In quella assonnata mattina ero indecisa non sapevo che fare: andare o restare a ciondolare per casa?
Sinceramente l'idea di farti visita non mi allettava più di tanto riflettendo, però, ho realizzato il dispiacere che ti avrei procurato se non fossi passata nemmeno per un salutino proprio il giorno del tuo compleanno, anche se per la prima volta non c'era il tiramisù da mangiare non potevo lasciarti senza regalo.
Tu dirai e che differenza fa anche prima mi regalavi sempre camicie... Come darti torto, non si può negare la realtà; ma alla fine se sono pigra e ripetitiva nei regali che faccio non è neanche tutta colpa mia!
La giornata non era delle migliori, era dubbiosa come me: né sole, né pioggia; ormai siamo tutti assolutamente convinti che l'inquinamento ha influenzato l'andamento meteorologico e non ci facciamo quasi neanche più caso se una stagione scompare o se un dì è strampalato.
Siamo arrivati al luogo dell'appuntamento, non si poteva cambiare scenografia, ormai sono quattro mesi che vivi qui, chissà se hai freddo, o caldo, se soffri la solitudine o se hai fatto amicizia con qualcuno.
Mi domando se mi vedi mentre varco il cancello e se senti i sasseti stritolati dalle mie ciabattine piene di luccicanti lustrini dorati e argentati (ovviamente di plastica), se già intuisci ciò che vorrei dirti o se è necessario che ti sussurri che ti voglio bene, sai l'impulso sarebbe quello di urlarti a voce alta i miei sentimenti ma poi che penserebbero gli altri visitatori? Capisci, vero!
Tu non amavi tanto fare queste cose preferivi startene a casetta a bere il tè e a guardare la tv.
Mi sembra che sorridi contento di vederci, felice di sapere che non ci siamo dimenticati di festeggiarti, anche se ora non abiti più nella via limitrofa ma in un piccolo e insignificante paese di montagna distante qualche decina di chilometri in più.
Ti ricordi quante volte in sella alla tua bicicletta sfidavi gli anni e le intemperie per venire a far quattro chiacchiere da noi?
Guarda queste nuove «candeline» sono di cera vera, pensa che risparmio ne abbiamo messe solo quattro e ci sembrava già di aver esagerato, ma tenendo conto della ricorrenza le abbiamo lasciate. Ti piacciono?
Queste fiammelle non sono vive artificialmente grazie a una carica elettronica: sono luci che si spengono al soffio del vento e con le prime gocce di pioggia, si irrigidiscono stizzose al gelo e si rilassano al sole; inoltre, in caso di rovesciamento, diventano capricciose oltremodo divertendosi a disegnare dipinti astratti che si solidificano con l'aria...
Da un po' di tempo, più o meno da quando vengo a farti visita, pur non fumando, tengo sempre un accendino in borsa; è pratico non ti scotti le dita e non rischi di consumare una scatola di cerini a vuoto.
In questa irreale mattinata estiva i ricordi si proiettano come fotogrammi lassù tra le cime dei monti, saltellano come silenziosi scoiattoli tra le fronde dei verdi pini e si ricorrono gioiosi tra i fili dell'odorosa erba, mi ha sempre inebriato il forte profumo dell'erba bagnata.
Ripenso un po' a noi, a quando mi regalavi mazzetti di mughetti legati con un elastico che ne strizzava il gambo, fiori avvolti malamente in un foglio stropicciato di carta, che profumo e per quanti giorni rimanevano freschi nel vasetto con l'acqua! Riassaporo la tua torta, calda pasta frolla all'uovo e pezzetti di mele che si scioglievano appena le impasticciavi con la saliva.
Mi ricordo di quella volta che mi ero messa in mente di preparare quel tipico dolce autunnale, mi pare si chiami «Montebianco», passammo un intero pomeriggio a eliminare la buccia dalle castagne: nonostante l'impegno di entrambi il risultato non permise ulteriori e futuri tentativi.
Qualche giorno fa ho ritrovato nel cassetto della tua camera la scatola in cui mettevi tutta la tua vita: lettere, foto e cartoline debitamente suddivise in pacchetti legati con dei nastri di diversi colori... Curiosa l'ho aperta, e non senza timore, ho iniziato a sparpagliare, come se giocassi a carte e facessi un solitario, tutti i tuoi ricordi sul tavolo; ho trascorso un intero pomeriggio a vivisezionare il completo contenuto di questo «scrigno di vita».
A un certo punto ho preso in mano la lettera che ti avevo scritto per il compleanno quando avevo 18 anni, me ne ero completamente dimenticata non sai che emozione ritrovarla!!
Ora rivedo mentalmente anche la foto che ti ritrae il giorno del matrimonio appesa nel corridoio di casa e che ogni giorno attira la mia attenzione e mi fa scoprire qualcosa che non avevo ancora nemmeno sospettato: un sorriso benevolo o di disappunto a seconda di come sto vivendo emotivamente la giornata.
Ritratto misterioso reso affascinante anche da quella vernice gialla che rannuvola il volto, lo impiastriccia in modo tale da far immaginare che un bambino dispettoso, geloso del tempo che non ritorna, voglia mascherare ciò che fu; o forse è stato uno sciame di api che sbagliando rotta ha depositato lì del miele che col passere del tempo si è asciugato trasformandosi in una specie di colla?
E i fotogrammi finali... Quando nel letto d'ospedale con gli occhi ormai foschi, un pomeriggio in cui eri ritornato in te, l'ultimo; eri ritornato in te dopo giorni di delirio in cui dialogavi con chi non c'era e non ci poteva essere, una ripresa calcolata per salutare, per prepararci al momento di chiusura delle trasmissioni, mi avevi portato l'angoscia nel cuore tramite due battute:
«La vita o la morte?»
«Cosa?!»
«Tu cosa scegli per me?»
«Eh, la vita ovviamente (...)»
«A questo punto è meglio la morte.»
Silenzio.
La mia mente giunge inevitabilmente al tuo ultimo gesto d'affetto quando a fatica apristi gli occhi, il tuo sguardo sornione sembrava dirmi: «hai visto che son morto!»
Tante volte avevamo scherzato, ridendo mi ripetevi: «quando arriverà la signora la manderò via».
Incredula, con le lacrime che scendevano a più non posso, non potei fare a meno di chinare un instante la testa per rialzarla immediatamente alla ricerca di quel spiraglio di speranza... non c'era più.
Gli altri parenti attorniavano il feretro, ovviamente non tutti provavano lo stesso dolore, le lacrime di alcuni erano sudore che colava insolitamente dagli occhi, quelle di altri acqua di fonte.
Ti accarezzai la fronte era fredda, la pelle aveva un colorito spento, insolito: non parevi più tu!
Al ritorno dalla funzione, con la spontaneità che mi caratterizza, chiesi a mia madre se avesse assistito anche lei all'evento sopranaturale «dell'apertura degli occhi»: ella denegò, ma la sua negazione non era ferma. Capii da quel sorriso comprensivo e da come nicchiava il capo che anche lei aveva visto, il pudore e la ragione le impedivano di comportarsi diversamente.
Ancor oggi è una questione sospesa a cui chissà forse un dì troverò risposta: funesto segno o beffa all'intelletto, suggestione prodotta dal desiderio o che altro?
Comunque sia, ritornando a noi: «mi raccomando nonno caro non impigrirti, mi devi ancora raccontare tante storie, aneddoti veri e fantastici... Ti voglio ancora seguire con lo sguardo mentre te ne vai per la via a cavalcioni della tua bici.»
Ora devo veramente andare: «Ancora buon compleanno, a presto, ciao.»


Data invio: