(NdR: per alcune situazioni descritte, questo racconto è adatto a un pubblico adulto)

In fondo, ciò che sto facendo è stato nei miei propositi da sempre, da quando ho preso coscienza della gravità dell'azione che ho compiuto. Quella fine d'estate. Quanto tempo fa? Decine di anni, secoli, millenni: quando vigeva la legge dell'uomo delle caverne. Il ricordo di quel giorno me lo porto addosso vivo, talvolta pesantissimo, inevitabile, bruciante.
Da allora la mia vita è scorsa via senza sobbalzi, senza niente d'altro di cui vergognarmi eccessivamente, e ciò ha reso più grave il peso di quel rimorso.
Erano sgoccioli di vacanze, a giorni sarei dovuto tornare in collegio per l'ultimo anno delle medie. A Palmaria non si avvertiva già più la frenesia dei giorni della vendemmia, che aveva lasciato nell'aria l'acre odore del mosto che ribolliva ancora nei tini . Era tornata la calma torrida di un'estate che tardava a finire.
Al primo pomeriggio la calma di Palmaria raggiungeva l'apice per via della pennichella dei più. Un briciolo di vita la si poteva trovare solo nel piazzale polveroso della chiesa, dove seduti sulle balaustre di cemento che lo delimitavano, alcuni gruppetti di ragazzini parlottavano sommessamente e con poca foga, perché il caldo imbrigliava gli animi.
Uno di quei gruppetti era composto da me, da mio fratello Andrea e da Efisio. Trentanove anni in tutto, visto che io ne avevo quattordici, Efisio tredici e Andrea dodici. - Angela ci sta! - Mi dicevano eccitati i due - alle quattro, quando avrà finito di rigovernare viene a trovarci al "Covo" nell'orto e ci ha assicurato che qualcosa si farà.
L'orto era un fazzoletto di terra che mio padre aveva preso a mezzadria per farci ortaggi e verdura nel periodo estivo; c'era l'acqua preziosa di una sorgente, ma la parte coltivabile era ben poca cosa, perché quel terreno, già piccolo di suo, era occupato per metà da un fitto canneto, dove, nel mezzo del suo intrico, Efisio e Andrea avevano ricavato il loro rifugio disboscando un po' di canne: il "Covo".
Angela, tredicenne anche lei, era la più grande dei sette figli di Samuele Girau, un bracciante che curava un orto vastissimo che si trovava nelle vicinanze del nostro. Il padrone, tziu Antoni Furau, famoso per la sua avarizia, gli aveva concesso "generosamente" di abitare con tutta la sua tribù nella piccola casa colonica mezzo diroccata. Pessime condizioni igieniche e di spazio, come si può facilmente immaginare, ma nel bisogno certe cose non le si avverte, almeno cosi sembrava , visto che Angela era sempre allegra e aveva un sorriso per tutti; con i ragazzini, poi, quel suo sorriso acquistava alcunchè di malizioso e i suoi grandi occhi neri, dallo sguardo profondo e un po' sfrontato, pareva lanciassero messaggi di promesse allettanti.
- Beati voi, ma cosa ci fate poi con Angela? - chiedo loro con alterigia e ironia insieme, perché ero l'unico dei tre a sapere cosa fosse un orgasmo. Efisio e Andrea mi invidiavano per questo e quando seppero che avevo raggiunto quel traguardo, al mio ritorno dal collegio per le vacanze, quasi non ci vollero credere e pretesero che provassi ciò che avevo asserito. Cosa che puntualmente avvenne nel "Covo", dove mi masturbai più volte, con falsa ritrosia e molto orgoglio, sotto lo sguardo bilioso dei due.
La prima volta era successo circa sei mesi prima, durante l'ora di educazione fisica mentre, avviticchiato strettamente alla pertica cercavo di salirla con la forza delle braccia e delle gambe. Lo strofinio del palo sul pube mi aveva fatto provare per la prima volta quella sublime sensazione che da inizio all'adolescenza. Rimasi come paralizzato, quando ormai mancava poco più di mezzo metro alla cima, e i muscoli si contrassero nello spasimo facendomi avvolgere ancor più strettamente all'attrezzo, tanto da formare un tutt'uno con esso. Provai il piacere intenso che tutti conoscono, molto breve di durata, per la verità. Come diceva un vecchio saggio: "l'orgasmo non dura certo come un paio di scarpe!" Ma provai anche una sensazione di terrore, per la novità, insieme al desiderio che non finisse mai. Quel giorno capii perché la pertica era l'attrezzo di gran lunga preferito da molti dei compagni: anche se stava sulle sue, tutta impettita, e non dispensava molti sorrisi, essa era l'amante paziente e disponibile di molti.
Da quel giorno la masturbazione divenne una pratica pressochè quotidiana e anche più volte al giorno e quando capitava di saltarne uno, durante la notte alla fine di sogni ancora confusi e imprecisi, ma dal contenuto altamente erotico, mi risvegliavo bagnato lì. L'emozione più intensa me la dava sempre la pertica, che andavo ad abbracciare ogni qual volta, assai raramente, la trovavo libera.
Il problema più grande era diventato la Confessione. La prima volta fu imbarazzo totale, se non terrore autentico, perché ci avevano spiegato bene cos'era l'Inferno con le sue fiamme che bruciano senza consumare, i suoi diavoli aguzzini, e il significato di Eternità. Ma la vergogna di confessare i miei rapporti sessuali con la pertica e la mia mano, era evidentemente più forte della paura, perché al vecchio don Milia dissi solamente che avevo fatto pensieri cattivi - quante volte? - chiese il sant'uomo
- due o tre - mentii
- due o tre, precisa bene benedetto figliolo, e poi, ti sei toccato? -
- no, no, toccato no, ma mi sono svegliato tutto bagnato - mentii di nuovo, quasi tremante pensando a quanto si sarebbero inasprite le pene dell'inferno per una bugia detta in Confessione. Il vecchio prete, scambiando il mio terrore da inferno per turbamento da purezza virginea accostò ancora di più la sua bocca al mio orecchio destro (non c'era il confessionale, ma solamente un inginocchiatoio e una sedia ) - ma Giustino, questo non è peccato, se non c'è la volontà non può esserci peccato; durante il sonno noi non possiamo decidere i nostri sogni, ciò che ti è successo è un fatto naturale e non ti devi sentire turbato per questo - mi bisbigliò con fare imbarazzato. E quasi si fosse ricordato lì per lì di un impegno urgente mi congedò. Non volle neppure sentire gli altri peccati che avevo ancora da confessare, mi dette l'assoluzione e niente penitenza. Le Confessioni successive furono tutte sulla falsariga di quella. Una volta, dopo un paio di mesi o tre, alla domanda di rito: "ti sei toccato?" mi scappò di dire sì. Mi sarei sotterrato, non per la vergogna, perché quella fase l'avevo superata e mi ero già rassegnato a subirne le conseguenze nell'Inferno, ma per il dispiacere e la delusione che dipinsero il volto del povero vecchio don Milia, alla lunga mi ci ero affezionato. Quando avevo qualche problema ne parlavo con lui, che trovava sempre le parole giuste per ridarmi la serenità perduta. Da poco era morto il mio nonno materno, nonno Vacca, e in quell'occasione don Milia mi fu molto vicino, capì il tanto affetto che mi legava al nonno e la sofferenza conseguente, mi fu vicino e ora l'avevo eletto a sostituire quella figura scomparsa.
- Ti sei toccato? Oh, Giustino, mio Dio, mio Dio, come è potuto succedere? Ma lì ti sei toccato? E quante volte Gesù mio? - Per lui era un bisbiglio, per me un acuto di tromba dell'Apocalisse. Ero seriamente preoccupato che gli altri miei compagni in attesa di confessarsi, lì vicino, potessero carpire i miei segreti dalle smorfie di disappunto di don Milia. pensai bene di tranquillizzarlo.
- Beh, non proprio toccato, toccato - gli bisbigliai avvicinando la bocca al suo orecchio destro - solo sfiorato, poco poco, dalla tasca dei pantaloni, quando si era al cinema -
Don Milia sembrò rasserenarsi un po', ma lo stesso, sollevato il capo, mi lanciò uno sguardo severo.
- Ma dimmi un po', ti è piaciuto? mentre lo facevi, hai provato del piacere? -
- No, non molto - risposi intuendo che l'intensità del piacere provato sarebbe stata direttamente proporzionale alla costernazione di don Milia - di piacere quasi niente, e poi mi sono pentito subito, ho recitato anche un atto di dolore, non sono riuscito a seguire più nemmeno il film dopo, per quanto ero dispiaciuto -
E lui: - Giustino, Giustino, ricordati che commettere atti impuri con il pensiero e con le azioni è peccato mortale, ricordi cosa ha scritto san Domenico Savio nei suoi propositi di santità? "la morte ma non peccati", ecco, Giustino, la morte ma non peccati, ricordati. Ora vai, dieci pateravegloria di penitenza, e fai il bravo.
Povero don Milia, quando lasciai l'inginocchiatoio aveva l'aria rassegnata, come di chi sa di aver perso definitivamente un altro giglio potenziale. Gli sono sempre rimasto affezionato, anche quando la vita mi ha portato lontano dalla religione, e dopo che morì sono andato più volte a trovarlo, a portare un fiore nella sua tomba.
La lunghezza di questo viaggio solitario, da Brescia a Roma, mi porta a vagare con i ricordi filtrati dal tempo: sempre più dolci quelli belli, sempre meno dolorosi quelli brutti. Ma ci sono ricordi che il tempo ravviva continuamente, sono specialmente quelli di errori commessi, dovuti all'incoscienza del momento, non per questo meno responsabilizzanti, che con l'esperienza e la maturità vengono ridefiniti in continuazione e rideterminati nella portata e nella gravità.
Vagare con i ricordi. Divagare. Allontanarmi da quel giorno. Ma ho deciso di ribadire a me stesso il senso di questo viaggio e lì devo tornare, a Palmaria, nella piazza di chiesa arroventata e polverosa.
- Ecco, appunto! - fa Efisio - devi venire anche tu al "Covo", così ci divertiamo. Poi tu piaci molto a lei, l'ha detto anche stamattina, vero Andrea? Ha detto che sei proprio bono e che è un peccato che stia studiando da prete, anzi sai cosa ti dico? Che ci ha dato l'appuntamento perché spera che riusciamo a portarci anche te, vero Andrea? - Andrea aveva annuito convinto.
- Sì - faccio io impettandomi - vengo anch'io, adesso, ma se è ancora una bambina, e poi, con voi due li vicino a guardare, no, no andate da soli e divertitevi -
- Non è vero che è una bambina, ha tredici anni e i seni sono già ben sviluppati e ha detto di avere anche i peli nel pube, ma non l'hai vista tu stesso, ti sembra una bambina quella? Vero Andrea? Per quanto riguarda noi, poi, devi lasciarci guardare, del resto l'appuntamento è a noi che lo ha dato, mica a te, noi staremo lì buoni buoni, guardiamo e ci divertiamo, dai Giustino, vieni, non puoi dire di no! - disse Efisio accalorato, con il tono che usava quando intendeva strappare qualche consenso a sua madre.
Mi schermii, ma non troppo risoluto: - no, no, non ci vengo, io - ero preoccupato, perché intanto che il progetto prendeva corpo mi ponevo il problema del come fare con una donna, era una novità assoluta per me e sebbene una tale evenienza l'avessi sognata e auspicata mille volte, ora alla prova dei fatti l'idea quasi mi terrorizzava, e la preoccupazione derivava anche dalla brutta figura che avrei potuto fare davanti a Efisio e a mio fratello, perché non sapevo neppure da che parte cominciare in un rapporto sessuale vero.
Che Angela mi avesse definito piacevole mi aveva inorgoglito, evidentemente non era proprio una bambina, e aveva anche un certo buon gusto. Per il resto pensai che quelle erano cose da provare e che tutti i problemi si sarebbero risolti da sé. Una buona volta avrei dovuto iniziare, quale migliore occasione, e più tranquilla, di quella? Ancora qualche insistenza e decisi di assecondare il progetto dei due malandrini.
Con quanta leggerezza presi quell'infame decisione!
Mi rifiuto con forza di rivivere le minuzie di quello stupro. La paura nei suoi occhi quando mi vide comparire all'improvviso, imprevisto, nel "Covo" dall'intrico delle canne e capì di essere finita in una trappola con un raggiro: fu evidente che Efisio e Andrea mi avevano mentito circa l'auspicio di Angela di vedermi far parte del convegno, ma oramai ero preda dei mie istinti animali. I tentativi che fece con tutte le sue energie per ribellarsi alla violenza li ho ancora nella mente fra i ricordi più vivi, fra quelli che non dimenticherò mai.
Angela la rividi di sfuggita per le strade di Palmaria due o tre volte prima della partenza, e mi regalò dei sorrisi malinconici e maliziosi. Evitai di rivolgerle la parola, non provavo rimorso per ciò che era avvenuto, ma l'idea di sentire la sua voce mi metteva in uno stato di forte disagio. Percepivo di aver commesso qualcosa di ben più serio di una ragazzata, ma la parola violenza, ad esempio, non entrava nel sistema di misurazione della gravità del fatto. In quei pochi giorni che mi separavano dal ritorno in collegio la preoccupazione maggiore era quella di liberarmi del peccato commesso con la Confessione, e dovevo farlo prima della partenza: non potevo certo confessare a don Milia una colpa simile! Né potevo farlo in Palmaria, perché un aspirante salesiano doveva tenere un comportamento irreprensibile anche durante le vacanze: in chiesa tutti i giorni, il rosario, servire messa e via dicendo, che il parroco del paese certificava con una lettera che dovevo portare io stesso al rientro. Il segreto confessionale non mi rendeva pienamente tranquillo, pensavo giusto a una buona scusa per andare in qualche paese vicino dove ripianare le mie pendenze con l'Eterno. Il destro me lo offrì il pagamento di certe tasse che si dovevano effettuare a Venareas, venti chilometri da Palmaria, dove c'era l'esattoria dell'Ufficio del Registro. Mi accaparrai l'incarico di provvedere all'incombenza ed ebbi modo così di risolvere il problema che tanto mi angustiava.
Circa venti giorni dopo che fui tornato in collegio ricevetti una cartolina da Angela dove mi inviava baci e abbracci con non più di cinque parole, perché allora nelle cartoline si poteva scriverne solo tante, più la firma. La posta veniva rigorosamente controllata dai superiori prima della consegna, normalmente veniva distribuita, aperta, durante l'ora della ricreazione, quella cartolina me la consegnò, invece, il direttore nel suo ufficio e mi chiese conto della mittente.
- Angela, è mia cugina - mentii convinto, ma non so quanto convincente. Infatti, il direttore, consegnandomi la cartolina mi disse: - Va bene, tienila pure, ma gli abbracci, i baci, Giustino, i baci, non vanno proprio bene, anche se è una cugina! -
Il bacio platonico di una ragazza, dato con meno di cinque parole in una cartolina, era motivo sufficiente per essere espulsi da aspirante salesiano e non volevo che accadesse; così alla prima occasione, durante una gita che si svolse di lì a poco, riuscii a scriverle una cartolina illustrata dove dicevo: "qui non puoi scrivermi" per completare le cinque parole aggiunsi un "ciao" frettoloso.
Di Angela non seppi più nulla fino all'estate successiva, quando tornai a Palmaria per le vacanze estive.
Venni a sapere del fattaccio tramite Efisio, perché Angela fu il primo argomento che trattammo non appena ci fummo visti, ma sarei venuto a saperlo in ogni caso, perché in paese ancora non si parlava d'altro che di Angela Girau e della sua disavventura.
Un amico della famiglia, tale Anselmo Coghinas quasi cinquantenne, compare di Samuele Girau, approfittando dell'assenza dei genitori aveva violentato Angela più volte, il tutto venne allo scoperto quando si accorsero che la fanciulla aspettava un bambino. L'uomo fu arrestato ed era ancora in carcere in attesa del processo. I giudici non sarebbero stati teneri con lui, perché vista l'aggravante che aveva commesso e reiterato il misfatto davanti agli occhi innocenti dei fratellini, lo condannarono a sette anni di carcere, dove morì, alcuni anni dopo per un infarto fulminante. Angela e i suoi fratellini, per ordine del tribunale dei minorenni, furono tolti alla famiglia e affidati a vari istituti sparsi in Sardegna e anche nel continente. Angela fini a Roma in un istituto di suore, in attesa del parto. Questo ciò che riportavano le voci del paese. Io non ho avuto l'opportunità di verificare queste voci. Provai sdegno e rabbia nei confronti del bruto, quasi che misfatti del genere potessero trovare una qualche logica se compiuti da un giovane e non avessero il grado di efferatezza di quando invece a compierlo è una persona adulta, sposata, con prole.
Il ricordo di Angela andò rapidamente scemando.

Questo il fatto, e sarebbe rimasto un episodio della mia vita, solo a riuscire a fermare il Tempo. Ma il Tempo non lo si può congelare. Esso scorre su persone e cose lasciando la sua mutevole impronta; e riempiendo, persino, il contenuto vuoto di uno stupido quattordicenne. Il Tempo che passa significa formazione e crescita, sia che si prenda una direzione corretta e conforme alle regole umane e sociali, sia che se ne imbocchi una diversa, deleteria.
Mi sto recando a Roma. Da Brescia a Roma è lunga, il tempo per pensare non mi manca, e penso, e rifletto su ciò che mi accingo a fare. Ho lasciato casa che Brescia si metteva in moto con la solerzia che la distingue come un marchio genetico, Elena mi ha salutato con un velo triste nello sguardo - ricordati di passare al cantiere di Cremona, c'è il direttore ai lavori che ti aspetta per le otto e trenta, sai quanto ci tiene alla puntualità quello! - Sapeva bene che non avrei mai dimenticato quell'impegno, me lo ha detto così, per dire qualcosa, per nascondere il disagio che la turbava. Mentre varcavo la soglia mi sono fermato, sono tornato indietro, da lei, la ho abbracciata - grazie per quanto sei comprensiva - le ho detto. Ancora un bacio e sono uscito. È buona Elena, è paziente con me, ha capito che ciò che sto facendo è necessario per la mia serenità. Sa tutto, dello stupro di Palmaria, del rimorso che mi ha lasciato, che non si è mai attenuato ed è riaffiorato, di tanto in tanto, nei miei discorsi di questi lunghi anni trascorsi insieme. Si può dire che sia stata una decisione presa insieme.
- Perché non la contatti, oppure vai a trovarla - ha detto mentre si era a tavola - così avrai modo di sapere se ha bisogno di aiuto, se puoi fare qualcosa per lei, hai visto mai che potrai finalmente stare in pace con te stesso -
Un'idea, questa, che stavo rimuginando da qualche giorno. Capita spesso nelle coppie affiatate come la nostra di scoprirsi a pensare la stessa cosa. Ci stavo pensando fin dal ritorno dalle ferie in Palmaria. Due giorni prima della partenza ero al bar con l'amico Sergio, si avvicina un terzo - ciao Sergio - dice - ciao Tiziano siedi con noi, ti presento un amico - gli fa Sergio. Mentre si sedeva, le presentazioni: - Giustino Rovata - dico io, e lui: - Tiziano Girau, piacere -
A sentire quel cognome ebbi un sobbalzo che nascosi a fatica.
- Girau, Girau - indagai - questo cognome non mi è nuovo, sei di Palmaria? -
- no, sono di Cagliari, o meglio, a Palmaria ci sono solo nato, sono andato via che avevo neppure due anni, da allora sono sempre stato a Cagliari, si può dire che sono cagliaritano. Qui a Palmaria ho dei lontani parenti della parte di mamma, i Fenu, li conosci? Ecco i Fenu sono tutti miei parenti. Oggi mi sono finalmente deciso a venire a Palmaria, Sergio è una vita che mi stava invitando a venirlo a trovare, lavoriamo insieme alla Saras, noi -
La loquacità di Tiziano fu un incoraggiamento irresistibile per la mia curiosità. Non avevo mai mancato di chiedere notizie di Angela, ogni qualvolta se ne era presentata l'occasione, inutilmente, nessuno, mai, era stato in grado di soddisfare la mia curiosità: di Angela pareva se ne fossero perse le tracce.
Questa sembrava una pista da seguire e prontamente chiesi a Tiziano: - Non è, per caso, che hai una sorella che si chiama Angela? -
- Sì, mia sorella, la grande, si chiama proprio Angela -
Il turbine di sensazioni che mi squassò l'anima fu difficile da dominare, sono certo che l'eccitazione di cui ero pervaso fu evidente ai due, nonostante lo sforzo immane che facevo per apparire solo giustamente interessato all'argomento. Fui precipitoso nel dire: - Sai Tiziano, mi ricordo bene di voi, della tua famiglia intendo, abitavate nell'orto grande di tziu Antonio Furau, lì nella zona bassa di Palmaria, noi avevamo un piccolo orto nelle vicinanze, mi ricordo bene di Angela, aveva qualche anno meno di me, ma dimmi, che fine ha fatto tua sorella? -
E lui: - Angela? Angela si trova a Roma, fa la portinaia nella zona di Trastevere, ha un figlio che più o meno è vecchio quanto me - lo interruppi: - Sì, sì, mi ricordo anche del figlio, lo ha avuto che era poco più di una bambina, ma dimmi, dimmi, si è sposata, ha avuto altri figli, com'è, com'è? -
- No - mi spiegò - quarant'anni fa non era facile neppure a Roma trovare un marito se si era ragazze madri. No non si è mai sposata e ha finito per allevare da sola questo suo figlio. Di salute sta bene, lei, anche per il lavoro non si può lamentare, fa la portinaia, una buona paga, le mance per le feste grandi, è una palazzina signorile quella dove lavora. Il figlio piuttosto, è il figlio Giustino che le sta dando un sacco di problemi: entra ed esce di galera; per piccole cose eh, solo per piccole cose, ma oramai è un disadattato sociale e mi sa che non riuscirà più a venirne fuori da questa situazione. Mi dolsi per i problemi che angustiavano Angela: - poverina quanto starà soffrendo! - dissi, e in dialetto aggiunsi: - Cosa vuoi, tronco di fico, scheggia di fico - intendendo che da un padre delinquente non poteva venire fuori che un delinquente. Provai un moto di odio per quel figlio snaturato. Chiesi informazioni più precise di lei. Venni così a sapere che Angela non aveva più fatto ritorno in Sardegna, neppure in occasione delle scomparse dei suoi genitori avvenute alcuni anni prima. Tiziano con la sorella e altri cinque fratelli che si trovavano sparsi per il Continente non aveva che rari contatti telefonici, qualcuno dei fratelli aveva fatto ritorno nell'isola, per le ferie estive. Angela, lei non la vedeva da una quindicina d'anni addirittura, Andarono a Roma in viaggio di nozze, mi spiegò.
- Ti ricordi per caso l'indirizzo? - chiesi - non si sa mai che capitando a Roma trovo il tempo di andarla a trovare, mi farebbe piacere rivederla -
- Eh! pretendi troppo, non lo ricordo, ma te lo posso far avere tramite Sergio, a casa ci deve essere scritto da qualche parte -
L'incontro con Tiziano Girau mi gettò in uno stato di forte agitazione. Pensare ad Angela era stato per me sempre motivo di tormento e disagio. Con il passare del tempo l'infamia commessa nel "Covo" del canneto mi ha sempre gravato di un senso di colpa via via più pesante da sopportare. Bastava una notizia di cronaca. una foto, la scena di un film che trattassero il tema di una qualche violenza sulle donne, per riaprire in me una ferita che sembrava lì l'ì per chiudersi, e occasioni al riguardo nel corso di questi anni non ne sono mai mancate, perché a scadenze regolari, quasi quotidiane, purtroppo, l'informazione ci racconta di fatti ignobili. Nel marzo del settantatre ero a Milano, studiavo alla Statale, quando dei teppisti neofascisti rapirono e violentarono Franca Rame. Erano giorni di grande fermento politico. Vivere a Milano in quel periodo significava respirare la tensione pesante della stagione delle stragi e la passione dell'impegno civile e politico. Mai una generazione di giovani si trovò e si sarebbe trovata coinvolta politicamente come lo fu quella di quegli anni. La televisione rimpiccioliva il mondo e i giovani sia che fossero schierati da una parte o dall'altra, si facevano carico delle tremende tensioni che elettrizzavano l'intero pianeta. Le manifestazioni di piazza erano quasi quotidiane: c'era il Vietnam dove si profilava lo smacco americano, la giovane repubblica socialista cilena di Allende, pericolante, minacciata dal boicottaggio economico degli Stati Uniti e non mancavano le lotte politiche per questioni nostre italiane o la celebrazione dei martiri (nel marzo del settantadue era saltato in aria Giangiacomo Feltrinelli per una bomba che pochi credevano fosse stato lui a preparare) delle due fazioni, puntuali occasioni di scontri di piazza. In questo quadro rientrò pure il rapimento e lo stupro di Franca Rame, era il secondo venerdì di marzo, la notizia si sparse per Milano in un baleno accendendo uno sdegno generale. L'attrice con il marito Dario Fo e il figlio Jacopo erano attivisti ed esponenti di primo piano della sinistra extraparlamentare e la sua carriera artistica era all'apice. La sera del martedì successivo ci fu una grande manifestazione di protesta per il bestiale delitto e di solidarietà con la vittima e la sua famiglia. Anch'io ci andai con alcuni compagni di università perché lo sdegno sincero era tanto grande quanto rabbioso. In quella occasione si parlò assai di stupro e dei suoi significati più profondi. Naturalmente il ricordo di Angela, la vigliaccata che avevo commesso nel "Covo" e il senso di vergognoso imbarazzo in quei giorni non mi abbandonò un istante. Quel martedì al Palalido di Milano migliaia di persone di ogni tipo urlarono la loro rabbia per un delitto fra i più ignobili e bestiali: lo stesso che io avevo commesso anni prima contro Angela e il suo corpo di bambina indifesa. Le urla della folla rabbiosa le sentivo rivolte alla mia persona, le filippiche di sdegno e condanna che gli oratori che si erano via via succeduti sul palco erano inequivocabilmente indirizzate a me, su di me sentivo rivolti i loro sguardi fiammeggianti d'ira e di disprezzo. Il fantasma della colpa mi avvolse opprimente e angosciante fino a lasciarmi annichilito e nauseato, il malessere che mi colse fu anche fisico, andai via dal Palalido che la manifestazione non era ancora finita. A settembre dello stesso anno Elena mi raggiunse, dalla Sardegna, in Lombardia. Trovò lavoro a Brescia, perché i genitori non avrebbero permesso mai di lasciarla andare a vivere nella stessa città dove già vi si trovava il suo fidanzato. Volle farmi una sorpresa. Quando aprii la porta me la trovai davanti, con un'aria ansiosa e colpevole insieme. Dopo il primo momento di grande stupore, baci e abbracci, naturalmente, e poi ancora baci e ancora abbracci. La mia gioia era tanta. Il fatto che si era decisa a raggiungermi aveva per me un solo significato: si era finalmente liberata delle paure e dei dubbi circa il nostro rapporto, finalmente avremmo vissuto una vera vita da fidanzati. Con Elena eravamo insieme già da sei anni, ma fino ad allora gli studi e il lavoro mi avevano tenuto lontano dalla Sardegna, quindi le nostre frequentazioni erano state rade e limitate nel tempo, il nostro era stato fino ad allora un rapporto che si poteva definire platonico, infatti fra le convinzioni di Elena vi era quella di voler arrivare illibata al matrimonio. Il nostro rapporto fisico si era sempre fermato al petting, neppure troppo spinto. Io ci avevo provato in ogni occasione che si era presentata, ma il mio insistere arrivava solo a un certo punto, perché il ricordo di Angela, puntuale, mi impediva di andare oltre. Era stato sempre inutile, anche , che mi sforzassi di convincerla che uno non sta sei anni appresso a una ragazza solo per portarsela a letto una volta e poi abbandonarla. Tutto inutile, la risolutezza di Elena era stata incrollabile. Ora la sua venuta in Lombardia, a Milano, assumeva un chiaro significato anche in questo senso: aveva finalmente gettato alle ortiche tutte le sue paure e suoi tabù.
- Ti fermi qui a dormire? - chiesi
- Se mi vuoi - rispose gioviale, con un sorriso che a me parve malizioso. Dividevo l'appartamento con un amico. Due camere. Nella mia c'era solo un lettino singolo, che accolse me e Elena in un'intimità che nei sei anni precedenti non avevamo mai conosciuto. Contrariamente all'idea che mi ero fatto circa il ravvedimento di Elena sulle sue idee puritane, lei oppose fin da subito una forte resistenza ai miei tentativi di approccio. Con l'infinita pazienza che mi ero imposto e una tecnica che si può definire "dei piccolissimi passi" ero arrivato al punto in cui eravamo completamente nudi. Le luci erano spente, nel momento cruciale sentivo che Elena singhiozzava sommessamente, sentivo che ciò che stavamo facendo a lei costava infinita sofferenza, mi parve la vittima di un sacrificio cruento agli dei, mi parve di stare usando violenza sulla sua volontà, mi parve, in quel momento, di rivedere il volto disperato di Angela, di molti anni prima, nel "Covo". Non andai oltre. Elena per le nozze, che avvennero qualche mese più tardi, mi regalò felice la sua verginità.
La triste esperienza del "Covo" è riaffiorata in molte altre occasioni della mia vita; si può dire che ha condizionato anche tutto il rapporto sessuale di coppia che ho avuto con mia moglie, nel senso che ho sempre badato di evitare l'uso della prepotenza che istintivamente talvolta ho sentito la tentazione di usare. Ciò credo abbia giovato al nostro rapporto, infatti anche ora, che siamo sposati da oltre trenta anni, viviamo un ottima intesa generale.
Il viaggio continua e i pensieri mi accompagnano. Ho da poco lasciato Cremona. Mi sono dovuto recare nel cantiere dell'ospedale per decidere, con la Direzione ai Lavori, la dotazione delle strutture integrate per i servizi igienici, c'è stato poco da decidere, visto che sul mercato esiste solo una ditta che propone la soluzione di questo tipo di problemi.
Dopo un quarto d'ora stavo già venendo via dal cantiere, ho lasciato gli altri problemi meno importanti al geometra e al capo mastro.
Sono di nuovo in autostrada, penso al mio lavoro, alla sua Storia. Ora dispongo di ingegneri e geometri che lavorano per me, non è stato sempre così. Gli inizi, la base di questa situazione che oggi appare florida, hanno messo radici nel sottobosco del subappalto, lavorando per conto di imprese talvolta spregiudicate e disoneste, la sopravivenza è stata difficile in un mercato edilizio povero come quello sardo. Fino a quando, come talvolta accade nella vita, c'è stato il colpo di fortuna. L'Impresa Beltrami di Brescia che mi affida la costruzione di un villaggio turistico in Costa Smeralda. L'impresa Beltrami che dopo mi chiede di portare a termine un cantiere che ha aperto nel Bresciano. La grave crisi che ha investito l'edilizia sarda a metà degli anni novanta che mi ha spinto ad accettare la proposta. La difficoltà che ha trovato l'impresa Beltrami per pagare le mie prestazioni. L'acquisizione da parte mia della metà dell'impresa Beltrami, che è diventata Beltrami & Rovata. Liquidazione del Beltrami. Acquisizione di aree, qualche speculazione, qualche appalto pubblico. Il tutto in un crescendo vorticoso di attività febbrile. Ora, dopo neppure dieci anni, sono titolare di un'impresa edile ben avviata e godo di un'agiatezza che non avrei mai potuto sognare quando sono partito dalla Sardegna per iniziare l'avventura di Brescia. Diventa tutto fin troppo facile quando ti investe un colpo di fortuna. Tutto sembra disporsi nell'ordine giusto per proprio conto, è come guidare un aereo con il pilota automatico: devi solo stare a guardare che eventi improvvisi e straordinari non facciano deviare la tua rotta. Quando ci pensi ti chiedi cosa hai fatto di straordinario per esserti meritato un simile colpo di fortuna, tutto il credito di cui godi da parte delle banche, la fiducia sulla tua professionalità, il lavoro che ti insegue, che sembra inesauribile, e via che uno tira l'altro, come le ciliegie. L'entusiasmo e la lena, poi, quelli ti arrivano spontanei, con il successo e il guadagno. Ti sembra di giocare quando sei preda di un colpo di fortuna. Ecco, adesso sto volando alto con l'entusiasmo dei ricordi, e il piede dell'acceleratore ne ha risentito, la mia mercedes sta andando troppo veloce, anche se, insonorizzata come è non me lo da a sentire. Percorrendo a ritroso il tempo di questi ultimi anni mi ero quasi scordato del motivo di questo viaggio. Sto andando a Roma, a trovare Angela. Conquistando il benessere in questi ultimi anni ho sempre più spesso pensato che Angela poteva avere bisogno di aiuto, anche economico, e questa idea velava i miei successi con un manto di rammarico. Da quando, tramite il fratello Tiziano, sono venuto in possesso del suo indirizzo, l'idea di andarla a trovare, di aiutarla a risolvere i problemi che sicuramente le creava il suo figlio scellerato. Non so, forse aveva bisogno di soldi per pagare gli avvocati, qualche grossa multa, spese di tribunali e altre cose del genere. Questa idea non mi aveva più abbandonato. Sono uno che non è stato mai eccessivamente legato hai soldi, ma negli ultimi tempi mi è capitato sempre più spesso di sorprendermi ad usarli come argomento o come termine di paragone. È inevitabile che chi ha i soldi finisca con il diventare così? Non lo so, ma mi pare che se aiuterò Angela a risolvere i suoi problemi che possono essere solo di natura economica, se li ha, troverò quella tranquillità che vado cercando da una vita. Provo vergogna per questi pensieri meschini, ma di altro non so cosa potrei fare. Ora mi sta sorgendo il dubbio che Angela avrei potuto trovarla molto tempo prima, se la mia ricerca non si fosse limitata a qualche domanda sporadica. Forse fino allora non l'avevo cercata seriamente perché non avevo avuto nulla da offrirle per ripagarla del male che le avevo fatto, ora sono ricco e con i soldi si possono fare tante cose. E c'è quel figlio, Giustino. Giustino, Per la prima volta considero il fatto che Angela ha dato al figlio il mio nome. Ha un significato quel nome? Ricordo la cartolina che mi inviò in collegio, "baci e abbracci" mi inviava, ma non è che Angela si era innamorata davvero di me? No, una cosa del genere non è possibile, dopo ciò che le avevo fatto. È anche vero che esiste la cosi detta Sindrome di Norimberga, ma ora non è il caso di scomodare ragionamenti così complicati. Ho la testa confusa, per il tanto ragionare, come è confuso questo traffico di Roma: Infatti ora mi trovo già a Roma. Mi avvicino alla zona di Trastevere. Fra un po' vedrò Angela, finalmente.
Via degli Scavi Antichi, eccola qui, è adiacente a Porta Portese, la imbocco, al numero sessantasette c'è un palazzone elegante di dieci piani, risale agli inizi degli anni settanta, spiega il mio occhio esperto. Qui c'è Angela. Accosto, fermo la macchina, scendo, mi avvicino ai campanelli dell'ingresso. Eccola qui: portineria, sono agitato, da dentro tardano a rispondere, intanto che aspetto leggo la sfilza dei nomi sulle targhette di ottone elegante.
- Cosa ci fai tu qui? - Questa domanda di donna e inequivocabilmente rivolta a me. Mi volto con un leggero sussultoo. È una signora attempata, corposa, ma vestita molto elegante. Quando mi vede bene in viso resta per un attimo perplessa e mi fa: - mi scusi signore, l'avevo scambiato per un'altra persona - intanto ha infilato la chiave nel portone, - Chi cerca? -
- La signora Girau, ho suonato ma non risponde -
- Ah, la Angela, deve esser andata alla latteria qui vicino per fare un po' di spesa, venga, l'aspetti pure dentro - apre e mi fa entrare - La portineria è qui, arrivederci - dice indicandomi il gabbiotto del custode e prosegue verso l'ascensore, brillante nelle sue guarnizioni di ottone. Intanto che aspetto mi guardo intorno, l'atrio è totalmente rivestito di travertino lucidato, una gigantesca fioriera in rame ossidato è posta al centro tra l'ascensore e il portone, c'è abbondanza di ottone, tutto molto elegante, ma chissà quanto deve faticare Angela per tenere pulito tutto questo sfavillio.
Dalla vetrata del gabbiotto vedo la porta che da accesso all'appartamento del custode, è socchiusa. Decido di entrare e aspettare Angela dentro casa, mi sento a disagio a stare solo in quell'atrio troppo grande e troppo luccicante.
Attraverso il gabbiotto, sospingo la porta e mi trovo nel mini locale. È lindo e ordinato, sulla sinistra, subito, c'è un piccolo divano di finta pelle rossa, più avanti la porta che da alla camera e ai servizi; sulla destra la cucina il frigorifero e il lavello; di fronte un mobile basso bianco, sul quale fa bella mostra una foto incorniciata, è ciò che attira la mia attenzione più di tutto il resto. Mi avvicino di qualche passo per guardarla meglio. È la foto a colori di un quarantenne sorridente da lo sguardo buono e simpatico, ci trovo qualcosa di familiare nella fotografia, ho l'impressione di aver già incontrato quella persona da qualche parte, anche se non ricordo esattamente dove, quasi sicuramente è Giustino, ma non ha la faccia da delinquente. Sono talmente preso dall'osservazione della foto che non mi accorgo del sopraggiungere di Angela.
- Giustino, che ci fai qui, cosa è successo? -
Mi volto, ancora con un leggero sussulto, Angela è davanti a me, non è molto cambiata, è come la immaginavo, incontrandola forse l'avrei riconosciuta. Vedo che il suo viso da spaventato diventa di meraviglia.
- Mi scusi signore, l'avevo scambiata per mio figlio che in questo momento è in tutto un altro posto, quindi capirà la mia sorpresa di poco fa, ma sa che lei ci somiglia davvero tanto a mio figlio Giustino, con chi ho il piacere di parlare? -
- Sono Giustino, Angela -
- Giustino chi, scusi, Giustino, Giustino di Palmaria?
- Sì Angela, sono quel Giustino lì -
- Oh mio Dio, non ci posso credere! - dice Angela sbiancando in volto, è evidente che sta avendo un mancamento, con un balzo sono da lei, in tempo per sorreggerla prima che crolli per terra. L'adagio delicatamente nel divano rosso, sono spaventato, mi guardo in giro perché ho bisogno di aiuto e lo sguardo si fissa sulla fotografia, il sorriso bonario di prima ora mi sembra un ghigno beffardo. Sento che sto avendo un mancamento anch'io, mi si annebbia la vista. Ora è tutto nero. Ho paura di aver capito tutto. Non sapevo che il terrore facesse questo effetto.

Ecco, questo è il racconto che ho scritto e da cui è stato tratto il film che abbiamo appena visto nella piccola sala di proiezione. Racconto che il produttore mi ha pagato con cinquemila piccoli euro.
A questa primissima proiezione c'è tutto il cast, è un'abitudine di Cristiano Benci, il regista, dice che porta bene radunare per la prima proiezione tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione del film. Quando hanno spento le luci il produttore, il cavalier Alvaro Troiani non era ancora arrivato, ora che le hanno riaccese noto con sollievo che c'è, e io sono venuto per parlargli, non ci sarei venuto qui, se non avessi avuto questa speranza. Questo non è il mio mondo, sono sicuro che tutti lo hanno notato per via del mio abbigliamento dimesso, come sono sicuro che tutti si sono chiesti chi sono e cosa ci faccio qui. Nessuno mi conosce.
Sono un povero cristo di cinquantaquattro anni (attualmente sono anche disoccupato, quindi ancor più povero cristo), con la passione della scrittura, mi piace inventare storie e scriverle. Nel corso della vita questa passione mi ha sostenuto moralmente e mi ha aiutato ad andare avanti nei momenti più difficili, come questi ultimi, da che ho perso mia moglie Elena. Ha alimentato in me un barlume di autostima, in una vita mediocre.
"Scheggia di fico" era capitata per caso nelle mani del Troiani, gli era piaciuta, mi aveva convocato nel suo ufficio e si era proposto per acquisirne i diritti. Stavo passando un momentaccio: le prime avvisaglie che la fabbrica di palets, dove lavoravo, stava trovando grosse difficoltà, i cinquemila euro mi erano sembrati una manna, ma i diritti glieli avrei concessi anche gratis: per chi lo fa per diletto come me, è già un piacere se c'è qualcuno disposto a leggere ciò che scrivi.
Vedo che Benci si precipita a salutare calorosamente il Troiani, si abbracciano e si baciano, come è consuetudine in questo mondo (ho avuto modo di constatarlo prima, quando si era in attesa della proiezione). Durante questa operazione il Troiani butta lo sguardo in giro, anche su di me. Dalla faccia schifata che fa intuisco il dialogo bisbigliato e veloce che avviene fra i due: - hai invitato anche quello lì? Ma non vedi come è conciato, potevi farne a meno! - dice il Troiani.
- Non poteva mancare, sai che ci tengo che tutti quelli che hanno collaborato alla realizzazione siano presenti alla prima proiezione, porta bene. Intanto ho buone notizie dalla mostra di Venezia, abbiamo una settimana di tempo per presentare la pellicola - dice il Benci.
La piccola sala di proiezione intanto si svuota, ci trasferiamo tutti in un salone attiguo dove è stato approntato un rinfresco.
Devo assolutamente parlare con il Troiani, per vedere se riesco, con il suo aiuto a risolvere il problema del lavoro. Inevitabilmente capita che ci troviamo vicini e colgo la palla al balzo.
- Oh, cavaliere, come sta? - dico mentre porgo la mano e lui la stringe con sospetto, poco incoraggiante, ma io imperterrito continuo: - gli chiedo un minuto di attenzione per vedere se può aiutarmi a risolvere un problema gravissimo che mi affligge: sono rimasto senza lavoro... -
- Non mi cerchi altri soldi, eh, per carità, siamo già fuori con il budget - mi interrompe prontamente lui.
- No, non è questo il genere di aiuto che intendo chiederle, vorrei solamente che con le sue conoscenze mi desse una mano a trovare un nuovo posto di lavoro, la ditta di palets dove ero responsabile della manutenzione ha chiuso. Sto facendo molta fatica a trovare un nuovo impiego, sa, alla mia età non è per niente facile -
Un sospiro di sollievo mi fa capire che il Troiani ha riacquistato la serenità che aveva momentaneamente perso.
- Se è solo per quello non si preoccupi, mi interesserò certamente, la chiamerò io non appena avrò qualche novità, ma mi dica cosa ne pensa del film? Le è piaciuto? -
- È bellissimo, sono sicuro che sarà un grande successo, mi è sembrato di rivivere alcuni momenti della mia infanzia. A Palmaria, quando lo vedranno, ricorderanno alcuni dei fatti che vi sono rappresentati - rispondo io, poco convinto che il cavaliere si adopererà davvero per aiutarmi.
Il Troiani si fa scuro e indaga: - A quali fatti si riferisce esattamente, non mi aveva assicurato che la storia era di fantasia? -
E io: - Il racconto è inventato, ma tutte le storie che si scrivono di solito si ispirano ad avvenimenti realmente accaduti, anche questa mi è stata ispirata da un fatto accaduto a Palmaria quando avevo circa quattordici anni. Quello stupro di cui racconto è realmente accaduto, e Angela Girau è rimasta davvero incinta da quel bruto, e davvero è stata presa alla famiglia e affidata a un istituto di suore di Roma -
Il Troiani, trattenendo a fatica l'agitazione di cui è preso, mi fa: - Ma adesso dove si trova questa Angela Girau, come la si può rintracciare? -
- Non lo so - rispondo - quando eravamo poco più che bambini abbiamo anche amoreggiato assieme, ma poi ne ho perse le tracce. In ogni caso non credo che sarà difficile scoprire dove si trova -
- Ma lei è completamente matto, ma lo sa che se è come dice, noi dobbiamo avere il benestare da parte di questa Angela Girau per far uscire il film, e entro una settima dobbiamo presentarlo alla mostra del cinema di Venezia, dobbiamo immediatamente rintracciare questa donna e lei mi farà avere la sua autorizzazione, se non vuole essere citato per danni -
La sfuriata del cavaliere mi ha messo un bel po' di paura addosso. Io balbetto qualcosa cercando di dire che non immaginavo la gravità di questa complicazione e mi rendo disponibile per risolvere il problema, dico che mi serve almeno un telefono per iniziare le ricerche. Prontamente il Troiani mi accompagna in un ufficio deserto.
- Ecco - fa - Qui c'è tutto: telefono, internet, ci sa fare con internet? Si dia da fare subito mi raccomando, svelto che non abbiamo tempo da perdere - e se ne va infuriato, lasciandomi solo.
Il giro di telefonate che faccio a chi penso possa sapere di Angela Girau, non da alcun esito. Decido di provare con le pagine bianche su internet. La ricerca mi dice che negli elenchi telefonici esistono tre Angela Girau: una a Campobasso, un'altra è a Macomer in provincia di Nuoro e la terza si trova a Settimo Torinese, devo provare a chiamarle, con la speranza che una delle tre sia quella giusta.
La sorte mi arride: la prendo al primo colpo. La mia Angela è quella di Settimo Torinese.
Meraviglia delle Meraviglie: Angela si ricorda ancora di me.
- Lo sai che sei stato il mio primo filarino? - mi dice ridendo con gusto - e il primo amore non si scorda mai - sembra sinceramente felice di avermi sentito dopo tanti anni, mi racconta di lei, mi dice che ha due figlie laureate: la grande, il frutto di quel brutto episodio, è in carriera diplomatica e lavora a Bruxelles, la piccola nata dopo il matrimonio con un piccolo industriale metalmeccanico, si trova negli Stati Uniti perché si è sposata con un americano. Mi dice che è la nonna più felice del mondo di tre splendide nipotine. Mi dice di andarla a trovare, che le farebbe "immensamente", proprio così, immensamente piacere di rivedermi. E io, cosa le raccontavo?
- Angela, verrò a trovarti a brevissimo e ti dirò tutto di persona - le dico.
- Oh! È magnifico, ti aspetto con ansia Giustino -
Torno nel salone della festa per riferire al Troiani del successo della mia ricerca. Dal modo preoccupato e ostile in cui mi guardano capisco che il cavaliere ha già divulgato la complicazione che è sorta.
Il Troiani quasi mi si precipita addosso.
- Allora, trovato qualcosa? -
- Sì, sta a Torino e ho già preso un appuntamento per domani, non credo che ci saranno problemi per la firma del benestare -
- Allora mi fai il santo piacere di partire immediatamente per Torino e di farmi avere il benestare firmato entro dopodomani qui, sulla mia scrivania, ci siamo capiti? -
- Ma io ho difficoltà per i soldi, adesso, prendere.. partire... - gli dico.
Il Troiani infila la mano nella tasca dei pantaloni e ne tira fuori una mazzetta di banconote, ne spilla una da cinquecento euro, me la porge, poi ci ripensa, ne prende altre tre o quattro da cento - è meglio che prendi l'aereo, ma mi raccomando, dopodomani, il benestare, qui -
La casa di Angela è una bella villa di periferia, incastonata tra piccoli capannoni industriali, quello adiacente a destra della villa è la torneria industriale di sua proprietà.
L'avevo immaginata più bassa Angela, invece è una bella cinquantenne che dimostra qualche anno in meno, i capelli non sono corvini come una volta, ma lo sguardo dà gioia e promesse seducenti, come quando era bambina, e io ero bambino.
È calorosa Angela, che accoglienza mi ha riservato!
Mi ha raccontato la sua vita, Angela. Mi ha detto del suo piacere per la lettura, dei suoi studi di ragioneria. Mi ha detto che, lei mamma bambina, è stata una fortuna venire strappata dalla famiglia disastrata. Una fortuna quella creatura, seppure avuta da un mostro, che le ha dato l'energia indispensabile per trovare la sua strada. Mi ha detto del suo trasferimento al nord non appena compiuti ventuno anni. Mi ha detto dell'innamoramento e del matrimonio con Vittorio, il padrone della ditta per cui lavorava, della nascita di Elisa, della speranza di cui bisogna nutrire la nostra vita, della fede in noi stessi che non ci deve abbandonare mai. E poi, triste, della morte di suo marito, avvenuta un anno fa, della difficoltà a portare avanti l'azienda, visto che le sue ragazze se ne erano andate per i fatti loro. Ma l'azienda doveva portarla avanti perché l'aveva promesso al suo Vittorio e a se stessa, che vi aveva profuso le energie di una vita. E poi quando la valanga di entusiasmo si è esaurita: - Dai Giustino, raccontami di te, che bello vederti qui, dai, racconta che sono curiosa -
E io le ho detto di un operaio senza lavoro cinquantaquattrenne con la passione per la scrittura, con due splendide figlie come le sue, solo che di nipoti non me ne hanno ancora dato, vedovo come lei. Le ho detto del motivo per cui ero lì, mi sono scusato per questo. Lei mi ha detto che l'avermi rivisto è stato un piacere così grande, che doveva ringraziare la fortuna che ha fatto sì che sia accaduto. Mi ha detto che non c'erano problemi per firmare il benestare all'uscita del film, perché, anche senza leggere il racconto che le avevo portato, la sua era una storia da divulgare perché non è mai abbastanza ricordare al mondo ciò che non deve fare. Poi le ho detto che dovevo andare perché l'albergo non l'avevo ancora prenotato e si era nel tardo pomeriggio.
- Non sognartelo nemmeno - mi ha detto con decisione insospettabile in una personcina così gentile - tu stanotte dormi qui, e poi, non hai detto che sei disoccupato? Domani ne parliamo. È un problema che si può risolvere. Te lo ho già detto che sto facendo molta fatica ad andare avanti da sola con l'officina. Per questa notte sarai mio ospite. Domani vedremo cosa si può fare -


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