ruota

 

«Mamma, mamma, voglio quello là, quello arancione!» disse Annabelle, tirando il vestito a fiori della mamma e puntando il dito verso il mucchio di palloncini.
Nel grande mucchio c'erano almeno cento palloncini.
«Va bene» disse la mamma di Annabelle. «Però stai attenta a non fartelo sfuggire di mano.»
Poi si avvicinò al venditore di palloncini e gli indicò il palloncino arancione, quello a forma di coniglio.
«Voglio quello!» disse.
«Quale, piccola?» disse la mamma.
«Quello là!» - insisté Annabelle, senza tuttavia riuscire spiegare quale tra i tanti era proprio quello che lei desiderava.

Rimane strano come, a volte, si desideri qualcosa e non si riesca a farlo capire. Come ci si scontri con il mondo che, intorno a noi, sembra non percepire proprio quella cosa che per noi è così chiara.
I palloncini erano tutti uguali, sostenne la mamma di Annabelle.
«Scegline uno, dillo al Signore.» disse.
Il venditore di palloncini era un gitano con troppi denti d'oro in mezzo al sorriso e grandi anelli intorno alle dita. Aveva un modo di guardare le persone, che lo faceva assomigliare ad una figura farsesca. Con un ventre enorme e un cappellaccio di paglia sulla testa, ricordava una qualche immagine di mangiafuoco. Gli occhi sempre abbassati ad incrociare mellifluamente lo sguardo della gente.
Accanto al grande sasso quadrato al quale stavano legati tutti i palloncini, il gitano teneva una vecchia fisarmonica, che lui suonava di tanto in tanto, quando nessuno si avvicinava per comprare i conigli e i perfetti ovali colorati. In fin dei conti si trattava sempre di aria. La stessa aria soffiata dentro un piccolo sogno colorato e la stessa che, dalle stesse mani, era soffiata all'interno della vecchia fisarmonica per gonfiare il mantice di una musica antica e malconcia. Con una leggera similitudine al respiro del tempo che passa.
Annabelle era un poco spaventata da quell'uomo che, ai suoi occhi, appariva un poco misterioso e inquietante, con quei grossi baffi che gli nascondevano il sorriso. Le sembrava come un lontano uomo cattivo, con quel suo aspetto trasandato e diverso, lontano e tuttavia invitante, poiché depositario di tutti quegli eterei contenitori di sogni che, negli occhi giovani di un bambino, sono i palloncini colorati.
Ad un certo punto il gitano si alzò e afferrò il fascio di cordicelle che tratteneva i palloncini. Lo fece con stanchezza, con una strana aria stanca.
Sorridendo, li abbassò vicino al viso di Annabelle che, appena intimidita e circondata da un mare di bolle colorate, ne toccò uno. Proprio quello arancione, a forma di coniglio.
«Voglio questo.» disse.
Il gitano staccò il palloncino dal grosso nodo che li raccoglieva tutti e lo porse alla giovane mamma.
«Tenga signora, fa uno e cinquanta.»
La mamma di Annabelle, in cambio elargì allo slavo un breve sorriso di circostanza fasciato attorno alle tre monetine dovute.

Il Luna Park si stendeva tutto attorno, spargendo ovunque il profumo dello zucchero filato, un moderato odore di frittelle dolci ed il rumore disordinato e cacofonico di musiche di organetto sovrapposte alle voci, ai suoni ed alle risate. In fondo al grande circo, sorniona tra bambini che si rincorrevano, lentamente girava, ineluttabile e maestosa, la grande ruota.

Annabelle composta e ordinata, camminava tenendo la mano della mamma ed esplorando con lo sguardo tutte quelle persone che, divise dal niente di un vetro di biglietteria, erano intenti a divertirsi o a vivere facendo divertire gli altri.
Annabelle guardava tutto quell'universo sconosciuto, affascinata dalle grandi immagini che ornavano l'ingresso delle giostre. Cartelloni colorati ed enormi con disegni bellissimi di cavalli bianchi e alati, biancaneve e i sette nani, astronavi, motociclette, gnomi, stelle, pianeti e lune, funghi di ogni colore, frutti giganteschi, angeli, donne misteriose dal grande petto, uomini vestiti con scintillanti armature medievali, carrozze e prestigiatori, principesse e bolidi da corsa, braccio di ferro, attori di Hollywood, Paperino, Totò, mongolfiere, King Kong, bolle di sapone.
Desiderò essere una fatina di una fiaba inventata per l'occasione in cui sistemare tutta quella fantasia che non smetteva un istante di passare davanti e dentro ai suoi occhi.
Tutto questo ammirò e visse e sognò, cercando di usarlo per disegnare un qualche imprecisato desiderio, accarezzandolo con il morbido sobbalzare del palloncino arancione che, strettamente, tratteneva tra le sue dita.
«Mamma, posso andare sulla ruota?» disse ad un certo punto.
«Va bene, se vuoi facciamo un giro sulla ruota.» disse la mamma.

Annabelle fece un poco di silenzio.
«No mamma. Ci voglio andare da sola. Che così tu mi guardi da giù...» disse sorridendo.
«Annabelle, sei troppo piccola, è una giostra da grandi... È pericolosa.» disse la mamma di Annabelle.
«Ma io sono grande, me lo dici sempre anche tu che non devo fare più i capricci che sono grande. Dai, mamma, ti prego, ci voglio andare, solo un giro!» disse Annabelle, ferma sulle sue scarpette lucide di vernice, ferma sotto il suo palloncino, ferma nella sua decisione, intenta a convincere anche se stessa di essere una diventata una bambina grande.
«Annabelle. » disse la mamma - è pericoloso, non fare i capricci. Ci andiamo insieme, se no niente.
«Ti prego mamma, ci vanno tutti i bambini, guarda!» Annabelle indicò due bambini che salivano sulla ruota, sotto lo sguardo attento dei genitori.
«La ruota gira piano, e ci sono le sbarre. E Annabelle è grande. Dio mio, ha già sette anni.» Pensò la mamma di Annabelle.
La mamma strinse Annabelle tra le braccia e le diede un bacio, lunghissimo, sulla guancia.
«Va bene, piccola. Ma sei sicura di non avere paura?» chiese alla bimba.
«No mamma! Non ho paura per niente!» disse Annabelle entusiasta.
«Nemmeno un po'?»
«Nemmeno un po'.»

L'uomo alla biglietteria consegnò ad Annabelle un cartoncino verde chiaro con tante stelle disegnate sopra e la figura della ruota da tutte due le parti. Annabelle lo prese in mano e si avviò verso la scaletta che conduceva ai seggiolini. Si girò un momento trovando grandi le mani dell'uomo che raccoglieva i cartoncini vicino alla scaletta.
Poi guardò la mamma e la mamma le sorrise. Come sorridono sempre le mamme quando hanno paura ma non vogliono darlo a vedere. Un sorriso eterno, primordiale, bellissimo, grande più del necessario, ma proprio per questo, necessario. Consegnò il cartoncino all'uomo che stava lì, a raccoglierli uno ad uno.
Pensò a quanti cartoncini dovevano esistere, per salire sulla grande ruota; pensò, con un poco di paura, al fatto che prima o poi potessero finire, catturati tutti dalle grandi mani dell'uomo, vicino alla scaletta.

Annabelle salì sulla ruota, si sedette e, con il cuore che batteva a mille, aspettò che la ruota ricominciasse a girare. Il respiro si era fatto corto per l'emozione. Gli occhi che cercavano di guardare tutto.
«Annabelle! Mi raccomando, tieniti forte. Tieniti forte!» disse la mamma, sperando, in cuor suo, che la ruota girasse ancora più lenta di come sempre le sembrava avesse fatto.

Annabelle e la sua mamma. In un certo modo due donne. E una grande ruota su cui salire.
La ruota, fatta di freddo ferro e ingranaggi incomprensibili, silenziosa, finalmente partì.
La paura si fece piccola, Annabelle salì e si allontanò.
La mamma divenne una figuretta indistinta, quasi dispersa tra tutte le persone in basso. Un solo brevissimo, completo, momento di distanza, per poi riavvicinarsi piano, al termine del primo giro, quando la paura fu dimenticata completamente. Annabelle annusò l'aria, avvertì il profumo di zucchero filato e rise forte, lasciando un poco dietro di sé la sua voce.

Allora, la bambina Annabelle, con il suo palloncino arancione, sorrise da sopra la grande ruota a tutta la gente e al mondo che stava sotto. Facendolo, si sporse un poco di più.
Era, in quell'istante, semplicemente felice, con il suo bel gioco fatto d'aria, appena avuto in cambio di un dolce sguardo.
Si sporse giù, cercando gli occhi di chiunque. Salutò, tenendo stretto il palloncino.
«Ciao mamma! Guardami! Sono qui!»
La mamma, vedendola urlò: «Annabelle! Tieniti bene, con due mani!»
Annabelle sentì e, improvvisamente, scoprì di avere ancora paura. Fece come diceva la mamma: si afferrò, un poco scurita in volto, al sostegno, con due mani. E si sedette...
Nel frattempo, però, il palloncino arancione, era volato via.

La grande ruota proseguiva lentamente, perentoriamente, la sua corsa, interrotta, soltanto idealmente, per fare salire e scendere le diverse persone che si avvicendavano. Tutte con il loro palloncino. Un gioco fatto d'aria.
Cartoncino verde, stelle dappertutto, le mani grandi del signore alla scaletta.
Ogni giro aumentava e poi diminuiva la distanza dalle cose. Annabelle si teneva stretta, ammutolita e confusa.
Era, in un certo modo, diventata triste. Il palloncino era perduto, la magia era durata solo un momento. Sbirciò timidamente in basso. Vide bambini sconosciuti camminare tra biciclette arrugginite, vicino a pile di rimorchi tra i quali cani si accoppiavano, incatenati ad una giostra. Roulotte sgangherate e file di biancheria stesa, oltre le roulotte luccicanti solo da una parte, che dal basso sembravano enormi e che da lì invece sembravano giocattoli rotti. Persone strane, sedute a giocare a carte, nascoste dietro ai grandi disegni di cartapesta che ornavano il Luna Park.
Annusò l'aria e, da sopra la grande ruota, non sentì più alcun profumo di zucchero filato ne musica, ne risate.
Sentiva solo il suo respiro, e aria vuota tutto intorno.
La stessa aria che rendeva possibile anche il palloncino arancione, perduto per non correre nessun rischio, per essere grandi e stare al sicuro, sulla grande ruota, tenersi forte, con due mani, come dice la mamma. Bisogna rinunciare a qualcosa in cambio di una sicurezza fatta di aria.
È tutta la stessa aria, pensò. A volte però è vuota, senza nessun profumo.

Quando la grande ruota rallentò un poco, la mamma di Annabelle cercò di incrociare lo sguardo della piccola, trovandolo però fisso dinanzi a sé, come immoto. Avrebbe voluto chiamarla, per incontrare il suo sorriso, al termine del giro sulla giostra. Avrebbe voluto salutarla con la mano e sorriderle con un sorriso da bambina, come faceva sempre quando erano in sintonia.

Annabelle, si teneva ancora stretta con due mani e, quasi con attenzione, puntava lo sguardo in avanti, in una direzione indefinita, a metà tra il dispiacere di avere perduto il suo palloncino e la soddisfazione di avere fatto, da sola, un giro sulla grande ruota, a metà tra la paura ed il coraggio, a metà tra capire che tutto va bene e capire che, invece, c'è qualcosa che non va.
La mamma di Annabelle stette a guardare la bimba e la grande ruota, che stancamante completava i suoi ultimi giri, dopodichè si sarebbe fermata e tutti sarebbero scesi.
« È già finito...» pensò.

Vide la sciarpina azzurra di Annabelle che sventolava, vide le sue guance arrossate dall'aria leggermente frizzante. Vide qualche ciuffo di capelli spuntare da sotto il cappello frettolosamente calcato in testa prima di salire sulla ruota.
Poi vide Annabelle a pochi mesi, nella sua culla, bella come un miracolo, vide gli occhi di Annabelle quando un giorno le aveva detto «Mamma», vide Annabelle con un dentino in mano, che rideva e piangeva tutto assieme e poi vide Annabelle, quando ancora era una cosa senza storia, un'ombra su un macchinario, una luce pulsante riflessa oltre un vetro.
Vide le tre luci rotonde, abbaglianti e invadenti, come riflettori per illuminare l'arrivo di Annabelle, vide l'ansia e la gioia, vide una casa piena di cose mai viste, vide quella luce diversa negli occhi di chiunque e, soprattutto, vide la sua Annabelle: con lo sguardo lontano, seduta sulla grande ruota che, lentamente, tra poco, si sarebbe fermata. Vide il palloncino arancione volare via.

Pensò forte ad Annabelle, la sua grande ruota su cui, quasi per capriccio era salita sette anni prima. Con un poco di paura e un poco di incoscienza, da sola, proprio come Annabelle, per vedere se ce la faceva, per sorridere guardando il mondo, per sentirsi, in una certa maniera, appena un poco più grande, per andare dove non era mai stata prima. Per provare ad amare senza nessuna condizione.
Rimane strano come, a volte, si desideri qualcosa e non si riesca a farlo capire.

Deglutì questa prolungata sensazione agrodolce, mentre il vento le scompigliava i capelli, e intanto le mimetizzava, con un poco di pelle d'oca, quel piccolo magone timido che le avvampava lo sguardo.
In fretta corse dal gitano, che seduto su una poltroncina sgangherata, aveva cominciato a suonare la sua fisarmonica.
Suonava una musica bellissima il gitano, ripetitiva, dolce e ipnotica. La melodia andava e tornava nello stesso punto, saliva e scendeva, non aveva ne inizio ne fine, aveva solo quell'unico movimento circolare, lezioso, ritmico e delicato, come una specie di carezza morbida.
Come una giostra.
Il gitano la guardò senza mai smettere di suonare, sorrise scoprendo una piccola luce dorata tra i denti, poi dandole del tu, disse:
«Dimmi.»
La mamma di Annabelle, non si scompose per quella improvvisa confidenza, solo notò che prima, quando c'era Annabelle, l'aveva chiamata «Signora».
«Vorrei un palloncino» disse lei.
Allora il gitano smise di suonare, appoggiò la vecchia fisarmonica e si avvicinò a lei.
«Quale desideri?» disse.
«Voglio quello là, quello arancione!» disse la mamma di Annabelle, puntando il dito verso il mucchio di palloncini.
La sua voce era diventata giovane e tremante,
La mamma di Annabelle, per un istante, pensò che chiunque l'avesse vista in quel momento, avrebbe pensato che lei si stava comprando un palloncino.
Che se lo comprava proprio per lei, come una bambina.
Come Annabelle, come lei stessa tanti anni prima, quando non c'era Annabelle e la bambina era lei...
Nessuno avrebbe potuto pensare che invece lo comprava per Annabelle che lo aveva appena perso. Nemmeno il gitano, che, infatti, le aveva dato del tu e si era rivolto a lei come ad una ragazzina.
La mamma di Annabelle sorrise al gitano, ma non fu un sorriso di circostanza, fu un sorriso di gonfio di aspettativa, di voglia di giocare, fu un sorriso radioso. Quel tipo di sorriso lì, che hanno tutti i bimbi quando si comprano un gioco nuovo, che è sempre meraviglioso, anche se in fondo è fatto solo d'aria.
Il gitano allora afferrò il mazzo di palloncini, lo fece con quella strana aria stanca e li abbassò vicino al viso della mamma di Annabelle che, circondata da un mare di bolle colorate, ne toccò uno. Proprio quello arancione, proprio quello a forma di coniglio.
«Voglio questo.» - Disse.
«Tieni, fa uno e cinquanta.»
La mamma di Annabelle sorrise ancora.
Diede le tre monete al gitano, afferrò il palloncino e tornò indietro, quasi trotterellando in mezzo a tutte le giostre, ai cartelloni, allo zucchero filato e a tutto il resto.
Una mamma da sola in mezzo ad un Luna Park, con un palloncino in mano.
Arancione, a forma di coniglio.

Arrivò sotto alla grande ruota proprio mentre stava completando il suo ultimo giro.
In pochi istanti la giostra fu ferma e l'uomo dalle grandi mani aprì il cancelletto.
Annabelle scese e vide la mamma che la stava aspettando.
Aveva un palloncino.
Le corse incontro e si abbracciarono, tra il cartellone di Bat Man e quello di Alice nel paese delle meraviglie.

«Ciao piccola, hai avuto paura?» chiese alla bimba.
«No mamma! Non ho avuto paura per niente!» disse Annabelle, raccontando, anche a se stessa, una piccola bugia.
«Nemmeno un po'?»
«Nemmeno un po'.»
«E cosa si vedeva da lassù?» chiese la mamma ad Annabelle.
«Un sacco di cose, sai mamma, tutte le giostre, le persone piccole piccole, e non si sentiva quasi nessun rumore e poi c'era anche un po' freddo e io mi sono tenuta forte come mi hai detto tu, con tutte due le mani e poi abbiamo fatto tanti giri e poi...»
Del suo palloncino, Annabelle non disse nulla. Forse, lo aveva già dimenticato, forse non era per lei così importante come il fatto di essere salita da sola sulla grande ruota ed essere lì, adesso, a raccontare tutto alla mamma.
Solo, ad un certo punto Annabelle vide che la mamma teneva in mano un palloncino arancione.
Sorrise, come sanno fare solo i bambini quando sono un po' stupiti ma quando questo li rende felici. Un sorriso eterno, primordiale, bellissimo, grande più del necessario, ma proprio per questo, necessario.

«Mamma!» disse Annabelle «Ma che bello! Ti sei comprata anche tu un palloncino, uguale al mio!!»
La mamma, soltanto, strinse forte Annabelle tra le braccia e le diede un bacio, lunghissimo, sulla guancia.
«Sì, Annabelle, hai visto come è bello?» disse.

Stettero ancora un poco là, ferme immobili in mezzo al Luna Park, a parlare fitto fitto e ridere, con la mamma che le sistemava la sciarpina azzurra e Annabelle che non la smetteva più di raccontare.
Poi si allontanarono piano, facendo sobbalzare il palloncino della mamma di Annabelle.
Annabelle e la sua mamma. In un certo modo due bambine.
Alle loro spalle, un gitano che vendeva palloncini, suonava una vecchia fisarmonica e la grande ruota, lentamente, cominciava un nuovo giro.


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