigorirsi (come l'aquila dorgalese di Gonario), per tornare presto alla tanca di Terramaini. Dalle sue bestie. Dai suoi genitori. Alle sue cose.
Una volta alla settimana gli facevano fare il bagno nella doccia col sedile. Era l'unico momento piacevole della vita che conduceva nella grande casa. Si lasciava irrorare dal getto di acqua tiepida e chiudendo gli occhi provava un sottile fremito di libertà. Niente a che vedere con la libertà vera, quella della tanca di Terramaini, ma, seppure sbiadita, un po' ci assomigliava. Poi si insaponava tutto il corpo col sapone liquido che sapeva di mele acerbe e godeva immensamente delle sue mani che scivolavano, con una dolcezza che non aveva loro mai conosciuto, per tutto il corpo; persino i calli, dei palmi e delle dita, sembravano scomparsi. Poi finiva sempre lì, nella zona del pene. Il caldo dell'acqua e la morbidezza delle mani scivolose sembrava avessero il potere di ridestare in lui voglie sopite già da prima del ricovero nell'ospedale. Allora gli veniva il desiderio di Savina, ma anche di qualsiasi altra donna. Gli veniva il desiderio di masturbarsi, in mancanza d'altro. E lo avrebbe fatto, se a scadenze regolari di pochi secondi, troppo pochi, non si fosse affacciata nella porta della doccia una dottoressa a chiedere al "signor Pietro" se andava tutto bene, se gli occorreva aiuto per sfregarsi la schiena, se aveva bisogno di qualcosa. Lo sapeva bene lui di cosa aveva bisogno, ma non glielo poteva dire per via del pudore. Avrebbe voluto dirle che almeno lo lasciasse in santa pace, ma anche qui si tratteneva per la paura di dover dare delle spiegazioni, e tutti sarebbero venuti a sapere che Savina l'aveva abbandonato.
Gli orari, le azioni programmate, la ripetitività delle giornate lo tediavano fino all'insopportabile.
C'era poi la preoccupazione per tutto il lavoro arretrato che restava da fare nella tanca. I suoi genitori, non ci avrebbero sicuramente pensato loro. Preferivano andare a far legna a giornata, sotto padrone, anziché dare una mano al figlio. Pietro sapeva che la mamma, lei sarebbe rimasta volentieri lì con lui a lavorare, ma il babbo no. Contorto com'era, e come era sempre stato, preferiva lavorare sotto padrone e costringeva anche la povera donna a fare altrettanto. Tornavano la sera, alla fine della giornata, stanchi come galeotti, si ranicchiavano vergognosi, perché c'era da vergognarsi per il loro comportamento irragionevole, nell'angolo più buio della stanza e si chiudevano in un mutismo ostinato. Le sue domande e i tentativi di dialogo restavano senza risposta, quasi fosse un cane randagio degno della benché minima considerazione. Rifiutavano persino la cena che preparava loro quotidianamente.
- Uccello che non becca ha già beccato! -Diceva loro con il dispetto nella voce, e lasciava il cibo sul tavolo fintanto che le mosche non ci mettevano i vermi, perché lui gli sprechi non poteva permetterseli. Non si muovevano dal loro cantuccio, nemmeno quando li invitava a venirsi a coricare nell'unica branda che c'era. - Ecco - diceva - voi babbo potete dormire nel materasso per terra, mamma si sistema qui sulla rete della branda e io dormirò per terra - Infatti aveva sistemato un blocchetto di cemento, a mo' di cuscino, proprio di fianco al materasso. Ma i due vecchi se ne stavano testardamente muti nel loro cantuccio e continuavano a fissarlo con lo sguardo ostinato e colpevole.
Alla giovane donna che veniva a rigovernarlo la domenica, che gli chiedeva spiegazioni sul materasso steso nel pavimento anziché nella rete della branda, non parlò neppure allora dei suoi genitori. Giustificò il fatto con la sua preferenza a dormire per terra, a causa di certi dolori alla schiena che lo affliggevano in quegli ultimi tempi.Fra tutti gli ospiti della grande casa, Pietro legò amicizia solamente con Efisio. Agli altri non diede mai molta confidenza, anche perché notava nel loro atteggiamento alcunché di derisorio nei suoi confronti, e più di una volta qualcuno si era persino preso gioco di lui e dei suoi ragionamenti. Efisio invece lo stava a sentire serio e accondiscendente; con la sua figura minuscola, incurvata dagli anni, destava in lui molta tenerezza e placava la nostalgia che sentiva per la lontananza dei suoi genitori.
Un giorno che era particolarmente in vena di confidenze, Pietro parlò a Efisio anche di suo babbo e della mamma.
- Cosa hai detto? - chiese questi incredulo e perplesso.
- Babbo e mamma, sì - fece Pietro di rimando - che mi aspettano alla tanca di Terramaini, perché hanno bisogno di me, del mio aiuto. Hanno solo me ad assisterli, ecco perché non posso restare qui ancora a lungo, devo andarmene al più presto, ormai sono guarito e uno di questi giorni me ne torno alla tanca. Ci sono tante faccende che mi attendono: il bestiame, babbo e mamma; poi quest'anno vorrei arare un po' di ceci e fave. Con i prezzi come sono aumentati, non si può comperare, tutto il mangime che occorre, al consorzio! -
- Ah! Capisco, bene bene - si limitò a commentare laconicamente Efisio e dopo un po', sperando di dissuaderlo, aggiunse: - però, se fossi in te me ne resterei qui, in fondo stiamo da pascià: ci danno da mangiare, ci tengono puliti, abbiamo delle camerette sempre ordinate; cosa possiamo pretendere di meglio? Ormai il nostro dovere l'abbiamo fatto, é giusto che ci mettiamo da parte e che siano i giovani a lavorare -Ora che Pietro se n'era andato, Efisio si sentiva più triste. Gli mancavano le sue fantasticherie alquanto strambe, e anche la sua allegria: Pietro era bravo a poetare con muttetos e ottave in rima e la vanità lo portava spesso a esibirsi con quanti erano disposti a starlo a sentire. Efisio era diventato l'ascoltatore preferito da Pietro, perché l'età gli aveva fornito insieme al suo peso anche tanta pazienza e bonarietà. In ogni caso, strambo o meno, Efisio non poteva, pensando a Pietro, che ammirarne il coraggio e la risolutezza, un po' ne provava invidia. Quanto avrebbe voluto poter vivere anch'egli nel casale della sua tanca di Terramaini! Dedicarsi a dei lavoretti leggeri, come allevare piccole bestie da cortile o coltivare un piccolo orto. Distrarsi un po', per non sentire il sibilo opprimente della vita che sfugge, dal cuore e dal cervello.
Pietro poteva permetterselo di restare solo alla tanca di Terramaini, era fortunato lui, aveva una figlia che andava una volta la settimana a rigovernarlo e non gli faceva mancare nulla. Invece i suoi due figli erano emigrati nel Continente alla fine degli anni sessanta e lì vivevano tuttora con le loro famiglie. Avevano cercato di convincerlo a trasferirsi pure lui presso di loro, dove avrebbero potuto dargli tutta l'assistenza di cui aveva bisogno, ma non se l'era sentita di lasciare la Sardegna. L'idea di poter essere sepolto lontano dalla sua Angelina, che già da dieci anni se n'era andata al camposanto, lo aveva reso turbato e sperduto. Si era quindi rassegnato a stare, ospite, nella casa per anziani del paese, dove per altro vi si trovava bene e non aveva di che lamentarsi, considerato che non era in casa sua.
- Vorrei poter essere un uccellino - pensava Efisio - per volare a Terramaini e vedere cosa combina quel mattacchione di Pietro. Sarà vero che alleva ancora il bestiame? Che ancora semina fave e ceci? - E sempre più spesso fantasticava sulla possibilità di trascorrere qualche giorno con Pietro nel casale della tanca. Ma così, solo per qualche giorno, giusto per rivedere ancora un volta le sue terre, che erano state la culla della sua esistenza. Questo i primi tempi, ma poi, trascorrere gli ultimi suoi giorni a Terramaini, morire nel suo casale di campagna finì per diventare un bisogno irrefrenabile. Arrivarci non sarebbe stato difficile. Terramaini distava dal paese una ventina di chilometri, passando dallo stradone, ma con la scorciatoia di S'incungia la distanza si riduceva di quasi la metà. L'aveva percorsa migliaia di volte a cavallo e a piedi. Sentiva di avere nelle gambe la forza per arrivarci, solo a volerlo. Certo avrebbe dovuto fare un po' di allenamento prima, perché le giunture gli si erano arrugginite per l'inattività dell'ultimo periodo. Arrivare a Terramaini non era impossibile. A Terramaini Pietro l'avrebbe ospitato volentieri per qualche giorno; era un po' matto, questo é vero, ma, in fondo, anche un bonaccione. Avrebbe gradito sicuramente la sua compagnia per qualche giorno.
A Pietro avrebbe dato il minimo fastidio possibile; si sarebbe comportato bene, insomma. E chissà, forse la figlia di Pietro e suo marito, che erano persone tanto per bene, avrebbero persino deciso di rigovernare pure lui. In fondo, che il loro parente avesse una compagnia tornava comodo a tutti. Per soprappiù se prometteva di lasciar loro in eredità la casa in paese e la tanca... A Terramaini avrebbe potuto trascorrere il poco tempo che ancora gli restava e realizzare così il suo sogno. Sì, sì, doveva partire subito per Terramaini.Il babbo parlò, finalmente. Ah, se avesse perseverato col suo mutismo!
Sul far della sera Pietro se ne stava nei pressi dell'uscio del casale, con un'ascia abbozzava un giogo per buoi da un tronco di rovere stagionato.
Vide il vecchio babbo sopraggiungere da lontano, il passo era più strascicato del solito e la linea degli anni curva come non mai. Anche il vestire era strano, elegante, seppure impolverato e con i calzoni inzaccherati fino al ginocchio. La mamma non era con lui, un'altra stranezza, perché erano inseparabili, il marito con la moglie.
Quando giunse nei suoi pressi, Efisio si levò educatamente il cappello e salutò: - buonasera Pietro, mi riconosci? Ti ricordi di me? -
- Vi riconosco sì, che vi riconosco! - Rispose Pietro sorpreso e indeciso su che atteggiamento tenere, perché la loquacità del babbo era del tutto imprevista. - Cosa é successo che vi siete finalmente deciso a rivolgermi la parola? E mamma, dov'é mamma? -
Efisio se ne stette per un attimo interdetto e poi stando al gioco: - Non so - rispose - sarà rimasta su a fare ancora un po' di legna per la cena; ma tu, cosa combini di bello? -
- Come, non lo vedete da voi? Sto costruendo un giogo, ‘ché l'altro si é rotto stamattina, e mi urge averlo perché devo arare un po' di ceci nel campo qui dietro -
- Ma ora non é più tempo di arare, é troppo tardi - osservò Efisio compiaciuto perché si stava già intavolando un discorso di suo interesse, poi aggiunse: - E i buoi, dove sono i buoi? Non vedo bestiame qui in giro; né vi é traccia che ce ne sia stato da molto tempo a questa parte! -
Pietro si risollevò dal suo lavoro e si guardò intorno stranito.
- Il bestiame! Il bestiame c'é. Era lì nel prato, fino a poco prima che arrivaste voi! - Poi, con l'ascia in mano, prese a correre come un ossesso fino ai confini del campo per perlustrare oltre con la vista, quindi tornò sui suoi passi. Il furore negli occhi.
- Maledetti, maledetti! - Urlò quando fu nuovamente accanto al babbo - mi hanno rubato tutto il bestiame. Eh, ma so bene chi é stato, é quel ladro di Michele Pintus. Sì, quello che vi tiene a giornata per far legna. Domani vado in caserma e lo denuncio, ah, se lo denuncio! Questa é la volta che si consuma in galera quel maledetto! Magari anche voi siete d'accordo con lui, per mettermi sul lastrico, non é vero? Non mi avete mai potuto soffrire, voi! Anche quando avete diviso le terre avete fatto "figlio e figliastro": a me avete dato le più brutte, quelle più lontane dal paese. Avete sempre sperato di vedermi rovinato: la ricompensa per tutto il lavoro che ho fatto per voi fin da bambino! - Ormai Pietro era fuori di sé. Aveva deciso che era giunto il momento di gettare in faccia a suo babbo il risentimento per tutte le angherie che gli aveva fatto subire, da che era nato fino a quegli ultimi tempi di palese indifferenza nei suoi confronti. Lo fece. E in chiusura chiese ancora conto della madre. E la mamma, dov'era la mamma? Come mai non era lì con loro? L'aveva forse battuta? Non sarebbe la prima volta, si ricordava bene di altre, in cui l'aveva battuta fino a lasciarla quasi morta, persino.
Efisio in tale situazione, imprevista e burrascosa, era spaurito nello sguardo e nell'atteggiamento, ma a Pietro parve di scorgere in quello un'aria colpevole.
Magari stavolta era giunto davvero fino a quel punto di ucciderla. L'aveva uccisa?
- Morta! Non ditemi che avete ucciso la mamma! Maledetto, hai ucciso mamma! Tieni! Maledetto! Tieni! Tieni! -
Così urlando si scagliò contro il babbo, paralizzato dal terrore, incapace di reagire. L'ascia si abbatté una, due, tre, infinite volte su quel corpo che si accasciava al suolo in un lago di sangue tra urla di terrore sempre più flebili.
Quando tutto fu silenzio la furia di Pietro sembrò placata. Guardò la mano, con l'ascia insanguinata, ferma a mezz'aria.
- Io mi sono difeso - si disse - ha ucciso mamma e voleva uccidere anche me. È stata legittima difesa. È lampante che é stata legittima difesa. Devo nascondere il corpo, perché se viene qualcuno a cercarlo posso passare dei guai, non ho testimoni a favore. Ma chi può venire a cercarlo? Solo io so che era ancora vivo, per tutti gli altri babbo é morto da anni, mi ricordo che l'ho vestito io per metterlo nella bara. Era tanto tempo fa, ma lo ricordo ancora bene. Questo cadavere devo farlo sparire lo stesso. Presto, presto. Prima che qualcuno lo veda. La carriola, dov'é la carriola? Lo porto al pozzo e lo getto dentro -
Era già buio pesto quando Pietro fece ritorno dal pozzo con la carriola vuota.La domenica successiva andarono al casale di Terramaini, com'era solito, la figlia col marito per rigovernarlo.
- Babbo - gli disse lei - vi ricordate quel vecchietto della casa di riposo che aveva fatto amicizia con voi, tziu Efisiu? Bene, é sparito, se n'é andato e non riescono più a trovarlo da nessuna parte. E oramai manca già da una settimana! -
- No, non lo ricordo. Non so niente io! - Fece Pietro laconico, e continuò a mangiare lo spezzatino, intingendo la grossa fetta di pane nel sugo.
Data invio: