Era uno di quei giorni che: “Se sta' ben morti”, avrebbe detto il Nereo Burrasca, vecchio alpino, riferendosi indifferentemente al freddo e al caldo. Lo blaterava ripetendosi come una buona parte di ubriaconi del resto. Peraltro in quei giorni il termometro sfiorava i 20°. Si stava da Dio per la stagione.
La nana tirandosi dietro il figlioletto fecero una corsa a prendere il bus. Quindici minuti dopo scesero davanti il camposanto. Comprò un mazzo di crisantemi bianchi a un baracchino. Camminarono per cinque minuti sulle tombe all'aperto, sotto un cielo terso; il tempo era grato, ma pazzo, in quei giorni prossimi a “tutti i santi”. La meticcia lo era meno. Perché la nana, nera, contrariamente aveva il corpo calibrato per il sole d'Africa. Solo dai trenta in su per Saida era un giorno degno di esser vissuto.
Scesero nelle catacombe. Salì sull'alta scala a forbice e depose i fiori. Si raccolsero pochi minuti ai piedi della scala in preghiera, e com'erano arrivati in bus, di corsa, con lo stesso rientrarono. Parcheggiò in ufficio il figlioletto Said e ricominciò la trascrizione con tanto di cuffie, in ascolto alla sua postazione. Ecco ciò che il Nereo non la vide fare quando la conobbe, circa un tre anni prima, al Distretto Militare, dov'era andato a scartabellare per certi fogli matricolari. Un salario sicuro e malpagato quello; alle intercettazioni prendeva di più grazie allo straordinario, per non parlare della maggiore indipendenza. Ci tirava su il figlioletto di dieci anni, geneticamente nano, che ancora non superava la madre in altezza. Eppure la nana Saida Galassia lo concepì con uno spilungone di quasi due metri. Tra l'altro un bell'uomo. Perché per i bassi, nana nel caso specifico, l'altezza era un requisito essenziale come la bellezza. Il bel spilungone la silurò la sera stessa che la conobbe alla festa Latino Americana. Saida quel mattino si risvegliò sola e non lo rivide più.

- Che è successo Saida? -
- Vieni a prendere il bambino. Oggi è a casa da scuola. Stà poco bene.-
- Come poco bene, cos'è successo al piccolo? Cos'ha? E' successo qualcosa a scuola?-
- No, vieni.-
- Contamela giusta Saida. Guai a tì. Arrivo.-

Il piccolo Said in bus stava aggrappato alle gambe del forzuto Nereo, che in un quarto d'ora da infarto si era presentato a casa della madre. Un omone lo era stato da giovane, e si batteva ancora bene nonostante i sessant'anni e rotti. Lasciò il posto libero a una anziana signora strattonando Said, svogliato, che voleva sedersi.
Che bel negretto. L'ha adottato, - chiese la signora. Nereo non la degnò di risposta e spintonò avanti facendosi largo verso l'uscita. Un commento di ragazzetti lo fece girare sui tacchi. Non gli bastò lo sguardo che questi gli fecero il dito. Strattonò un colpo Said tirandoselo davanti a sé. Un'ora farraginosa piena di studenti.
“Falliti senza futuro. Solo a rompere i coglioni e succhiare il sangue ai genitori”, pensò.
Suo figlio era già bello che morto. Morto giovane in un incidente, e a dir il vero non gli era mai importato. Del negretto, figlio della sua compagna, gli importava.
Scesero una fermata prima ed entrarono in uno dei suoi tanti irriconoscibili bar del quartiere. Riconoscibile per il piccolo Said che già di suo aveva il problema di doversi difendere dall'altezza.
Said mangiava il toast silenzioso.

- Non toccarti Said. Mangia che poi ti porto in negozio.- disse il vecchio Burrasca, iniziando così le dure, ma vuote per il piccolo, lezioni di vita; lezioni che andavano contro tutti i principi della madre di Said.
Il piccolo lo scrutava coi grossi occhioni scuri.
- Non è niente. Calci e pugni ricordati. Calci e pugni. Colpisci per primo. Non importa se poi ti pestano. Tu non dargliela vinta. Mai Said lasciarsi pestare senza muovere un dito. Mai dargliela vinta senza lottare. Se poi le prendi, pazienza. Ricordatelo. -
- Mi chiamano negro nano. Non voglio più andare a scuola. Ho paura.-
- Non dire stupidaggini Said. Non devi, non devi averne. Guarda tua mamma che coraggiosa che è... Sai quanto ci tiene a te. Vedi anch'io quand'ero bambino... Mi chiamavano ciccio bomba. E io gli saltavo addosso in cortile. E quando mi aspettavano fuori, ed erano sempre più di uno, gli saltavo addosso un'altra volta. Poi sono diventato una bestia, un bestio...- si bloccò e prese Said sotto braccio solleticandolo. Facendolo ridere un momentino.
- Su andiamo a vedere i cuccioli...-
- Donna nana tutta tana! - aveva esclamato il Nereo quel giorno al Distretto militare trovandosi davanti a quella trottola ricciuta e nera, che non arrivava alla scrivania.
Prima ancora, per anni la nana lavorò ai TELEFONI. Fu licenziata quando passarono di mano a una snob agguerrita s.p... Nessuno la voleva. Una nana non poteva essere parte organica di una trust commerciale, dove gli standard imponevano la bellezza in primo luogo; così la misericordia, nelle vesti di monsignor Canovo, si prodigò una prima e una seconda volta per quei bei lavoretti di pubblica utilità.
Altro che i turni massacranti ai telefoni o il faticoso saliscendi su per le scale a scartabellare nei pesanti faldoni; in procura poteva fare le notti per arrotondare lo stipendio. Notti tranquille senza l'incubo di dover mettere e togliere spinotti incessantemente duri per le sue piccole mani.
La nana Galassia andava a piedi al lavoro. Nereo nel vederla per strada, prima di quell'incontro ravvicinato al Distretto, in compagnia del figlioletto Said pensò che madre e figlio fossero i due neri e nani più bassi del pianeta; chissà se si erano mai presentati alla trasmissione dei Guiness?
Nana a mezzogiorno, nana alle 8,9,10,11, alle 13, alle 14... non lo sopportava più, solo un intervento di allungamento avrebbe potuto.. Per guadagnare cosa si era chiesta più volte? Restare sempre nana.
Saida s'era rassegnata per se stessa, ma non per il figlio.
Chiuso il negozio di animali alle 12,30 Nereo riportò Said dalla madre che intanto s'era ripresa dal turno di notte.

- Non voglio più andare a scuola mamma. Mi dicono che sono un nano brutto e cattivo. Voglio giocare a basket da grande,- piagnucolava.
- Ma tu sei grande amore di mamma,- e lo abbracciò. Saida mai s'era fatta prendere la mano o si compativa davanti al figlio.
- Mi lasciano sempre in panchina, a fare il raccattapalle. -
- Guardali giocare e impara i trucchi, ascolta l'allenatore, e poi ce ne sono tesoro di sport...-
- Sì mamma.-
- Ma io sono un bambino e ho la testa più grande degli altri bambini.-
La madre lo riabbracciò. Non voleva piangere.
- Basta Said. Adesso cambiati. Lavati le mani. Lo zio resta a mangiare e poi lo riaccompagniamo in negozio.-

***

Saida ancora una volta interiorizzò il dolore del piccolo; perché non passava giorno che Said tornasse a casa da scuola affranto, a volte sporco e pieno di lacrime per le prese in giro e le spinte dei compagni alle quali il nanetto non opponeva resistenza alcuna.
Come poteva rispondergli sul perché era la mamma più piccola e nera.

- Sono una mamma tascabile, - si era inventata questa volta.
- Pensa,- continuò, sorridendo col magone dentro, per sdrammatizzare, per farlo ridere, - posso stare dappertutto. Mi puoi nascondere nella tua tasca.-
- Ma non è vero mamma..,- a Saida piangeva il cuore quando il figlioletto le raccontava delle offese dei compagni.
La nana a quel punto tentava la complicata carta dell'ideale, della grandezza umana basata sulla personalità, sul fattore essere persona. Ma Said aveva solo nove anni.
Disse: - Guardami! Sai che ti chiami Galassia Said Ercole. Tre nomi grandi. Di eroi forti e la galassia è tutto ciò che esiste ed è immensa, è la cosa più grande. E noi uomini, mamme e bambini siamo formiche al confronto. Capisci amore?-
- Compresi gli alieni mamma?- chiese il piccolo.
- Certo tesoro compresi loro. Pensa ET è piccolo come te ed è verde e tu ti lamenti perché sei nero? Piccolo e nero, ma con un bel faccino! -
Lo strinse e rise. Gli tocco il naso facendogli un buffetto e rise anche Said.
- ...sei solo sporco calimero! - E risero ancora.
- Vai a lavarti su! E poi via a dormire.-

Il piccolo Galassia non pianse il pomeriggio successivo, compresso da tutto quell'affanno. Si strappò la maglia di dosso e scappò lasciandosi dietro il cancello della scuola aperto all'insaputa delle maestre.
Said si rifugiò nel parco vicino la scuola delle Carmelitane, dove spesso lo portava a giocare il vecchio. La madre si fidava di quell'omone testardo, ma di buon cuore, come di un vero padre.
Il cielo era scuro e pioveva quando i poliziotti arrivarono con il Nereo e la madre sul sedile dietro. Said sedeva inzuppato su di una panchina sotto il grande acero. Tra le braccia teneva stretto il barboncino nano della vecchia Demelza. Le era scappato impaurito dai tuoni e dal repentino scrosciare della pioggia rintanandosi in un buco, quando del terriccio ne ostruì l'ingresso.
Said aveva sentito la bestiola guaire. Rimosse il terreno e si infilò dentro, salvando il lamentoso fardello.
La vecchia sopraffatta dal temporale ma vincendo la paura tirò quelle gambette fuori dal buco con il suo piccolo tesoro batuffolo, tremante nelle braccia del nanetto.
Il giorno seguente la vecchia si presentò a casa di Said con un cucciolo di barboncino nano, avvolto in un fiocco.
La madre si pentì di non averglielo preso prima l'animale; quante volte il vecchio Burrasca si era presentato a casa con un cuccioletto, che Saida prontamente gli faceva riportare in negozio.


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