Sull'anta sbilenca della dispensa della mia cucina penzola, ormai da anni, un ritaglio di giornale, ingiallito, certo, ma tuttora prorompentemente loquace.
Il nero inchiostro invita ad imparare l'arte di perdere tempo.
Ogni giorno, ripetutamente, direi quasi a puntate, trovo conforto in quel foglio che riporta, in fila, quattro aforismi:

  1. «Quando perdi tempo ti accorgi che hai molto di niente e che quel niente è molto per te.» Ira Gershwin
  2. «Noi viviamo nell'epoca in cui la gente è così laboriosa da diventare stupida.» Oscar Wilde
  3. «Senza una classe oziosa l'umanità non si sarebbe mai sollevata dalla barbarie.» Bertrand Russel
  4. «La pigrizia non è un diritto, ma un dovere... non si devono provare sensi di colpa, il nulla ha un valore che non ha prezzo.» Therry Paquot

Come se fossero una filastrocca, un ritornello, una conta infantile, io ripeto spesso questi quattro aforismi, tra me e me, a mezza voce, in quelle frange di tempo nelle quali mi perdo in un niente...
Trascorro momenti di soddisfazione in un arresto inattivo, bighellonando da ferma.
Mi capita di solito a metà mattino.

Me ne sto sola
con le voci del mio stomaco

(...)
Cammino nei miei pensieri.
Sono una trottola che si ubriaca col vento
. (1)

Poi, passata la vertigine, mi siedo davanti alla lavastoviglie. La fisso, le parlo con riconoscenza per ciò che mi regala: il tempo di un lavaggio, quello biologico che dura cinquanta minuti e che io ho imparato a non occupare in altro modo!
Ho dato un nome alla mia lavastoviglie, si chiama Costanza. Lei mi ascolta paziente e mi capisce. Insomma, sosto davanti ai suoi pulsanti con la faccia attonita, forse anche un po' tonta...
Aspetto, allora arrivano, tornano o approdano, per la prima volta, echi di ieri, di oggi, di domani... chissà?!
Sento la voce di un uomo...

Mio padre aveva sulla fronte, come stampate, due lunghe rughe orizzontali distanti, all'incirca, mezzo centimetro l'una dall'altra. A me piacevano tantissimo. Gliele toccavo ogni tanto: erano spesse, profonde, morbide e perfino mobili. A dire il vero gliele invidiavo.
Mio padre mi raccontava delle favole straordinarie che inventava, senza doverci pensare troppo, durante la narrazione stessa. Creava personaggi che non ho dimenticato, erano storie curiose le sue, storie solo per me.
Le ascoltavo fermandomi su quelle due rughe
. (2)

Intendiamoci, la mia infanzia non è stata un ricamo di meraviglie, anzi! Eppure ha avuto un pregio: è stata lenta e spesso fortunatamente noiosa.
I bambini - oggi - sono condannati al giogo vorticoso e frenetico dei «corsi»: disegno, canto, inglese, equitazione, nuoto, balletto, teatro, informatica, gastronomia, tennis... perfino yoga... Ma se restassero ogni tanto nella loro stanza a guardarsi gli alluci, a gonfiare palloncini di chewing gum, a cacciarsi le dita nel naso?!
Costanza gorgheggia, sussulta, sussulta insieme a me. Io sto dalla parte delle cicale e lei lo sa.
Me lo insegnò Rodari tanti anni fa...

Chiedo scusa alla favola antica,
se non mi piace l'avara formica.
Io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende, regala
. (3)

Certo, se parlassi a qualsiasi altra persona, dovrei definire le intenzioni ed i confini di «quel niente che è tutto per me», ma con Costanza davvero non c'è bisogno.
Mi alzo, afferro una tazza, la riempio d'acqua, bevo, piano, a piccoli sorsi e ancora vago, divago...
Parto... entro in una stanza che io vedo disadorna, quasi vuota, se si escludono un letto e una scrivania. Ovunque fogli sparsi, calamai e penne. C'è odore di muffa, di umido.
Mi accoglie, in silenzio, una donna, nascosta in una tunica bianca: se ne sta reclusa, tra quattro pareti, a fare nulla.
Tace.
Ogni tanto si butta su di un foglio e scrive, poi lancia le parole al soffitto per vederle tornare alla terra confondendosi fra altre dune di parole.
Sbircio tra le righe e rubo.

Bastano un trifoglio e un'ape a fare un prato;
un'ape ed un trifoglio,
e un sogno desto.
Il sogno desto solo può bastare,
se sono scarse le api
. (4)

Domani si saprà che da quel nulla sono nate 1775 poesie di Emily Dickinson.
Domani.
D'improvviso il telefono suona ed io riemergo, torno al mio oggi, sono sempre in cucina, nella mia cucina con la mia lavastoviglie. Lascio passare un istante ed infine rispondo con tono svanito. Dall'altra estremità del filo mi si propone di partecipare ad una tavola rotonda che ha per tema l'ozio.
Accetto su due piedi, senza riflettere, non so... è come se mi sentissi già pronta...
Intanto Costanza lampeggia, una lucina verde mi dice che, con la fine del suo programma, si conclude la mia vacanza mattutina, ma di comune accordo ci concediamo ancora del tempo.
Mi sono venuti in mente i versi di uno scrittore molisano... non ho più pace, devo pescare il suo libro nel mio straordinario disordine... eccolo! Ascolta, Costanza!

Ora per ora
Il giorno va vissuto ora per ora
minuto per minuto
o è perduto
disperatamente.
Il tempo fugge e fuga
ogni futura attesa
e l'attimo è prezioso.
Delude sì, la vita,
ma va presa
. (5)

Presa - aggiungo io - senza aver paura di starsene, ogni tanto, con le mani in mano e Costanza ammicca strizzando il suo occhio smeraldino, vivace e scintillante.

1 M.R. Valentini, Nomi Cose Città Fiori, Dadò 2003, p. 156
2 Ibidem, p. 30
3 G. Rodari, Filastrocche in cielo e in terra, Einaudi 1982, p. 139
4 E. Dickinson, Dietro la porta, a cura di L. Parinetto, Rusconi 1999, p. 247
5 A. Iannacone, Semi, Eva 2004, p. 89


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