Che diavolo vorresti fare, vecchio.
Eccolo. Orazio, sempre lui il primo a farsi vedere. Figurarsi se non poteva essere il primo anche in quel
frangente. Così avevano deciso di non dargli pace nemmeno nei suoi ultimi minuti di vita. Sospirò e si
lasciò accarezzare da una fievole brezza salmastra. Puntò lo sguardo sui tetti rossi delle case sotto di
sé. Si udiva perfino il monotono sbatacchiare di qualche sparuta persiana. Non sono fatti tuoi, lasciami in pace, sbottò Arturo Bellini ostentando le spalle al corpulento
Orazio. Ma guardati, continuò quello imperterrito. Stai lì, in piedi sull'orlo del precipizio, da un
sacco. Smettila di ingannare te stesso e vieni via, tanto non ti butterai mai. A no? Davvero? Vuoi vedere?. No! Non lo faccia, signor Bellini. Mamma, mamma, cosa sta facendo lo zio Arturo?.
Fantastico. La giovane Sara Agosti e la piccola Irene, il pubblico era quasi al completo. Un raggio di
sole attraversò i tetti rivelando impietoso lo stato di abbandono della città. Un amaro deserto di case
vuote, ecco cos'era diventato il mondo. Andate via tutti, mormorò Arturo, lasciatemi solo vi
prego Ma perché?. Sara doveva essersi avvicinata, il suo profumo dolce e sottile stava raggiungendo le
narici del vecchio. Forse non si trova bene con noi? Forse l'abbiamo disturbata troppo in passato? Se è
così le chiedo perdono, anche per le piccole marachelle che può averle combinato Irene. Sa, lei è una
brava bambina ma ogni tanto fa i dispetti. La smetta. Smettetela tutti di far finta. Voi lo sapete perché lo sto facendo. Io... io non dovrei
nemmeno parlare con voi. Ecco!, proruppe Orazio. Ora salta fuori la storia che siamo solo frutto della sua
immaginazione. Ebbene è così, confermò Arturo. Non esistete e mai siete esistiti. Vi ho creati io per colmare i
vuoti. Ma sentilo. E se anche fosse, non te li abbiamo colmati bene questi tuoi vuoti? Ti abbiamo forse fatto
mancare qualcosa? Insomma, che bisogno hai di farlo?. Ha ragione, signor Bellini, rincarò Sara. Noi abbiamo condiviso ogni cosa insieme a lei. Ricorda
quando è nata Irene? Da quanto tempo ispezionava inutilmente le case vicine alla stazione? Fu un incontro
miracoloso, stavo per partorire da sola fra
tutto quell'abbandono. Lei ci aiutò, abbiamo deciso insieme il
nome della bambina. Non ricorda?. Vero, mamma. Mi chiamo Irene come la pace universale.
Arturo scosse la testa senza rispondere. Quell'episodio era avvenuto solo nella sua mente, in quella
specie di fortezza che si era eretto contro la solitudine e la desolazione. Aveva cominciato per scherzo,
quasi giocando. Vi ho creati per caso. Prima del virus e dell'epidemia mondiale, ero uno scrittore. Così mi è venuto
facile, quasi naturale immaginarmi dei personaggi. Con il tempo vi ho plasmati così bene da non
distinguere più fra realtà e fantasia. Ma ora basta. Un corno, vecchio. Tu arrivi, ci dai vita, significato ed esistenza tanto per mitigare la solitudine, e
pretendi ora di ucciderti uccidendo anche noi?.
Il vecchio si voltò. Orazio era rosso in viso, le braccia enormi scaturivano dalle maniche di camicia
rimboccate come due pistoni. Sara sembrava un'acciuga che stringeva al petto una bimba pel di carota. Ma cosa state cianciando adesso?, urlò. Voi non sapete cosa voglia dire svegliarsi tutte le
mattine ed
ascoltare solo il silenzio, il cigolio del vento. E non avere più rumori di traffico, non avere
più stress o confusione intorno. Tutto il mondo tace. Io solo sono immune al virus, a che pro andare
avanti?. Lo faccia per noi, signor Bellini, singhiozzò Sara. Non meritiamo noi di vivere? Le nostre vite
sono piene, noi ci sosteniamo a vicenda. Io ho Irene, lei ha me e noi abbiamo il signor Orazio: siamo una
famiglia. Ma senza di lei non saremmo più nulla, capisce? La stiamo solo pregando di non ucciderci.
Zio Arturo, se vai via tu chi mi racconterà le storie?. Non illuderti, piccola. A questo signore non interessiamo minimamente. Vedi, lui dice che siamo solo
frutti della sua fantasia. Vuole persone reali lui, vuole il mondo com'era prima del disastro. Ma ci pensa
quest'uomo alla festa che abbiamo fatto quando hai messo il tuo primo dentino? Ci pensa alle ore passate
insieme ad ispezionare vecchi supermercati e case diroccate? Quante cose ci siamo detti, vecchio. So più
io di te della tua defunta moglie. Ma me lo dici che differenza fa realtà o fantasia davanti a tutto
questo? Che differenza fa?.
Arturo tornò a guardare davanti a sé, dritto nel vuoto che attendeva di risucchiarlo. L'aria sapeva di
nulla, portava solo odore di disfacimento e abbandono. Fu quasi un colpo di fulmine. Stavano combattendo
per la loro sopravvivenza. Orazio, Sara e Irene, pur entità immaginarie, desideravano vivere. Il fondo del
burrone oscillò, quasi tentò di sostituirsi al cielo terso e limpido. Li aveva creati per tenere lontano
il deserto di case intorno, per popolare di finta vita tutta quella morte vera. Ma non erano più solo
quello, volevano vivere quando lui desiderava solo porre fine a quell'incubo. Le sue stesse fantasie
volevano vivere. Fantasie? Orazio, Sara, Irene sapevano tutto di lui e lui tutto di loro. Cielo e terra
ebbero un capogiro, i comignoli semi arrugginiti si fusero con il freddo dell'asfalto e la calura del
sole. Cadde a sedere come un sacco vuoto. Orazio aveva ragione, che differenza poteva fare? Si voltò, i
tre erano ancora lì impietriti nello stesso, speranzoso, sorriso. Ho avuto un incubo, mormorò infine Arturo ricambiando quel sorriso. Pensavo di essere veramente
rimasto l'unico essere vivente al mondo, che sciocco!.
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